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S TRATEGIE NARRATIVE DELLA SERIE : GLI ANEDDOTI E LA DOCUMENTAZIONE

Si è detto che il giudizio critico rappresenta solo un aspetto del ritratto di un uomo di lettere: tale elemento, insieme alle informazioni biografiche e ai celebri aneddoti, dà vita a un’entità omogenea. Come è già stato detto, quasi ogni elogio è costituito da un frammento di biobibliografia, da notazioni critico-stilistiche sulle varie opere e da quei cenni aneddotici e moralistici che più di ogni altro elemento hanno garantito la fortuna di questo testo. La combinazione fra questi tre fattori risulta del tutto libera per cui i singoli elogi, pur nell’ambito di un’imprescindibile fedeltà a questo modello, mantengono alcuni margini di autonomia narrativa. Ad integrare questo quadro interviene ad esempio la variabile della sincronizzazione storica. Impiegando cronologie talvolta ridisegnate ad arte, l’elogio spesso si

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Francisci Philelfi viri graece et latinae eruditissimi Epistolarum familiarum libri XXXVII, Venetiis, 1502, c. 218v (A Federico duca di Urbino, Milano, 8 gennaio 1469). Trad. mia: “Sappi che non sono mai rimasto in ozio. Ho cominciato proprio adesso a tradurre in latino dal greco lo storico Appiano, parendomi indegno che uno scrittore tanto eloquente risultasse da noi barbaro, per l’imperizia di Pier Candido Decembrio”.

230

Paolo Giovio, Elogia, p. 53.

231 Fa il punto sul lavoro del Perotti Roberto Cessi, Tra Niccolò Perotto e Poggio Bracciolini, in «Giornale storico della letteratura italiana», LIX, 1912, pp. 319-325.

54 propone di ancorare la breve biografia del personaggio al suo contesto evenemenziale allo scopo di trarre dalle “fortuite” concomitanze fra le vicende dell’uomo e i grandi avvenimenti del passato, la promozione per il letterato a grande protagonista della Storia. Questo esercizio costituiva peraltro un topos narrativo della storiografia umanistica che Giovio mostra così di voler perpetuare.

Un saggio di questa pratica descrittiva è offerto ad esempio dagli elogi di Mirandola (XXXIX) e Marsilio Ficino (XLIII). La prematura morte di Giovanni Pico coincide con l’ingresso di Carlo VIII in Firenze (“Excessit a vita […] eo die tam celebri, quam postea Italiae maxime funesto, quo Carolus Galliae rex Octavus Florentiam est ingressus”)233. Il fatidico 1494, data che segna una svolta irreversibile nella situazione politica italiana, segnala un momento paradigmatico nella visione gioviana della Storia: non a caso infatti l’autore sceglie di inaugurare le Historiae proprio con questo anno cruciale. Anche nei brevi elogi dei letterati e degli uomini d’armi questa data viene quindi riproposta regolarmente come contesto delle biografie. Marsilio Ficino scompare invece nello stesso momento in cui moriva Paolo Vitelli e Luigi XII stava valicando le Alpi per irrompere in Italia (“et tum esset in alpibus Ludovicus rex Gallorum, armatus irrumpens, ut singulas illustres domos, et ad unum fere omnes Italiae principatus everteret”)234.

Anche l’elogio del Crisolora (XXIII) è fortemente compromesso col contesto storico di riferimento. Ricordando infatti che il bizantino svolse per conto dell’imperatore Giovanni il ruolo di ambasciatore, Giovio ha modo di compiere un breve excursus sullo scontro che vide opposti Tamerlano e Bayazid I235. La sconfitta del terribile condottiero ottomano ad opera di Tamerlano, garantì infatti alla Grecia un periodo di tregua dalla pressione turca che ne prolungò per pochi anni lo status di indipendenza. La situazione di stallo dovuta a questo momento di pace offrì al Crisolora l’occasione per stabilirsi in Italia e dar vita al suo insegnamento. Le grandi vicende storiche intersecano quindi la biografia degli uomini di

233 Ivi, p. 70. Trad. it., p. 120: “Morì […] nel giorno, tanto famoso quanto poi funesto per l’Italia, in cui Carlo VIII di Francia entrò a Firenze”.

