Le imprese sociali in uno scenario post-Covid Giulia Tallarin
8.5 Le prospett ive e il ruolo delle imprese sociali in uno scenario post-pandemia
Il futuro delle imprese sociali e del terzo sett ore, così come del Paese nel suo complesso, appare quanto mai incerto. Ciò che invece risulta chiaro e incontro- vertibile agli occhi degli intervistati è che «avremo un incremento della povertà
e delle disuguaglianze», dal momento che «l’impatt o economico di questa emer- genza deve ancora dispiegarsi e mostrare tutt e le sue conseguenze negative».
Come constata un’intervistata, «questa situazione ha rivelato dei grandissimi
bisogni» e saranno proprio i soggett i più deboli, più svantaggiati e vulnerabili
a pagare lo scott o più pesante della crisi. Gli eff ett i pervasivi di questa hanno infatt i esacerbato le diseguaglianze socioeconomiche e territoriali preesistenti, mett endo a nudo le debolezze del nostro Paese, dell’impianto neoliberista e della supremazia del principio di concorrenza e, allo stesso tempo, evidenziando l’im- portanza, per riprendere le rifl essioni del già citato Stiglitz, dell’azione collett iva e della cooperazione [Mauro, 2020].
Di fronte a uno scenario tanto incerto, sono diversi gli intervistati che vedo- no nell’ondata solidale4 scatenata dall’emergenza sanitaria il “punto di partenza”
per la ripresa post-pandemica: la moltiplicazione delle iniziative di mobilitazione att iva della citt adinanza e delle donazioni, così come l’aumento dell’impegno vo- lontaristico a cui abbiamo assistito in questi ultimi mesi, rappresentano dunque gli elementi grazie ai quali, secondo i più, si potrà ridisegnare il futuro.
4 Si veda a tal proposito la mappatura delle risposte della fi lantropia al Covid-19 realizzata da Italia Non Profi t. htt ps://italianonprofi t.it/aiuti-coronavirus/
terzo settore, che hanno la stessa funzione, ovvero lavorare per il bene comune, per una società più equa, per realizzare quello che c’è scritto nella Costituzione».
Dunque, nonostante questi strumenti di amministrazione condivisa siano consi- derati validi dalla maggior parte degli intervistati, da più voci giunge l’osservazio- ne che «il cambiamento culturale deve accompagnare l’utilizzo dello strumen-
to, altrimenti si rischia di restare dove siamo e di non farne un buon uso». Con
lo scopo di facilitare questo “cambiamento culturale”, un intervistato propone come soluzione l’adozione di una norma nazionale nella quale, su esempio della sopracitata legge 65/2020, «si dica che se gli amministratori pubblici non fanno
co-progett azione e co-programmazione, devono spiegare perché non lo fanno, che dica che i rapporti tra terzo sett ore e Pubblica Amministrazione devono es- sere regolati in via prioritaria dal Codice del Terzo sett ore e, in via residuale e pre- via argomentazione, dal Codice degli appalti» poiché «gli amministratori pubbli- ci sono pigri, sfaticati, paurosi e vecchi. Di fronte a una cosa nuova, che chiede un po’ di studio e che magari anche solo lontanamente loro pensano che possa provocare qualche elemento minimo di rischio, c’è una possibilità concreta che venga poi tritata dalla macchina pubblica».
Di altrett anta importanza nell’opinione degli intervistati è il ripensamento in- terno al terzo sett ore, coincidente con l’acquisizione di maggiori e migliori compe- tenze. «Anche il terzo sett ore deve aggiornarsi e lavorare moltissimo sullo sviluppo
delle competenze e delle conoscenze per poter co-programmare», sostiene un’in-
tervistata facendo riferimento agli strumenti evidence-based necessari alla co-pro- grammazione, così come all’indispensabile capacità di raccolta dei dati (anche
open source), di analisi degli stessi e di programmazione. Dello stesso avviso sono
anche le seguenti aff ermazioni: «Dobbiamo capire che per presentarsi ai tavoli del-
la co-programmazione serve un’ott ica diversa da quella puramente contratt uale: al tavolo della co-programmazione non vai a presentare un tuo progett o, la tua idea, ma delle linee strategiche di sviluppo. Quindi serve anche da parte nostra acquisire maggiori competenze sulla capacità di raccolta dati, lett ura e interpretazione degli stessi in una chiave di previsione rispett o agli scenari futuri, perché la programma- zione si fa su questo e non ha a che fare con la co-progett azione, che viene dopo».
