Le imprese sociali in uno scenario post-Covid Giulia Tallarin
8.2 L’utilizzo della tecnologia come elemento strategico
La maggior parte delle strategie di resilienza messe in att o dalle imprese sociali e dagli enti di terzo sett ore durante la prima ondata pandemica ha previsto l’u- tilizzo, talvolta anche in maniera molto marcata, della tecnologia e della stru- mentazione digitale. Essa, secondo la maggioranza degli intervistati, «ha avuto
un ruolo centrale» per garantire l’operatività delle organizzazioni, poiché, come
racconta uno degli intervistati, «la possibilità di collegarsi, di interagire, ma an-
che di organizzare l’intervento tramite queste nuove strumentazioni ha favorito il collegamento con il mondo e con le persone a cui si voleva essere di supporto».
La tecnologia ha permesso a molte imprese sociali non solo «di andare avan-
ti», continuando ad essere presenti per la comunità e il territorio, ma anche di
riprogett are i propri servizi. «È stata la nostra salvezza», aff erma la responsabile di una nota cooperativa sociale, alle quali fanno eco le parole di un’altra inter- vistata, che osserva che senza la tecnologia «non saremmo riusciti a far nulla,
avremmo dovuto chiudere! [È stata fondamentale] sia per comunicare tra di noi, sia con gli utenti esterni, per informarli delle nostre iniziative».
L’utilizzo del digitale è visto dunque “a supporto dell’azione sociale” dal momento che, usando le parole del sociologo Ugo De Ambrogio, dirett ore dell’I- stituto per la Ricerca Sociale (IRS), permett e di “mantenere il con-tatt o senza tat- to”.1 Un esempio in questo senso è il caso della cooperativa sociale Pro.ges (#sto- ria99), la quale, sfrutt ando i benefi ci off erti dal digitale, è riuscita a mantenere il contatt o con i suoi quasi 10 mila utenti. Impegnata nel campo dei servizi alla per- sona in ambito educativo e sociosanitario, la cooperativa ha att ivato all’interno delle sue residenze sanitarie per anziani il “Portale Parenti”, uno spazio virtuale
a un divario crescente tra i bambini che potevano collegarsi e studiare tranquilla- mente e quelli che non hanno mai potuto». Come evidenzia un intervistato, i proble-
mi che impedivano agli studenti di usufruire a pieno della DAD erano i più disparati:
«alcuni non avevano i dispositivi, alcuni li avevano ma non avevano la linea, alcuni avevano tutt o ma non sapevano come usarli». Inoltre, «va notato che il problema non è solo di dotazione tecnologica, ma anche di spazio, di dove potersi mett ere fi sicamente a studiare». Di fronte all’elevato rischio di dispersione scolastica e con
la consapevolezza che «la tecnologia purtroppo non è alla portata di tutt i», sono diversi gli intervistati che hanno ribadito il loro impegno a favore di tutt i quei ragazzi che, a causa del gap tecnologico, «rischiano di rimanere molto indietro» e di avere
«dei vuoti, delle carenze incolmabili». «Il divario economico e sociale è ampio, ma se si aggiunge quello tecnologico andiamo ancora più indietro», evidenzia con ama-
rezza un intervistato: «se tecnologia deve essere, deve essere per tutt i».
La disparità in termini di digitalizzazione non si limita ai soli utenti ma in- veste anche il personale e i volontari delle imprese sociali e degli altri enti di terzo sett ore. Sebbene la maggior parte degli intervistati non lamenti particolari diffi coltà nell’utilizzo della tecnologia da parte del proprio personale, non manca chi sott olinea che, almeno inizialmente, «c’è stata molta resistenza» e che «mol-
ti dipendenti non erano aff att o pratici…». Altri invece, specialmente nelle aree
rurali del Paese, hanno rilevato problemi relativi alla qualità della connessione Internet, così come racconta la responsabile di una cooperativa in provincia di Bergamo: «Qui non abbiamo la fi bra – aff erma delusa – perciò riscontriamo sem-
pre dei problemi, ma il minimo siamo riusciti a farlo».