234 Ivi, p. 74. Trad. it., p. 131: “Proprio allora Luigi, il re di Francia, si trovava sulle Alpi con i suoi eserciti, pronto ad attaccare per abbattere senza eccezione tutte le casate illustri e le signorie d’Italia”.

235 Ivi, p. 57: “Is Byzantio emissus a Ioanne Imperatore, ut totius Europae reges adeundo, pereunti Graeciae maturam opem, imploraret, officium quidem laboriosa peregrinatio ne ita implevit, ut in italia subsisteret, Graecia scilicet praesenti metu liberata, cum Tamerlanes terror Orientis, Baiazetem Othomannum a terribili celeritate fulgori cognomen adeptum, ad Stellam montem vivum capisse”. Trad. it., p. 74: “Fu inviato fuori Bisanzio dall’imperatore Giovanni per implorare, visitando i re di tutta Europa, un tempestivo soccorso per la Grecia che stava per crollare. Portò a termine il proprio compito con un faticoso pellegrinaggio, tanto da fermarsi in Italia non appena la Grecia fu liberata dalla paura che incombeva su di essa quando Tamerlano, terrore dell’Oriente, aveva catturato vivo presso il monte Stella l’ottomano Bayazid, soprannominato «fulmine» per la sua tremenda velocità”.

55 lettere e la condizionano: l’uomo è artefice del proprio destino fino al punto in cui le forze superiori glielo concedono.

L’aneddoto ha il compito di svelare la personalità del biografato. L’autore opta così per un modulo narrativo variamente in uso già nei modelli antichi, nelle rassegne biografiche e nei dialoghi quattrocenteschi. Rintracciare le fonti consultate da Giovio per reperire questi dettagli espressivi consente di rimuovere il pregiudizio di malafede che spesso ha screditato le informazioni tradite dalla raccolta236. Il tentativo però è destinato ad arenarsi di fronte a un ostacolo obiettivo: l’epistolario del vescovo di Nocera purtroppo non soccorre nell’individuare i testi o gli strumenti che sono stati interrogati per ricavare le notizie; né si possono ipotizzare altri soccorsi documentari, visto che già in passato è stata denunciata la difficoltà di ricostruire l’inventario della biblioteca personale dell’autore237.

Non va scordato in ultima analisi che costituiva parte integrante del metodo storiografico di Giovio documentarsi attraverso l’inchiesta condotta sulle testimonianze dei protagonisti dei fatti: anche l’indagine personale dovrà dunque essere considerata un potenziale strumento di ricerca238. Nell’impossibilità di stabilire con certezza l’identità delle fonti degli Elogia sarà più corretto allora parlare di testimonianze concordanti.

Raramente Giovio denuncia la provenienza delle sue informazioni: un caso eccezionale merita di essere segnalato. Nel profilo di Leonardo Bruni l’autore accenna alla fama di avarizia che pare fosse vizio peculiare del celebre umanista: per comprovare questa diceria Giovio adduce un’illustre testimonianza, la Facezia XXX del Piovano Arlotto:

Senescenti opes creverunt cum aliena liberalitate, tum sua tristi parsimonia cumulatae, adeo ut Arlottus, mordaci sale perurbanus in Fabellis eius genium relicto corpore in fuga sitientem ridenter expressit239.

236 Scrive infatti T. C. Price Zimmermann, Paolo Giovio. The Historian and the Crisis of Sixteenth-Century Italy, cit., p. 206: “The «certain license» Giovio allowed himself in the elogia has been the bane of scholars seeking to verify details which appear nowhere else”. Trad. mia: “La «certa licenza» che Giovio si permetteva negli elogia è stata la sventura degli studiosi i quali hanno tentato di verificare dettagli che non comparivano in alcun altro luogo”.

237

Ernesto Travi, Paolo Giovio nel suo tempo, in Paolo Giovio. Il Rinascimento e la memoria, cit., pp. 313-314, ricorda che in realtà Giovio aveva avuto accesso alle due più importanti raccolte librarie del suo tempo, la Vaticana e la Medicea.

