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La Germania nella concezione di politica estera dell’Italia (1945-1947)

II. 1FONDAMENTI E OBIETTIVI DELLA POLITICA ESTERA ITALIANA ALLA FINE DELLA GUERRA

II.4 LE PRIME MISSIONI ITALIANE IN GERMANIA: 1945-

Fin dall’inizio del 1945 il governo italiano cercò di reperire una serie di informazioni sulla situazione esistente in Germania grazie alla stesura di questionari realizzati dallo Stato Maggiore dell’esercito, questionari che venivano sottoposti ai primi reduci provenienti dai territori tedeschi. Le domande contenute nei questionari spaziavano dalla «situazione economica» ai «sentimenti e comportamenti della popolazione tedesca»156. Le risposte raccolte erano il frutto delle osservazioni personali e dei contatti avuti di volta in volta dai singoli reduci interrogati. Nel marzo del 1945 un insegnante elementare di Aversa, reduce dalla città di Berlino (prima come Internato Militare (IMI) e poi come “libero lavoratore”), rispondeva così alla domanda sulla situazione morale dei lavoratori italiani in Germania riscontrata nel campo ove era stato internato e nelle zone dove successivamente aveva vissuto157:

«Le lavoratrici italiane sono in condizioni pietose, sia per le condizioni materiali, dato che la mancanza di vestiario si fa su di esse più gravemente sentire, sia dal punto di vista morale, in seguito alla diffusa prostituzione, specie nelle fabbriche. Se una donna rimane incinta, dopo 4-5 mesi viene rimpatriata per raggiungere la famiglia. Numerosi sono i lavoratori italiani che hanno relazioni con donne tedesche. L’assistenza spirituale è consentita ai cappellani militari che celebrano la Messa nei campi. Per speciale concessione del Papa, la comunione può essere presa senza confessione e anche dopo aver mangiato. […] Nei campi d’internati italiani tutti sono antifascisti, però un certo numero d’internati tende ancora a distinguere fra l’ex duce, che in passato ha avuto dei meriti di fronte alla Nazione, e tutta la classe dei fascisti disonesti e facinorosi. Generale è l’avversione per la Repubblica Sociale Italiana. Le tendenze della maggioranza sono generalmente di sinistra […] aumentano le simpatie verso i Russi, anche perché i prigionieri russi che si trovano a Berlino dimostrano agl’italiani molta cordialità. Aspre sono le critiche contro la Monarchia e Badoglio, al quale se spesso è riconosciuto il merito di aver concluso l’armistizio, viene attribuita la colpa di averlo realizzato molto male […]»158.

167-181. Riflessioni interessanti sulla politica d’occupazione americana durante i primi anni del dopoguerra sono presenti in J.GIMBEL, Amerikanische Besatzungspolitik und deutsche Tradition, Ivi, pp. 147-150.

155 Sulle importanti innovazioni introdotte dalla Bizona rispetto alla situazione emersa dopo Potsdam cfr. Cap. III,

paragrafo 1.

156 I questionari sono conservati in Asmae, Dgap, Germania, 1931-1945, Busta 80 (1945), fasc. 1: Rapporti politici. 157 Sulle esperienze di vita quotidiana dei lavoratori italiani in Germania durante il nazismo si veda C.B

ERMANI, Al

lavoro nella Germania di Hitler. Racconti e memorie dell’emigrazione italiana, 1937-1945, Torino, 1998.

158 Cfr. il questionario dell’Interrogato n. 872 – Centro A, 10 marzo 1945, segreto, in Asmae, Dgap, Germania,

85 Un altro reduce, questa volta un ufficiale, prigioniero fino al marzo del 1945 a Brema e poi sbandato nella Germania nord occidentale fino all’ottobre del 1945 (periodo del rientro in Italia) replicava così alla domanda sugli orientamenti prevalenti tra la popolazione tedesca:

«I tedeschi hanno, in genere, la speranza che la Germania possa riprendersi politicamente ed economicamente, in occasione della guerra, che ritengono prossima, fra nazioni occidentali e Russia. Il nazismo viene da tutti apparentemente ripudiato, ma l’ideologia resta e non è raro di persone che, parlando confidenzialmente, se ne auspicano il ritorno sotto l’una o l’altra forma. Funzionari nazisti sono tuttora in carica in pubblici impieghi senza che alcuno se ne mostri sorpreso. Nella Germania nord-occidentale si ha l’impressione che tutti i tedeschi obbediscano ad una parola d’ordine: accedere a tutte le richieste alleate per ottenere quanto più è possibile ed attendere il momento propizio per fare le rivendicazioni nazionali. “Produrre” è il desiderio generale e poiché l’industria e il commercio non danno più da vivere per tutti, professionisti, operai e mercanti si sono affiancati agli agricoltori nel lavoro della terra»159.

In generale la situazione degli italiani in Germania era seguita con particolare attenzione dal governo italiano, poiché essa era utilizzata dalla diplomazia italiana come argomento di pressione nei confronti degli alleati, affinché questi concedessero all’Italia di inviare un funzionario stabile ed istituire, così, una rappresentanza diplomatica ufficiale.

Durante i primi mesi del dopoguerra il ministro degli Esteri De Gasperi cercò invano di ottenere l’istituzione di una missione italiana presso il Consiglio di controllo alleato in Germania con l’obiettivo di porre fine al vuoto diplomatico iniziato il 13 ottobre 1943 con la dichiarazione di guerra del Regno del Sud alla Germania e la relativa perdita di tutte le sedi di rappresentanza dell’Italia in territorio tedesco, successivamente occupate dal governo di Salò160

. La riapertura di una missione diplomatica era inoltre considerata indispensabile per poter far valere e riprendere attivamente gli interessi italiani in Germania. Tuttavia, prima del 1947 la presenza italiana in Germania fu caratterizzata dall’invio di missioni temporanee con obiettivi delimitati.

La prima di tali missioni fu denominata “Missione Militare italiana in Germania”, istituita nella primavera del 1945 dopo la resa della Germania nazionalsocialista e l’occupazione di tutto il territorio tedesco da parte delle potenze alleate. Fu il “Comando Supremo Militare Alleato” a richiedere al ministero della Guerra italiano (all’epoca non ancora rinominato della Difesa) che gli fossero messi a disposizione un certo numero di ufficiali per collaborare al rimpatrio in Italia dei prigionieri di guerra, degli internati civili e dei lavoratori italiani che si trovavano in territorio

159 Cfr. Questionario n. 68620/3/6 , 14 ottobre 1945, segreto, in Asmae, Dgap, Germania, 1931-1945, Busta 80

(1945), cit.

160 Con l’occupazione della Germania da parte delle forze alleati l’Italia perse temporaneamente la proprietà e il

diritto di utilizzare tutte le sedi di rappresentanza della vecchia rete consolare. Cfr. la documentazione presente in Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 10 (1947), fasc. 5: Beni demaniali italiani in Germania.

86 tedesco. Gli ufficiali italiani che arrivarono in Germania furono circa 40161 e, dopo un mese di sosta presso il Quartier Generale angloamericano in Francia, furono trasferiti verso i Comandi militari in Germania di Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia. L’Unione Sovietica non richiese mai ufficiali italiani per la propria zona d’occupazione162

, pertanto la missione rimpatri riuscì ad operare solamente nelle zone d’occupazione degli alleati occidentali. In teoria i diversi ufficiali italiani avrebbero dovuto essere indipendenti gli uni dagli altri e posti agli ordini diretti dei rispettivi comandanti alleati. Tuttavia, dopo un po’ l’ufficiale italiano più anziano, il colonnello Rinaldo Fiore Vernazza, assunse la direzione della “Missione Militare italiana per i rimpatri”163

. In meno di un anno con mezzi forniti dall’esercito degli Stati Uniti e con l’ausilio della Croce Rossa italiana furono rimpatriati, secondo le fonti del ministero degli affari Esteri, circa 600.000 italiani164. I dati della missione rimpatri inviata in Germania indicavano circa 30.000 italiani morti, 40.000 dispersi e 10.000 che decisero di rimanere165.

