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Per comprendere in modo più adeguato il contesto storico entro cui, fra gli anni 1945 – 1953, si svolse la storia della ripresa delle relazioni tra Italia e Germania, è opportuno rievocare le diverse dimensioni della disfatta all’interno dei due paesi. Al termine della seconda guerra mondiale le due realtà, quella tedesca e quella italiana, presentavano notevoli differenze. L’Italia, nonostante

121 Cfr. F.F

OCARDI, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale, Roma-Bari, 2013, p. 77. Su questi temi, per quanto riguarda l’Italia, si veda anche L. KLINKHAMMER,

Kriegserinnerung in Italien im Wechsel der Generation. Ein Wandel der Perspektive?, in C. CORNELIßEN, L. KLINKHAMMER,W.SCHWENTKER (hrsg), Erinnerungskulturen. Deutschland, Italien und Japan seit 1945, Frankfurt am Main, 2003, pp. 333-343; B.MANTELLI, Revisionismus durch »Aussöhnung«. Politischer Wandel und die Krise der

historischen Erinnerung in Italien, Ivi, pp. 222-232; F.FOCARDI, Gedenktage und politische Öffentlichkeit in Italien

1945-1995, Ivi, 212-221.

122

36 l’occupazione nazista e la cobelligeranza, fu considerata dalle potenze vincitrici una nazione sconfitta. La sensazione dei contemporanei e delle principali componenti politiche fu quella di subire un trattamento profondamente “ingiusto” e umiliante. Infatti il contributo dell’Italia alla sconfitta del nazismo non era consistito soltanto nella cobelligeranza ma comprendeva anche l’azione delle forze politiche emerse dopo la caduta del fascismo: azionisti, comunisti, socialisti e democristiani. Queste ultime nel settembre del 1943 avevano dato vita ai Comitati di Liberazione Nazionale (CLN)123 che per quasi 18 mesi (fino al maggio 1945) coordinarono l’attività della Resistenza per la lotta di liberazione nazionale. Nell’immediato dopoguerra il ruolo svolto dal movimento partigiano durante l’occupazione godeva di grande autorevolezza nel paese e il prestigio della Resistenza fu da questo momento utilizzato anche dalla diplomazia italiana nelle varie istanze agli alleati. Infatti, nel luglio del 1945 il ministero degli Esteri iniziò la preparazione del volume già citato sul contributo dell’Italia nella guerra contro la Germania per tentare di mitigare l’opinione degli alleati sull’Italia in vista delle future trattative per il Trattato di pace. Per la prima volta il ruolo svolto dal movimento della Resistenza fu minuziosamente adoperato dai funzionari degli Esteri nella compilazione del rapporto e il termine adottato per citare i partigiani fu quello di «patrioti»124. Per gli alleati tuttavia lo status dell’Italia non fu oggetto di mutamento dal momento della firma dell’armistizio nel 1943 fino alla stipulazione del Trattato di pace nel febbraio del 1947. Diversamente da quanto accadde nel caso della Germania, però, in Italia non si verificò alcuna interruzione o sospensione della continuità istituzionale. Tra il 1943 e il 1945 la politica estera costituì uno dei motori della continuità dello stato nazionale. Una prima dimostrazione di ciò fu raggiunta il 14 marzo del 1944 quando l’Unione Sovietica, dopo una serie di trattative intercorse tra l’inviato sovietico Vyšinskij e l’allora Segretario Generale degli Esteri Renato Prunas125

, riconobbe in modo ufficiale il Regno del Sud126. Secondo una parte della storiografia italiana il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell’Unione Sovietica deve essere letto come un

123

Il 10 settembre 1943 fu formato il CLN a Roma. I partiti che ne facevano parte erano: la Democrazia cristiana, il Partito comunista italiano, il Partito Liberale Italiano, il Partito socialista italiano di unità proletaria e il Partito d’azione. Come è noto, questi temi sono stati al centro di centinaia di studi storiografici e risulta estremamente complicato indicarne anche solo una minima parte. Uno dei primi lavori complessivi sull’Italia repubblicana scritto dopo la caduta del muro di Berlino è stato Storia dell’Italia repubblicana in più volumi a cura di Francesco Barbagallo. In quest’opera su questi temi cfr. F. BARBAGALLO, La formazione dell’Italia democratica, in ID. (a cura di), Storia dell’Italia

repubblicana, vol. I La costruzione della democrazia, Torino, 1994, pp. 5-119 e G. DE LUNA, Partiti e società negli

anni della ricostruzione, Ivi, pp-721-765.

