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1.2. L’approccio sociologico al tema delle generazioni

1.2.1. Karl Mannheim

Come sottolinea Jane Pilcher (1994), nelle scienze sociali il primo e più sistematico tentativo di elaborare un rigoroso impianto concettuale in tema di “generazioni” è opera di Karl Mannheim, autore nel 1928 di un saggio che viene riscoperto più tardi, nel corso degli anni Sessanta e Settanta, quando «l’emergere sulla scena delle società sviluppate di gruppi di età, e quindi anche di fasi della vita, “nuovi” per quanto riguarda la visibilità sociale e la consistenza di esperienza di massa, e perciò stesso problematici dal punto di vista dell’integrazione e dell’ordine sociali: i giovani e gli anziani innanzitutto» (Saraceno, 2001, pp. 8-9), porta in vari settori delle scienze umane a un crescente interesse per le trasformazioni connesse con l’età, con gli atteggiamenti e le culture dei diversi gruppi di età, oltre che con le scansioni e le transizioni che caratterizzano il cambiamento nel corso della vita individuale.

Nel quadro di una più ampia teoria sociologica della conoscenza, il saggio di Mannheim prende in esame il ruolo delle generazioni, intese come fattori sociali che favoriscono la formazione di particolari “stili di pensiero” (Sciolla, 2000). Egli si distacca tanto dall’irrazionalismo romantico, che vede la generazione come espressione di un’entità spirituale (“entelecheia”), intuibile ma non analizzabile, quanto dal razionalismo positivistico, per il quale la generazione si riduce a un fatto biologico e quantitativo. Per Mannheim la generazione non è l’esito indifferenziato e meccanico di una condizione anagrafica:

Non il fatto di essere nati nello stesso momento cronologico, di essere divenuti giovani, adulti, vecchi contemporaneamente, costituisce la collocazione nello spazio sociale, ma solo la possibilità che ne deriva di partecipare agli stessi avvenimenti, contenuti di vita, ecc. e ancor di più di fare ciò partendo dalla medesima forma di “coscienza stratificata” (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 264).

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Lo studioso di origini ungheresi elabora l’impianto concettuale della sua visione delle generazioni, partendo da una distinzione tra dimensione quantitativa e dimensione qualitativa (cioè interiore) del tempo. L’intervallo che separa una generazione dalle altre è un tempo di cui si ha un’esperienza soggettiva, comprensibile qualitativamente, soltanto a posteriori. La generazione è dunque un’unità temporale storicamente costruita e non una somma di unità esteriori di tempo, come i mesi, gli anni, i decenni: far parte di una generazione significa vivere la “contemporaneità”, non in senso cronologico, ma come condivisione delle medesime esperienze significative e delle medesime influenze dominanti. Si può dunque parlare di una “non contemporaneità del contemporaneo”:

Nello stesso tempo cronologico vivono diverse generazioni. Ma poiché il tempo reale è solo il tempo vissuto nell’esperienza, esse vivono propriamente tutte in un tempo interiore completamente diverso dal punto di vista qualitativo (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 248).

Il che significa che, pur vivendo nello stesso tempo dal punto di vista cronologico, persone appartenenti a generazioni differenti non condividono la medesima esperienza storica. Il problema delle generazioni va dunque compreso nell’ambito del contesto storico-sociale: ciò non esclude che si possano elaborare delle distinzioni concettuali utili a studiare questo fenomeno.

Un primo elemento è rappresentato dalla collocazione generazionale: è una condizione che accomuna quanti sono nati nel medesimo contesto storico-sociale, in virtù della quale ci si trova inseriti - anche a prescindere dal fatto che si voglia o meno riconoscere questa appartenenza - in una particolare aggregazione, che non può essere assimilata a un gruppo concreto. Manca infatti il presupposto della conoscenza reciproca tra i membri, che si instaura o in presenza di legami di vicinanza vitali, fisici, esistenziali (strutture di comunità, come la famiglia, la tribù, ecc.) oppure come conseguenza di un accordo volontario, consapevole e reversibile, stipulato in vista di uno scopo e di un interesse condiviso (strutture associative, a cui ci si debba iscrivere e da cui ci si possa dimettere). In ogni caso, la posizione che gli appartenenti a una generazione occupano nello spazio sociale non è riconducibile a un mero dato biologico, a una semplice contemporaneità cronologica:

Si deve essere nati nello stesso spazio storico-sociale – nella stessa comunità storica – nello stesso tempo per esserle attribuiti, per subire passivamente gli ostacoli ed i vantaggi di quella collocazione, ma anche per potervi intervenire in modo attivo (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 269).

