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Luoghi della memoria ed esperienze di consumo

1.3. L’approccio generazionale nelle ricerche di marketing

1.3.7. Luoghi della memoria ed esperienze di consumo

Suggestive ci sembrano infine le considerazioni sviluppate da Stefano Gnasso e Gian Paolo Parenti (2003) nel loro contributo a Le età della TV, progetto di ricerca che si è proposto di scandagliare e catalogare le tracce lasciate nella memoria di quattro generazioni di Italiani da eventi storici e prodotti dell’industria culturale.

Anche in questo caso il punto di partenza è rappresentato dalla consapevolezza che il tradizionale approccio al marketing è inesorabilmente entrato in crisi. La soluzione tentata negli anni Novanta si è proposta di operare sulla qualità del contatto e del rapporto tra marche e consumatori, cercando di trasformare l’atto d’acquisto in un’esperienza emozionante (cfr. Schmitt, 1999; Pine e Gilmore, 1999). In coerenza con questa prospettiva, i tradizionali touch point (spazi di vendita, centri commerciali, show room, siti internet, sedi aziendali, ecc.) sono stati trasformati in dispositivi scenografici e teatrali: “cattedrali del consumo”, chiamate a celebrare in maniera spettacolare l’universo simbolico del brand. La necessità di strutturare e razionalizzare tali allestimenti, al fine di assicurare la coerenza comunicativa dell’insieme, ha però portato alla realizzazione di paesaggi di marca - veri e propri brandscape - definiti con rigore e coerenza nei dettagli, ma percepiti dal consumatore come distanti dalla vita abituale, anonimi ed impersonali, privi di novità e sorprese, contrassegnati da una deludente

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La rigorosa sequenzialità di questa scansione lineare viene comunque interrotta dalla presenza dei “Boomer

Trainati” (i nati tra il 1960 e il 1964): fratelli minori dei Boomer più anziani, gli appartenenti a questo gruppo hanno assorbito in un primo momento l’eco delle ottimistiche aspettative che hanno caratterizzato gli anni Sessanta, ma si sono trovati a diventare adulti in un momento di grande incertezza, segnato dalla crisi verificatasi alla fine del decennio successivo: hanno dunque dovuto riscoprire come vivere, giocare, lavorare, in assenza di modelli di riferimento, sviluppando un atteggiamento esplorativo e sperimentale (cfr. Smith e Clurman, 1997). Il risultato è una “generazione ponte”, di difficile collocazione, a cavallo tra i Boomer e gli Xer: il presidente americano Barack Obama (nato nel 1961) è probabilmente il più significativo rappresentante di questo gruppo.

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patina di artificiosità e di superficialità. A fronte di questa situazione, Gnasso e Parenti suggeriscono che il “marketing delle esperienze” debba recuperare una dimensione di prossimità rispetto alle persone, assumendo

connotazioni maggiormente esistenziali, costruendo e offrendo esperienze che siano, da un lato, maggiormente rispettose della sensibilità del consumatore (il che significa: meno dozzinali, meno “usa e getta”, meno effimere e superficiali) e, dall’altro più rassicuranti e corroboranti sul piano esistenziale (esperienze che ci aiutino a riflettere su come siamo, ad accettarci con i nostri limiti, a farci crescere..) (Gnasso e Parenti, 2003, pp. 24-25).

Resta in ogni caso da capire attraverso quali metodi si possano identificare le “esperienze” da condividere con i consumatori, anche se gli autori segnalano due possibili direzioni, una centrata sull’assorbimento dell’attualità, l’altra orientata al recupero del passato (op.cit., p. 35). Nel primo caso si corre il rischio di impadronirsi di una tendenza ancora debole, oppure di adottare in ritardo una moda che è già sul viale del tramonto. Nel secondo caso, pur senza negare il rischio del “revival” fine a se stesso, i due autori intravvedono nel territorio posto all’incrocio tra memoria ed esperienza vissuta un significativo serbatoio di opportunità. Gli avvenimenti storici di cui si è stati testimoni e i consumi culturali (libri, cinema, televisione, musica, fumetti, ecc.) di cui si è fruito negli anni giovanili svolgono infatti un ruolo decisivo nella formazione della sensibilità e dei gusti di ogni individuo, così come nella condivisione di valori precisi e di una determinata mentalità, andando a costituire la memoria comune e lo spirito di una generazione (op.cit., pp. 36-37). Come sottolineano Gnasso e Parenti,

Il fatto di essere parte della stessa generazione, avendo vissuto una serie di “esperienze” (storiche e di consumo) comuni, fa sì che più individui, per quanto divisi da altre variabili (come ad esempio il sesso, l’area di residenza, il censo, il livello di istruzione…), condividano determinati valori e una particolare mentalità, nonché una serie di aspettative rispetto al tipo di storie che i media, la pubblicità, e quindi anche il “marketing delle esperienze”, possono far vivere loro (Gnasso e Parenti, 2003, p. 37, corsivo nostro).

