L’esperienza delle misure di prevenzione in epoca liberale, e poi durante la fase totalitaria, ha messo a nudo anche alcune persistenti debolezze del sistema in questione. Qui vuole solo evidenziarsi, per il momento, come, nel periodo storico esaminato, si consolidino alcune aree di critica destinate, poi, a contrassegnare intimamente il sistema di prevenzione ben oltre l’avvento della Costituzione, sino a rifluire, anche, nel più recente dibattito sulle misure di prevenzione patrimoniali. Tratto comune di tali criticità pare il loro essere, a bene vedere, tutte riconducibili, pur con grado e intensità differenti, ad emanazioni (conseguenze) –problematiche– del doppio livello di legalità prima brevemente delineato, e di cui costituiscono un’innegabile “lato oscuro”.
(I) In quest’ottica può inquadrarsi, ad esempio, la –cronica– mancanza di tassatività nella predisposizione delle fattispecie di pericolosità, che, invero, appaiono “geneticamente” più sfumate proprio in considerazione del diverso fenomeno che vorrebbero cogliere, appunto la pericolosità e non più il reato.95
Tuttavia, nonostante la pericolosità sociale sia stata oggetto, a cavallo tra Otto e Novecento, di ampi studi, dibattiti e tentativi di positivizzazione della propria nozione, tratto comune della normazione di prevenzione rimane, comunque, quello della estrema genericità e vaghezza delle sue proposizioni e, dunque, di un’imprecisione tale da non consentire un adeguato controllo della loro applicazione (e quindi, anche, di difendersi contro eventuali utilizzi abusivi).96
Il marcato deficit di tassatività delle fattispecie costituisce, invero, una (prima) criticità “storica” del sistema, che appare riflessa, ancora oggi, nell’acceso dibattito attorno alla tenuta problematica della formulazione –soprattutto– delle attuali categorie di pericolosità generica.97
95 Sul punto anche v. PIFFERI M., Reinventing Punishment., cit., 134, 200-201, 229-230.
96 Per una critica al grado di arbitrio conseguente all’ampio ricorso a formulazioni vaghe, imperniate sulla logica del sospetto, v. LUCCHINI L. Sull’ammonizione e sul domicilio coatto secondo la vigente legislazione italiana, cit. 137-142.
97 In relazione alle quali, come già anticipato, è da segnalare la dichiarazione di illegittimità convenzionale della normativa italiana per difetto dei requisiti di chiarezza, precisione e prevedibilità, con la sent. Corte EDU, De Tommaso c. Italia, 23 febbraio 2017; ad essa seguirà, poi, la dichiarazione di incostituzionalità della fattispecie di cui all’art. 1 lettera (a) del d.lgs. 159/2011 da parte della Corte Costituzionale (Sent. 24/19) nel febbraio 2019 (v. infra cap. II).
(II) Con tale problematica si intreccia, anche, quella della più “snella” grammatica probatoria della prevenzione, tematica a sua volta legata, storicamente, alla rilevanza del sospetto in materia preventiva, ora quale criterio per delineare le fattispecie di pericolosità, ora quale standard di inclusione nelle medesime.
Il superamento di queste logiche si rivelerà, invero, operazione difficile, destinata, anch’essa, a caratterizzare le misure ben oltre il dopoguerra e a permanere, ancora oggi, in parte irrisolta nella sostanza.
In quest’ottica, come si vedrà, sono da leggersi i plurimi interventi (prima giurisprudenziali, poi anche normativi) susseguitisi dopo la Costituzione, e con l’intento di rendere la giurisdizione preventiva un accertamento fondato sugli elementi
di fatto, ripudiando quindi, almeno formalmente, il sospetto.
Nella sostanza, tuttavia, sospetti e logiche d’autore riaffiorano ancora oggi in alcune impostazioni applicative, anche se in maniera sotterranea e spesso in sinergia con la irragionevolezza di alcuni dei –numerosi– meccanismi presuntivi che contraddistinguono il sistema preventivo (soprattutto la sua dimensione patrimoniale, si pensi alla presunzione di illecita accumulazione, o a quella di interposizione fittizia). (III) Alle questioni di cui sopra, con altrettanta longevità storica, devono affiancarsi anche quelle in punto di natura e finalità delle misure di prevenzione, cui sono strettamente collegate, a loro volta, anche le criticità in punto di proporzione –tra ingerenza preventiva e limitazione dei diritti individuali– e rispetto del criterio di stretta necessità nell’impiego di questi strumenti. Trattasi di tematiche problematiche, tra loro intersecate, condizionate, e che riposano sulla percezione di alcune pratiche di aggiramento del principio di stretta legalità: così si guarda al grado afflittivo della misura per contestare l’inflizione di una “pena” mascherata in un provvedimento preventivo; si guarda alla sua inefficienza, e inidoneità concreta a risocializzare e stemperare (prospetticamente, in un ottica di futuro reinserimento) la pericolosità per affermare come le misure, anziché ante delictum, siano, in realtà, rivolte a sanzionare comportamenti passati, sfuggiti alla “farraginosa” giustizia penale, e che siano quindi provvedimenti solo strumentalmente assunti (e motivati) per prevenire un qualche crimine “futuro” di cui si tema, realmente (obiettivamente), la consumazione.
(IV) A ciò si aggiunga, con riguardo al legame tra pericolosità e misura preventiva, che, se la gravità e rilevanza del reato può essere valutata e più facilmente apprezzata dal giudice ai fini del sindacato di proporzionalità, la pericolosità sociale appare, invece, una condizione (già di per sé sfuggente) più difficilmente graduabile. Anche laddove viene valutata nel codice penale, ai fini dell’applicazione delle misure di sicurezza, la pericolosità sociale mantiene, comunque, un legame con un reato o un caso tassativo di quasi reato (accertati con rigore e standard probatorio penale), che, invece, nella prevenzione ante delictum appare –per definizione– mancare.
(V) Accanto alle criticità sostanziali sono da annoverarsi, tra le questioni storicamente problematiche del sistema preventivo, anche quelle derivanti dalla costruzione di un “giusto” procedimento di prevenzione. Dall’incontro-scontro tra le prerogative di una efficiente amministrazione e quelle di una giurisdizione quanto più possibile piena, alle forme e modalità di istruzione del procedimento preventivo, alla concreta difesa del prevenuto in ogni sua fase, alla regolazione del rapporto tra procedimento di prevenzione e procedimento penale, si tratta anche in questo caso di criticità tutte storicamente tracciabili e che affondano le radici nei periodi esaminati. Questioni ancora oggi in parte irrisolte, ma che, nondimeno, hanno catalizzato, più spesso di quelle sostanziali, la maggior parte degli interventi normativi e giurisprudenziali in materia di prevenzione.
Le aree problematiche appena brevemente sorvolate costituiscono il nucleo “duro” di critica al sistema di prevenzione. Esse, nelle forme e nell’intensità con cui ancora rilevano oggi nel dibattito, impattano tanto sulle misure personali quanto su quelle patrimoniali che, infatti, si riferiscono alle medesime fattispecie di pericolosità e si applicano in seno ad un procedimento identico, dinanzi alla stessa autorità. Le misure di prevenzione patrimoniali, come ampiamente si vedrà in seguito, a questo quadro problematico aggiungono elementi ulteriormente destabilizzanti, quando non addirittura rivoluzionari, come, ad esempio, l’abbandono del requisito dell’attualità della pericolosità che, dunque, legittima un intervento, anche, su situazioni “esaurite” ma di cui si vuole, lo stesso, regolare l’assetto delle presunte derivazioni patrimoniali.