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Giure penale e magistero di polizia

Nel documento Dipartimento di Giurisprudenza (pagine 31-34)

4. Il doppio livello di legalità

4.1 Giure penale e magistero di polizia

Il rapporto tra diritto penale e istituti preventivi, nel pensiero classico67, appare improntato ad una netta diversificazione degli ambiti di pertinenza.

Così si attribuisce al giure penale (o magistero punitivo) ciò che riguarda l’amministrazione della giustizia, ossia il regno del codice, dei rigidi principi di legalità, proporzione, tassatività e materialità e della tutela dei diritti.

64 In questi termini FILIPPETTA G., Liberalismo e governamentalità: garantismo penale e prevenzione di polizia in Francesco Carrara, cit., 10.

65 Ancora cfr. FILIPPETTA G., Liberalismo e governamentalità: garantismo penale e prevenzione di polizia in Francesco Carrara, cit., 10.

66 PIFFERI M. Reinventing Punishment. A Comparative History of Criminology and Penology in the Nineteenth and Twentieth Centuries, cit., 200-205.

67 Di cui il più autorevole esponente è Francesco Carrara (1805-1888) il cui pensiero, anche in tema di demarcazione tra magistero punitivo e preventivo, è ampiamente ripreso nelle successive elaborazioni in tema svolte dagli storici e dalla penalistica moderna. In particolare, sui temi qui di interesse, si segnala ancora CARRARA F. Programma del corso di diritto criminale. Parte Generale, cit., 7-43

Si devolve, invece, al magistero di polizia l’applicazione delle misure e delle pratiche preventive: tale funzione si legittima su di un principio di utilità (pubblica) e, dunque, “non sempre coordina i suoi atti con la rigorosa giustizia”.68

Si tratta, in questa prospettiva, di mondi separati ed informati a logiche differenziate, con solo taluni punti di contatto inclusivi.69

La ratio sottesa ad una simile ripartizione è quella di far convivere il portato astratto, assoluto ed egualitario dei diritti individuali, che informa la giurisdizione ordinaria in materia penale, e che ha come fine l’affermazione della giustizia (anche contro gli abusi dell’autorità), con le logiche di difesa sociale, di utilità, controllo e disciplinamento dei singoli, che devono, invece, trovare “sfogo” nel magistero di polizia, nell’arte del buon governo, il cui esercizio è funzionale alla prosperità dello Stato ed al perfezionamento morale dei cittadini.70 La prevenzione, dunque, non concerne il diritto penale ma, piuttosto, spetta al diritto economico “quando questi si

ravvisi non come un mero fattore di ricchezza, ma come una fattore di civiltà”.71 La essenziale diversità tra le due funzioni poggia, oltre che nel diverso principio che le legittima, anche nei fatti cui si rivolgono: il magistero punitivo deve occuparsi dei delitti ed essere, in sintesi, il guardiano della giustizia; quello preventivo, invece, ha per oggetto comportamenti anormali, trasgressioni72, anche moralmente riprovevoli o assunti con intenzione malvagia, ma che, nondimeno, non si siano risolti –ancora– in un reato (bastando, peraltro, l’opposizione del singolo

68 Cfr. CARRARA F. Programma del corso di diritto criminale. Parte Generale, cit., 31. Più ampiamente l’autore osserva «Il magistero di polizia non procede che da un principio di utilità: la sua legittimità è tutta in questo; non attende un fatto malvagio per agire; non sempre coordina i suoi atti alla rigorosa giustizia: e così avviene che ad esso consentendosi di agire per via di modica coercizione, egli realmente possa divenire modificato della umana liberti: lo che si tollera per la veduta di maggior bene».

69 Tali funzioni sono considerate come «due forze riunite nella stessa mano dall’autorità sociale», che «si porgono a vicenda la mano per l’ultimo fine dell’ordine», ma che devono rimanere «essenzialmente distinte». Cfr. CARRARA F. Programma del corso di diritto criminale. Parte Generale, cit., 24-25.

70 FILIPPETTA G., Liberalismo e governamentalità: garantismo penale e prevenzione di polizia in Francesco Carrara, cit., 17.

71 Cfr. CARRARA F. Programma del corso di diritto criminale. Parte Generale, cit., 30. Si tratta di teorica che si rivela, ancora oggi, di attualità con riferimento alla legittimazione della prevenzione patrimoniale e di altre forme di controllo economico di matrice amministrativa.