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La particolare collocazione derivante dall’appartenenza a una generazione definisce infatti «uno spazio limitato di esperienze possibili» (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 258), circoscrive cioè gli orizzonti a disposizione degli individui che ne fanno parte, predispone «a particolari vissuti e interpretazioni dell’esperienza, a riflessioni, a elaborazioni di orientamenti all’agire, ad azioni» (Maggioni, 2011, p. 27).

D’altro canto, la collocazione generazionale costituisce una semplice potenzialità, che nel processo storico può realizzarsi, ma anche annullarsi oppure articolarsi «in altre forze socialmente attive» (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 269): può infatti accadere che persone nate nello stesso periodo storico vivano con differente intensità emotiva gli eventi che si verificano nella società di cui fanno parte o che non se ne rendano nemmeno conto.

Per chiarire questo punto, Mannheim introduce la distinzione tra collocazione, legame e unità di generazione. La collocazione, ossia la semplice esposizione contemporanea alle medesime esperienze, non è sufficiente per caratterizzare una generazione: è necessario che si produca un “legame” generazionale, capace di tradursi in un orientamento comune al contesto storico di volta in volta attuale, cioè in una partecipazione consapevole alle trasformazioni che investono il proprio tempo.

Tale legame si forma in presenza di una forte discontinuità storica, di una “crisi”, ossia quando l’accelerazione della dinamica storico-sociale non rende più possibile «un cambiamento latente, graduale, dei modelli di esperienza, di pensiero e di espressione tramandati» (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 276): un ruolo decisivo è giocato in questo senso da eventi collettivi che sollecitano una forte partecipazione emotiva e fungono da punti di cristallizzazione, riflettendo lo spirito di un’epoca e i diversi modi di interpretarlo. È dunque in questo contesto che la generazione potenziale cessa di essere “semplice presenza” e diventa generazione effettiva, forza concreta di trasformazione sociale e culturale:

Mentre la collocazione affine di generazione è qualche cosa di solo potenziale, un legame di generazione si costituisce con una partecipazione di individui, appartenenti alla stessa collocazione di generazione, al destino comune e ai contenuti ad esso corrispondenti (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 273).

Per diventare “generazione” nel pieno senso del termine è dunque necessario uscire dall’individualità e creare una rete di coscienza collettiva che sia in grado di agire per il cambiamento (Maggioni, 2011, p. 31). È tuttavia possibile che i contenuti di tale

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orientamento comune non vengano elaborati in maniera omogenea ed uniforme, ma vengano piuttosto declinati in una pluralità di variazioni, in funzione dell’appartenenza a unità generazionali diverse e antiteticamente opposte tra loro, come avviene nell’Ottocento per la gioventù romantico-conservatrice e per quella liberale-razionalistica.

La gioventù che è orientata in base alla stessa problematica storica attuale vive in un “legame di generazione”, i gruppi che elaborano queste esperienze all’interno dello stesso legame in modo di volta in volta diverso, formano diverse “unità di generazione” nell’ambito dello stesso legame di generazione (Mannheim, 1928; trad.it. 2000, p. 271).

Ciascuna di queste unità rappresenta «un’unione molto più concreta di quella costituita dal semplice legame di generazione» (ibidem). Essa è capace di esercitare una forza attrattiva sugli individui che vivono in collocazione affine - anche se separati nello spazio e privi di legami personali - grazie all’elaborazione di una visione unificante, che riesce a condensare un insieme di contenuti complessi in una Gestalt immediatamente riconoscibile e di facile accesso (op.cit., pp. 272-273).