124

Cfr. supra nota 33.

125 Renato Prunas (1892-1951). Dal 2 novembre 1943 primo segretario generale del neo-costituito ministero degli

Esteri dopo la fuga del re a Brindisi. Sul ruolo di Prunas nella ricostituzione del ministero degli Esteri e nelle trattative con l’Unione Sovietica cfr. P. CACACE, Vent’anni di politica estera italiana, cit.; SERRA, ENRICO, La diplomazia

italiana dopo il 1943 tra rottura e continuità, in H. WOLLER (a cura di), La nascita di due repubbliche. Italia e

Germania dal 1943 al 1955, Milano, 1993, pp. 73-86; G. BORZONI, Renato Prunas diplomatico (1892-1951), Soveria Mannelli, 2004, pp. 193-264.

126 Le trattative ebbero luogo in Italia a Ravello (nei pressi di Amalfi) dove risiedeva il Re dopo il trasferimento

37 primo vero e proprio “successo diplomatico” dell’Italia dopo le pesanti limitazioni politiche previste dal lungo armistizio del 29 settembre 1943127. Infatti, il riconoscimento da parte di uno stato importante, quale era l’Unione Sovietica, rappresentò una prova di confermata sovranità e continuità.

In secondo luogo, al momento della resa incondizionata della Germania il governo Bonomi diede ad una commissione composta da funzionari del ministero degli Esteri e da tecnici del ministero della Marina l’incarico di studiare le condizioni di resa imposte alla Germania. Il compito era quello di comparare il testo della resa tedesca con gli armistizi italiani con l’obiettivo di riscontrare nuove prove a sostegno della tesi della continuità del governo in Italia. La relazione finale dell’11 giugno evidenziò rilevanti differenze tra i testi alleati destinati alle due ex potenze dell’Asse: difformità che furono attribuite alla consapevolezza e alla volontà degli alleati di conservare un governo italiano. Infatti:

«[…] Da un riscontro di questo documento [quello della resa della Germania firmato il 7 maggio dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel] con gli armistizi italiani, si rileva che in ambedue i casi si trattava di resa incondizionata ma ben più duro è il modo con cui questa resa è stata imposta alla Germania. Così mentre per l’Italia nel documento stesso nel quale si pone la resa incondizionata si stabiliscono le norme in cui si concreta tale resa, ammettendo i plenipotenziari alla firma dei relativi strumenti, per la Germania i rappresentanti firmano solo l’atto di resa; le condizioni di questa sono imposte dai vincitori senza alcuna partecipazione del vinto. Negli armistizi italiani si presuppone l’esistenza di un governo italiano il quale esercita il potere […]. Per la Germania invece si parte dal principio della scomparsa in Germania di ogni autorità governativa ed alla conseguente assunzione da parte degli alleati di ogni supremo potere»128.

127 Ennio Di Nolfo e Maurizio Serra insistono in modo particolare su tale interpretazione delle trattative tra italiani e

sovietici. Si veda E.DI NOLFO,M.SERRA, La gabbia infranta, cit., pp. 87-115. Altri studiosi hanno interpretato, invece, la ripresa delle relazioni con l’URSS all’interno della strategia sovietica che porterà alla svolta di Salerno. Cfr. A. LEPRE, La svolta di Salerno, Roma, 1966, pp. 85-94. Si veda anche R.GUALTIERI, Togliatti e la politica estera italiana.

