CAPITOLO 2: LO SVILUPPO DEL SISTEMA PREVENTIVO DOPO (E
2. I primi interventi della Corte Costituzionale
2.1 La sentenza n. 2/1956 e l’ordinato vivere civile
La prima sentenza della Corte in argomento si deve alle plurime eccezioni sollevate in riferimento al conflitto tra la disciplina del rimpatrio, con foglio di via obbligatorio o per traduzione, contenuta all’art. 157 TULPS, e le nuove disposizioni costituzionali in tema di libertà personale (art. 13 Cost.) e di circolazione (art. 16 Cost.) dei cittadini.128
La norma in questione era rivolta a coloro che, fuori dal proprio comune di residenza, destano sospetti con la propria condotta e non vogliono dare contezza di sé esibendo la carta di identità o un altro documento valido di riconoscimento (co. 1), platea cui devono aggiungersi anche (co. 2) i soggetti pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica o la pubblica moralità.
127 Basti pensare, ad esempio, alla funzione “tipizzante”, svolta dalla giurisprudenza di legittimità in materia di presupposti applicativi, cui ancora si riferisce la Corte Costituzionale nella sentenza 24/2019 (dove affrontava le questioni sollevate a seguito della pronuncia CEDU De Tommaso c. Italia, 2018), e dove viene dato atto del progressivo riempimento dei contenuti delle fattispecie di pericolosità da parte della giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni. In argomento, v. A.M.MAUGERI-P.PINTO DE
ALBUQUERQUE, La confisca di prevenzione nella tutela costituzionale multilivello: tra istanze di tassatività e ragionevolezza, se ne afferma la natura ripristinatoria (C.COST 24/2019), in Sistemapenale.it, 24 novembre 2019, 2-82.
128 Corte Cost. Sent. n. 2, 14 giugno 1956, dep. 23 giugno 1956, con cui viene dichiarata l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 157 TULPS nella parte relativa al rimpatrio obbligatorio o per traduzione di persone sospette, nonché dei commi secondo e terzo dello stesso articolo nelle parti relative al rimpatrio per traduzione, salvando l’ulteriore disciplina della materia (e rimandando al parlamento per provvedere alle incompletezze legislative derivanti dalla dichiarazione di illegittimità).
Tutti questi soggetti (quelli che destano sospetti, e le persone “pericolose” per l’ordine, la sicurezza o la pubblica moralità) sono tratti davanti all’autorità di p.s. la quale, ove trovi fondati i sospetti, può provvedere al rimpatrio nel luogo di residenza mediante foglio di via, o anche per traduzione (se le circostanze lo richiedono), nonché diffidare i destinatari dal fare ritorno -senza darne previo avviso alla medesima autorità- nel comune dal quale sono stati allontanati (divieto la cui violazione comporta l’arresto da uno a sei mesi, cui poi seguirà un nuovo rimpatrio).
La Corte si trova dunque ad affrontare il tema della compatibilità costituzionale di provvedimenti limitativi della libertà personale e/o di circolazione assunti dall’autorità di pubblica sicurezza ed il cui standard probatorio, peraltro dichiarato, è quello del sospetto. La questione è, sin dalle prime righe, incentrata proprio sulla portata delle previsioni costituzionali in materia, che dovrebbero “contenere” e regolamentare l’esercizio dei poteri preventivi di polizia (sul cui fondamento, tuttavia, la Corte riserverà solo un passaggio molto breve).
Pur premettendo come l’art. 13 Cost. non costituisca una garanzia indiscriminata e illimitata di condotta per il cittadino (e ne siano infatti disciplinate, sempre in Costituzione, diverse “situazioni e limiti”) la Corte nega che l’autorità di p.s. possa effettuare il rimpatrio per traduzione, restrizione che impatta tangibilmente sulla libertà personale e per la quale è invece innanzitutto necessaria una decisione dell’autorità giudiziaria.129
Sarà legittimo eseguire il rimpatrio per traduzione, dunque, solo nel caso esso consegua alla violazione, penalmente presidiata, della disciplina del foglio di via, o della diffida a fare ritorno nel comune di allontanamento senza previo avviso, in quanto in questi casi è l’autorità giudiziaria a disporlo all’esito del procedimento penale incardinato per tali fatti. In tutti gli altri casi, invece, l’autorità di p.s. dovrà limitarsi alla consegna del foglio di via obbligatorio.