72 Per un’analisi approfondita del rapporto tra legalità delitti e trasgressioni, sino alla rottura del paradigma legalitario formale con l’esperienza fascista, v. PIFFERI M. Difendere i confini, superare le frontiere. Le ‘zone grigie’ della legalità penale tra otto e novecento, cit. 743-763 778-798.

all’opera di disciplinamento statale per legittimarne un controllo serrato e proattivo).73 I “magisteri” si differenziano, ancora, in ordine agli strumenti impiegati: se la pena inflitta dal Giudice è lo strumento per eccellenza della repressione, per la prevenzione si parla, invece, di modica coercizione, di sospensione momentanea dall’esercizio di

un diritto (o anche di un suo temporaneo spoglio), laddove si dimostri necessario per

la sicurezza pubblica e sulla base di una valutazione di opportunità del Governo.74 La separazione di tali funzioni è avvertita come necessaria, non solo per motivi formali. La sovrapposizione delle logiche di uno sull’altro ha, infatti, effetti negativi sotto un duplice profilo.75 Laddove siano le logiche preventive a invadere il campo penale si avrà un aumento dell’arbitrio a discapito della giustizia: quindi è il

garantismo a vietare l’ingresso del sospetto, dell’anormalità, dell’opportunità politica,

nel magistero punitivo (e anche su questo rischio dovrà vegliare la scienza giuridica). Dove, invece, siano le logiche (e le cautele) della repressione a surrogarsi a quelle della prevenzione, renderebbero quest’ultima inefficace e inutile: la separazione viene, qui, giustificata per le ragioni opposte, ossia in chiave di difesa sociale.76

Repressione e prevenzione, in questo schema, hanno però alcuni rilevanti punti di contatto: i principi penalistici più volte richiamati rimangono, infatti, quali termini dialettici –anche– della materia preventiva, pur con grado e vincolatività diversa.77

E così il principio di legalità fa sì che la legge debba, il più possibile, scolpire i presupposti di applicazione delle misure attorno a fatti verificabili, se non nella loro stretta colpevolezza, quantomeno sotto i profili di pericolosità e necessità (utilità) dell’intervento preventivo.78

73 Cfr. FILIPPETTA G., Liberalismo e governamentalità: garantismo penale e prevenzione di polizia in Francesco Carrara, cit., 16-17. Sulle logiche di costruzione del reticolo preventivo disegnato nell’Ottocento anche v. LACCHÉ L., La paura delle «classi pericolose». Ritorno al futuro? cit., 159 ss.

74 Cfr. FILIPPETTA G., Liberalismo e governamentalità: garantismo penale e prevenzione di polizia in Francesco Carrara, cit., 18. L’autore citato evidenzia come la distinzione in base ai “conseguenti” delle misure non sia un criterio univoco, del quale lo stesso Carrara sembrava diffidare. Carrara, tuttavia, nel criticare il domicilio, distingue sospensione momentanea (di un diritto) da privazione (più o meno lunga) svelando una certa fragilità della distinzione incentrata sui “conseguenti”, v. op. cit. 18-19.

75 Cfr. CARRARA F. Programma del corso di diritto criminale. Parte Generale, cit., 30-36

76 In questo senso, cfr. FILIPPETTA G., Liberalismo e governamentalità: garantismo penale e prevenzione di polizia in Francesco Carrara, cit., 18.

77 In questo senso cfr. LACCHÉ L., Uno sguardo fugace. Le misure di prevenzione in Italia, cit., 429.

Ciò porta ad invocare una migliore individuazione legislativa dei confini della nozione di pericolosità, così come a diffidare della pochezza dei contenuti risocializzanti delle misure, votate più spesso ad affliggere, specie laddove un procedimento penale non vi era riuscito, e con l’effetto di impigliare il destinatario in una rete che lo avvicinava più al sistema repressivo che alla normalità sociale.79

Al maggior grado di incisione che assumono le misure corrisponde l’acuirsi della problematica su quale debba essere il giusto procedimento che ne governi l’applicazione, e con quali garanzie.80

La dialettica –spesso patologica– tra le prerogative dell’amministrazione e i principi della giurisdizione attraversa, infatti, l’intera esistenza degli istituti preventivi e li caratterizza ancora ai giorni nostri.

Il potenziamento delle garanzie processuali e il recupero di una più radicata giurisdizione nell’applicazione delle misure costituiscono, storicamente, la “cura” più spesso somministrata per porre rimedio alle crisi di “legittimità” del sistema, lasciando, come già detto, aperta la questione sostanziale della loro cittadinanza nell’ordinamento.81 A tendenziale conferma della non componibilità della questione sostanziale attraverso un investimento solo “processuale” si consideri come, ancora oggi, sia dato osservare un procedimento di prevenzione assai più giurisdizionalizzato, in progressiva approssimazione al paradigma accusatorio; tuttavia, la materia preventiva rimane nondimeno aspramente avversata sotto il profilo sostanziale, dalla logica del sospetto che ancora la influenza, alle critiche sulla natura di “pena mascherata” (v. infra c. II).

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