Non esistevano solo soldati da rimpatriare. Tra il 1945 e il 1947 molti italiani che si trovavano in Germania, e non pochi tedeschi in Italia in attesa di essere trasferiti in Germania, espressero la volontà di non voler ritornare nel paese d’origine. L’esistenza di questo aspetto molto complesso è stata ben sottolineata da Dipper in un saggio incentrato su italiani e tedeschi nel secondo dopoguerra166. Si tratta di un microcosmo di esperienze e di condizioni che le fonti diplomatiche solo raramente riescono a restituire167. Vordemann ritiene che circa 40 mila italiani che si trovavano

161 Cfr. il Telespresso n. 743/158, intitolato Mansioni svolte dalla Missione militare italiana in Germania fino al

passaggio della stessa alle dipendenze degli Esteri, 8 marzo 1948, in Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 18

(1948), fasc. 4: Rappresentanze italiane in Germania.

162 Ibid. 163

Cfr. la Relazione sull’organizzazione ed attività svolta dalla prima Rappresentanza Italiana in Germania, 18 ottobre 1949, riservato n. 21928/3333, in Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 42 (1950), fasc. 1:

Rappresentanze diplomatiche e consolari italiane.

164 Ibid. La missione italiana rimpatri è accennata in M.G

UIOTTO,J.LILL (a cura di), Italia-Germania, cit., p. 33 e in F.NIGLIA, Fattore Bonn, cit., pp. 21-22.

165

A causa della frammentarietà dei dati risulta difficile confermare l’esattezza di tali cifre. Anche la bibliografia a disposizione non consente di quantificare con precisione il numero dei dispersi e soprattutto di quelli che decisero di rimanere ancora per qualche tempo in Germania. Su questo punto si veda G.ROCHAT, Una ricerca impossibile. Le

perdite italiane nella seconda guerra mondiale, in «Italia Contemporanea», 201, 1995, pp. 687-700 e M.GUIOTTO,J. LILL (a cura di), Italia-Germania, cit., p. 33. Su questi temi si veda anche A.BISTARELLI, La storia del ritorno. I reduci

italiani del secondo dopoguerra, Torino, 2007.

166 Cfr. C.D

IPPER, Deutsche und Italiener in der Nachkriegszeit, in M.MATHEUS (hrsg.), Deutsche Forschung und

Kulturinstitute in Rom in der Nachkriegszeit, Tübingen, 2007, pp. 1-20, qui p. 2. Si veda anche B. MANTELLI,

Lavoratori forzati, deportati, internati militari, in G.CORNI (a cura di), Storia e memoria. La seconda guerra mondiale

nella costruzione della memoria europea, Trento, 2007, pp. 69-88.

167 I rapporti redatti dai diplomatici italiani in missione in Germania contengono pochi accenni a tale fenomeno e

spesso gli italiani che decidevano di restare erano guardati con sospetto. Il console Arnò riporta infatti:«Fra i connazionali, ex internati ed ex lavoratori ve ne sono molti che non vogliono ritornare in Italia dove probabilmente hanno conti da rendere. Costoro si sono dati al mercato nero o si sono imboscati con bande di fuorilegge […] Occorre

evitare che il contegno dei cattivi elementi danneggi i buoni.». Cfr. l’appunto intitolato Missione in Germania,

RISERVATO, firmato dal console Guglielmo Arnò, nel settembre 1946, in Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 1 (1946), fasc. 1: Rapporti politici.

87 in Germania al termine della guerra manifestarono il desiderio di non voler tornare in Italia168. Una realtà difficile da ricostruire per via dell’estrema varietà dei casi. Sulle diverse categorie di italiani trasferiti coattivamente in Germania ha scritto Mantelli:

