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LA GERMANIA NELLA CONCEZIONE DI POLITICA ESTERA DELL’ITALIA TRA LA FINE DELLA GUERRA E LA FIRMA DEL TRATTATO DI PACE

La Germania nella concezione di politica estera dell’Italia (1945-1947)

II. 1FONDAMENTI E OBIETTIVI DELLA POLITICA ESTERA ITALIANA ALLA FINE DELLA GUERRA

II.3 LA GERMANIA NELLA CONCEZIONE DI POLITICA ESTERA DELL’ITALIA TRA LA FINE DELLA GUERRA E LA FIRMA DEL TRATTATO DI PACE

Iprimi governi italiani post fascisti iniziarono ad interessarsi al problema di una futura Germania postbellica poco dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944). Fino alla fine della guerra Palazzo Chigi105 tentò più volte di convincere gli alleati di includere l’Italia fra le nazioni ammesse a partecipare alle discussioni sull’assetto futuro del territorio tedesco. La documentazione esistente consente di affermare con relativa certezza che la prima iniziativa in tal senso fu messa in atto il 12 settembre 1944, quando il sottosegretario agli Esteri Giovanni Visconti Venosta indirizzò una nota agli ambasciatori di Gran Bretagna e Stati Uniti nella quale si chiedeva l’ammissione dell’Italia ad eventuali negoziati per l’armistizio tedesco106

. Pochi giorni dopo, il 30 settembre, la richiesta fu reiterata direttamente dal presidente del Consiglio Bonomi all’ammiraglio Stone, capo della Commissione Alleata di Controllo107. Il 12 maggio 1945, in seguito alla resa incondizionata della Germania, il segretario Generale del ministero degli Esteri Prunas inviò una nuova nota agli alleati108. Per perorare la causa dell’Italia di fronte ai rappresentanti anglo-americani, la diplomazia italiana cercò spesso di sopravvalutare il ruolo svolto dalla cobelligeranza militare dopo il 13 ottobre 1943 e di enfatizzare il «contributo di sangue» versato dai «patrioti» (i partigiani)109. È interessante notare la tendenza della diplomazia italiana nel descrivere il fenomeno della lotta e della resistenza dei partigiani unicamente come simbolo di sacrificio della popolazione, mentre le operazioni di supporto agli eserciti alleati compiute dal Regio esercito erano ricostruite e interpretate come azioni cruciali per il successo degli angloamericani nella campagna d’Italia.

104 Cfr. F.C

HABOD, L’Italia contemporanea, cit., pp. 137-143.

105 Palazzo Chigi a Roma era la sede del ministero degli affari Esteri. La prima sede del ministero dopo il 1861 fu il

Palazzo delle Segreteria a Torino. Nel 1865 a Firenze si insediò nel Palazzo della Signoria. Nel 1871 con il trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Firenze a Roma il ministero degli Esteri ha occupato, nell’ordine, il palazzo della Consulta (dal 1871 al 1922), palazzo Chigi (dal 1923 al 1959) e dal 1959 il palazzo della Farnesina, progettato tra gli anni 1933/1935 dagli architetti Enrico del Debbio, Arnaldo Foschini e Vittorio Ballio Morpurgo. Originariamente l’edificio della Farnesina avrebbe dovuto ospitare la sede del Partito Nazionale Fascista. Cfr. E.SERRA,

La diplomazia in Italia, cit., p. 50; V.VIDOTTO, Roma contemporanea, Roma-Bari, 2001, pp. 172-223.

106 La documentazione più completa e dettagliata relativa a queste iniziative è presente nella relazione intitolata

Atteggiamento dell’Italia di fronte al problema della Germania, gennaio 1949, in Acs, Pcm, Segreteria particolare del

Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi , 1944-1953, Busta 30. La nota del 12 settembre 1944 firmata da Visconti Venosta è riportata anche in Foreign Relations of United States (FRUS), 1944, I, General, Washington, 1966, pp. 64- 65.

107 Ibid. 108

Ibid.