C’è anche chi auspica una forte presa di posizione da parte del terzo settore, accusato di cercare un alibi nella scarsa collaborazione della Pubblica Ammini- strazione: «Dobbiamo smett erla di dire che i Comuni non vogliono applicare l’art.
55. Adesso abbiamo degli strumenti che ci permett ono di poter istruire una Pubbli- ca Amministrazione sulla sua applicazione. Non solo, la stessa amministrazione pubblica ormai si sta dotando di strumenti che disciplinano l’applicazione della co-programmazione e della co-progett azione (come abbiamo visto per la Regione Toscana). Quindi oggi l’alibi del fatt o che gli enti pubblici territoriali, dalle Regioni ai Comuni, non vogliono applicare l’art. 55 perché preferiscono applicare il Codice
utilizzare le parole di un intervistato, «guardare ai prossimi anni, non ai prossimi
sei mesi» e fare scelte oculate, sopratt utt o per quanto riguarda la gestione del-
le risorse economiche provenienti dal Governo e dall’Europa. Le risorse, infatt i, come nota un intervistato, sembrano non mancare ma «l’auspicio è che a quel-
le risorse non corrispondano tanti progett i sconnessi, altrimenti rischieremo di avere tanti progett i ma senza una visione complessiva del nostro Paese».
In generale, quello che molti intervistati chiedono, ora più che mai, è la possibilità concreta di incidere sulle politiche del Paese e di essere rappresenta- ti nei tavoli decisionali più strategici. Sono infatt i diversi gli intervistati che sot- tolineano quanto la pandemia abbia signifi cato per gli operatori del sett ore una possibilità di mett ersi in gioco, di riscoprire il proprio valore, la propria capacità di fare la diff erenza per la comunità, ma sopratt utt o per prendere consapevolez- za dell’importanza degli sforzi da loro profusi per arginare le conseguenze più terribili dell’emergenza. Come aff erma un’intervistata, «un po’ di autoconsape-
volezza credo che sia la conquista di questo periodo», aggiungendo che «le or- ganizzazioni del terzo sett ore hanno capito che non bisogna dare spazio a chi ci vuole tratt are solo da ‘garzoni’, ma che abbiamo tutt e le carte in regola per far sentire la nostra voce e continuare a fare bene le nostre att ività e il lavoro che abbiamo sempre fatt o. Per questo meritiamo di essere ascoltati». Ed è proprio
questo moto di orgoglio originatosi e cresciuto in seno al sett ore che porta molti a rivendicare un ruolo politico decisivo e su tutt i i livelli: «Noi dobbiamo stare lì, ai
tavoli dove si programmano politiche e risorse – aff erma un’intervistata – perché abbiamo dimostrato di essere un elemento necessario e che non si può trascu- rare nella fase di rilancio di questo Paese e di costruzione di un Paese che voglia essere un pochino meno diseguale, più sostenibile e con meno diff erenze». Della
stessa opinione è anche un altro intervistato, il quale con fermezza ribadisce che il terzo sett ore deve «avere il coraggio di chiedere un protagonismo fi no in fondo
nella scritt ura delle leggi, delle politiche e delle sue applicazioni», svincolandosi
dal ruolo di mero esecutore degli ordini statali. «Non siamo contoterzisti della
Pubblica Amministrazione», att esta un altro, «abbiamo l’ambizione di essere at- tori nel panorama dei bisogni e delle decisioni politiche», confermando quanto i
soggett i operanti nel terzo sett ore siano consapevoli della loro capacità di esse- re att ori proatt ivi nella promozione di un rinnovato sistema di welfare e in grado di individuare autonomamente valide strategie per la ripartenza.
