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crocia nella propria vita un certo numero di imprese sociali, così come entra in contatt o con una molteplicità di altri enti del terzo sett ore, porta i propri fi gli nel nido o centro estivo gestito da una cooperativa o il genitore anziano in una R.S.A. dove opera un’impresa sociale.

Quello su cui vi è meno consapevolezza è che, nel realizzare questa rete di protezione sociale, le imprese sociali hanno costruito anche altro; e che quindi senza le imprese sociali si avrebbero una cultura, delle politiche sociali e delle leggi molto diverse. Non si avrebbe la stessa consapevolezza che i disabili pos- sono lavorare, che le persone non autosuffi cienti possono essere aiutate a casa, che i detenuti o i tossicodipendenti possono ricostruirsi una vita diversa, che da un territorio degradato non si deve per forza emigrare perché si possono creare modelli di sviluppo diversi e molte altre cose. Non si sarebbero inventati i servizi che oggi costituiscono l’ossatura della protezione sociale del Paese.

Non si disporrebbe delle stesse leggi, o se ci fossero, come spesso succe- de nel nostro Paese, sarebbero rimaste lett era morta. Non si potrebbe contare sulla stessa Costituzione nella forma att uale. Non si userebbero le stesse parole e non si ragionerebbe con le stesse categorie mentali. Che tutt o questo sia stato prodott o – in concorso con altri – con il contributo determinante delle imprese sociali rischia di sfuggire, motivo per cui ha senso riscrivere la storia sociale ita- liana anche dalla prospett iva qui utilizzata.

inariditi a causa del forte clima di incertezza che ha portato molti investitori a prediligere, almeno temporaneamente, forme di investimento più sicure o a par- cheggiare le disponibilità sui conti correnti.

La crisi ha avuto eff ett i tangibili anche sull’occupazione, che ha registrato un brusco calo nonostante il prolungato blocco dei licenziamenti, il massiccio ricorso alla Cassa Integrazione e le altre misure di supporto. Le ricadute della crisi a livello occupazionale hanno interessato sia l’occupazione eff ett iva, sia quella potenziale.

L’occupazione reale, come mostrano i dati Eurofound [2020], ha subìto una signifi cativa infl essione a causa sia della drastica diminuzione delle ore la- vorative – che ha interessato oltre il 30% dei lavoratori italiani – sia dell’aumento della disoccupazione. Infatt i, sempre secondo i dati Eurofound – raccolti tramite un’inchiesta online nel mese di luglio – tra i rispondenti che hanno dichiarato di lavorare prima della pandemia, il 7% ha indicato di aver perso il lavoro e di essere disoccupato.

Per quanto riguarda invece l’occupazione potenziale, lo studio di Pini e Ri- naldi [2020] sugli eff ett i della pandemia sul sistema produtt ivo italiano ha stimato che, a causa della sola riduzione della nascita di nuove start-up nei mesi di marzo e aprile, si è verifi cata una perdita di occupazione di oltre 30 mila unità, di cui più dell’80% ascrivibile all’eff ett o Covid-19. A ciò, come già accennato, si aggiunge il drastico calo dell’input di lavoro, misurato in ore lavorate, registrato nei primi tre trimestri del 2020. Nel primo trimestre 2020, infatt i, l’Istat rileva una diminuzione del 7,7% delle ore lavorate rispett o agli stessi mesi del 2019, dato che peggiora visibilmente nel periodo aprile-giugno arrivando al 20% [Istat, 2020e; 2020f]. Se- gue un sensibile incremento nel terzo trimestre, pur risultando ancora inferiore rispett o ai livelli registrati nello stesso periodo del 2019 (-5,9%) [Istat, 2020g].

Dunque, anche se ancora troppo presto per valutare con precisione e ri- gorosità scientifi ca l’eff ett o che la pandemia ha avuto – e sta avendo – sull’econo- mia italiana e degli altri Paesi europei, lo scenario sembra tutt ’altro che incorag- giante. Già prima del verifi carsi della seconda ondata, le previsioni economiche della Commissione Europea di luglio confermano l’ingresso dell’Europa in quella che viene defi nita una “deeper recession with wider divergences”, ossia una re- cessione più profonda – e con divergenze economiche, fi nanziarie e sociali tra i Paesi dell’eurozona più ampie – di tutt e quelle di cui abbiamo fatt o esperienza dal secondo dopoguerra, e ipotizzano una contrazione economica generale su- periore agli ott o punti percentuali [European Commission, 2020c].