109 Ibid. Cfr. inoltre la già citata pubblicazione intitolata «Il contributo italiano nella guerra contro la Germania».

Quest’ultima rappresenta un buon esempio di ricostruzione fortemente apologetica elaborata dalla diplomazia italiana con il proposito di convincere gli alleati sul “grande ruolo” svolto dal Regno del Sud nella guerra contro il Terzo Reich. Cfr. Cap. I, nota 22. Sull’uso da parte del governo del dossier pubblicato dal dicastero degli Esteri si veda anche F. FOCARDI, Il cattivo tedesco e il bravo italiano, cit., p. 69.

73 Nell’estate del 1945 le autorità alleate concessero all’Italia la redazione di un elenco dei beni appartenenti allo stato italiano in Germania e in Austria allo scopo di assicurarne la protezione durante i primi mesi di occupazione110. Tuttavia la sostanza delle richieste italiane fu sempre ignorata dalla coalizione alleata e spesso la storiografia vi ha scorto, non senza fondamento, degli sterili tentativi di riacquisire un nuovo status di potenza se non pari a quello dei quattro grandi per lo meno adeguato a quello di una media potenza111. Nell’ottica della diplomazia italiana si trattava di manovre volte a superare, in caso di successo, gli angusti limiti di azione internazionale dell’Italia derivanti dall’armistizio. In una più lunga prospettiva l’ammissione al tavolo dei grandi poteva assicurare un trattamento meno severo in occasione dell’elaborazione del trattato di pace.

Il punto di svolta può essere identificato dopo la conferenza di Potsdam, quando nel governo italiano il tema “Germania” iniziò a suscitare serie preoccupazioni di ordine economico che nei mesi successivi assunsero un peso sempre maggiore nella stesura dei memorandum inviati agli alleati. Non erano solo questioni di prestigio a spingere i dirigenti italiani a chiedere di non essere completamente esclusi dalle discussioni sui progetti relativi alla futura sistemazione della Germania. Come la storiografia non ha mancato di dimostrare, le aspirazioni del governo italiano di far parte del gruppo delle nazioni autorizzate all’elaborazione di un eventuale trattato di pace della Germania contenevano una buona dose di rivalsa, di desiderio di un riconoscimento internazionale della diversità etica e storica dell’Italia rispetto alla Germania e alle responsabilità della guerra112. Tuttavia illuminando solo tale aspetto delle richieste italiane, la storiografia ha lasciato nell’ombra una serie di questioni stringenti che coinvolgevano immediati interessi di natura economica.

Pochi mesi dopo le decisioni di Potsdam la Direzione generale affari economici113 del ministero degli Esteri diretta da Angelo Di Nola, in quei mesi stretto collaboratore di De Gasperi114, intraprese

110 Cfr. Promemoria n. 16/19380/C, del 15 settembre 1945, in Asmae, Archivio di Gabinetto, 1944-1958, Busta 48

(1944-1947).

111 Cfr. A.G

IOVAGNOLI, L'Italia nell'OECE e le prospettive della politica estera degasperiana, in G.ROSSINI, De

Gasperi e l’età del centrismo 1947-1953, Roma, 1984, pp. 371-398, qui p. 390; P.GUILLEN, L'Italie et le problème

allemand, 1945-1955, in «Relations Internationales», 1987, 51, pp. 269-287, qui pp. 269-275; L.BERTI, L’Italia e la

Germania. L’atteggiamento della diplomazia italiana dal 1950 al 1952, in «Storia delle relazioni internazionali», 1990,

1, pp. 117-136; E.DI NOLFO, La formazione della politica estera italiana negli anni della nascita dei blocchi (L’Italia

tra le superpotenze), in E.DI NOLFO,R.H.RAINERO,B.VIGEZZI (a cura di), L’Italia e la politica di potenza in Europa, cit., pp. 603-619, qui pp. 611-615.

112 Su questi temi cfr. F.F

OCARDI, L’ombra del passato. I tedeschi e il nazismo nel giudizio italiano dal 1945 ad

oggi. Un profilo critico, in «Novecento», 3, 2000, pp. 67-73; ID., La memoria della guerra e della Resistenza nei

discorsi commemorativi e nel dibattito politico italiano (1943-2001), in «Novecento», 5, 2001, pp. 91-128; ID., Il vizio

del confronto. L’immagine del fascismo e del nazismo in Italia e la difficoltà di fare i conti con il proprio passato, in

G.E.RUSCONI,H.WOLLER (a cura di), Italia e Germania 1945-2000. La costruzione dell’Europa, Bologna, 2005, pp. 91-121; ID., L’immagine del “cattivo tedesco” e il mito del “bravo italiano”. La costruzione della memoria del

fascismo e della seconda guerra mondiale in Italia, Padova, 2005; ID., Il cattivo tedesco e il bravo italiano, cit., pp. 52- 106.