«È necessario precisare che la collocazione degli ottocentomila di cui si parla all’interno delle complesse articolazioni del sistema nazionalsocialista e della sua multiforme attrezzatura concentrazionaria fu estremamente diversificata. Il gruppo più numeroso era rappresentato dagli Internati militari italiani, abbreviato in IMI […] Un secondo gruppo, di circa centomila, comprende i lavoratori portati in Germania dopo l’8 settembre 1943. Mi pare che per definirli sia opportuno servirsi del concetto di “lavoratori coatti”. Un terzo gruppo numericamente più ridotto, di circa trentasettemila persone in tutto, è composto infine da coloro che vennero deportati dall’Italia avendo come destinazione il sistema concentrazionario nazista vero e proprio, dipendente dalla struttura SS. Di loro poco più del 10% riuscì a sopravvivere […] È chiaro che la distinzione proposta tra IMI, lavoratori coatti rastrellati, e deportati ha in qualche misura anche un carattere idealtipico: è necessario non confondere vicende e percorsi tra loro molto diversi, ma anche tenere presente da un lato che il confine tra una categoria e l’altro poteva essere, in casi particolari, non così netto, dall’altro che vicende di vario genere potevano far sì che il lavoratore coatto o l’internato militare finisse in KL [Konzentrationslager, cioè «campo di concentramento»]»169.

Tra gli italiani in Germania figuravano tuttavia anche altre tipologie non inquadrabili nella categoria dei trasferimenti coatti: lavoratori emigrati prima dell’inizio della guerra, operai specializzati trasferiti attraverso gli accordi intercorsi tra regime fascista e governo nazista, lavoratori stagionali, studenti, ricercatori, numerosi venditori ambulanti, spesso provenienti dal sud Italia, che sfuggivano ad ogni tipo di controllo170. Tra i tedeschi molti credevano che sarebbe stato più semplice trovare un nuovo lavoro in Italia che nelle semidistrutte città della Germania171. Durante i primi anni del dopoguerra non pochi ex soldati ed ufficiali dell’esercito tedesco ricercati per crimini di guerra riuscirono a lasciare l’Europa attraverso l’Italia. In qualche caso la fuga dei criminali di guerra nazisti fu facilitata dall’appoggio di alcuni ambienti vicino al Vaticano. Gli studi di Focardi hanno ricostruito l’attività di protezione e di assistenza che il rettore del Collegio teutonico presso la Chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma, Alois Hudal, svolse fino al 1948 non solo nei confronti dei profughi austriaci e tedeschi in Italia, ma anche in favore di nazisti ricercati per crimini di guerra172.

168 Cfr. C.V

ORDEMANN, Deutschland-Italien, cit., pp. 27-28.

169

Si veda B.MANTELLI, Lavoratori forzati, cit., p. 70-72.

170 Sugli accordi fra regime fascista e nazista sull’invio di manodopera italiana in Germania cfr. B. M

ANTELLI,

Camerati del lavoro. I lavoratori italiani emigrati nel Terzo Reich nel periodo dell'Asse 1938-1943, Scandicci, 1992;

ID., Dagli “scambi bilanciati” all’Asse Berlino-Roma, in «Studi storici», 1996, 4, pp. 1201-1226; ID., Il trasferimento

di manodopera italiana nel Terzo Reich, 1938-1943: un’emigrazione gestita dallo Stato, in G. CORNI,C.DIPPER (a cura di), Italiani in Germania, cit., pp. 143-174. Per le altre categorie cfr. K.GATTINGER, Gli stagionali italiani in Baviera

prima della Grande guerra, Ivi, pp. 99-115; R.DEL FABBRO, Immigrati stagionali nel Reich prima del 1914, Ivi, pp. 117-142; F.MARIN, I pellegrini della scienza. Studenti italiani nelle università tedesche fra Otto- e Novecento, Ivi, pp. 309-334.

171 C.V

ORDEMANN, Deutschland-Italien, cit., pp. 27-28.

172 Nell’estate del 1948 Hudal assicurò la fuga di Erich Priebke in Argentina grazie ad un passaporto della Croce

Rossa che il rettore del Collegio teutonico consegnò all’ex capitano delle SS. Cfr. F.FOCARDI,Un accordo segreto tra Italia e Rft sui criminali di guerra. La liberazione del “gruppo di Rodi” 1948-195, in «Italia Contemporanea», 232,

88 Il governo italiano attraverso il ministero degli Esteri colse l’occasione dell’invio in Germania degli ufficiali per le operazioni di rimpatrio per richiedere ai propri militari dei rapporti periodici che avessero per oggetto il quadro completo delle zone tedesche occupate, riservando particolare attenzione agli aspetti economici e sociali173. La richiesta era dettata dalla necessità di reperire informazioni sull’effettiva condizione dell’apparato industriale e della società tedesca al termine della guerra. Uno dei primi notiziari è datato 25 ottobre 1945 e risulta firmato dal colonnello Attilio Bruno174, che nel marzo 1946 subentrò, in qualità di ufficiale più anziano, all’ufficiale Rinaldo Fiore Vernazza rientrato in Italia175.