Per fare ciò, è necessario un radicale cambio di att eggiamento degli stessi enti di terzo sett ore e sopratt utt o delle componenti più impegnate nella gestione dei servizi come le imprese sociali. Come ben spiega un intervistato, «se nella
fase pandemica c’è stato un protagonismo silente [del terzo sett ore], oggi dob- biamo avere un protagonismo att ivo». Il ruolo, dunque, non può essere solo “ri-
paratorio”, “compensativo”, fi nalizzato a “mett ere pezze” laddove lo Stato non è in In questo senso, la pandemia ha rappresentato una fi nestra di opportunità, un
momento di sperimentazione inedito per gli enti di terzo sett ore e le imprese sociali, un’occasione rara per far emergere, ancora una volta, il loro valore. «Nel
momento in cui verrà superata la pandemia (e prima o poi la superiamo) – af-
ferma un intervistato – le persone torneranno a potersi incontrare e, di fronte a
bisogni crescenti, bisogni sociali, bisogni lavorativi, a una fi ducia sempre minore verso le istituzioni di mercato, saranno agite risposte collaborative. Poi queste risposte collaborative potranno trovare la forma di associazione, di ente di pro- mozione sociale, di impresa sociale, di cooperativa … questo dipende da quello che devi fare, però io credo che ci sarà un periodo di grande crescita di esperien- ze nuove, di realtà nuove».
Proprio a fronte di questo aumento della povertà e delle disuguaglian- ze, anche la rilevanza e il ruolo delle imprese sociali e del terzo sett ore nel suo complesso sono destinati a modifi carsi nell’immediato giacché, come aff erma un’intervistata, «avremo più bisogno che mai, proprio nei prossimi mesi, del terzo
sett ore». Quest’ultimo, dunque, «nella sua capacità di ascoltare e stare pancia a terra rispett o ai bisogni della comunità, di declinare in chiave di welfare territoria- le e di prossimità e non all’interno di una logica centralista i bisogni», avrà un ruo-
lo ancora più cruciale per le comunità di riferimento e il Paese nel suo complesso. Quella che le imprese sociali e il terzo sett ore dovranno aff rontare è quindi una sfi da unica, a cui potranno dare un contributo concreto essendo soggett i in grado di intercett are proprio quelle situazioni di fragilità, anche latenti e meno visibili, grazie al rapporto solido e basato sulla vicinanza ai citt adini e alla fi ducia di cui godono. Ora è necessario fare in modo che l’ondata solidale registrata nei mesi più duri della pandemia si consolidi, sfrutt ando quanto più possibile questa occasione di rigenerazione e capitalizzando «il nuovo set di competenze acquisi-
te dalle organizzazioni durante la prima fase dell’emergenza». È questa una sfi da
impegnativa, specialmente perché non c’è, almeno ad oggi, alcuna garanzia di un ritorno alla “normalità” così come l’abbiamo sperimentata fi no a prima della diff u- sione del virus. Ne consegue che i servizi, le iniziative e le nuove modalità operati- ve adott ate durante il periodo emergenziale, spesso pensate come “toppe” emer- genziali per poter continuare a prendersi cura dei propri utenti, dovranno entrare a far parte del loro modus operandi quotidiano. Ciò inevitabilmente comporterà un ripensamento profondo, una riorganizzazione strutt urale e un’opera di siste- matizzazione dei servizi che, senza abbandonare lo spirito creativo e la passione che li ha visti nascere, permett ano all’ente di portarli avanti anche in futuro.
Di certo, come constatato da molti intervistati, per uscire dalla crisi servirà una visione politica e operativa che non si focalizzi solo sui bisogni immediati del sett ore ma che riesca – con il dovuto coraggio – «a guardare oltre», stimolando la sua eff ett iva ripartenza e il suo sviluppo. In questa fase bisognerà dunque, per