L’Italia, nello specifi co, ha già registrato nei primi quatt ro mesi dell’anno una contrazione del prodott o interno lordo (PIL) del 5,3%, per il quale la Commis- sione Europea si aspett ava un ritorno ai livelli precrisi non prima della fi ne del 2021 [European Commission, 2020c]. Anche le previsioni “nostrane” dipingono

6.1 Eff ett i economici e sociali della pandemia in Italia:

uno tsunami inaspett ato

Da un punto di vista economico, quella scatenata dall’emergenza sanitaria da Covid-19 è da considerarsi come una crisi frutto di uno shock, congiunto e im- prevedibile, sia dell’off erta che della domanda, avendo entrambi gli elementi re- gistrato, seppur per motivi diversi, un signifi cativo calo a partire dal mese di mar- zo 2020. Lo shock dell’off erta è infatt i ascrivibile alla chiusura, come da decreti ministeriali, di tutt e le att ività produtt ive ritenute non essenziali e, in secondo luogo, alle interruzioni forzate delle fi liere produtt ive globali come conseguenza del blocco delle att ività nei Paesi partner commerciali, primo in ordine tempora- le la Cina.

Allo stesso tempo, le mutate scelte di consumo dei citt adini, condiziona- te dalla chiusura delle att ività commerciali e le nuove abitudini di vita dett ate dall’impossibilità e, più in generale, dalle diffi coltà di spostarsi liberamente sul territorio, hanno portato a una drastica riduzione della domanda. La diminuzio- ne di quest’ultima è inoltre att ribuibile alla quasi totale sospensione dei fl ussi turistici (in ambo le direzioni: da e verso l’Italia) e dal signifi cativo calo della ri- chiesta estera di prodott i italiani.

Secondo i dati Istat [2020b] le att ività che durante il lockdown sono state formalmente sospese a partire dal mese di marzo 2020 sono 2,1 milioni. Si tratt a di poco meno del 48% del totale delle imprese, con oltre 7 milioni di addett i. Il comparto industriale è stato quello maggiormente colpito dai provvedimenti di chiusura, con ben due terzi delle industrie che hanno interrott o le loro att ività. Segue il sett ore terziario, con il 43,8% delle imprese interessate da chiusure. An- che dal punto di vista dell’impatt o sul lavoro, è stato il sett ore industriale a sof- frire maggiormente, con il blocco di quasi il 60% dei suoi addett i, contro il 35,2% rilevato nel sett ore dei servizi. Elevato anche il numero di lavoratori fermi nel set- tore alberghi e ristorazione (318 mila) e dei servizi collett ivi e personali (281 mila). Sono invece rimasti att ivi i lavoratori dei sett ori trasporti e magazzinaggio, in- formazione e comunicazione, istruzione, sanità e servizi alle famiglie, così come chi lavorava in agricoltura, nelle att ività immobiliari, professionali, scientifi che e tecniche, noleggio e nei servizi di supporto alle imprese [Istat, 2020c].

La conseguenza immediata del calo o addiritt ura del blocco totale della produzione o della vendita di prodott i e servizi è stata, per la maggior parte delle imprese, una forte crisi di liquidità che le ha costrett e a modifi care la propria fon- te principale di fi nanziamento – di solito rappresentata dall’att ivo di cassa – e a ricorrere al credito bancario o, specialmente per le imprese di grandi dimensioni, al credito commerciale [Istat, 2020d]. Allo stesso tempo, come rilevano Carnaz- za e Giorgio [2020], anche i canali di fi nanziamento dei capitali privati si sono

cessioni: crisi da domanda (come appunto quella degli anni Trenta), crisi da of- ferta (come quella degli anni Sett anta caratt erizzati dalla quadruplicazione dei prezzi del petrolio), crisi fi nanziaria (come quella del biennio 2008-2009) ancora non esplosa completamente, ma che ha già manifestato segnali di nervosismo con forti cadute e oscillazioni dei mercati borsistici”. Come ha sostenuto Joseph Stiglitz in un’intervista all’Huffi ngton Post di marzo [Mauro, 2020], considerata la sua natura, la crisi att uale sarà più diffi cile da arginare rispett o a quella del 2008- 2009. Questo perché essa non è originata da fatt ori economici e sociali, ma da una causa extra economica: il virus. Dunque, la politica monetaria da sola, se non accompagnata da una politica fi scale ad hoc, poco potrà per favorire la ripresa.