Dalla Resistenza al trattato di pace, 1943-1947, Roma, 1995, pp. 34-46. Aldo Agosti, ricostruendo la biografia di

Togliatti, non esclude né afferma che ci sia stato un unico piano in due tempi: prima il riconoscimento dell’URSS e poi la svolta di Salerno di Togliatti. Scrive infatti: «È una posizione concordata con la diplomazia sovietica? Le date di per sé, non permettono né di affermarlo né di escluderlo con certezza», A.AGOSTI, Palmiro Togliatti, Torino, 1996, p. 273. Per una diversa interpretazione si veda E.AGA-ROSSI,V.ZASLAVSKY, Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera

staliniana negli archivi di. Mosca, Bologna, 1997, pp. 62-77. L’utilizzo della categoria della «doppia lealtà» nella

ricostruzione della delicata fase che culminò con la «svolta di Salerno» è adoperato da Pons, cfr. S.PONS, L’impossibile

egemonia. L’Urss, il Pci e le origini della guerra fredda (1943-1948), Roma, 1999, pp. 140-163. Più orientati a vedere

nel riconoscimento del governo Badoglio un successo della diplomazia italiana M.SERRA,R.MANZINI, 1943-1944:

rivelazioni sulla ripresa dei rapporti italo-sovietici, in «La Nuova Antologia», Firenze, 2005, pp. 257-350; E. DI

NOLFO, La svolta di Salerno come problema internazionale, in ID., La guerra fredda e l’Italia, Firenze, 2010, pp. 151- 174. I primi studi incentrati su tale vicenda sono quelli di M.TOSCANO, La ripresa delle relazioni diplomatiche fra

l’Italia e l’Unione Sovietica nel corso della seconda guerra mondiale, Padova, 1962. Su Mario Toscano si veda L.

MONZALI, Mario Toscano e la politica estera italiana nell’era atomica, Firenze, 2011.

128 Pertanto anche per i contemporanei la politica estera rappresentò un fattore di fondamentale importanza che

concorse alla salvaguardia della continuità istituzionale. Il documento della relazione finale è conservato al ministero degli Esteri. Cfr. Ministero Marina – Gabinetto Uffici e Trattati, segreto, Appunto su gli armistizi italiani e le condizioni

di resa della Germania, 11 giugno 1945, in Asmae, Dgap, Germania, 1931-1945, Busta 80 (1945), fasc. 5: Ripartizione delle zone di occupazione alleate in Germania.

38 La relazione mise in risalto, inoltre, che la dichiarazione alleata del 5 giugno, con la quale gli alleati assunsero i pieni poteri in Germania, conteneva l’affermazione della responsabilità tedesca per lo scoppio della guerra, mentre una dichiarazione simile non era presente nei testi degli armistizi italiani129.

Il tema della colpa della guerra non era di poco conto, infatti già nel primo dopoguerra i paesi vincitori avevano impostato il Trattato di Versailles sul principio della responsabilità della Germania. Gli autori della relazione sottolinearono questo aspetto poiché essi, così come il resto del governo e della diplomazia italiana, non erano ancora in grado di prevedere quali sarebbero state le premesse per i negoziati del Trattato di pace dell’Italia. Secondo il rapporto, quindi, la continuità istituzionale era pienamente riconfermata e le modalità stesse della capitolazione tedesca ne costituivano una prova:

«Riassumendo i vincitori nel dettare le norme sul trattamento da farsi all’Italia e alla Germania, pur partendo dal principio della resa incondizionata stabilito a Casablanca nel gennaio del 1943, hanno tenuto conto, né poteva essere altrimenti, della diversa situazione di fatto e della diversa “pericolosità” che rappresentavano per essi i due vinti. Per quanto possa essere duro il trattamento fatto all’Italia, è indubbio che nel campo pratico gli alleati non si sono attenuti a quella rigidezza che la lettera dell’accordo consentiva. Né si può disconoscere che la sopravvivenza di un Governo nazionale, per quanto sotto tutela, ha consentito al popolo italiano di avere una propria rappresentanza, di continuare a mantenere rapporti con gli Stati neutrali, di riallacciarli con la maggior parte degli ex nemici e, quel che più conta, di poter svolgere opera presso i vincitori per la rinascita del Paese e per la tutela degli interessi di questo»130.