113 Il ministero degli affari Esteri era articolato in grandi direzioni generali divise per materia (affari politici,

economici, culturali, italiani all’estero). Per un inquadramento storico-amministrativo del ministero degli Esteri cfr. L. V.FERRARIS, L’amministrazione centrale del Ministero degli Esteri italiano nel suo sviluppo storico (1848 – 1954),

74 uno studio dettagliato sulle conseguenze per l’Italia derivanti dalla divisione della Germania in quattro diverse zone di occupazione. L’indagine intendeva anche fornire al governo italiano una serie di informazioni indispensabili per orientare il complessivo atteggiamento della politica estera del paese nei confronti dell’intricata situazione tedesca. La relazione fu completata nella seconda metà del 1946. Purtroppo l’unica copia conservata risulta senza data, ma la presenza di alcuni riferimenti ad altre circostanze ben documentabili e databili consentono di ipotizzare lo spazio di tempo compreso tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno del 1946 come il periodo in cui la relazione fu terminata e diffusa115. È importante esaminare estesamente questo documento poiché esso ebbe un ruolo fondamentale nel processo decisionale del governo italiano sulla questione tedesca. Il documento elaborato dalla Direzione generale affari economici contribuì in modo sostanziale a porre le basi dell’azione politica italiana nei confronti della Germania nel periodo compreso tra la fine del 1946 e l’introduzione della riforma monetaria nelle tre zone d’occupazione occidentali, avvenuta il 18 giugno del 1948. A partire dall’autunno del 1948 l’imminenza della costituzione di uno stato tedesco occidentale e l’inizio della ripresa degli scambi commerciali richiese un aggiornamento dell’indirizzo politico italiano in materia116

.

La relazione introduceva in primo luogo una considerazione di carattere generale circa la fondamentale importanza storicamente ricoperta dal mercato tedesco per l’economia italiana:

Firenze, 1955; E.SERRA, La diplomazia in Italia, cit., pp. 21-57; riflessioni interessanti incentrate sui dibattiti intorno alle riforme della struttura centrale del ministero degli Esteri, che hanno visto storicamente scontrarsi fautori del criterio dell’organizzazione in direzioni generali divise per materia e sostenitori di una suddivisione delle direzioni per aree geografiche, sono presenti in C.CAGGIULA,R.BENEDETTI, Un problema da approfondire: la ripartizione interna della

struttura centrale del Ministero degli Affari Esteri, in L.PILOTTI (a cura di), La formazione della diplomazia italiana, cit., pp. 431-442; uno strumento indispensabile di orientamento è rappresentato dal primo volume dell’opera a cura di G.MELIS, L’Amministrazione centrale dall’Unità alla Repubblica. Le strutture e i dirigenti, vol. I, Il Ministero degli

Affari Esteri, a cura di V.PELLEGRINI, Bologna, 1992.

114 Diversi scambi di note tra De Gasperi e Di Nola dimostrano l’esistenza di una salda collaborazione tra il

diplomatico e il ministro degli Esteri democristiano. La collaborazione durò fino alla fine del 1946 quando Nenni, nella carica di ministro degli Esteri, sostituì alla guida della Direzione generale affari economici Di Nola con Umberto Grazzi. Cfr. la documentazione presente in Asmae, Direzione Generale Affari Economici (d’ora in avanti DGAE), Versamento A, 1942-1948, Busta 50 (1946) e Busta 122 (1947). Giovagnoli ritiene che nei primi anni del secondo dopoguerra i tecnici del ministero degli Esteri e in modo particolare Angelo Di Nola esercitarono una certa influenza su De Gasperi per quanto riguarda l’approccio ai problemi economici in generale e ai primi aiuti americani (UNRRA). Ha scritto, infatti, Giovagnoli: «La presidenza del Consiglio fa suo il punto di vista espresso dall’esperto di affari economici del ministero degli Esteri, Di Nola, che è la mente “tecnica” della linea degasperiana sui problemi economici connessi ai rapporti con gli alleati, in particolare con gli americani […]». Cfr. A.GIOVAGNOLI, L' Italia nel «Nuovo

ordine mondiale». Politica ed economia dal 1945 al 1947, Milano, 2000, p. 68.

