58 Car Ant., Quotidiano “Il Tempo”, L’arte contemporanea spalanca le porte,
2.5.6. Giardino dei Tarocch
Nella Maremma Toscana, a pochi chilometri da Capalbio, in località Gravicchio (Grosseto), si trova il Giardino dei Tarocchi. Il Giardino ospita le grandi e suggestive sculture raffiguranti i 22 Arcani Maggiori delle carte dei Tarocchi, ed è nato per volontà dell'artista francese Niki de Saint de
Phalle, una delle personalità più affascinanti del jet set dell’arte mondiale
negli anni sessanta, che, ispirata dal Parc Guell di Gaudí a Barcellona, decise di costruire un "piccolo angolo di paradiso in cui uomo e natura si
L’artista confidò di aver fatto un sogno in cui costruiva grandi sculture per un giardino, legate al tema dei Tarocchi, e di aver sentito l’esigenza di realizzarlo, immaginandolo in un luogo distante dalle aree fortemente urbanizzate e industrializzate, poichè desiderava espressamente che presentasse i caratteri di natura incontaminata e selvatica, tipica dei popoli in cui le tradizioni e gli antichi usi artigianali erano ancora vivi.
La scelta per la costruzione del parco cadde su un terreno di 25.000 mq comprendente una cava abbandonata, terra dove un tempo avevano vissuto gli Etruschi, selvatica e al tempo stesso ricca di storia e di tradizioni, grazie alla gentile concessione della proprietà di Marella Caracciolo Agnelli (sorella dei Gianni, Umberto, Susanna, e moglie di Carlo Caracciolo, del gruppo editoriale Espresso-Repubblica). L’artista fu entusiasta del luogo e accettò di edificare lì l’opera più importante della sua vita.
Grazie alla tenacia dell’artista, il Giardino dei Tarocchi è divenuto, nel tempo, uno degli esempi più significativi, apprezzati e famosi, della sapiente commistione di arte, natura e cultura, in un dialogo attivo e interattivo fra le diverse componenti.
Dal nucleo centrale, dove si trovano le opere principali Mago e Papessa, si diramano una serie di vialetti e di piccole piazzette dove sono presenti le altre opere del parco (l'Albero della vita, il Diavolo, il Mago, il Sole, la Ruota
della Fortuna), attorniate da pareti colorate e dalla presenza della
vegetazione mediterranea tipica del posto (abbondanza di olivi e querce secolari), alternando luoghi “pubblici” a ad altri più intimi. Le opere scultoree- edilizie, dalle forme originali e dai colori sgargianti (ispirate a quelle del
Giardino dei Mostri della vicina Bomarzo), sono realizzate in pietra tufacea,
con un’ossatura di metallo lavorato a mano e saldato, su cui è stato spruzzato del cemento, rivestito da una miriade di tessere colorate in ceramica, poliestere, vetro e specchi, e nel tentativo di creare un luogo che fuoriesca dall’ambito culturale urbano, creano un ambiente magico e stregato, che suscita nel visitatore smarrimento e instabilità.
I lavori iniziarono costruito tra il 1979 ed il 1980, quando venne effettuata una prima bonifica del terreno e realizzato il primo modello delle sculture, mentre nel decennio successivo, tra il 1980 ed 1990, la scultrice impiegherà gran parte del suo tempo per la realizzazione dell’opera, facendo esperimenti e inventando soluzioni ai vari problemi, sia di ordine economico che tecnico.
Infatti, alla fine degli anni Ottanta, per l’effetto contrastante generato tra l’imponente complesso delle sculture e le caratteristiche naturali del paesaggio, l’iniziativa ha incontrato qualche resistenza, sia per i regolamenti edilizi e i piani urbanistici della zona, sia per l’impatto negativo che ebbero gli abitanti del luogo, che cercarono di impedire la realizzazione dell’opera. A causa di questo problema il giardino subì frequenti interruzioni e rallentamenti.
Ma per Niki de Saint Phalle non si trattava di nascondere o mitigare l’atto umano, in questo caso artistico, con l’ambiente circostante, ma di integrare
l’uno all’altro, impostando un vivace rapporto dialettico con il paesaggio73. In
seguito, grazie alla pressione dei numerosi e potenti sostenitori dell’artista e il riconoscimento da parte degli abitanti per la quale adesso l’opera rappresenta, anziché ostilità, motivo di orgoglio e di identità, i lavori hanno potuto riprendere normalmente. Dopo diciassette anni di duro lavoro nel 1997 il giardino apre ufficialmente al pubblico e ha visto all'opera grandi artisti contemporanei, tra cui anche Jean Tinguely, marito dell'artista.