238 A titolo d’esempio si potrà citare l’elogio di Leon Battista Alberti. Citando l’autoritratto che l’architetto realizzò servendosi di uno specchio, Giovio giudica l’esecuzione dell’opera molto fine ed espressiva: la sua valutazione scaturisce dalla testimonianza autoptica perché infatti “apud Pallantem Oricellarium in hortis vidimus” (Paolo Giovio, Elogia, p. 65). Anche il già citato elogio del Merula costituisce un esempio calzante: si consideri però che tale approccio metodologico risulterà largamente impiegato soprattutto nei ritratti dei contemporanei.

239 Paolo Giovio, Elogia, p. 45. Trad. it., p. 39: “Da vecchio le sue ricchezze, grazie non solo alla generosità altrui, ma anche alla propria avarizia, aumentarono al punto che il Piovano Arlotto, dotato di uno spirito salace estremamente raffinato, nelle Facetiae raffigurò comicamente il genio di Leonardo che, lasciato il corpo, fuggiva

56 L’elogio sottolinea che il Bruni morì a Firenze “divitiis et gloria plenus”240. All’indomani della morte fiorì attorno al cancelliere una nutrita aneddotica che nelle sue svariate declinazioni non fa però mai cenno alla presunta avarizia: in un passo delle Commentationes

florentinae de exilio, Filelfo ricorda ed esempio le cospicue ricchezze accumulate in vita dal

Bruni senza tuttavia accennare alla sua avidità241. Non deve sfuggire però la somiglianza del ritratto gioviano al profilo del Bruni compreso nei Commentariorum urbanorum libri di Raffaele Maffei. L’esemplificazione seguente aiuterà a visualizzare le concordanze fra l’elogium di Giovio e il breve paragrafo del Maffei:

Elogia Commentariorum urbanorum libri

Historiae quoque ab eo eleganter conscriptae in minibus habetur.

[…] Innocentius septimus, quamquam plane

iuvenem, gravissimo muneri parem,

epistolarum Magistrum fecit242;

[…] praeterea Graece libellum de repub. Florentinorum, ut viri Latini non admodum

inelegantem.

[…] Admodum iuvenis ab Innocentio VII adcersitus eius brevium magister fuit, deinde Florentinorum scriba243.

Il Maffei, forse per la prima volta in modo esplicito, rammenta l’avarizia del Bruni, indicandola in verità come unico vizio di quell’uomo tanto probo:

oppresso dalla sete.” La raccolta del Mainardi, composta secondo Folena durante l’ultimo quarto del Quattrocento, guadagnò la via della stampa solo nel 1514 allorché lo stampatore fiorentino Bernardo Pacini ne licenziò una princeps notevolmente alterata nella forma e nel contenuto. Durante tutto il XVI secolo l’opera godette di enorme fortuna editoriale, se è vero che fino al solo 1538 se ne contarono ben dodici edizioni. È stato individuato un bacino di ricezione piuttosto ampio per questa raccolta negli interessi dei poligrafi del Cinquecento: ad esempio riutilizza la facezia XIX dell’Arlotto Ortensio Lando nel suo sermone Piovano Arlotto

nella morte della sua civetta e nella Seconda libraria (Venezia, Marcolini, 1551, p. 26) Anton Francesco Doni

menziona un immaginario Libro degli errori del Piovano Arlotto (ho tratto quest’ultima indicazione da Giovanni Sagredo, L’Arcadia in Brenta, a cura di Quinto Marini, Roma, Salerno editrice, 2004, p. 354, n. 5).

240 Paolo Giovio, Elogia, p. 45.

241 Cfr. Francesco Filelfo, Commentationes florentinae de exilio. Liber tertius: De pauperitate, in Prosatori

latini del Quattrocento, a cura di Eugenio Garin, Milano – Napoli, Ricciardi, 1952, p. 503: “ob eam arbitror

causam, quod et ipse dives est ad sexaginta milia aureum […]”.