Il rapporto del colonnello Bruno recepiva la richiesta del governo italiano ed infatti illustrava in due lunghi paragrafi quale fosse la situazione politica ed economica della Germania nella zona inglese e nella zona americana, lì dove era accreditato. Per quanto riguardava il contesto politico il colonnello Bruno comunicava che fra il mese di agosto ed il mese di settembre 1945 prima gli Stati Uniti e poi la Gran Bretagna avevano autorizzato nelle proprie rispettive zone, sotto la stretta sorveglianza alleata e con il divieto di intrattenere relazioni politiche con l’estero, la ricostituzione dei partiti politici tedeschi, fatta eccezione per il partito nazista176. Molto rigida risultava la divisione fra le diverse zone di occupazione:

«Inoltre ogni potenza occupante ha praticamente elevate delle vere e proprie barriere fra zona e zona; barriere che le difficoltà dei trasporti e la mancanza del servizio postale (solo dal I novembre [1945] incomincerà parzialmente a funzionare) accentuano sensibilmente»177.

La situazione complessiva dell’apparato produttivo, secondo le osservazioni del colonnello Bruno, non sembrava interamente disperata:

2003, pp. 401-437; ID., Criminali di guerra in libertà. Un accordo segreto tra Italia e Germania federale, 1949-1955, Roma, 2008, pp. 51-75. Si veda anche L.KLINKHAMMER, La punizione dei crimini di guerra tedeschi in Italia dopo il

1945, in G.E.RUSCONI,H.WOLLER (a cura di), Italia e Germania 1945-2000, cit., pp. 75-90 e C.DIPPER, Deutsche und

Italiener, cit., pp. 10-11. Si veda anche G.SCHREIBER, L'eccidio di Caiazzo e le miserie della giustizia tedesca, in «Italia Contemporanea», 201, 1995, pp. 661-685. Sulle stragi naziste in Italia esiste oggi una buona letteratura. Per una panoramica del fenomeno con ampi riferimenti alla bibliografia esistente si veda la nuova edizione di L. KLINKHAMMER, Stragi naziste in Italia, 1943-1944, Roma, 2006.

173 Rapporto senza numero, Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 1 (1946), fasc. 1: Rapporti politici. 174

Il colonnello Bruno era stato scelto perché già in precedenza, nel novembre del 1944, si era trovato a gestire dei prigionieri italiani. Nell’ottobre del 1944, infatti, un contingente di circa trentamila soldati italiani prigionieri di guerra degli americani fu inquadrato e destinato in unità ausiliarie al seguito della Settima Armata americana in Francia. Il contingente era stato trasferito in Francia meridionale dal nord Africa. Cfr. Stato Maggiore Generale, rapporto n.

15660, 21 ottobre 1944, in Acs, Pcm, Segreteria particolare del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi , 1944-

1953, Busta 33.

175 Cfr. il telespresso n. 41/15, in Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 18 (1948), fasc. 4: Rappresentanze

italiane in Germania.

176 Nel settembre 1945 si ricostituirono i Länder nella zona americana. La Francia concesse l’autorizzazione alla

ricostituzione dei partiti politici qualche mese dopo il 13 dicembre 1945. Cfr. Notiziario politico-economico, 25 ottobre 1945, Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 1, (1946), fasc. 1: Rapporti politici. Cfr. M. GÖRTEMAKER,

Geschichte der Bundesrepublik Deutschland, pp. 31-33.

