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L A POESIA DI I ACOPO S ANNAZARO

Passando al vaglio i profili della raccolta emerge anche il complesso scenario della poesia cinquecentesca: le sfaccettature e i principali protagonisti emergono a tutto tondo nelle pagine dello scrittore. Giovio presenta sulla carta il bilancio di un cinquantennio di poesia attraverso i vari generi e stili. Gran parte dei poeti celebrati nella raccolta appartengono al novero di quei

poetae urbani che l’Arsilli ha immortalato nel suo poemetto577: l’autore annovera quindi fra i

viri illustres della sua pinacoteca e della sua silloge anche i più ragguardevoli umanisti del

circolo del Goritz. All’interno della pletorica folla di letterati di quell’accademia, Giovio riconosce però le menti più originali alle quali riserva un posto nel suo Museo.

Fra i poeti defunti, Iacopo Sannazaro (LXXX) detiene un sicuro primato578. Giovio conosceva assai bene la realtà della letteratura regnicola in virtù dei suoi soggiorni presso Vittoria Colonna a Ischia. Sia nel Dialogus sia negli Elogia l’evoluzione della poesia napoletana è quindi rappresentata dalla linea diacronica Panormita-Pontano-Calenzio-Sannazaro. A questi insigni umanisti si potrà anche aggiungere Pietro Gravina, personaggio la cui biografia era già

574 Cfr. Carlo Dionisotti, Machiavelli e Giovio, cit. pp. 424-425.

575 Paolo Giovio, Lettere, cit., II, p. 7. Per l’analisi della missiva si rinvia all’introduzione.

576 Gli esemplari cinquecenteschi degli Elogia evidenziano spesso due tipici interventi censori nei confronti dei profili di Machiavelli e di Erasmo.

577 Sul De poetis urbanis di Francesco Arsilli, dedicato proprio a Paolo Giovio e pubblicato in appendice all’editio princeps dei Coryciana, si rinvia al capitolo seguente.

578 Al profilo gioviano del Sannazzaro dedica una laconica analisi Vincenzo Caputo, «Ritrarre i lineamenti e i

colori dell’animo». Biografie cinquecentesche fra paratesto e novellistica, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 40-

42: Caputo indica come tratto peculiare dell’elogium, comune peraltro alla biografia sannazariana del Porcacchi, la svalutazione dell’innamoramento per Cassandra e l’assoluto spazio riservato alle vicende ufficiali del poeta napoletano.

146 stata indagata da Giovio in uno scritto dalle proporzioni e dalle ambizioni più ampie, la Vita

Petri Gravinae579.

Gli elogi dei poeti napoletani rappresentano fedelmente la situazione delle lettere nel regno aragonese: diversamente dalle altre zone della penisola che hanno conosciuto fra Quattro e Cinquecento un’incessante avanzamento della letteratura volgare, la produzione poetica a Napoli restò per molto tempo esclusivamente latina. A dispetto di pur notevoli esempi di poesia dialettale, i generi canonici quali la storiografia, la lirica, l’oratoria restavano infatti dominio della lingua di Roma antica. In tale contesto il percorso del Sannazaro è ancor più singolare. L’umanista napoletano interrompe la consuetudine che prevede, con l’approssimarsi del Cinquecento, il progressivo abbandono del latino in favore del volgare: a un esordio poetico in volgare, culminato col capolavoro dell’Arcadia, Sannazaro farà seguire infatti un riavvicinamento alla poesia latina che darà i suoi frutti più significativi col De partu

Virginis e con le Eglogae piscatoriae580.

Proprio all’amico Sannazaro Giovio dedica le sue cure più premurose in un ritratto estremamente rilevante sul piano critico581. Conviene al riguardo aprire una breve parentesi sulla ricezione della figura e dell’opera sannazariana nella prima metà del XVI secolo. Nella prima redazione del Furioso, l’umanista napoletano sembra incarnare l’esempio perfetto del poeta, una figura di importanza capitale nelle dinamiche della scena letteraria italiana e tale resta pure nella redazione del 1532582. La rilevanza della citazione che Ariosto dedica al Sannazaro attesta una rispettosa deferenza: all’interno del catalogo del XLVI canto, Sannazaro è l’unico poeta del quale viene espressamente ricordata un’opera. Teniamo quindi a mente le parole di Ariosto poiché occorrerà farvi riferimento durante l’esame dell’elogio:

Veggo sublimi e sopr’ umani ingegni Di sangue e d’amor giunti, il Pico e il Pio. Colui che con lor viene, e da’ più degni