I due autori ritengono dunque che l’approccio generazionale possa rappresentare la chiave di volta per rendere credibile una prospettiva di carattere “esperienziale”, che andrebbe a sua volta declinata in termini narrativi, ponendo il consumatore al centro del racconto. In altri termini, se lo storytelling si propone come forma discorsiva della marca post-moderna (cfr. Fontana, 2009; Qualizza, 2009), gli elementi da inserire nello schema del racconto potrebbero essere desunti a partire dalla memoria dei consumatori, rivitalizzando e attualizzando “frammenti di emozioni”, valori ideali, riti e miti, inscindibilmente legati agli anni della giovinezza. In questo quadro la disponibilità di

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repertori di memorie, chiavi interpretative, informazioni relative alla sensibilità di ogni generazione potrebbe consentire una maggiore efficacia comunicativa ai progetti che puntano al coinvolgimento in chiave esperienziale del consumatore.

Al di là dello specifico contesto in cui viene formulata (una ricerca di marketing), questa proposta contiene una suggestione di carattere più generale. Considerata la polivalenza che caratterizza l’uso quotidiano del termine, una definizione rigorosa del concetto di generazione – dunque “praticabile”, traducibile cioè in definizioni operative – rischia di restringersi in ultima istanza «alla verifica dell’esistenza di un’autorappresentazione da parte di gruppi capaci di voce pubblica che si sentono legittimati a interpretare i propri contemporanei (quelle che potremmo chiamare le “maggioranze silenziose generazionali”)» (Benigno, 2007, p. 24).

In questa chiave, la caratterizzazione di una generazione dipenderebbe da una piccola minoranza elitaria, della quale andrebbero descritti con attenzione i circuiti di socializzazione, le reti personali, gli influssi intellettuali, le attività pubblicistiche, le carriere professionali. Nella migliore delle ipotesi, per questa via il concetto finirebbe per appiattirsi su quello sviluppato nell’ambito della storia delle arti e della cultura: “generazione” diventerebbe sinonimo di “stile”, “avanguardia letteraria”, “circolo intellettuale”.

Il riferimento a una “memoria generazionale” suggerisce invece che al cuore di una generazione vi siano il racconto di un vissuto e l’interpretazione degli eventi che lo hanno segnato (op.cit., p. 24). Dunque la generazione non è soltanto il prodotto di una sensibilità condivisa, coeva agli avvenimenti, ma anche di una ricostruzione retrospettiva, che trasforma i fatti in eventi dotati di senso e li traspone sul terreno del “mito”, dal quale possono agire come aggregatori di convergenze, favorendo la costruzione simbolica di un “noi” alternativo a un “loro”: non sono dunque i fatti accaduti ad unire una generazione, ma la loro interpretazione, spesso realizzata ex post in forma narrativa (op.cit., p. 26).

Da questo punto di vista, ogni generazione è in qualche misura “inventata”15, in quanto risultato di un’operazione di ricostruzione simbolica nella quale si intrecciano i

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Secondo gli storici Hobsbawm e Ranger, nei momenti di passaggio, segnati dalla frantumazione dei codici e

degli ordini sociali, istituzioni e movimenti di massa fanno ampio ricorso a tradizioni, simboli e rituali “inventati” di sana pianta, allo scopo di tenere insieme su nuove basi le collettività umane. Le tradizioni inventate rappresentano dunque «risposte a situazioni affatto nuove, che assumono la forma di riferimenti a situazioni antiche». Cfr. Hobsbawm e Ranger, 1983.

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repertori della memoria relativi agli avvenimenti storici (politica, costume, economia, spettacolo, cronaca nera, ecc.), ai prodotti realizzati dall’industria culturale, ai consumi mediatici, ai percorsi di vita e alle relazioni personali (Gnasso e Parenti, 2003, p. 39).

Resta ovviamente da capire se è possibile applicare questo approccio direttamente al mondo giovanile, per definire in progress le caratteristiche di una generazione emergente di consumatori: dato il carattere sperimentale, che contraddistingue la giovinezza per definizione, si può senz’altro parlare di una “germinazione memoriale”, ma non di uno stabile insediamento delle esperienze vissute in uno specifico “luogo della memoria”. Ciò non toglie che a ogni momento della vita quotidiana - e non solo ai grandi eventi traumatici e perturbanti, concentrati in un arco temporale ristretto e caratterizzati da stati di sovraeccitazione emozionale - vada riconosciuto lo status di “esperienza” (cfr. Carù e Cova, 2003): in tale veste, esso concorre a definire l’orizzonte di senso a cui attinge ogni successivo tentativo di ricostruire l’identità di una generazione.