177

89 «[…] Le industrie sono state in gran parte ripristinate; specie la grande industria che, sia perché largamente frazionata, sia perché sistemata in locali sotterranei non ha subito quei gravi danni che si presumevano. La Farben ad esempio come la Mercedes Benz sono in piena attività. Naturalmente i prodotti delle industrie, severamente controllate dalle autorità di occupazione, non vengono immessi sul mercato se non in piccolissime quantità necessarie per la ricostruzione degli edifici, strade, ferrovie, impianti elettrici […]»178.

Altri notiziari erano dedicati alle modalità di esecuzione del disarmo economico, sottolineando le differenze esistenti fra alleati occidentali da una parte e Unione Sovietica dall’altra179

:

«Nelle zone occupate dagli anglo-franco-americani il disarmo economico della Germania è condotto con criterio sensibilmente diverso da quello adottato nella zona russa. Mentre in detta zona il disarmo economico viene attuato trasportando materialmente in Russia gli impianti industriali tedeschi e molti dei mezzi di comunicazione, nella zona anglo-franco-americana sono esclusivamente i prodotti delle industrie germaniche che vengono sottratti o limitati. Le industrie e gli impianti in genere vengono anzi notevolmente incrementati per consentire una più larga disponibilità di manufatti o di prodotti estrattivi da incamerare in conto riparazioni»180.

Nell’immediato dopoguerra Palazzo Chigi temette che le asportazioni dei macchinari industriali si rivelassero ingenti e che ciò potesse compromettere la futura ripresa degli scambi economici fra Italia e Germania. È importante sottolineare che tra le motivazioni alla base delle preoccupazioni italiane sulle operazioni di smontaggio compiute dagli alleati c’era anche la volontà di difendere l’integrità degli impianti industriali situati in Germania ma di proprietà italiana. Non si trattava in questo caso dei macchinari e delle attrezzature prelevate con la forza dai tedeschi tra il 1943 e il 1945 dalle industrie dell’Italia centro-settentrionale, ma di imprenditori italiani proprietari di fabbriche che si trovavano all’interno del territorio tedesco occupato181

. Il numero degli industriali italiani che si rivolse al ministero degli Esteri per ottenere la protezione dei propri interessi in Germania non era quantitativamente rilevante, ma i mezzi finanziari e le conoscenze a disposizione di questi gruppi resero le richieste qualitativamente importanti e fino al 1948 la Direzione affari economici costituì un apposito ufficio incaricato di seguire i diversi casi182.

178

Ibid.

179 La diplomazia italiana non era ancora certa che gli USA avessero deciso di abbandonare la linea drastica del

ministro del tesoro Henry Morgenthau.

180 Telespresso n. 3611/G, Asmae, Dgap, Germania, 1946-1950, Busta 2 (1946), fasc. 2: Politica economica. 181

Prima dell’entrata in vigore del Trattato di pace dell’Italia i beni italiani in Germania – appartenenti allo stato o a cittadini – furono oggetto di diverse controversie e spesso furono considerati dalle potenze occupanti come “beni nemici”. Il problema iniziò a trovare una soluzione solo dopo l’entrata in vigore del Trattato di pace che al comma 1 dell’art. 77 recitava: «A decorrere dall’entrata in vigore del presente Trattato i beni esistenti in Germania ed appartenenti allo Stato italiano ed a cittadini italiani, non saranno più considerati come beni nemici e tutte le restrizioni fondate su tale qualifica saranno abrogate». Sulle ripercussioni del Trattato di pace all’interno degli interessi italiani in Germania cfr. capitolo III, paragrafo 1.

182

Uno dei casi più controversi fu la protezione della Fabbrica Montanwerke di Tübingen (zona di occupazione francese) di proprietà della famiglia Mambretti. Nel 1947 nonostante il Trattato di pace l’impianto continuava ad essere inserito dalle autorità di occupazione francese nelle liste delle aziende destinate allo “smontaggio”. Il caso della fabbrica Mambretti fu seguito da autorevoli funzionari come Attilio Cattani (vicedirettore della Direzione affari economici nel 1947), Umberto Grazzi (direttore degli affari Economici nel 1947), da Gallina (Rappresentante italiano a Francoforte), ed anche dall’ambasciatore a Parigi Quaroni. La fabbrica subì diverse, ma limitate asportazioni di