Lo smart-working, come osserva la presidente di una cooperativa sociale che ha implementato questa modalità di lavoro per la maggior parte dei suoi dipendenti, è stato molto apprezzato ma, in alcuni casi, ha creato «situazioni di
disagio», derivanti in realtà più dalle condizioni abitative che dalla tecnologia in
senso strett o. Lavorare da casa, inoltre, ha anche signifi cato, sopratt utt o per le donne, un aumento delle diffi coltà nel conciliare vita e lavoro: «Lo smart-working
non signifi ca riportare le donne nelle case e mentre fanno la minestra e allatt ano i fi gli, danno anche un’occhiata al vecchio – aff erma un’intervistata – però è que- sto quello a cui abbiamo assistito in questi mesi».
C’è poi un ultimo rischio, spesso indicato dagli intervistati come il pericolo più insidioso derivante dall’uso della tecnologia, specialmente quando essa viene utilizzata nel rapportarsi con gli utenti: la perdita di prossimità con i be- nefi ciari dei servizi. «Il rischio», come spiega un intervistato, «è quello di un uso
totalizzante dell’elemento della digitalizzazione», il quale può creare distanza
(emotiva, oltre che fi sica) e perdita di empatia da parte degli operatori. È questo un aspett o che è bene non ignorare considerando che la caratt eristica chiave (che è anche il punto di forza) delle modalità di intervento del terzo sett ore è La tecnologia non solo ha permesso di raggiungere nuovi utenti ma ha anche au-
mentato e, allo stesso tempo, migliorato il dialogo sia tra i benefi ciari dei servizi e il personale delle organizzazioni, che all’interno e tra le organizzazioni stesse.
«Paradossalmente – osserva un intervistato – c’è stata più possibilità di parlarsi di prima, perché prima ci si parlava solo quando ci si incontrava e incontrarsi non era sempre così semplice», sott olineando quanto gli strumenti digitali abbiano
reso possibile dialogare in maniera più immediata ed effi ciente. «Stiamo lavoran-
do con un gruppo di cooperative e ce lo diciamo sempre: non ci siamo mai visti e sentiti tanto da quando usiamo le piatt aforme digitali – racconta il presidente di un’impresa sociale – c’è uno scambio di esperienze più fitto di prima».
Infi ne, c’è chi ribadisce il benefi cio, in termini economici, di tempo e di im- patt o ecologico, derivanti dall’utilizzo della tecnologia: «È da ott o mesi che non
vado più a fare assemblee, incontri, direzioni, riunioni, ecc.», aff erma un’intervi-
stata, ribadendo quanto il passaggio alla modalità online sia stato un «grandis-
simo vantaggio che mi auguro rimanga, proprio in termini di costi e sostenibilità ambientale. Vedersi è un’altra cosa, spero che si possa tornare a fare, ma senza troppa intensità, che non è necessaria».
Tutt avia, a fronte delle sollecitazioni digitali sempre più pressanti a cui le im- prese sociali e gli enti di terzo sett ore sono sott oposti, non vanno sott ovalutati i ri- schi che l’introduzione delle innovazioni tecnologiche porta con sé.Accanto ai be- nefi ci, sono varie le preoccupazioni espresse dai partecipanti all’indagine, prima fra tutt e quella legata al divario nella dotazione di capitale digitale tra gli utenti, inteso sia in termini di competenze che di dotazione tecnologica di cui essi dispongono.
«Molti utenti e persone che raggiungiamo hanno diffi coltà ad utilizzare i mezzi tec- nologici», denuncia un intervistato, tanto è vero che sono molte le organizzazioni
che hanno dovuto investire risorse economiche e tempo per insegnare ai propri utenti ad usare anche gli strumenti tecnologici più basilari. Nel passaggio al digita- le, «alcune persone, sopratt utt o quelle con meno strumenti e con maggiori fragilità,
sono rimaste escluse» e ciò – a dett a di molti intervistati – rende necessaria «un’al- fabetizzazione digitale diff usa per non lasciare indietro nessuno».