242 Paolo Giovio, Elogia, p. 45. Trad. it., p. 39: “Si possono leggere anche le storie, scritte con eleganza dallo stesso Leonardo”; “Innocenzo VII lo mise a presiedere, benché ancora molto giovane, quella funzione così impegnativa che è la segreteria epistolare”.

243 Raffaele Maffei, Commentariorum urbanorum libri, cit., c. 245r. Trad. mia: “inoltre (scrisse) un libretto sulla repubblica dei Fiorentini, in uno stile non inelegante per essere uno scrittore latino”; “Ancora giovinetto fu chiamato da Innocenzo VII come suo maestro dei brevi, poi fu cancelliere della Repubblica di Firenze”.

57 Decessit Florentiae aetatis anno LXXIIII Salutis MCCCCXLIII peculio locuplete relicto, et absque liberis cum uxorem nunquam duxisset, unico avaritiae vitio tantum obnoxius244.

L’opera del Volterrano, fortunatissimo esempio della summa enciclopedica rinascimentale, fu certamente nota al Giovio che poté consultarla in una delle varie edizioni che si erano succedute a partire dal 1506245. È azzardato dire che il repertorio del Maffei costituisca l’ipotesto della narrazione gioviana: questa vastissima opera dedica infatti solo il ventunesimo libro alla celebrazione dei letterati e solo in pochi luoghi è possibile stabilire una certa concordanza d’informazione. Nell’elogio che Giovio ha dedicato al Maffei (CXVIII) lo storico riconosce i difetti di quella nota enciclopedia del sapere ma, al tempo stesso, non nega di averne tratto un indubbio beneficio (“Sed multum hercle debemus ingenuo, gratuitoque labori […] delicatis rerum noscendarum compendia demonstravit”)246. Tuttavia i profili condivisi dalle due opere sono tanto numerosi da suggerire se non altro che Giovio ha meditato con attenzione sul canone proposto dall’erudito volterrano247. Quindi l’immagine tragicomica del vecchio Trapezunzio (XXV) che vaga smemorato per la città indossando un berretto e aiutandosi con un bastone nodoso:

ita ut repuerascenti, et propemodum deliro, memoria tantarum rerum, elaberetur et circuiret Urbem solus obtrito in pallio pileatus, et nodoso scipione vacillantis gradum sustinente […]248.

244 Ibidem. Trad. mia: “Morì a Firenze all’età di settantaquattro anni nel 1443 dopo aver lasciato in eredità una gran quantità di denaro, perché non si era mai sposato, colpevole soltanto di un unico vizio, l’avarizia”. In realtà Giovio erra palesemente: come ricorda Cesare Vasoli, Bruni, Leonardo, in DBI, XIV, 1972, pp. 623-624, il Bruni ebbe una moglie e un figlio, Donato.

245 Sull’opera del Maffei si legga Alfredo Serrai, Bibliografia e cabala. Le enciclopedie rinascimentali, a cura di Maria Cochetti, in Id., Storia della bibliografia, Roma, Bulzoni, 1988, vol. I, pp. 281-284.

246

Paolo Giovio, Elogia, p. 131. Trad. it., p. 331: “Ma, per Ercole, devo molto a quella fatica nobile e disinteressata, con la quale quest’uomo, ottimo per integrità di vita, ha offerto ai lettori raffinati una sintesi di ciò che bisogna sapere”. In precedenza Giovio aveva però scritto: “Non multo enim cum sale, et sine ornamento Latinae orationis, cuncta astricto ordine ita digessit, ut alibi quaerenda legentibus indicare videatur”. Trad. it., p. 331: “Infatti aveva sistemato tutto in un ordine così serrato, senza troppa intelligenza e senza la bellezza della prosa latina, che sembra piuttosto cha abbia indicato ai lettori una lista di argomenti da approfondire altrove”. 247 I profili condivisi dalle due raccolte sono molteplici e comprendono la totalità della respublica literaria quattrocentesca: Leonardo Bruni, Poggio, Valla, Acciaiuoli, Perotti, Calderini, Decembrio assieme a tutta la compagine bizantina. Recentemente Barbara Agosti, Paolo Giovio. Uno storico lombardo nella cultura artistica

del Cinquecento, cit., p. 84 ha indicato un’altra proficua linea d’indagine per sondare i rapporti fra Giovio e

l’enciclopedia del Maffei: l’ambito storico-artistico. Giovio recupera ad esempio dai Commentarii quelle importanti osservazioni sulla decadenza del Perugino che tanta impressione hanno suscitato fra gli storici dell’arte.

