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Generazioni e “nuovi marketing”

1.3. L’approccio generazionale nelle ricerche di marketing

1.3.6. Generazioni e “nuovi marketing”

Il crescente interesse per l’approccio generazionale trova giustificazione nella crisi del marketing tradizionale e delle innumerevoli “panacee” (dal relationship marketing all’one-to-one marketing, dall’eco-marketing al sensory marketing), che si sono proposte di offrire soluzioni ai “malanni” di questa disciplina. Alla luce di questa situazione si avverte da più parti la necessità di transitare verso una nuova prospettiva, denominata societing, che presuppone una rilettura del ruolo dell’impresa, non più considerata come «semplice attore che si adatta al mercato», ma come «attore sociale inserito in un contesto sociale» (Badot, Bucci e Cova, 1993). Dal mercato alla società, l’orizzonte si dilata, ponendo le condizioni per un approccio centrato sullo studio dell’esperienza quotidiana del consumatore e delle reti di relazioni che si sviluppano in tale contesto: tornano dunque ad essere considerati con notevole interesse anche i temi di carattere generazionale (cfr. Gnasso e Parenti, 2003; Tréguer e Segati, 2004), aprendo la strada ad un crescente ibridazione tra marketing e sociologia. La ricerca di un approccio sintetico, in grado di abbracciare in un unico sguardo i consumatori che appartengono alla medesima generazione, si può del resto ricondurre all’esigenza di de-specializzazione che attraversa la società contemporanea, in risposta all’indebolimento delle logiche di differenziazione funzionale (es.: netta separazione tra società ed economia, individuazione di nicchie di mercato sempre più piccole ed asfittiche), che hanno caratterizzato la modernità (cfr. Ungaro, 2001, p. 88).

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A questo proposito, vale la pena segnalare tra gli altri il volume I nuovi marketing, scritto da Jean-Paul Tréguer e Jean-Marc Segati (2003; trad.it. 2004), pubblicitari francesi e consulenti di marketing generazionale per varie aziende internazionali. Pur senza sviscerare in maniera esaustiva tutte le implicazioni connesse all’elaborazione di un nuovo statuto epistemologico della disciplina, il volume ha il pregio di focalizzare l’attenzione sul tema generazionale, inteso come porta d’accesso a una new wave del marketing, che individua come proprie coordinate fondamentali «l’attenzione per l’individuo consumatore come soggetto sociale e storico, la sua trasformazione da target a partner, le nuove aggregazioni sociali che si formano nella società postmoderna […], l’enfasi sulla relazione che fa aggio sulla transazione» (Fabris, 2004, p. X), restituendo al consumo «il suo significato intrinsecamente umano e sociale» (ibidem).

Il punto di partenza è rappresentato dalla constatazione dell’esistenza di una generazione di “canguri”, esemplarmente rappresentata nel film Tanguy di Ètienne Chatiliez (2001): giovani costretti a dilazionare l’ingresso nella vita professionale e la costruzione di una famiglia autonoma, ma che interpretano con apparente noncuranza e spensieratezza questa situazione di disagio, appoggiandosi per le spese ai propri genitori, divenuti a tutti gli effetti i migliori amici, e integrandosi per il resto in aggregazioni trasversali, basate su affinità emozionali ed affettive, prive dall’approccio critico e oppositivo, ma anche dello slancio progettuale, che caratterizzava le generazioni precedenti. Si profila dunque un’area di impressiva ampiezza, impermeabile alla tradizionale logica dei target, formata da soggetti mentalmente curiosi e perennemente in movimento (si pensi al successo dei voli low cost), che tuttavia riceve scarsa attenzione da parte degli operatori, condizionati da astratti modelli manageriali, che appaiono sempre più distanti dal vissuto concreto delle persone (emblematica è la pervicace ostinazione con cui s’insegue l’illusoria promessa delle carte fedeltà: colpire con precisione chirurgica nicchie di consumatori sempre più specializzate).

In questo quadro l’analisi generazionale consente di andare oltre la semplice fotografia dell’esistente, dilatando il cerchio dell’attenzione al di là dei fenomeni a breve e delle effimere mode del momento: è così possibile registrare l’andamento di tendenze di lunga durata, seguire il percorso evolutivo di target trasversali di consumatori, che condividono le medesime preferenze in fatto di musica, abbigliamento, viaggi, risparmio, programmi televisivi, tempo libero, ecc., mettere a

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punto prodotti in grado di sedurre le nuove generazioni di consumatori, consolidando nello stesso tempo la fedeltà dei consumatori già acquisiti (Tréguer e Segati, 2003; trad.it. 2004, p. 34). Nello specifico, i due autori propongono uno schema interpretativo che ricalca da vicino quello di Smith e Clurman, integrandolo tuttavia con alcune significative variazioni:

- innanzitutto, pur senza negare l’importanza delle generazioni, i due autori dedicano attenzione anche a criteri di segmentazione più tradizionali, come l’età e il “ciclo di vita”, sottolineando con forza la rilevanza delle componenti psicologiche e sociologiche che emergono da tali analisi. Il ciclo di vita, in particolare, è interpretato come un progressivo dipanarsi di esperienze lungo due assi principali: quello della vita privata e familiare, attraverso i vari cambiamenti di stato che scandiscono il corso dell’esistenza (distacco dai genitori, sistemazione in coppia, arrivo dei figli, ecc.), e quello della vita pubblica e professionale, scandito dai tempi della formazione, dell’attività e del pensionamento. Si definisce su questa base un ciclo di vita articolato in sei periodi, della durata teorica di 15 anni ciascuno: due di dipendenza (l’infanzia e la vecchiaia), due di attività professionale (la nidificazione e la maturità) e due di grande libertà (la giovinezza e il pensionamento). In questo quadro il periodo del pensionamento finisce per configurarsi come una sorta di “ri-generazione”, caratterizzandosi per una vivacità e per una elasticità mentale non dissimili da quelle riscontrabili nel periodo della giovinezza: è un elemento di novità anche rispetto al quadro concettuale definito da Mannheim, nel quale la possibilità di promuovere il cambiamento rimane circoscritta alle giovani generazioni;

- in secondo luogo, Tréguer e Segati insistono sul carattere dinamico delle generazioni, una dimensione particolarmente accentuata durante gli anni della giovinezza, decisivi per la formazione psicologica dell’individuo. Si tratta infatti di un periodo caratterizzato da uno stato di grande libertà, da una posizione di non scelta, in cui i soggetti sono permeabili a tutte le influenze, le emozioni e le esperienze (op.cit., p. 24). Richiamando il contributo di Bernard Préel, specialista francese di comportamenti generazionali, i due autori parlano a questo proposito di un tempo impressionabile, riconoscendo in questa fase del corso della vita uno «strano periodo di libertà e di latenza, di via di mezzo, a ben vedere decisivo per la formazione dei valori» (op. cit., p. 25).

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Più concretamente, Tréguer e Segati evidenziano il carattere di costrutto socio-culturale della giovinezza: si tratta infatti di una nozione che è stata letteralmente “inventata” nelle società più avanzate nel corso del Ventesimo secolo, ampliando “in modo spettacolare” la durata di questo stato di spensieratezza e di irresponsabilità, in precedenza riservato solo a pochi privilegiati (famiglie nobili, notabili, borghesi, intellettuali). Pur senza citarli esplicitamente, queste considerazioni sembrano richiamarsi ai contributi di Abrams e di Erikson: nelle società più avanzate il periodo della giovinezza si dilata oltremisura, prolungando in maniera indefinita la condizione di intervallo e di attesa che caratterizza questa fase del corso della vita, con conseguente ritardo delle decisioni e degli impegni più importanti (ingresso nella vita professionale, matrimonio, nascita dei figli);

- infine, Tréguer e Segati sostituiscono il riferimento agli “indicatori” con una locuzione meno rigida. Parlano infatti di “marcatori generazionali”, ossia di elementi-simbolo in grado di riassumere le differenze tra le diverse epoche: per gli appartenenti alla “generazione canguro”, che fatica a staccarsi dal focolare domestico, possono essere «l’Aids, il divorzio, Mtv, i videogiochi, il boom del personal computer e la rivoluzione di Internet» (op.cit., p. 28). Se l’indicazione appare abbastanza generica, più chiara è la consapevolezza del carattere bipolare di tali “marcatori”: per un verso, essi fungono da elementi unificatori per gli individui che appartengono alla medesima generazione, per un altro verso, rappresentano elementi di rottura rispetto ai membri delle altre generazioni (op.cit., p. 29).

Non si tratta di un semplice slittamento terminologico: mentre gli “indicatori” presuppongono l’esistenza di un rapporto di indicazione, che può essere empiricamente rilevato mediante lo studio di un certo numero di variabili, i marcatori agiscono secondo la logica dei “poli magnetici”, definendo “campi di forze” che possono variare a seconda dell’elemento simbolico su cui si concentra l’attenzione: gli stessi eventi possono dunque rientrare in molteplici configurazioni, a seconda che siano attratti oppure respinti da campi di forze contigui. In altri termini, utilizzando gli indicatori, ci troviamo di fronte a una serie di generazioni, che si succedono l’una all’altra secondo un percorso lineare (dai Maturi ai Boomer e

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da questi ai Gen X)14; nel caso dei marcatori, abbiamo invece a che fare con una situazione elastica, che si presta a molteplici percorsi di lettura. Ad esempio, chi è nato nel 1966 può essere ricondotto tanto alla “Generazione Gorby” (nati tra il 1965 e il 1974) quanto alla “Generazione Naturalezza” (nati tra il 1942 e il 1967), in base ai “marcatori” di volta in volta utilizzati (op.cit., p. 29). Si passa dunque dall’uni-verso al multi-dall’uni-verso generazionale: il risultato è un insieme variegato e complesso di raffigurazioni, che si alternano l’una all’altra come le immagini di un caleidoscopio.