Il crescente abbandono delle forme tradizionali della produzione industriale, caratteristico degli ultimi anni, ha fatto sì che l’industria creativa assumesse un ruolo sempre più importante, al punto da diventare un fattore di competitività indispensabile.
Si parla di economia creativa dagli anni ’90, da quando, cioè, risorse umane, innovazione e capacità tecnico-artistiche sono state riconosciute come fattori fondamentali per interi settori economici; a partire dal mondo anglosassone, arrivando, poi, a tutti i sistemi economici dei paesi affermati ma anche di quelli in via di sviluppo, il dibattito globale sul tema ha generato e alimentato una moltitudine di appositi studi, tutti accomunati dall’intenzione di quantificare e delimitare i guadagni generati dall’economia creativa19.
Fondamentale, da questo punto di vista, risulta il report stilato dall’ U.N.C.T.A.D, secondo il quale l’importanza della creatività del XXI secolo passa attraverso le risorse intellettuali e creative che sono figlie del nostro tempo e che, pertanto, le industrie cultural-based inquadrano come veri e propri oggetti di investimento economico; i microcosmi di economia locale sono uno specchio fedele di questo processo esponenziale, nel quale la creatività non solo costituisce un valore aggiunto per la singola impresa, ma genera anche un rinnovamento per l’intero sistema economico.
Anche la lingua ha assecondato lo sviluppo crescente dell’economia creativa, e il “micro-dizionario economico creativo” che è andato via via
affermandosi non ha incontrato ostacoli neppure a livello interlinguistico: le espressioni coniate ed emerse nell’ultimo ventennio, come "industrie culturali", "industrie di contenuti" o " industrie di copyright", così come più semplicemente "industrie creative", sono la prova di quanto le industrie culturali e creative siano una fetta importante, e soprattutto sempre crescente, dell’economia a livello globale.
Per un’idea di più precisa del fenomeno, è opportuno rifarsi alla definizione che l’OECD Studies on Tourism, Tourism and the Creative Economy, ha dato, nel 2014, alle industrie culturali e creative (da qui, ICC), descritte come "importanti e potenti leve sia per lo sviluppo personale che per quello sociale. Esse sono una forza trainante per la crescita economica, sono al centro della competitività glocal nella società attuale, modellano i territori e le economie locali in modo da essere innovative e creative"20.
Eppure, il concetto di creatività, che, di per sé, è quanto di più complesso e multidisciplinare si possa trovare nell’ambito delle capacità e produzioni umane, a tutt’oggi non permette di dare una definizione unanime dell’industria creativa, per quanto anche la letteratura si sia prodigata a definirla in modo univoco e condivisibile.
E’ anche vero che l’industria creativa opera su svariati settori, pubblicità, film e video, architettura, musica, arte e mercati antiquari, spettacolo dal vivo, computer e videogame, editoria, artigianato, software, design, televisione e radio, moda; ma la sua caratteristica pregnante è l’intento di evidenziare, in
ciascun settore, gli aspetti sociali e culturali tanto della produzione quanto della fruizione del prodotto, immaginando una trasformazione della conoscenza, che da astratta si renda materiale attraverso il talento e l’abilità, e si avvalga di network intersettoriali ed esperienze multiple. Il risultato finale è il prodotto creativo propriamente detto, con tutto il suo potenziale economico e commerciale, e i vantaggi che ne conseguono, tra cui:
crescita economica;
esportazioni e occupazione; stimolo all’innovazione;;
facilitazione dello sviluppo di proprietà intellettuali; diversificazione delle economie nazionali e regionali;
sviluppo dei collegamenti con il turismo urbano e regionale; rafforzamento dell'identità culturale, ma anche della diversità; esternalità benefiche;
alternative concrete d’approccio alla crisi attuale del mercato e alla concorrenza imperfetta, attraverso la produzione di merci al pubblico; promozione della ricerca e dello sviluppo.