115 Il documento risulta senza data e senza numero. Riporta solamente i timbri della DGAE e quello di «Visto dal

Ministro». Tuttavia la presenza dell’annotazione «visto dal Direttore» seguita dalla firma di Angelo Di Nola consente

di poter affermare che il documento fu completato prima della sostituzione di Di Nola con Grazzi effettuata da Nenni tra la fine del 1946 e l’inizio del 1947. Infine la presenza di una considerazione sull’imminente conclusione dell’elaborazione del Trattato di pace dell’Italia da parte degli alleati, che come è noto avvenne nel novembre 1946, concorre ad avvalorare l’ipotesi dell’autunno 1946 come periodo della stesura del documento. Cfr. Relazioni

economiche con la Germania, s.d., in Asmae, Archivio di Gabinetto, 1944-1958, Busta 48 (1944-1947).

116

75 «[…] il mercato germanico (intendendo la Germania nei suoi confini precedenti il 1938) ha anzi sempre costituito il mercato principale per il commercio estero italiano»117.

Il profilo dell’interscambio tra i due paesi registrava fin dagli anni Venti una bilancia commerciale tendenzialmente in passivo per l’Italia. Tuttavia la bilancia dei pagamenti era ampiamente compensata dall’afflusso in Italia di turisti tedeschi e dalle rimesse dei lavoratori stagionali italiani in Germania118. Materie prime fondamentali (carbone e coke119), beni strumentali (macchinari) e articoli industriali semifiniti come ghisa e lavorati d’acciaio rappresentavano i principali prodotti importati dalla Germania120. Le merci esportate dall’Italia riguardavano prevalentemente i settori dell’agroalimentare, del tessile e dei beni di lusso121

. In particolare, come riportato dalla relazione, il mercato tedesco era l’unico capace di assorbire la maggior parte dei prodotti ortofrutticoli italiani al punto che l’economia di alcune importanti regioni risultava fortemente condizionata dalla capacità di acquisto dell’economia tedesca:

«[…] il mercato germanico è veramente essenziale in quanto esso assorbe la percentuale di gran lunga maggiore della nostra esportazione ortofrutticola, dal cui fiorire dipende, come è noto, buona parte dell’economia agricola,

quindi dell’economia generale italiana. […] in pratica, l’intera economia di determinate regioni italiane, quali la Sicilia,

la Calabria, la Campania, la Romagna, e l’Alto Adige, dipende in modo tutt’altro che trascurabile dallo sviluppo delle loro esportazioni ortofrutticole e vinicole verso la Germania»122 .

È importante sottolineare l’equazione tra economia agricola ed economia generale italiana contenuta nel passo appena citato poiché nella seconda metà degli anni Quaranta, come è noto, l’agricoltura rappresentava il settore lavorativo con la percentuale più alta di popolazione attiva

117

Relazioni economiche con la Germania, cit. Le statistiche storiche confermano tale affermazione. Cfr. ISTITUTO

CENTRALE DI STATISTICA, Sommario di statistiche storiche dell’Italia , 1861-1955, Roma, 1958, tavola 85, p. 155. Sulla storia delle relazioni economiche fra Italia Germania tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale cfr. P. HERTNER, Il capitale tedesco in Italia dall'Unita alla prima guerra mondiale. Banche miste e sviluppo economico

italiano, Bologna, 1984; cfr. anche ID. (a cura di), La transizione dall'economia di guerra all'economia di pace in Italia

e in Germania dopo la prima guerra mondiale, Bologna, 1983; ID., Italienische Unternehmen und Unternehmer in