248 Paolo Giovio, Elogia, p. 59. Trad. it., p. 79: “[…] ridotto com’era a uno stato di rimbambimento delirante: girava per la città da solo, coperto di un mantello consumato, un berretto, un bastone nodoso a sostenergli il passo”.

58 trova riscontro nel rispettivo brano dei Commentarii (“In extrema senectute oblitus erat omnino literarum, solusque; urbem baculo nixus incedere malebat”)249. Giovio usufruiva peraltro di un importante informatore sulla vita del Trapezunzio: Fausto Maddaleni, poeta della corte di Leone X, il quale, avendo sposato la nipote dell’umanista, era in grado di dare molte notizie sul prosuocero (“Hic multa de Georgii prosoceri doctrina, et litium acerbitate narrare solebat”)250.

Per schizzare i ritratti degli umanisti del Quattrocento Giovio ricorre a strumenti letterari di diversa natura: se da un lato è preponderante il ricorso alle notizie ricavabili dal paratesto degli incunaboli e delle edizioni cinquecentesche, in altri frangenti è necessario scorrere gli stessi testi per individuare la fonte di un dettaglio. Per esemplificare il carattere polemico di Poggio Bracciolini, Giovio accenna a un avvenimento significativo: pare infatti che durante una riunione al teatro di Pompeo, il Bracciolini avesse inveito contro l’altrettanto bizzoso Trapezunzio il quale, per porre fine all’alterco, lo schiaffeggiò pubblicamente. Il fatto ha un suo accreditato narratore in Lorenzo Valla, noto avversario di Poggio. Nell’Antidotum primum infatti, scritto dal Valla in risposta alle Orationes che il cancelliere gli indirizzò per polemizzare con lui su lingua e religione, l’autore delle Elegantiae riferisce proprio di questa lite fra Poggio e Giorgio da Trebisonda:

Nam cum tuo et college et equali Georgio Trapezuntio in frequenti cancellaria, quasi in secundo senatu, coram ipso preside cancellario dixisses: «Mentiris per gulam!» quod invectivam in eum scripsisses – ut certe scripseras Venetiamque miseras – ille tibi unum atque alterum colaphum duxit. Ibi tum exorta est quasi in medio theatro, quod vere fuit olim theatrum Pompeianum, pugilum veteranorum cruenta certatio, ut egre concursu patrum dirimi potuerit251.

L’episodio viene così riassunto negli Elogia:

249 Raffaele Maffei, Commentariorum urbanorum libri, cit., p. 246r.

250 Su questo poeta della cerchia leonina si veda la voce di Gianni Ballistreri, Capodiferro, Evangelista

Maddaleni (Maddalena) de’, detto Fausto, in DBI, vol. XVIII, 1975, pp. 621-625.

251 Lorenzo Valla, Antidotum primum: la prima apologia contro Poggio Bracciolini, a cura di Ari Wesseling, Assen – Amsterdam, Van Gorcum, 1978, p. 187. Trad. : “Quando in riunione, in una sorta di secondo senato, sei venuto fuori a dire al tuo collega e amico Giorgio Trapezunzio, in presenza stessa del cancelliere : - Sei un bugiardo! – dopo avergli scritto contro un’invettiva – proprio quella che gli hai mandato a Venezia, costui ti assestò due bei pugni. Allora nacque come in mezzo a una scena (quale in effetti fu un tempo il teatro di Pompeo) un sanguinoso combattimento fra pugili provetti, che a stento poté essere sedato dall’intervento dei senatori.”

59 Erat quoque Pogius adeo intemperans obiurgator, ut quum in Theatro Pompei, loco et die celebri, ubi bullatorum diplomatum censura habebatur, Georgio Trapezuntio malediceret, ab eo acriter duplici colapho caederetur252.