579 La biografia del poeta palermitano fu pubblicata in appendice alla princeps delle sue poesie: Vita Petri

Gravinae a P. Iovio ad Iohannem Franciscum Campanum Pelignorum regulum conscripta, in Petri Gravinae Neapolitani Poematum libri ad illustrem Ioannem Franciscum de Capua Palensium Comitem, Epigrammatum liber. Sylvarum et elegiarum liber. Carmen Epicum, Neapoli, ex officina Ioannis Sulzbacchii, 1532, cc. [71]r-

[74]v. 580

Si veda al riguardo Gianni Villani, L’umanesimo napoletano, in Storia della letteratura italiana, cit., vol. III

Il Quattrocento, pp. 709-712 e Id., Iacopo Sannazzaro, in ivi, pp. 797-798. Cfr. anche Pasquale Sabbatino, L’idioma volgare, cit., pp. 18-34, il quale nota come il bilinguismo diacronico di Sannazzaro si contrapponga a

quello sincronico di Bembo. 581

Affronta un rapido esame dell’elogio gioviano Vincenzo Caputo, Biografie e immagini di Sannazaro: dalle

vite cinquecentesche ai drammi ottocenteschi, in Iacopo Sannazaro. La cultura napoletana nell’Europa del Rinascimento, a cura di Pasquale Sabbatino, Firenze, Olschki, 2009, pp. 365-369.

147 Ha tanto onor, mai più non conobbi io;

Ma, se me ne fur dati veri segni, È l’uom che di veder tanto desio, Iacobo Sannazar, ch’alle Camene Lasciar fa i monti et abitar l’arene583.

Sannazzaro fu indubbiamente il più celebrato umanista della sua epoca assieme al sodale Pietro Bembo: il profilo gioviano prova infatti in maniera mai ambigua quale fosse la fama e l’apprezzamento per il genio del poeta napoletano. L’incipit del ritratto introduce il lettore nell’entourage dell’Accademia pontaniana al cui interno Sannazaro rivelò precocemente le sue capacità:

Iacobus Sanazarius, equestris Ordinis poëta Neapoli natus atque educatus, quum praeclarum foecundi atque felicis ingenii specimen daret, repudiato avito gentilitioque nomine, Actius Syncerus appellari voluit, adhortante Pontano, qui Ioviani cognomen, amicorum imitatione, desumpserat584.

La biografia del Sannazaro è riassunta in pochi eventi essenziali: dopo la breve digressione iniziale sulle origini pavesi della famiglia585, Giovio allude al legame di profonda amicizia che unì il poeta al re di Napoli Federico d’Aragona. L’autore degli Elogia sottolinea al riguardo il diverso atteggiamento che Pontano e Sannazaro tennero nei confronti del sovrano. Se l’umanista di Cerreto si era infatti inimicato il re aragonese lodando con un’orazione l’invasore Carlo VIII, Sannazaro preferì invece restare fedele alla dinastia mettendosi a disposizione di Ferdinando il Giovane con le proprie armi per recuperargli il trono586. Questo comportamento leale procurò enorme fama al poeta presso Ferdinando e tale rapporto di

583 Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, cit., p. 1387 (canto 46, ott. 17).

584 Paolo Giovio, Elogia, p. 104; trad. it., p. 234: “Iacopo Sannazaro, poeta di rango equestre nato ed educato a Napoli, dette prova evidente di un ingegno fecondo e fertile, perciò, dopo avere ripudiato il nome dei suoi avi e della sua famiglia, volle farsi chiamare Azio Sincero. A consigliarlo così fu Pontano, che, imitando i suoi amici, come soprannome aveva scelto «Gioviano»”.

585 Ibidem: “Sed origo vetustae stirpis e Sancto Nazario, Laumellini agri oppido, inter Padum et Ticinum non ignobili, unde maiores advenerant, non obscure petebatur”. Trad. it., p. 234: “Ma l’origine della sua antica famiglia veniva fatta chiaramente risalire a San Nazzaro, una città della Lomellina di una certa importanza, tra il Po e il Ticino, da dove erano venuti i suoi antenati”.