Deutschland und ihr Einfluss auf die deutsche Wirtschaft von der frühen Neuzeit bis zur Gegenwart, in H. Pohl (hrsg), Der Einfluss ausländischer Unternehmen auf die deutsche Wirtschaft, Stuttgart, 1992, pp. 39-55; L.SEGRETO, Aspekte

der Wirtschaftsbeziehungen zwischen Italien und Deutschland in der Periode der italienischen Neutralität (1914-1915),

in «Jahrbuch für Wirtschaftsgeschichte», 1987, 1, pp. 107-144; A. VON OSWALD, Die deutsche Industrie auf dem

italienische Markt, 1882 bis 1945. Außenwirtschaftliche Strategien am Beispiel Mailands und Umgebung, Berlin, 1995;

R.DI QUIRICO, Banche e banchieri italiani in Germania dall’Unità nazionale all’integrazione europea, in G. CORNI,C. DIPPER (a cura di), Italiani in Germania tra Ottocento e Novecento. Spostamenti, rapporti, immagini, influenze, Bologna, 2006, pp. 471-490.

118 Si trattava delle famose partite invisibili, al centro di non pochi contrasti tra regime fascista e regime nazista

durante la seconda metà degli anni Trenta. Ibid.; su questi temi cfr. anche Cap. I, nota 42.

119

Carbone e coke rappresentavano all’epoca, come è noto, materie prime ancora indispensabili per il funzionamento dell’industria italiana. V.CASTRONOVO, L’industria italiana dall’Ottocento ad oggi, Milano, 1980, pp. 245-308.

120 Relazioni economiche con la Germania, cit. 121 Ibid.

122

76 impiegata: oltre il 40% a fronte di un 29% di addetti all’industria123

. Le preoccupazioni della Direzione generale affari economici sulla momentanea scomparsa dell’economia tedesca si intrecciavano con problemi di politica interna italiana: un contributo significativo alla ripresa dell’economia italiana passava anche attraverso la ripresa delle esportazioni verso la Germania. Inoltre, proseguiva la relazione, gli altri paesi europei erano in grado di fornire quantitativi esigui di carbone rispetto al fabbisogno italiano e l’ipotesi di sostituire il mercato tedesco, deviando le esportazioni tradizionalmente dirette in Germania verso altri mercati (come gli Stati Uniti), non era ritenuta praticabile se non in quantitativi modesti124:

«[…] occorre, inoltre, tenere presente che è comunque estremamente difficile sostituire altri mercati a quello germanico e ciò sia all’importazione sia alla esportazione. Basta, infatti, considerare la situazione deficitaria della produzione mondiale del carbone dovuta a cause che per lungo tempo non potranno essere eliminate, per rilevare che non è possibile pensare di sostituire a lungo le forniture germaniche di carbone all’Italia che ci possono affluire, con relativa facilità, sia lungo il Reno e poi da Rotterdam, per via mare, sia risalendo il Reno fino a Basilea e poi per via terra; d’altra parte è evidente non si può divergere completamente, o anche soltanto in misura notevole verso altri mercati talune nostre esportazioni verso la Germania e in primo luogo quella ortofrutticola […]»125.

La ripresa delle relazioni economiche italo-tedesche era quindi considerata di primaria importanza non solo per l’Italia, ma anche per il più generale equilibrio economico europeo:

«[…] lo sviluppo delle importazioni di carbone tedesco è per l’Italia assolutamente vitale nonché di estrema importanza per la pace economica e sociale della intiera Europa. […] E’ comunque assolutamente necessario nell’interesse italiano, e anche in quello dell’economia europea, che gli scambi fra l’Italia e la Germania possano riprendere al più presto possibile e nella misura più larga»126.

A questo punto la relazione indicava tre condizioni indispensabili per la ripresa degli scambi e contemporaneamente suggeriva al governo determinati indirizzi di politica estera da adottare nei confronti della questione tedesca. In primo luogo l’Italia doveva puntare ad un’effettiva ricostituzione dell’unità economica tedesca, poiché la divisione in quattro differenti zone di

123

Le percentuali sono tratte da ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA, Sommario di statistiche storiche dell’Italia,

1861-1975, Roma, 1976, tavola 107, p. 143; cfr. anche V. CASTRONOVO, L’industria italiana, cit., pp. 245-260; G. MORI, L’economia italiana tra la fine della seconda guerra mondiale e il «secondo miracolo economico» (1945-1958), in F.BARBAGALLO (a cura di), Storia dell’Italia repubblicana, cit., pp. 131-230;R.PETRI, Storia economica d’Italia.