Giovio non sembra condividere l’assioma in base al quale l’invettiva è un documento biografico scarsamente attendibile. Opposto al genere della laus, della quale rovescia programmaticamente i topoi narrativi (se in quella il soggetto è nobile per stirpe e virtù, qui sarà ignobile, di origini infami), la moderna vituperatio è per natura legata all’attualità ma, come è lecito aspettarsi, nient’affatto veritiera sul piano fattuale253. Giovio, che è invece intento al reperimento dell’aneddoto mordace, riesce a centrare il suo scopo servendosi di un’opera come l’Antidotum primum che rivolge pesanti attacchi al Bracciolini. Nell’elogio del Panormita l’autore accenna all’altra celebre polemica che oppose di nuovo il Valla all’umanista siciliano: pur senza scendere nei particolari di quei libelli infamanti, lo storico ricorda che le offese scambiate fra i due rivali furono tanto sguaiate da suscitare l’ironia degli avversari. Accanto dunque alla produzione storiografica e all’attività versoria, emerge indirettamente, come altra caratteristica della civiltà del primo Umanesimo, la vis polemica che si è concretata nel genere letterario dell’invettiva.

L’elogio del Filelfo presenta maggiori problemi interpretativi. Giovio stigmatizza la posizione antimedicea dal tolentinate, sostenitore degli oligarchi, dipingendo l’umanista come una persona inquieta, incoerente e ambiziosa (“Ingenium enim in studiis aestuante, vario, ambitioso”)254. Sul piano dei fatti l’elogio presenta alcune inesattezze: sulla morte del Filelfo ad esempio Giovio si dimostra male informato. Il tolentinate morì infatti all’età di ottantatre anni a Firenze, dove era stato richiamato dal munifico Lorenzo che lo fece poi seppellire nella basilica della SS. Annunziata255: di contro a questa verità inoppugnabile Giovio afferma però che il Filelfo scomparve quasi novantenne a Bologna. Gli ultimi anni della sua vita si svolsero secondo l’autore in una condizione di così estrema povertà che fu necessario agli eredi vendere il mobilio dell’abitazione per pagare il funerale (“ut ad efferendum funus et cubiculi et coquinae in strumenta venierint”)256. È lecito allora domandarsi perché uno storico come Giovio, sempre ben informato sulla materia dei suoi scritti, sbagli così clamorosamente e per

252

Paolo Giovio, Elogia, p. 46. Trad. it., p. 41: “Poggio era uno che attaccava senza ritegno. Una volta, nel teatro di Pompeo, in un contesto che aveva richiamato molti spettatori (si teneva l’esame per l’attribuzione dei diplomi di laurea), prese a male parole Giorgio Trapezunzio, che gli affibbiò due violenti ceffoni”.

253 Sul genere dell’invettiva si legga il pregevole articolo di Lucia Cesarini Martinelli, Note sulla polemica

Poggio – Valla e sulla fortuna delle «Elegantiae», in «Interpres», III, 1982, pp. 29-79: 32-33.

254 Paolo Giovio, Elogia, p. 52.

255 Sull’umanista si veda la voce di Paolo Viti, Filelfo, Francesco, in DBI, vol. XLVII, 1997, pp. 613-626. 256 Paolo Giovio, Elogia, p. 52.

60 di più nei riguardi di un letterato certo molto noto. Fra i vari episodi narrati da Giovio sulla vita di Filelfo, l’unico dettaglio per il quale è possibile trovare un preciso riscontro nella tradizione biografica dell’umanista concerne proprio le circostanze della morte. Carlo de’ Rosmini, biografo ottocentesco del Filelfo, ha individuato l’origine dell’errore. Lo studioso dà infatti notizia di un’antica Vita Francisci Philefi scritta da un ignoto Pievano di Tolentino257: il testo sarebbe del tutto degno dell’oblio, data la conclamata scorrettezza del contenuto, se non fosse per l’identità del suo illustre destinatario che risulta essere appunto Paolo Giovio. È