Il digital divide tra gli utenti ha rappresentato dunque uno dei principali pro- blemi a cui le organizzazioni di terzo sett ore hanno dovuto far fronte, specialmente quelle operanti nel sett ore educativo, dal momento che il passaggio al digitale, in quest’ambito, è spesso avvenuto in maniera frett olosa e inadeguata. Con la chiu- sura degli istituti scolastici, così come delle biblioteche e di tutt i quegli spazi nei quali, prima dell’emergenza sanitaria, venivano messi a disposizione connessioni Internet e strumenti tecnologici per chi non li possedeva, sono molti i bambini e i giovani che hanno dovuto fare i conti con la mancanza di accesso all’infrastrutt ura informatica. La didatt ica a distanza (DAD) è stata infatt i defi nita come un «podero-
imprese for profi t a raff orzare le reti già in essere e a darne vita a nuove aventi scopi e obiett ivi specifi ci.
Durante l’emergenza sanitaria, la presenza di questi partenariati ha avuto un ruolo di particolare rilievo sopratt utt o nel garantire che nessuno venisse lasciato solo. Infatt i, lo sforzo coordinato tra gli enti non solo ha spesso permesso alle co- munità di avere accesso a maggiori e migliori servizi ma ha anche facilitato e reso più effi ciente il processo di individuazione di nuovi soggett i in stato di bisogno.
Una delle conseguenze più evidenti dello scoppio della pandemia è stata quella di aver fatt o ulteriormente “scivolare” la classe media verso situazioni di povertà, candidandola di fatt o (e in modo inatt eso e repentino) a nuovo target degli enti di terzo sett ore. Tutt avia, intercett are queste persone non è per nulla semplice, in quanto gli indicatori tradizionalmente utilizzati per l’individuazione di soggett i a rischio povertà non sono risultati, in questa specifi ca situazione, adeguati. Primo fra tutt i l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalen- te) che, essendo riferito all’anno precedente, non è in grado di cogliere lo “sci- volamento” del 2020. Allo stesso tempo, la necessità di limitare il contatt o tra le persone e l’obbligo di non lasciare la propria abitazione durante il lockdown, ha ampiamente ridott o la possibilità per gli utenti di entrare in contatt o con i servizi sociali, diminuendo le opportunità di venire a conoscenza di azioni e percorsi di possibile interesse. A tutt o ciò si aggiunge un ulteriore elemento: la classe media è più reticente a chiedere aiuto e rischia, pertanto, di rimanere isolata in una con- dizione di estremo disagio. Lo testimoniano le parole del presidente di un’impresa sociale meridionale: «Le emergenze aumenteranno – commenta riferendosi al pe- riodo post pandemico – Sopratt utt o nel ceto medio, è cresciuto il bisogno di avere
dei punti di riferimento. […] Mi riferisco a una classe media fatt a di artigiani, ma anche di persone che lavoravano in nero e che adesso hanno diffi coltà a portare il cibo in tavola. Sono tutt i soggett i che si vergognano, perché è gente orgogliosa del proprio lavoro, anche del lavoro in nero. Questa utenza sta avendo molti pro- blemi, anche a pagare le bollett e. Questi soggett i avrebbero bisogno di sostegno dal punto di vista sia relazionale e psicologico che economico».
8.3.1 Le reti con gli enti di terzo sett ore
Per ridurre la drammaticità della situazione, oltre che arginare il disagio derivan- te dall’emergenza sanitaria, alcune imprese sociali ed enti del terzo sett ore han- no investito moltissime risorse ed energie nel raff orzamento di reti preesistenti e nella creazione di nuove. A dett a di alcuni, si tratt a di una «capacità di auto-or-
ganizzarsi insita nel DNA degli enti del terzo sett ore». Tutt avia, alla maggior parte
degli intervistati appare evidente quanto sia stata proprio la crisi generata dalla proprio la prossimità, ossia «la capacità di instaurare relazioni umane» che la
tecnologia rischia di far venir meno. Tale prossimità è defi nita da un intervistato come «un presidio che non è possibile abbandonare, pena la perdita di una di-
mensione fondamentale». «Nella nostra att ività il rapporto umano è basilare e non si può esulare da questo», conferma un altro intervistato, al quale fa eco un
altro, puntualizzando che quelli tecnologici «sono strumenti utili nel rapporto tra
colleghi, ma non nell’erogazione del servizio» dal momento che il lavoro di molte
imprese sociali «si basa sulla relazione ed è fondamentale che si possa agire di
persona». Non manca dunque chi ritiene che questa modalità di comunicazione
ed erogazione dei servizi debba essere temporanea, un «surrogato» del rapporto in presenza che si intende abbandonare una volta superato il periodo emergen- ziale. «Le visite di persona servono, perché non sempre la tecnologia può sosti-
tuirsi al rapporto umano», riporta un intervistato. «In condizioni più tranquille vorremmo tornare a incontrare i volti e non gli schermi», aggiunge un altro.