È possibile rintracciare in tali documenti la volontà di marcare la diversità tra il caso italiano e il caso tedesco. Un atteggiamento che era condiviso da tutte le forze antifasciste e sul piano dei rapporti internazionali era concepito per dimostrare alle potenze alleate l’incomparabilità tra la Germania e l’Italia. Tra il 1945 e il 1948, la dichiarazione di guerra alla Germania del 13 ottobre, il «contributo di sangue» (come era spesso definita la lotta partigiana), la «disumanità» dell’occupazione nazista, costituirono le principali argomentazioni di natura politica e morale che i governi provvisori italiani utilizzarono con gli alleati tanto nei tentativi di sminuire la severità del trattato di pace italiano, quanto nelle richieste di ammissione al gruppo delle nazioni autorizzate all’elaborazione del trattato di pace della Germania131

.

129 Ibid. 130

Ibid.

131 Su questi temi si vedano i fondamentali studi di Filippo Focardi. Cfr. F. F

OCARDI, L’ombra del passato. I

tedeschi e il nazismo nel giudizio italiano dal 1945 ad oggi. Un profilo critico, in «Novecento», 3, 2000, pp. 67-73; ID.,

La memoria della guerra e della Resistenza nei discorsi commemorativi e nel dibattito politico italiano (1943-2001), in

«Novecento», 5, 2001, pp. 91-128; ID., Il vizio del confronto. L’immagine del fascismo e del nazismo in Italia e la

difficoltà di fare i conti con il proprio passato, in G.E.RUSCONI,H.WOLLER (a cura di), Italia e Germania 1945-2000.

La costruzione dell’Europa, Bologna, 2005, pp. 91-121; ID., L’immagine del “cattivo tedesco” e il mito del “bravo

italiano”. La costruzione della memoria del fascismo e della seconda guerra mondiale in Italia, Padova, 2005; ID., Il

39 Pochi mesi dopo la fine della guerra gli alleati occidentali concessero ai governi italiani un progressivo e completo recupero di gestione politico-amministrativa del territorio nazionale. Infatti, già alla fine del 1945 gli angloamericani consegnarono al primo governo De Gasperi (10 dicembre 1945 – 14 luglio 1946) il controllo sull’amministrazione delle province del nord Italia (concessione che era stata negata al precedente governo Parri, 21 giugno 1945 – 8 dicembre 1945)132. Sul piano internazionale, invece, l’Italia tornò nuovamente e formalmente uno stato sovrano dopo la firma del Trattato di pace del 10 febbraio 1947133; con la firma e la ratifica del Trattato cessò il regime di occupazione alleato e alla fine dello stesso anno fu abolita la Commissione alleata di controllo (14 dicembre)134. Nell’immediato dopoguerra era chiaro, quindi, che il cammino verso la riabilitazione internazionale sarebbe stato per gli italiani notevolmente più breve e lineare di quello che attendeva i tedeschi.

In Germania, la capitolazione incondizionata dell’8 maggio 1945 creava uno scenario del tutto differente. La sconfitta del Terzo Reich assumeva i caratteri della tragedia, la catastrofe finale aveva precluso la possibilità di una continuità dello stato. Come recitava la nota direttiva delle forze d’occupazione americane, la JCS 1067, la «Germania non era occupata allo scopo di liberarla, ma quale stato nemico sconfitto»135.

Con la dichiarazione del 5 giugno 1945 le autorità d’occupazione alleate, a nome dei rispettivi governi (americano, inglese e sovietico), annunciarono di assumere la suprema autorità nei confronti del territorio tedesco, ivi inclusi tutti i poteri posseduti dal governo nazionalsocialista, dall’alto comando e da ogni altra fonte di potere di governo municipale o locale136

. Unione Sovietica, Inghilterra, Stati Uniti e Francia assunsero, inoltre, il diritto di ridefinire i confini della

132 Cfr. B. V

IGEZZI, De Gasperi, Sforza, la diplomazia italiana e la politica di potenza dal Trattato di pace al Patto

Atlantico, in E. DI NOLFO,R.H.RAINERO,B.VIGEZZI (a cura di), L' Italia e la politica di potenza in Europa 1945-50, Milano, 1988, pp. 3-58.