586 Anche Francesco Guicciardini dedica ampio spazio all’episodio nella sua Storia d’Italia (libro II, cap. V, in Id., Opere, a cura di Emanuela Scarano, Torino, UTET, 1981, vol. II, pp. 234-235). Ricordando l’orazione che Pontano scrisse per Carlo VIII, Guicciardini avvalora il sospetto di un’eccessivo servilismo dell’umanista nei confronti dell’invasore: “orando in nome del popolo Giovanni Gioviano Pontano. Alle laudi del quale, molto chiarissime per eccellenza di dottrina e di azioni civili e di costumi dette quest’atto non piccola nota; perché essendo stato lungamente segretario de’ re aragonesi e appresso a loro in grandissima autorità, precettore ancora nelle lettere e maestro d’Alfonso, parve che, o per servare le parti proprie degli oratori, o per farsi più grato a’ Franzesi, si distendesse troppo nella vituperazione di quegli re, da’ quali era sì grandemente stato esaltato”. Cfr. Carlo Vecce, Sannazaro in Francia: orizzonti europei di un ‘poeta gentiluomo’, in Iacopo Sannazaro. La cultura

148 fiducia si consolidò ulteriormente quando Sannazaro scelse di seguire il sovrano esiliato in Francia587.

Nel carattere del poeta risalta quindi la dote della lealtà che, a diverso titolo, condiziona anche gli sviluppi delle sue ultime azioni. L’indignazione con la quale Sannazaro accoglie infatti la notizia che Filiberto d’Orange ha devastato la sua villa di Mergellina, scatena un aggravamento della sua salute che lo condurrà di lì a poco alla morte. Lo sdegno del Sannazaro è generato dall’oltraggio che le Muse, ossia la Poesia, hanno dovuto subire: distruggendo la dimora nella quale l’umanista componeva le sue opere, l’Orange ha infatti colpito un luogo sacro, la culla delle lettere588. Era allora inevitabile che Sannazaro, stando al racconto di Giovio, gioisse della morte in battaglia dell’Orange come ultima soddisfazione della sua vita589. L’aneddoto esemplifica quindi la scelta del poeta di vivere un’esistenza in totale funzione dell’arte. Vita e morte si congiungono nel nome delle lettere grazie anche alla costruzione della chiesetta di Santa Maria del Parto che avrebbe dovuto accogliere le spoglie del poeta: il poema latino, che dà il nome all’edificio, rappresenta quindi al pari della chiesa il sepolcro del letterato.

587 Paolo Giovio, Elogia, p.104: “Floruit amicitia Federici regis, senescente Pontani gratia: qui Aragonum nomen vehementer offenderat, quum veluti personae oblitus, victorem Carolum invidiosa vel intempestiva oratione publice laudasset. Permansit in ea belli procella in officio Actius, redeuntique Ferdinando Iuniori, armatus inter fidales cives operam praestit: unde ei conspicuus in aula gratiae locus. Sed infestius demum urgente Fortuna, quum Federicus regno pelleretur: constanti studio atque integra fide eum exulem in ulteriorem Galliam secutus est, qua gratissimi animi testificatione, singularem laudem promeruisse, vel eius inimici iudicabant”. Trad. it. p. 234: “Ebbe un profondo legame d’amicizia con re Federico, mentre tramontava il favore di questi verso Pontano, che aveva violentemente offeso gli Aragonesi, poiché quasi si fosse dimenticato il suo ruolo, aveva lodato pubblicamente con un’orazione odiosa e inopportuna il vincitore Carlo. In quella tempesta di guerra Azio fu saldo nella propria posizione e, quando Ferdinando il Giovane ritornò, gli assicurò il suo aiuto con le armi, insieme agli altri cittadini rimasti fedeli. Perciò a corte godé di grande considerazione. Ma quando la Fortuna incalzava più minacciosamente e Federico fu scacciato dal regno, con devozione incrollabile e lealtà totale lo seguì in esilio in Francia e da questa prova di gratitudine anche i suoi nemici lo giudicarono degno di una lode particolare”. Già Pontano nel dialogo Aegidius aveva ricordato l’esilio volontario del Sannazaro. La vicenda sarà rievocata anche da Belisario Acquaviva nell’epistola al Sannazaro che apre l’editio princeps del De partu: cfr. Carlo Vecce, Sannazaro in Francia, cit., pp. 151-153. Si noti che Giovio non accenna alle importanti scoperte di codici antichi effettuate dal Sincero nelle biblioteche francesi.

588 Sannazaro dedicherà l’elegia Ad villam Mergellinam alla dimora donatagli dal re Federico d’Aragona. Sulla chiesa di Santa Maria del Parto cfr. Cristiana Anna Addesso, Sannazaro in Parnaso, in Iacopo Sannazaro. La

cultura napoletana nell’Europa del Rinascimento, cit., pp. 344-346.