Dalla Grande guerra al miracolo economico (1918-1963), Bologna, 2002, pp. 210-217; cfr. anche i dati contenuti in A.

BONOLDI, Via Nazionale e la ricostruzione. Aspetti dell’economia e della vita politica italiana nel secondo dopoguerra

nei documenti dell’archivio storico della Banca d’Italia, in M.CAU (a cura di), L' Europa di De Gasperi e Adenauer.

La sfida della ricostruzione, 1945-1951, Bologna, 2012, pp. 173-195.

124 Relazioni economiche con la Germania, cit.; sulle difficoltà di trovare altri mercati che potevano sostituire quello

tedesco cfr. anche Appunto della Direzione Generale Affari Politici, in Documenti Diplomatici Italiani (DDI),serie X 1943-1948, vol. IV, doc. 711.

125 Relazioni economiche con la Germania, cit. 126

77 occupazione aveva creato altrettante entità fra loro scollegate127, rendendo impraticabile ogni possibilità di interscambio128. Dopo la conferenza di Potsdam, infatti, nelle tre zone di occupazione occidentali della Germania gli anglo-franco-americani imposero l’interruzione degli scambi commerciali tra le diverse zone d’occupazione e tra queste e gli stati europei vicini, dividendo in tal modo economie storicamente dipendenti129.

In secondo luogo bisognava evitare la formazione di regimi di monopolio economico da parte delle potenze occupanti130. Quest’ultimo punto rappresentava per la Direzione generale affari economici un elemento essenziale e si univa ad un’indicazione di carattere perentorio sull’opportunità di sostenere l’istituzione in Germania di un sistema di produzione non dissimile da quello in vigore nei paesi dell’Europa occidentale:

«E’ evidente che il semplice ripristino dell’unità economica tedesca non sarebbe sufficiente […] è necessario pertanto che la Germania abbia una configurazione politico – giuridico – economica tale da consentire a tutti di trafficare con lei liberamente […]»131.

E’ plausibile ritenere che la Direzione affari economici, nella formulazione di quest’ultima indicazione, fosse influenzata da una serie di circostanze tra loro intrecciate: l’isolamento internazionale imposto dagli alleati occidentali alla vita economico-politica delle rispettive zone di occupazione, i contemporanei avvenimenti in Europa Orientale (dove l’Unione Sovietica per imporre la propria egemonia sosteneva attivamente i partiti comunisti locali) e il discorso pronunciato da Churchill nel marzo del 1946 a Fulton sulla “cortina di ferro”. Nell’ottica del ministero degli Esteri, infatti, le prime direttive anglo-americane erano contrarie agli interessi

127 Molto interessanti erano le considerazioni sulla distribuzione geografica dei centri più significativi per il

commercio italo-tedesco: «Per quanto riguarda in particolare l’Italia, è da tenere infatti presente che, prendendo per base il periodo prebellico che può considerarsi normale, l’importazione dalla Germania proviene per circa il 65-75% dalla Germania occidentale, mentre solo il residuo 25-35% proviene da altre regioni germaniche. La nostra esportazione, invece è più o meno equamente ripartita fra tutto il territorio germanico e dai suoi principali centri di consumo e smistamento nei grandi mercati di Monaco, Berlino e Amburgo». Ibid.

128 Aggiungeva, infatti, la relazione: «Se, quindi, la Germania dovesse effettivamente rimanere economicamente

divisa, ci troveremmo nell’assurda situazione di non potere importare il carbone e i prodotti siderurgici dalla Renania per mancanza di sufficienti contropartite di esportazione verso quella zona e di non potere esportare verso le altre zone tedesche non avendo queste sufficienti merci da fornire in contropartita all’Italia». Ibid.

129 Sulla gestione dell’economia tedesca da parte degli alleati subito dopo la conferenza di Potsdam si veda F.

JERCHOW, Deutschland in der Weltwirtschaft, 1944-1947. Alliierte Deutschland-und Reparationspolitik und die

Anfänge der westdeutschen Außenwirtschaft, Düsseldorf, 1978, pp. 154-168; T. ESCHENBURG, Kondominium der

Alliierten, in K.D. BRACHER, T. ESCHENBURG, J.C. FEST, E. JÄCKEL (hrsg), Geschichte der Bundesrepublik