Oggi il Giardino dei Tarocchi è stato donato allo Stato ed è gestito da una fondazione appositamente creata e intitolata a Niki de Saint Phalle, che cura il parco e accoglie i visitatori. All’interno del giardino non sono volutamente previste visite guidate, per rispettare sia l’aspetto esoterico, sia la libertà delle sensazioni e delle percezioni che il luogo suscita in ogni visitatore. Non esiste, infatti, una sequenza ‘ufficiale’ da percorrere, e le sculture vengono spesso ammirate senza nessuna logica predeterminata, disegnando un percorso dato dalla propria immaginazione.
73 Morelli E., Luoghi e paesaggi in Italia - Il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle a
2.5.7. Lanzarote
Lanzarote, la terza per grandezza delle sette isole Canarie, godeva, negli anni sessanta, di un’economia tradizionale basata principalmente sulla pesca, sull’agricoltura e sull’estrazione del sale. In quel periodo, grazie allo sviluppo del trasporto aereo, i numerosi flussi del turismo internazionale di massa coinvolsero, inevitabilmente, le isole Canarie, in particolar modo Tenerife e Gran Canaria. Lanzarote, che inizialmente rimase ai margini dello sviluppo turistico dell’arcipelago, essendo un’isola di origine vulcanica, la qual cosa la rendeva la rende difficilmente accessibile, soffriva della pressione del grande turismo internazionale di massa sulle isole dell’arcipelago, dove sorgevano continuamente strutture di ricezione e intrattenimento, con inevitabili conseguenze sul paesaggio e sul modus vivendi locale. Su questo scenario diverse personalità si schierarono a favore di della valorizzazione e della salvaguardia delle bellezze dell’isola;; fra queste, César Manrique, un vero e proprio artista a 360°, che nella sua vita si dedicò principalmente alla pittura, ma anche all’architettura, all’urbanistica, al design.
Manrique si allontanò giovanissimo dall’isola, vivendo per diversi anni a Madrid e New York, dove continuò gli studi e intraprese la carriera artistica, subendo le influenze delle correnti artistiche più importanti del momento e partecipando con entusiasmo all’intensissima vita sociale e culturale delle metropoli. Divenuto ormai un artista riconosciuto a livello internazionale, nel 1955 e nel 1960 fu selezionato per rappresentare la Spagna alla Biennale di
Venezia e gli vennero commissionati diversi incarichi da parte di importanti istituzioni e aziende: ciò gli permise di interagire con importanti architetti, e di focalizzarsi sul tema dei rapporti tra pittura e architettura, e tra le diverse arti in generale. Quando nel 1968, dopo un lungo peregrinare, ritornò definitivamente a Lanzarote, decise di impegnarsi attivamente nella valorizzazione dell’isola, e di farne un modello internazionale di turismo rispettoso dell’ambiente naturale e culturale. Grazie al suo talento, l’isola è diventata un esempio impressionante di fusione tra arte e natura, e di utilizzo dell’una e dell’altra in funzione della cittadinanza e dei turisti, riuscendo a convincere e coinvolgere, nei propri programmi, tutte le proprie istituzioni principali, pubbliche e private. Grazie agli sforzi e ai capolavori artistici e architettonici di Manrique, Lanzarote, oggi, è diventata una meta fondamentale per l’arte contemporanea, accogliendo circa 450.000 visitatori l’anno. L’artista canarino intuì che la bellezza del paesaggio dell’isola poteva diventare la sua principale fonte di ricchezza, e si oppose ad iniziative turistiche di massa che potevano comprometterne irreversibilmente l’eco- sistema. Dopo aver ottenuto la nomina a delegato per le Belle Arti dell’isola, concepì e supervisionò, insieme a dei collaboratori tecnici, un piano di lavoro che puntava alla rilevazione sistematica dei caratteri tipici del paesaggio, delle tecniche agricole e dell’architettura autoctona, producendo elementi- chiave sia per la fruizione visuale del turista, sia per la conservazione del paesaggio, creando un “brand” che risultasse competitivo sul mercato turistico culturale.
I principi fondamentali su cui si basò il suo progetto furono:
Rivisitazione dell’edilizia dell’isola (ad esempio, edifici non superiori a tre piani, tinteggiatura delle pareti rigorosamente in bianco, verniciatura degli infissi in verde scuro, etc);
Utilizzo di materiali locali;
Controllo severo della pubblicità stradale; Pratiche agricole (utilizzo di essenze vegetali); Urbanistica partecipata;
Consenso della cittadinanza mediante conferenze e assemblee pubbliche.