La sfi da insita nell’utilizzo delle tecnologie è dunque quella di far rimanere la persona al centro della relazione, sia che essa si instauri nel mondo reale che virtuale. Tutt avia, nonostante i rischi connessi al suo utilizzo, la maggior parte dei rispondenti è concorde nell’aff ermare che la digitalizzazione sia un tema di fondamentale interesse che necessita di trovare il giusto spazio anche nel terzo sett ore. La presa di coscienza della sua importanza è testimoniata dai molti in- tervistati che aff ermano di voler investire per migliorare l’infrastrutt ura informa- tica delle proprie organizzazioni. L’obiett ivo di potenziare la digitalizzazione era spesso contemplato anche nei “progett i pre-Covid”, ma la crisi sanitaria ha per molti rappresentato una “spinta” per iniziare a implementare o portare a termine tali investimenti. «La pandemia ci ha costrett i a fare dei passi avanti», aff erma il presidente di un’associazione di promozione sociale, ricordando che «ci sono
aspett i positivi anche nelle situazioni problematiche». L’emergenza sanitaria ha
dunque funto da booster per il cambiamento digitale, convincendo i più della sua effi cacia ed effi cienza anche per il futuro. «Come organizzazione interna
continueremo ad usare gli strumenti tecnologici», aff erma il presidente di una
cooperativa sociale. «Il fatt o di poter fare delle riunioni senza spostarsi è qualco-
sa a cui non vorremmo rinunciare», aggiunge un’altra intervistata.
8.3 La creazione di reti e partenariati
Un elemento positivo innescato dalla crisi è da ricercarsi nella tendenza, da par- te delle imprese sociali ma non solo, di creare e/o raff orzare rapporti e relazioni. In altre parole, la drammaticità della situazione ha spinto non solo le imprese sociali e gli enti del terzo sett ore, ma anche le pubbliche amministrazioni e le
farmacie e negozi alimentari. Inoltre, sempre durante la prima ondata pandemi- ca, Gruppo In ha reso disponibili quindici appartamenti di housing sociale per le persone impegnate in prima linea nella lott a contro il coronavirus e per chi ne avesse più bisogno.
Con particolare riferimento alle cooperative e alle imprese sociali, sott oli- nea un intervistato: «Osserviamo questo da molto tempo, lo abbiamo osservato
anche in altri momenti di crisi, ma mai come oggi è necessario che molte coo- perative sociali che hanno fatt urati che stanno sott o il milione di euro faccia- no una rifl essione seria sulla creazione di nuove forme di alleanza. […] In questo momento abbiamo bisogno di una strategia di ‘avvicinamento delle imprese so- ciali’ che sopratt utt o su certi territori operano su sett ori simili. […] Non necessa- riamente la fusione, perché il nostro assett o normativo ci consente di utilizzare diversi strumenti: dal contratt o di rete alle forme consortili, agli istituti parite- tici». A confermare ciò sono anche le parole di un’altra intervistata, che insiste
sul tema della dimensione come elemento determinante per il successo delle imprese sociali, sott olineando dunque la necessità di «creare imprese un po’ più
grandi, le quali sicuramente garantiscono anche una solidità maggiore rispett o alla micro impresa che invece corre più il rischio – pur mantenendo nobilissimi valori e un grande rapporto con la comunità di riferimento – di essere molto più fragile in queste emergenze».
La tendenza a fare rete, inoltre, risulta connessa al perseguimento di una migliore performance, come si evince dalla seguente aff ermazione: «Dal punto
di vista dell’impatt o, io resto convinta che oggi ogni strategia di intervento è tan- to più effi cace quanto più costruisce partenariati e cioè quando il soggett o non pensa di essere autosuffi ciente nell’approccio al bisogno del territorio».