133 Cfr. S. L

ORENZINI, L' Italia e il trattato di pace del 1947, Bologna, 2007 e EAD., Il «modello Versailles» e la

preparazione dei trattati di pace post 1945, in M. Cau (a cura di), L’Europa di De Gasperi e Adenauer. La sfida della ricostruzione, (1945-1951), Bologna, 2012, pp. 103-121. Per un’analisi delle conseguenze del trattato di pace sui

rapporti italo-tedeschi si veda capitolo III, paragrafo 1.

134 Sul Trattato di pace dell’Italia si veda anche I. P

OGGIOLINI, Diplomazia della transizione. Gli alleati e il

problema del trattato di pace italiano, Firenze, 1990; C.SETON-WATSON, Il trattato di pace italiano. La prospettiva

inglese, in «Italia contemporanea», 182, 1991, pp. 5-26; R.H. RAINERO, Il trattato di pace delle Nazioni Unite con

l’Italia, Bologna, 1997.

135 Cfr. la raccolta di documenti ufficiali curata da B.R

UHM VON OPPEN, Documents on Germany under Occupation,

1945-1955, London, 1955, p. 12.

136

40 Germania rinunciando però a qualsiasi annessione della stessa ad altre potenze137. In questo modo le potenze alleate avocavano a sé tutti quei poteri normalmente riconosciuti ad uno stato sovrano138.

Durante la guerra gli alleati discussero diversi piani sul futuro assetto da dare alla Germania. Alla conferenza di Mosca, svoltasi dal 18 al 30 ottobre 1943, le potenze alleate avevano istituito la Commissione consultiva europea (European Advisory Commission), un organo consultivo per lo studio e la discussione di progetti politici sulla sistemazione postbellica della Germania139. Fino agli ultimi mesi del 1944 le tesi più discusse riguardarono lo spezzettamento della Germania in diversi stati, progetti ritenuti in quella fase storica gli unici in grado di impedire future prove di forza da parte dello stato tedesco contro altri paesi140. Il più noto di questi piani drastici e radicali fu quello avanzato nella seconda metà del 1944 dal sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti Henry Morgenthau. Il progetto Morgenthau prevedeva il disarmo totale della Germania, la distruzione dell’industria bellica, il drastico ridimensionamento dell’apparato industriale non bellico e l’internazionalizzazione della regione della Ruhr. Erano inoltre previste una serie di amputazioni territoriali e la divisione della Germania in due stati: uno meridionale comprendente Baviera, Württemberg e Baden ed uno stato tedesco settentrionale di cui avrebbero dovuto far parte Prussia,

137 L’accordo sulla partecipazione della Francia al condominio delle potenze vincitrici e all’occupazione della

Germania fu raggiunto durante la conferenza di Jalta (4 – 11 febbraio 1945), in Crimea, tra i cosiddetti Tre Grandi (Churchill, Stalin e Roosevelt).

138

Sugli anni dell’occupazione cfr. F. JERCHOW, Deutschland in der Weltwirtschaft, 1944-1947. Alliierte

Deutschland-und Reparationspolitik und die Anfänge der westdeutschen Außenwirtschaft, Düsseldorf, 1978; T.

ESCHENBURG, Kondominium der Alliierten, in K.D.BRACHER,T.ESCHENBURG,J.C.FEST,E.JÄCKEL (hrsg), Geschichte

der Bundesrepublik Deutschland, Band 1, Jahre der Besatzung 1945-1949, Stuttgart Wiesbaden, 1983, pp. 21-60; C.

KLEßMANN, Die doppelte Staatsgründung. Deutsche Geschichte 1945-1955, Göttingen, 1991, pp. 66-120; M. GÖRTEMAKER, Geschichte der Bundesrepublik Deutschland. Von der Gründung bis zur Gegenwart, München, 1999, pp. 15-43; E. CONZE, Die Suche nach Sicherheit. Eine Geschichte der Bundesrepublik Deutschland von 1949 bis in die

Gegenwart, München, 2009, pp. 21-45; tra i non molti studi in italiano cfr. l’opera ancora oggi fondamentale di E.