Con le ICC, dunque, siamo di fronte a veri e propri fenomeni sociali con ripercussioni ad ampio raggio, dall’integrazione e coesione sociale alla creazione di nuovi sistemi di valori, che lascino spazio alla creatività espressa dai talenti e dalle eccellenze, e sostengano la ristrutturazione economica e l’integrazione di nuove culture e contenuti creativi21.
21 UNESCO Creative Cities Network, Towards Sustainable Strategies for Creative Tourism,
Appurato che la creatività, oggi, sia una grande fonte di sviluppo, nettamente connessa alla cultura, con la quale intrattiene un continuo e reciproco rapporto di “dare-ricevere”, rimane da chiarire il perché di tale (indubbia) tendenza economica e di costume.
Il tentativo di risposta di Greg Richards e Julie Wilson, studiosi del settore, è connesso alla loro definizione del settore creativo, inteso come “portatore di innovazione e cambiamento, più dinamico e flessibile, che ricopre un più ampio campo settoriale creando valore in tutti quei sub-settori, precedentemente poco considerati, ma rivelatisi estremamente importanti ai giorni nostri” 22.
E’ come se la creatività, protagonista del nuovo contesto socio-economico determinato da dinamismo e trans-settorialità, si contrapponga, con la propria flessibilità e imprevedibilità, agli standard caratteristici del rigorismo della società moderna. Ne consegue che le nuove forme di economia, a loro volta coerenti con i nuovi modi di pensare e intendere l’estetica e la creatività, siano centrate su un consumo quanto più in linea con la cultura creativa.
Gli stessi due autori si premurano di fornire una definizione di industria creativa che la distingua dall’industria culturale, sostenendo che quest’ultima produca beni e servizi che l’industria creativa include e trasforma in un processo innovativo che si innesca per conto della creatività, secondo un modello di cambiamento che può essere riassunto nei seguenti punti23:
22 Richards G., Wilson J., Linking policy and creativity: the case of the tourism region of
Northern Jutland, Denmark, between 1985 and 2005, ATLAS, 2008
maggiore comprensione della cultura e dell'attività artistica;
crescente importanza della creatività, dell'innovazione e delle competenze;
cambiamenti nei modelli di consumo e della domanda;
riposizionamento della cultura da elitaria ed esclusiva a più democratica e inclusiva, grazie alla creatività;
produzione culturale intesa come un settore industriale piuttosto che un’attività separata.
Il concetto di Economia Creativa, invece, si deve allo scrittore britannico John Howkins24, che nel 2001 coniò tale nozione affibbiandole un’enorme
potenzialità in termini di sviluppo economico, in seguito a un’attenta osservazione delle industrie inerenti all’arte, alla scienza e alla tecnologia, ovvero a quei settori nei quali innovazione e creatività vengono continuamente generati.
E ciò che emerge dall’osservazione delle medesime industrie è che la creatività, oggi, ha un valore di produzione e, di conseguenza, un effetto economico molto più alti rispetto alla cultura, che a sua volta rappresenta un valore limitato in relazione alla creatività. C’è anche da dire che ciò che viene fuori dalle industrie creative, come già anticipato, è il risultato dei contenuti e degli stimoli trasferiti dal settore culturale, e vanno anche menzionati quei settori non industriali (arti visive, spettacoli dal vivo, patrimonio storico
24 Howkins J., The creative economy. How people make money from ideas, Penguin, Londra
artistico) che, pur con un basso fatturato, producono importanti contenuti di natura culturale.
A questo punto, risulta necessario distinguere delle sotto aree delle ICC e categorizzarle in base al loro peso industriale e rispetto a quanto i contenuti creativi influiscano all’interno della loro catena di valore.
La sfera di produzione culturale e creativa è stata ideata e realizzata in base a questo sistema a cerchi concentrici, che appartiene all’economista australiano David Throsby25.