589 Paolo Giovio, Elogia, 104: “Ex dolore autem indignantis animi, supremum concepit morbum quod Philibertus Aurantius dux Caesaris Margillinae villae suae delicias, temere excisa turre deformasset, ea ad Pausilypi radices conspicitur. Sed Aurantius demum acie interfecto, quum hora fatalis adveniret, auditus eius interitu sese in cubitum erigens: Excedam, inquit, e vita hoc meo non inani voto laetus, post quam Barbarus Musarum hostis, ultore Marte, immanis iniuriae poenas persolvit”. Trad. it., p. 235: “Ma per un dolore interiore provocato dall’indignazione si ammalò di una malattia mortale: Filiberto d’Orange, generale dell’imperatore, aveva sconciato le bellezze della sua villa di Mergellina, visibile ai piedi di Posillipo, facendo abbattere una torre senza motivo. Ma alla fine, quando l’Orange fu ucciso in battaglia, Azio seppe della sua morte mentre per lui si avvicinava il momento fatale. Sollevandosi su un gomito disse: «Uscirò da questa vita felice che questo mio voto sia stato esaudito: grazie alla vendetta di Marte quel barbaro, nemico delle Muse, ha pagato la sua immane offesa».

149 La totale devozione del Sannazaro verso le lettere è testimoniata anche dalla sua fama di severo censore. Giovio era consapevole di questa sua indole e nella già citata lettera allo Scannapeco scrive:

Resta da rispondere a quello, di che io mi rido, che voi mi tassate d’avere quasi violata l’amicizia, in dire che ’l Sannazzaro era parco ed amaro censore quando giudicava l’opere d’altri. A questo primo dico che io tengo d’averlo lodato, poi che io lo dipingo di quello severo giudicio come era, e ne faceva professione. E se credete altrimenti di quello, che era in effetto, come dico io, mostrate con tanta vostra familiarità di non avergli toccato il polso sì bene come ho fatto io in non molte volte che ho praticato con esso. Vi so dire ch’io ne feci viva anotomia con piacer di lui, e so quello che rispose alle curiose mie dimande, quando io ricercava che volesse dire il parer suo di quello che giudicava delle cose del Poliziano latine e volgari. Così d’Ermolao, del Sabellico, e di molti altri morti. […] Non ardiva egli di dire e a me e ad altri con vive ragioni che nel gran Pontano si potevano tagliare molte cose, e molte inserire, e molte sfrondare e trasferire? Dico ne’ versi. […] severo giudicio del Sannazaro? Il più delle volte accompagnato col ma e col sì nel lodare ancora l’ottime cose? […] Per questo tenne nelle mani il suo divino Parto della Vergine circa vent’anni, acciò che di giorno in giorno crescendo più il giudicio potesse risecare e riformare tutto quello che non gli piaceva590.

Dopo aver difeso il temperamento critico del Sannazaro, Giovio rievoca anche i loro lunghi colloqui incentrati sui poeti del passato: è interessante notare che lo sviluppo delle loro conversazioni sui “molti altri morti” avvicina il tenore di quei dialoghi al progetto gioviano degli Elogia improntato appunto alla celebrazione dei letterati defunti. Se vogliamo prestar fede al racconto di Giovio, i pareri che lo storico comasco ha espresso nel Dialogus e nella sua raccolta su Poliziano, Ermolao, il Sabellico, Pontano e altri sono probabilmente frutto di quegli amichevoli dibattiti. Anche se a un primo esame non pare che Giovio sposi appieno le idee del Sannazaro (non leggiamo mai infatti alcuna critica alla poesia di Pontano), è plausibile individuare in questo humus culturale un contesto favorevole all’esercizio della critica letteraria.

Sannazaro ha rivelato però la propria severità di giudizio anche nei confronti delle sue opere. Di tanto rigore ne farà le spese in primo luogo il De partu Virginis che, come ricorda Giovio sia nella lettera allo Scannapeco sia nell’elogio, fu perfezionato dal poeta napoletano per oltre venti anni:

590 Paolo Giovio, Lettere, cit., vol. I, p. 177-178 (a Girolamo Scannapeco, Roma, 1534-1535). In questa lettera Giovio si difende dall’accusa rivoltagli dallo Scannapeco di aver eccessivamente denigrato Gravina e Sannazaro nella Vita Petri Gravinae.

150 Gravi autem et sacro poëmate De partu Virginis, viginti annorum lima perpolito, summum decus frustra expectasse videri potuit […]591.

Il classico lavoro di labor limae assegna di diritto al poema sannazariano un posto fra i capolavori della letteratura umanistica. Giovio ricorda però che la grande fama non giunse al poeta da questo testo di solido impianto classicista e di ortodosse tematiche religiose ma dalle più umili Piscatoriae eglogae. Il precedente discorso sul De partu Virginis si completa infatti così:

quum ille quae iuveni exciderant Piscatoriae eclogae publico exceptae plausu reliquorum operum famam oppresserint, ita ut eam publici tamquam iniqui iudicii querelam aperto cum pudore nec tamen sine tacita voluptate devoraret592.