COLLOTTI, Storia delle due Germania, 1945-1968, Torino, 1968, pp. 5-40; A. MISSIROLI, La questione tedesca. Le due

Germanie dalla divisione all'unità (1945-1990), Firenze, 1998; G. CORNI, Storia della Germania. Dall’unificazione

alla riunificazione 1871-1990, Milano, 1999, pp. 323-343; B.MANTELLI, Da Ottone di Sassonia ad Angela Merkel.

Società, istituzioni, poteri nello spazio germanofono dall'anno Mille a oggi, Torino, 2006, pp. 199-215.

139

Cfr. M. GÖRTEMAKER, Geschichte der Bundesrepublik Deutschland, cit., pp. 19-24; T. ESCHENBURG,

Kondominium der Alliierten, cit.; H.GRAML, Zwischen Jalta und Potsdam. Zur amerikanischen Deutschlandplanung im

Frühjahr 1945, in «Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte», 24, 1976, pp. 308-323. Si veda anche G. RENDI, La politica

degli alleati verso la Germania durante la seconda guerra mondiale, Roma, 1974.

140

Durante la Conferenza di Teheran (28 novembre – 1° dicembre 1943) il presidente Roosevelt e Stalin proposero entrambi due diversi progetti di smembramento e di divisione della Germania in più stati. Gli Stati Uniti avanzarono la proposta di dividere la Germania in cinque stati: Prussia, Hannover e Germania nordoccidentale, Sassonia, Assia e territorio a sud del Reno, e infine uno stato meridionale comprendente Baviera, Baden, e Württemberg, più i territori comprendenti la città di Kiel e Amburgo e Ruhr e Saar da affidare all’amministrazione delle Nazioni Unite. L’Unione Sovietica a Teheran iniziò ad avanzare proposte che prevedevano importanti rettifiche dei confini orientali della Germania; durante la Conferenza Stalin affermò la volontà di inglobare all’interno dell’Unione Sovietica le regioni orientali della Polonia, proponendo in cambio uno spostamento ad ovest di quest’ultima a spese della Germania. A partire dalla Conferenza di Teheran per le potenze alleate la questione dei confini orientali della Germania cominciò a costituire un tema oggetto di un forte contrasto di idee, di opinioni e di visioni che contrastavano fra loro perché rispondevano alle diverse esigenze geopolitiche delle tre potenze alleate. Cfr. H.P. SCHWARZ, Vom Reich zur

Bundesrepublik. Deutschland im Widerstreit der außenpolitischen Konzeptionen in den Jahren der Besatzungsherrschaft 1945-1949, Berlin, 1966, pp. 105-146; E. COLLOTTI, Storia delle due Germanie, cit., pp. 11-15.

41 Sassonia e Turingia141. Le tesi di Morgenthau, pienamente attuate, avrebbero portato la Germania ad un livello preindustriale con un’economia prevalentemente agricola e pastorizia. Queste drastiche opzioni non trovarono mai l’unanimità dei Tre Grandi uniti nella lotta contro il nazismo: Stalin, Churchill e Roosevelt. È importante sottolineare l’esistenza di questi differenti progetti di divisione della Germania, perché essi testimoniano la convinzione molto diffusa tra i governi alleati nel corso della guerra di trovare una soluzione definitiva al problema dello stato tedesco, di individuare un modo per controllare la potenza di una nazione che in meno di quarant’anni aveva tentato due volte l’“assalto al potere mondiale”142

. Tuttavia, né il piano Morgenthau, né altri simili progetti ottennero il pieno consenso di Stalin, Churchill e Roosevelt. Alla vigilia della fine della guerra soltanto il principio di procedere al controllo del territorio tedesco attraverso l’istituzione delle zone di occupazione trovò concordi i governi alleati. Pertanto le direttive di massima sulla Germania furono definite nei particolari nel corso della conferenza di Potsdam nel centro della Prussia, che si svolse dal 17 luglio al 2 agosto 1945. Si trattò di un momento di cruciale importanza poiché gli accordi di Potsdam costituirono una tappa fondamentale della storia tedesca del dopoguerra. I Tre Grandi (Stati Uniti, Inghilterra ed Unione Sovietica) raggiunsero delle decisioni che determinarono uno status quo rimasto inalterato nella sostanza fino al 1947. Rispetto ai