Nella creazione delle reti, un ruolo fondamentale è stato giocato dalle or- ganizzazioni di secondo livello, alle quali i singoli enti fanno riferimento per inter- cett are le buone pratiche, per ricercare i giusti partner, per defi nire i benchmark di qualità, così come per facilitare l’apprendimento reciproco tra pari o per far semplicemente circolare le informazioni. Per tale ragione, aff erma un’intervista- ta, «le organizzazioni di secondo livello e i corpi intermedi hanno un enorme po-
tenziale, oggi forse più che mai». Ciò è inoltre confermato dalle esperienze degli
intervistati: «Noi facciamo parte di un’associazione di rappresentanza territo-
riale delle R.S.A. – spiega un responsabile – In questo periodo c’è stato un gran lavoro comune per aiutarsi reciprocamente. È stato un modo molto settoriale, perché avevamo tutti gli stessi problemi e abbiamo provato a darci una mano».
O ancora, come viene raccontato dal presidente di una cooperativa sociale sici- liana: «Abbiamo raff orzato delle partnership, ad esempio con Confcooperative e
con un’altra rete nazionale di cooperative sociali. Paradossalmente c’è stata più possibilità di parlarsi di prima».
pandemia uno degli stimoli più forti per l’implementazione della collaborazione tra gli enti. Ciò emerge anche dall’analisi delle storie di resilienza, come mostrato dall’esperienza delle cooperative sociali Riesco (Ristorazione E Solidarietà Coo- perativa) e Sobon (#storia103) le quali, durante l’emergenza Covid, hanno ideato una spesa alimentare sostenibile e online, la “BoxBon”, contenente frutt a, ver- dura, piatt i pronti e da forno, bevande e ricett e, il tutt o prodott o anche grazie al lavoro di soggett i disabili.
Quanto l’emergenza sanitaria abbia favorito la creazione di reti è di- mostrata anche dalle parole di un’intervistata, presidente di un’associazione sett entrionale: «Questa situazione a una cosa è servita: abbiamo lavorato in
rete». E la conferma arriva anche dalla dirigenza di una fondazione del Sud: «Si può dire che questo sia stato il lato positivo di questo lockdown – commenta
la presidente – Non solo siamo stati in rete con molte realtà, ma ne abbiamo
conosciute di nuove, anche molto lontane da noi. Abbiamo fatt o nascere una rete di infrastrutt ure che si reggono da sole, che hanno mostrato di saper ge- nerare cambiamento, di saper usare tutt e le risorse e di saper mett ere in piedi quel movimento che – ad esempio nel nostro caso – tiene insieme educazione, lavoro, economia». La ragione principale di una simile tendenza viene imputata,
dagli intervistati, alla possibilità off erta dalla pandemia di «avere più tempo per
concentrarsi, essendo meno concitati dalla gestione e dalla dispersione della gestione delle cose», determinando quindi la possibilità di «riuscire a rifl ett ere su scelte strategiche».
Il fare rete, già da molti considerato un elemento fondante dell’azione del- le imprese sociali – si pensi all’esperienza dei consorzi territoriali tra cooperative sociali – è stato dunque percepito come una necessità, fatt asi ancora più pre- gnante ed evidente a causa dell’emergenza sanitaria. A tal proposito, un inter- vistato sostiene che «oggi come oggi, il rimanere piccoli e soli all’interno di un
territorio, non stare all’interno di un sistema più ampio e integrato, rischia di far morire moltissime realtà». È il caso di Gruppo In (#storia60), una rete nata dall’in- contro tra quatt ro cooperative sociali della provincia di Bergamo: la cooperativa di inserimento lavorativo Contatt o, le due cooperative sociali di tipo A La Bonne
Semence e Alp Life e, infi ne, la cooperativa a oggett o plurimo Progett Azione. Il
Gruppo nasce con l’intento di sviluppare e implementare soluzioni innovative per rispondere ai bisogni della popolazione sui temi della riabilitazione, della cura dell’assistenza, della formazione, del lavoro e della casa, integrando le att ivi- tà delle cooperative che lo compongono ma, allo stesso tempo, mantenendone e valorizzandone le specifi cità e specializzazioni. Durante l’emergenza sanitaria gli sforzi coordinati delle quatt ro cooperative hanno generato notevoli benefi ci