Anche l’OECD sembra essere dello stesso avviso e avverte che, nono- stante lo sforzo dei Paesi occidentali per fronteggiare questa crisi att raverso un ventaglio di politiche fi scali e monetarie senza precedenti, l’impatt o negativo immediato è stato molto più profondo rispett o a quello rilevato durante i primi mesi della crisi fi nanziaria e potrebbe essere molto più severo di quello che le statistiche sulla disoccupazione suggeriscono. Infatt i, per essere defi nita “disoc- cupata”, una persona rimasta priva di lavoro deve cercare att ivamente un impie- go. Considerate le restrizioni imposte dai Governi, la paura di essere infett ati e il generale senso di scoraggiamento che ha caratt erizzato questi ultimi mesi, è altamente probabile che molti individui, benché desiderosi di trovare lavoro, non si att ivino per farlo e vengano quindi di fatt o considerati come “inatt ivi”. Ciò por- terebbe a una sott ostima dei tassi di disoccupazione [OECD, 2020].

Ci sono anche voci più ott imiste, come quella di Giuseppe Capuano [2020], att ualmente dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), il quale, sulla base dell’analisi dell’andamento trimestrale del PIL tra il 2019 e il 2020, af- ferma che l’att uale crisi, proprio perché provocata da fatt ori esogeni al sistema economico, avrà eff ett i più contenuti nel tempo. Secondo tale analisi gli strasci- chi della crisi dovrebbero farsi sentire ancora per poco e il recupero economico avvenire in tempi più rapidi rispett o al 2008-2009: una crisi che è più uno tsunami, dunque, che un innalzamento delle acque lento e silenzioso. L’ott imismo del diri- gente del MISE, tutt avia, ben poco rifl ett e il sentimento diff uso tra gli italiani che, dati alla mano, si rivelano essere i più pessimisti d’Europa, insieme agli spagnoli. Ciò non deve sorprendere considerando che sono proprio gli abitanti di queste due nazioni ad aver registrato, tra gli europei, il peggioramento più signifi cativo delle proprie condizioni di vita rispett o all’anno passato [Coop, 2020].

È importante poi ricordare le conseguenze sociali di questa crisi. La pan- demia, infatt i, ha sconvolto la vita quotidiana di tutt i, provocando cambiamenti profondi in un lasso di tempo molto ristrett o e costringendo tanti a convivere con solitudine, paura e una viscerale sensazione di spaesamento. Ed è proprio l’aumento dell’incertezza sul futuro, secondo un’indagine promossa dall’Osser- un futuro diffi cile e incerto, tanto che un’analisi di maggio curata dall’Uffi cio Stu-

di di Confcommercio [2020], riteneva altamente probabile la chiusura defi nitiva di quasi 280 mila imprese del commercio e dei servizi.

Gli eff ett i negativi sul sistema economico, inoltre, non colpiscono in egual misura i gruppi di lavoratori ed i territori, e sono destinati ad aggravare una situa- zione già caratt erizzata da divari strutt urali, disparità e disuguaglianze pregres- se. Lo shock da epidemia, infatt i, come sott olinea la dirett rice centrale dell’Istat Linda Laura Sabbadini, ha “aggiunto disuguaglianze alle disuguaglianze preesi- stenti” poiché, dal punto di vista occupazionale, a essere più colpiti dalla crisi e a vedersi ridurre le proprie possibilità di inserimento lavorativo saranno i giovani tra i 25 e i 34 anni e, nello specifi co, gli studenti che si sono diplomati o laureati quest’anno, la cosiddett a “Class of Corona” [CSV Milano, 2020]. Altra categoria a rischio sono le donne, essendo queste sovra-rappresentate nei sett ori maggior- mente colpiti – quali quelli ricett ivo, ristorativo e dei servizi alla persona e alla famiglia – e tra i lavoratori precari.

Infi ne, è ragionevole supporre che, come rilevano le analisi Svimez [2020], nonostante il blocco delle att ività abbia riguardato maggiormente le Regioni del Nord, il più alto rischio di distruzione di impresa si verifi chi nel Mezzogiorno, rischio esacerbato dalla radicata diffi coltà di accesso al credito per lavoratori autonomi e professionisti in questa parte della penisola. Sono proprio questi ul- timi, specialmente se con dipendenti, che, secondo l’Istat [2020c], sono stati co- strett i a fermare le att ività: quasi un lavoratore autonomo con dipendente su due non ha potuto lavorare a seguito dei provvedimenti introdott i dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) del 22 marzo 2020.1 Seguono poi i la-