Manrique volle evidenziare, in primo luogo ai suoi conterranei, e poi ai turisti, che il vulcano non aveva coperto l’isola solo di lava, ma anche di particolari forme naturali da valorizzare e preservare. Le opere e le strutture più importanti del progetto di riqualificazione e valorizzazione che Manrique promosse consistono nella creazione di una serie di centri d’Arte, cultura e turismo, tra cui:
un Atelier di architettura in cui le idee si trasformavano in progetti tecnici e modelli fisici, per poter essere ampiamente discussi e partecipati;
la sua abitazione al Taro de Tahiche, costruita in cavità naturali della lava, e oggi sede della fondazione che porta il suo nome;
il Parque Nacional de Timanfaya, frutto di eruzioni vulcaniche che hanno creato straordinari monumenti naturali, chiaro esempio di come
un paesaggio lunare possa essere trasformato in strumento educativo e, allo stesso tempo, in un paradiso terrestre di cui può godere il visitatore. Su questi 52 kmq di territorio sono state costruite alcune strutture di servizio, come il centro accoglienza Islote di Hilario, al cui interno vi sono un ristorante panoramico le cui cucine sono alimentate direttamente dal calore del vulcano, e geyser;
Los Jameos de Agua: un sistema di grotte (in passato adibite a discarica) e tunnel disegnati dai vulcani e interrotti da laghetti di acqua salata. Due chilometri erano stati già attrezzati per accogliere i visitatori nel 1966; comprendono tre spazi principali: una Grotta Piccola, una Grotta Grande con piscina, e un Auditorium dall’acustica perfetta, attualmente luogo di concerti;
il Mirador del Río,punto panoramico al coperto, che si affaccia sul mare;
Il Jardín de cactus, ricavato da una vecchia cava di cenere vulcanica, rimodellata a forma di cavea: 1.400 specie di cactus e monoliti naturali di ogni tipo.
Egli creò numerose sculture, anche opere a carattere monumentale e celebrativo, la maggior parte delle quali si caratterizzano come astratte. Molte sono anche mobili, mosse dal vento o dall’azione degli spettatori, sempre in stretta relazione con l’ambiente in cui sono collocate e per cui sono state pensate. I materiali utilizzati sono per lo più metalli, ma anche legno lavorato o naturale, assemblati tra loro e policromatici in modo da unire scultura e pittura. Ovviamente, Manrique curò personalmente anche gli
elementi minimi dei suoi spazi architettonici e dell’arredo urbano.
La Fundación César Manrique fu inaugurata nel 1992, pochi mesi prima della morte del maestro. Oltre a essere un luogo di conservazione delle memorie di Manrique, è un centro di promozione delle sue idee, attraverso il lavoro di vari dipartimenti dedicati a programmi culturali, alla conservazione, all’educazione ambientale, all’archivio, e con una ricca biblioteca. Vi sono anche due spazi museali, uno dedicato all’arte canaria contemporanea, integrata dai pezzi della collezione personale di Manrique, l’altro dedicato alle opere del pittore, con quadri, bozzetti, disegni, fotografie e il bookshop, dove vengono commercializzati i ‘prodotti Manrique’. Oggi la fondazione ospita uno dei dieci musei più visitati di Spagna, con un’affluenza che supera il mezzo milione di visite durante l’anno.
L’opera minuziosa di Manrique riuscì nell’intento di salvare Lanzarote dal rischio di superare la capacità di carico dell’isola, facendone un modello di sintesi tra arte e natura, capace di attrarre un turismo di qualità e attirando l’attenzione del mondo ambientalista internazionale. Nel 1978 l’isola vinse il
Premio mondiale di Ecologia e Turismo di Berlino, nel 1986 il premio Europa Nostra e nel 1993 Lanzarote venne riconosciuta come ‘Riserva della biosfera’ da parte dell’UNESCO, diventando così parte del patrimonio
dell’umanità. Questi riconoscimenti hanno fatto di Lanzarote una delle destinazioni principale del turismo internazionale a tutti i livelli, e ciò, inevitabilmente, si traduce in una rottura degli equilibri demografici ed economici. La popolazione dell’isola è quasi raddoppiata in meno di quindici anni (anche per effetto dell‘immigrazione), senza dimenticare l’aumento del
numero di visitatori che è evidenziato dalla proliferazione di nuove strutture. Per questo, i limiti imposti dal progetto di Manrique rischiano di essere superati, e nell’isola si è creato un crescente contrasto tra le forze dello sviluppo turistico di massa, e quindi gli interessi economici, e i movimenti ambientalisti che cercano di preservare la sostenibilità, il disastro ecologico e la perdita dell’identità culturale.
Il caso di Manrique a Lanzarote mostra quali energie creative possano essere sprigionate dalla sintesi tra l’amore per la natura e per il paesaggio, da un lato, e l’amore per la propria comunità, con la sua storia, le sue tradizioni, la sua inconfondibile cultura dall’altro. Il suo agire localmente è stato attivato dal suo pensare globalmente. Localismo e globalismo si stimolano a vicenda, interagiscono strettamente, al punto da formare un processo unico, il glocalismo74.
74Meleleo M:, MUSE POLIFILE - Ricerche di sociologia dell’arte - César Manrique a