LA CLASSIFICAZIONE DELLE INDUSTRIE CREATIVE E CULTURALI
Fonte: UNESCO, The Creative Economy Report
Musica, arti performative e visuali e letteratura sono incluse nel nucleo centrale: costituiscono le principali categorie culturali e vanno di pari passo alle industrie creative. Nel livello seguente, industrie creative connesse con cinematografia, musei e fotografia. Seguono le industrie culturali connesse
con i servizi e i mass media. L’ultima categoria comprende pubblicità, architettura, design moda. E’ importante sottolineare che i confini fra un settore e l’altro non sono da considerarsi distinti, data la natura spesso intersettoriale degli elementi in questione.
L’ultimo studio condotto dalla Fondazione Symbola in collaborazione con UnionCamere26 ha riportato che, a livello numerico, il commercio mondiale di
beni e servizi delle ICC si stima abbia raggiunto un record di 624 miliardi di dollari nel 2013, più del doppio rispetto a dieci anni fa. Il tasso di crescita medio annuo del settore nel corso di tale periodo è stato dell’8,8%, a fronte di una crescita economica annua del 4%. Tuttavia, i dati più significativi si registrano nell’Unione Europea, dove il settore è più fervido e si è sviluppato maggiormente. Complessivamente, nei 28 paesi membri, gli undici mercati analizzati (musica, film, editoria, giornali, televisioni, radio, videogiochi, architettura e design, arte e intrattenimento) hanno generato un turnover di 535,9 milioni di euro con 7,1 milioni di occupati, il 3,3 % della popolazione attiva nell'Unione. Ben il 19% degli occupati nell'industria creativa e culturale ha meno di 30 anni, mentre in Europa, tra il 2008 e il 2012, la forza lavoro ha perso lo 0,7%. Il segmento musicale è quello che dà la maggiore occupazione, con oltre 1,6 milioni di europei stipendiati.
Le ICC in Europa costituiscono un segmento molto dinamico e ad alto valore aggiunto. Sono all'avanguardia anche nell'economia digitale, intesa come fonte di innovazione, e si mantengono in prima linea per ottenere una quota sempre maggiore di mercato nella diffusione dei contenuti digitali
dell’economia. Lo studio sottolinea che in media il 70% del tempo che si trascorre utilizzando un tablet viene impiegato per usufruire di beni culturali. Il WIPO27, nel frattempo, stima che, a livello nazionale, il settore creativo
contribuisce dal 4 al 6,5% del PIL in tre quarti dei paesi di tutto il mondo. Mentre questo contributo può variare in modo significativo da un paese all'altro, il settore creativo rappresenta una quota maggiore del PIL nei paesi che hanno sperimentato una rapida crescita economica28.
Le industrie creative creano un valore di circa 12 miliardi di euro (15,9 miliardi di dollari), con un tasso di occupazione in rapida crescita già a partire dalla metà degli anni 2000.
Le imprese europee del settore sono leader a livello internazionale ed esportano in tutto il mondo le loro creazioni. Sette dei dieci più grandi editori del mondo sono europei, come lo sono cinque dei dieci festival più importanti. Lo stesso vale per la leadership mondiale nell'industria musicale, per due delle tre maggiori società pubblicitarie, ecc. Queste storie di successi riflettono la situazione nei rispettivi settori e raccontano la gestione e la ricchezza del settore della creatività in Europa29.
L’UE, consapevole del gap di sviluppo europeo del macrosettore rispetto agli Stati Uniti, ha voluto dare una relativa importanza allo sviluppo del “comparto allargato della cultura e della creatività”, tanto da scegliere il 2009 come
27 Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale
28 WIPO, Copyright + CReativity = Jobs and Economic Growth - WIPO studies on the
Economic Contribution of the Copyright Industries, World Intellectual Property Organization
(WIPO), 2012
“Anno europeo della creatività e dell’innovazione”; per questo, è stato creato il Creative Europe Desk, la rete creata dalla Commissione Europea per fornire assistenza tecnica gratuita ai potenziali beneficiari di Europa Creativa e per promuovere il Programma in ogni paese partecipante.
Ciò che si evince, nel complesso, è che le industrie creative siano in continua crescita anche in piena crisi economica, sebbene la crisi non si applichi a tutti i settori e a tutte le posizioni.