voratori autonomi senza dipendenti (61% di att ivi), i dipendenti a termine (64,2%) e, per ultimi, i dipendenti a tempo determinato, i quali sono riusciti a mantenere un tasso di att ività poco superiore al 70%, comparativamente più alto rispett o agli occupati nelle altre posizioni lavorative. Inoltre, il tessuto economico del Mezzogiorno risulta più a rischio rispett o a quello di altre zone d’Italia anche per la maggiore presenza di piccole e microimprese che, come mostrano le indagini del Centro Studi CNA [2020], appaiono particolarmente esposte alle conseguen- ze del cataclisma sanitario, specialmente per via della loro limitata capacità di tenuta rispett o alla fl essione della domanda.

Le conseguenze economiche e fi nanziarie dell’emergenza sanitaria hanno portato molti studiosi ad aff ermare che quella che stiamo vivendo è la più gra- ve crisi dopo quella del 1929 perché, come notano Carnazza e Giorgio [2020 - p. 27], essa “racchiude in sé contemporaneamente le cause delle tre precedenti re-

1 Testo completo del Dpcm: htt p://www.governo.it/sites/new.governo.it/fi les/ dpcm_20200322.pdf

raggiungere gli studenti con la DAD [vengano] vanifi cati dalle condizioni abitati- ve dei minori” [Save the Children, 2020 - p. 15]. Questa stessa indagine mostra in- fatt i come ben il 42% degli studenti italiani non possieda, all’interno della propria abitazione, spazi adeguati per seguire le lezioni online e come più del 10% non abbia accesso a dispositivi tecnologici quali tablet e computer, percentuale che raggiunge quasi il 20% nel Mezzogiorno.

6.2 Covid-19, terzo sett ore e imprese sociali: quali conseguenze

Sebbene i dati disponibili siano limitati e prevalentemente disaggregati per set- tore e non per forma di impresa, quel che è certo è che anche le imprese sociali e più in generale gli enti del terzo sett ore abbiano dovuto fare i conti con le pe- santi conseguenze – in termini economici e di fatt urato – provocate dalle misure restritt ive messe in att o per contrastare la diff usione del virus.

Ben il 73,3% delle imprese sociali infatt i – secondo i dati del XIV Osservato- rio Isnet sulle imprese sociali in Italia, rifacendosi ad un campione però piutt osto ridott o di imprese – ha dovuto sospendere o ridurre i volumi delle proprie att i- vità dal mese di febbraio 2020 [Isnet, 2020]. Questo dato risulta essere in linea con quanto rilevato dalla ricerca promossa dall’Associazione nazionale dei Cen- tri Servizio per il Volontariato (CSVnet), dalla quale emerge che, tra gli enti che hanno partecipato all’indagine online, circa 1⁄3 è rimasto pienamente operativo (31%), circa 1⁄3 si è invece visto costrett o a bloccare parzialmente le att ività (31%), mentre il restante 37% le ha interrott e completamente [CSVnet, 2020].

Così come le imprese tradizionali, anche le imprese sociali hanno segna- lato, tra le principali problematiche immediate dell’emergenza sanitaria, la dimi- nuzione delle entrate, sperimentata dal 44,5% delle organizzazioni [Isnet, 2020]. Infatt i, il calo delle entrate, specialmente nei mesi del lockdown, è stato notevole tanto che, in media, le imprese sociali hanno stimato una caduta di oltre nove punti percentuali [Isnet, 2020]. I dati riferiti alle sole cooperative sociali2 confer-

mano l’indisponibilità di liquidità a breve termine, segnalata tra le maggiori diffi - coltà del periodo dalla metà di esse [Legacoop, 2020].

Anche l’occupazione ha subìto – e probabilmente continuerà a subire in futuro – un blocco, con quasi il 60% delle cooperative sociali che ha riscontato grandi diffi coltà nell’assicurare il pagamento degli stipendi ai suoi dipendenti e

2 I dati dell’Osservatorio Covid-19 raccolti dall’Area Studi Legacoop qui riportati si riferiscono alle cooperative operanti nel sett ore sociale e non alla cooperazione sociale in senso strett o. Tutt avia, è ragionevole supporre che, in virtù della forte sovrapposizione tra questa forma di impresa e il sett ore d’intervento sociale, i dati in oggett o possano fornire indicazioni utili sulla cooperazione sociale nel suo complesso.

vatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori [2020] e condot- ta da Ipsos tra fi ne marzo e inizio aprile 2020 su un campione rappresentativo di 2 mila giovani italiani tra i 18 e i 34 anni, che rischia di “intrappolare” i progett i di vita degli individui. La ricerca infatt i mostra come, già dopo un mese di lockdown, più di sei giovani adulti su dieci siano convinti che l’epidemia costringerà loro a posticipare, o addiritt ura abbandonare, i propri piani per il futuro, primi fra tutt i l’andare a vivere da soli o con il proprio partner, sposarsi e avere fi gli.