A questo punto occorre ricordare i versi dell’Orlando Furioso nei quali l’appassionata celebrazione del Sannazaro ruota unicamente attorno alle innovative egloghe di ambientazione marittima. Durante tutto il XVI secolo le Piscatoriae guadagnarono infatti i maggiori consensi della critica divenendo in breve tempo l’opera più ammirata del Sannazaro. Le egloghe formano col poema sacro un dittico latino che negli anni della loro diffusione posero in secondo piano la pur celebrata Arcadia: come estrema conseguenza di questa impostazione notiamo che nell’elogio di Sannazaro Giovio non rammenta mai il noto romanzo pastorale. Le due opere latine si diversificano anche per la rapidità di esecuzione: tanto è stato limato il De Partu Virginis quanto immediata è stata la composizione delle

Piscatoriae. Di fronte a tale discrepanza, Giovio pare concedere la sua palma all’opera che è

frutto più del genio che dell’arte. Il destino di Sannazaro fu dunque analogo a quello di Petrarca e Boccaccio che, nonostante si attendessero il successo dalle opere più meditate, ottennero invece la fama da prove apparentemente più umili come i frammenti poetici o le novelle593.

Se l’elogio di Sannazaro fosse stato scritto all’altezza degli anni Trenta, l’omissione dell’Arcadia non avrebbe forse destato eccessivo clamore. Durante il primo trentennio del XVI secolo la poesia latina conobbe infatti un’ultima esplosione di vitalità dovuta anche a

591 Paolo Giovio, Elogia, p. 104; trad. it., p. 234: “Ma dopo aver limato per vent’anni il poema intitolato De

partu Virginis, d’argomento profondo e sacro, sembrò averne aspettato invano la gloria più alta […]”.

592 Ibidem; trad. it., p. 234: “infatti quelle Piscatoriae eclogae applaudite da tutti, che gli erano quasi uscite di mano involontariamente quando era giovane, avevano offuscato la fama delle altre opere che aveva scritto, tanto che Iacopo reprimeva il suo dispetto per l’ingiustizia del giudizio del pubblico, esteriormente con vergogna, in realtà non senza un segreto e inconfessato piacere”.

151 concomitanti cause politiche. Il declino delle dinastie napoletana e milanese, come pure la crisi della potenza medicea a Firenze, ridussero infatti di molto il favore degli intellettuali nei confronti del volgare. All’altezza del 1530 dunque non sussisteva ancora un netto contrasto fra i campi d’azione del volgare e quelli del latino: esisteva viceversa una pacifica coesistenza fra queste due lingue della poesia594. Perciò Bembo e molti altri umanisti della sua generazione erano concordi nell’esaltare le opere latine del Sannazaro595. In una lettera a Marco Antonio Michiel del 18 ottobre 1526, l’umanista veneziano parla infatti nei seguenti termini della produzione poetica del napoletano:

Lodato sia Dio che ho veduto l’opera del nostro m. Iacopo Sannazzaro del parto della Vergine, e le sue Pescagioni, pubblicate e date a luce. Il nostro secolo arà questa eccellenza da ravicinarsi in alcuna parte a quelli belli e fioriti antichi, e il poeta goderà vivo la sua medesima gloria, e udirassi lodar dal mondo miris modis. La qual cosa, quantunque gli avenisse ancor molto prima che a quest’ora, pure stimo che per lo innanzi gli averrà più pienamente, e più secondo il merito delle sue fatiche596.

Bembo ritiene che il De partu Virginis e le Piscatoriae abbiano elevato su vette irraggiungibili la fama del poeta ancor più di quanto le precedenti opere (forse allude all’Arcadia) avessero fatto. Il giudizio di Paolo Giovio si rivela pertanto affine a questa lettura.

Anche i biografi antichi sottolineano un progressivo distacco del Sannazaro dalle sorti della sua Arcadia. Il Crispo, autore di una Vita di Giacopo Sannazaro edita a Roma nel 1593597, sostiene infatti che al poeta non fosse gradita la lode della sua Arcadia: a colui che gliene chiedeva ragione, Sannazaro rispondeva che la fama fondata sul solo giudizio del volgo non era mai sicura598. Possiamo quindi ipotizzare che la vistosa omissione di Giovio rappresenti un consapevole adeguamento alle volontà dell’autore convinto, come abbiamo appurato, dell’assoluta superiorità delle sue opere latine599.

594 Cfr. l’analisi di Carlo Dionisotti, Appunti sulle «Rime» del Sannazaro, in «Giornale storico della letteratura