Riassumendo, il ruolo fondamentale delle ICC, che ha seguito uno sviluppo veloce e sempre crescente negli ultimi anni, sta tutto all’interno del circuito di produzione-trasformazione-diffusione di conoscenze, e, come riportato recentemente dall’UNESCO, “la creatività rende un contributo complessivo di lungo termine per la sostenibilità, sostenendo le reti e processi che sono essenziali per l'innovazione e la crescita futura” 30.
Poiché, per natura, sono composte da una combinazione di fattori che includono produzione, consumo, location e strumenti tecnologici, il tutto finalizzato all’espressione di contenuti talentuosi da un lato, e all’offerta di esperienze quanto più significative dall’altro, la crescita tanto rapida e il netto potenziale delle industrie creative non solo ha comportato una maggior produzione economica (in primis creazione di posti di lavoro, in secondo luogo il loro valore aggiunto come componente migliorativa dell’ambiente urbano), ma ha anche suscitato specifiche politiche da parte di pubblici e privati, con l’obiettivo di assecondare la crescita del settore, appoggiandone il naturale impulso innovativo e imprenditoriale.
L’economia creativa offerta dalla potenzialità di tali industrie creative è “uno dei settori più in crescita nell’economia mondiale, non solo in termini di generazione di guadagno interno ma anche per quanto riguarda la creazione di lavoro ed il guadagno proveniente dalle esportazioni”31.
1.4.1. Il Profilo del Settore Creativo in Italia
Il bisogno di soddisfare i mutamenti della domanda di turismo, sempre meno di massa e più orientata a utenti esigenti e dagli interessi trasversali, sta facendo emergere il nuovo concetto di experience-based tourism, che implica la necessità di andare oltre l’esperienza di viaggio fugace, allargandola nel tempo attraverso un coinvolgimento intellettuale ed emotivo in grado di continuare anche dopo l’esperienza stessa e in grado di stimolare la fissazione del ricordo e della memoria.
A conferma di ciò, l’analisi delle attività svolte dai turisti culturali, una volta giunti in vacanza, evidenzia una moltitudine d’interessi che vanno oltre i luoghi strettamente legati alla cultura, ma che li spinge a scoprire e visitare i tratti tipici del territorio che spaziano dai suoi ambienti e paesaggi, al folklore, i suoni e i sapori della tradizione e tutto ciò che più rappresenta le località visitate.
Cultura e creatività si combinano in modi diversi in base alle evoluzioni storiche di ciascun paese, dando luogo a modelli in parte differenti. Anche se le differenze tra modelli internazionali di creatività e industrie culturali si esprimono molto più in termini di accentuazioni, che di diversità di contenuti,
si possono quantomeno disegnare due distinti profili teorizzati nel “Libro Bianco della Creatività”32, che sono:
Creatività per l'innovazione: La creatività è correlata all’innovazione e a un modello di produzione industriale dei contenuti culturali. Considera la creatività e la produzione di cultura come “input della
società sulla conoscenza delle tecnologie di comunicazione, delle innovazioni e delle industrie di contenuto”. Gli obiettivi di questo
modello sono la ricerca scientifica, i mercati, il business, la commercializzazione di prodotti e servizi creativi. I settori delle ICC presi in considerazione sono quello audiovisivo, cinema, musica, software, spettacolo dal vivo, editoria:
Creatività per la Qualità Sociale: Il suo riferimento principale è alle manifestazioni della cultura e del vivere sociale, e ai settori che le esprimono. Particolare considerazione è dedicata al mondo della cultura materiale. Conferiscono importanti fattori della qualità sociale, dello sviluppo delle industrie di contenuti (cinema, radio TV, editoria, software, pubblicità) e la valorizzazione del patrimonio culturale (archivi, biblioteche, musei, monumenti, musica, arte e spettacolo). Questo modello si contraddistingue non solo per la coerenza logica tra i settori inclusi nell’analisi, ma anche per la sua capacità di andare oltre l’impatto delle industrie culturali sui mercati e sugli affari, assegnando grande rilevanza alla qualità sociale.