Cambiamenti signifi cativi sono avvenuti anche nella sfera lavorativa so- pratt utt o a seguito dell’ampia adozione delle modalità di lavoro agile. Preziosa fonte di informazione a riguardo è la prima indagine sullo smart-working, pro- mossa da Cgil nazionale in collaborazione con Fondazione Di Vitt orio tra la fi ne di aprile e inizio maggio 2020. Essa restituisce una panoramica dei lavoratori che hanno lavorato principalmente da casa durante l’emergenza Covid-19. Dati alla mano, se prima dello scoppiare della pandemia in Italia lavoravano da remoto circa 500 mila persone, fi n dalle prime sett imane di lockdown sono diventate oltre 8 milioni [Cgil - Fondazione Di Vitt orio, 2020]. Un cambiamento enorme, che ha modifi cato radicalmente sia le abitudini di lavoro che di vita, ma che non ri- guarda nello stesso modo tutt i i lavoratori. Infatt i, come rilevano i dati Eurofound [2020], la variabile più correlata al lavorare da casa è il livello d’istruzione: quasi il 75% dei lavoratori con istruzione terziaria ha dichiarato di aver svolto le pro- prie mansioni lavorative dalla propria abitazione, contro il 34% dei lavoratori con istruzione secondaria e il 14% degli occupati con la sola istruzione primaria. Ol- tre al livello d’istruzione anche il sett ore di impiego risulta essere una variabile importante. Una maggiore incidenza del lavoro da casa è infatt i riscontrabile tra gli operatori dei servizi (istruzione, servizi fi nanziari e pubbliche amministrazio- ni) rispett o ad altri sett ori come l’agricoltura, i trasporti e la sanità. Più nello spe- cifi co, i risultati dell’indagine suggeriscono che ad aver lavorato da remoto du- rante i mesi di lockdown sono perlopiù operatori nel sett ore dei servizi, residenti in citt à, ben istruiti e con lavori da uffi cio.

Anche per i più piccoli la pandemia e le misure varate per il contenimento del virus hanno rappresentato un vero e proprio stravolgimento delle abitudini di vita quotidiane. Con la chiusura delle scuole e di ogni altro spazio educativo della comunità, oltre al passaggio, spesso improvvisato, alla didatt ica a distan- za (DAD), l’emergenza sanitaria – come rileva il rapporto di Save the Children [2020] dedicato all’analisi dell’impatt o che il coronavirus ha avuto sulla povertà educativa – ha portato ad un aumento della deprivazione culturale ed educativa dei bambini e degli adolescenti, specialmente tra coloro che vivono in nuclei fa- miliari svantaggiati. Infatt i, nonostante l’utilizzo della didatt ica a distanza e, più in generale, della tecnologia, abbia aiutato a bilanciare le ripercussioni negative derivanti dalla chiusura delle scuole, rimane il rischio concreto che “gli sforzi per

servizi. Si pensi, ad esempio, a tutt e quelle cooperative operanti nel sett ore del tessile che, singolarmente o sfrutt ando partenariati inediti o già esistenti, hanno iniziato a produrre mascherine o a quelle del sett ore ristorazione che si sono mobilitate per att ivare servizi di consegna pasti a domicilio.

Infi ne, diverse cooperative che svolgono att ività diurne, in gran parte sog- gett e a chiusura, hanno reagito rimodulando i propri servizi o implementandone di nuovi. Alcune hanno proposto att ività online, sfrutt ando quanto più possibile il web per continuare ad erogare servizi e stare vicini agli utenti, altre invece han- no realizzato nuovi prodott i multimediali, come video-tutorial di ricett e o lett ure di storie per bambini, con l’obiett ivo di continuare a coinvolgere gli utenti in un momento tanto complesso, oltre che migliorare l’effi cacia dei loro servizi. Altre ancora hanno intravisto nella pandemia una fi nestra di opportunità per svilup- pare nuove att ività, prima non previste, e raggiungere così nuovi utenti. Ne sono un esempio tutt e quelle organizzazioni che hanno att ivato servizi di formazione