Quest’ultima procedura, sempre secondo la Corte, è invece astrattamente compatibile con l’art. 16 Cost., ed in particolare rientrerebbe nelle “limitazioni (alla
129 Come avviene nel caso del rimpatrio disposto a seguito di sentenza di condanna. L’ipotesi è peraltro presa espressamente in considerazione dallo stesso art. 157 ultimo comma (rimpatrio, anche per traduzione, conseguente alla contravvenzione ivi inserita), e dall’art. 163 co. 3 TULPS in tema di rimpatrio, anche per traduzione, delle persone che non si sono attenute al foglio di via (anche in questo caso il rimpatrio seguirà la pena irrogata per la violazione).
libertà di circolazione dei cittadini, ndr) che la legge stabilisce in via generale per
motivi si sanità o di sicurezza”.
Tuttavia vengono rilevati due ulteriori profili di illegittimità che, in concreto, rendono la disciplina censurata arbitraria ed incontrollabile: il primo è l’utilizzo del canone del sospetto130; il secondo, invero correlato al precedente, riguarda l’assenza di motivazione (e quindi di controllo) del provvedimento di rimpatrio.
Quanto al primo aspetto la Corte evidenzia come il rimpatrio con foglio di via obbligatorio dovrà comunque necessariamente giustificarsi sulla base di fatti concreti, che rientrino tra quelli idonei a consentire le limitazioni previste dalla clausola dell’art. 16 Cost.131 Da ciò consegue, dunque, che “l’esigenza di contemperare il margine di
discrezionalità con l’esigenza che i provvedimenti si fondino su fatti concreti rende inerente alla natura della norma contenuta nell’art. 157 legge di p.s. l’obbligo di motivazione, quale implicito elemento dell’ordine di rimpatrio”.132
Con riferimento, invece, al fondamento dei poteri riconosciuti all’autorità di p.s. in tema di prevenzione dei reati, la sentenza non individua espressamente alcuna indicazione univoca a livello generale, ma si limita ad affermare la possibilità di ricondurre le limitazioni alla libertà di circolazione derivanti dalla procedura di rimpatrio (quest’ultima ovviamente da depurarsi dei profili di illegittimità sopra brevemente esaminati) nei “motivi di sanità e sicurezza” indicati nell’articolo 16 Cost. Nello specifico, la Corte svolge il seguente ragionamento: “Esclusa
l’interpretazione, inammissibilmente angusta, che la “sicurezza” riguardi solo l’incolumità fisica, sembra razionale e conforme allo spirito della Costituzione dare
130 La norma censurata menziona il sospetto innanzitutto in relazione alla condotta (chi, fuori dal comune di residenza, desta sospetti con la propria condotta, art. 157 co. 1 TULPS) necessaria, assieme alla mancata identificazione, per condurre il soggetto davanti all’autortià di p.s.; vi si riferisce, poi, quale standard sufficiente della verifica demandata a quest’ultima (questa qualora trovi fondati i sospetti, ancora al comma 1). Da segnalare, infine, come tutta la disciplina scrutinata sia inserita nel capo II del TULPS intitolato “delle persone sospette, dei liberati dal carcere o dagli stabilimenti per misure di sicurezza, del rimpatrio e degli espatri abusivi”.
131 “Il sospetto, anche se fondato, non basta, perché, muovendo da elementi di giudizio vaghi e incerti, lascerebbe aperto l’adito ad arbitrii, e con ciò trascenderebbe quella sfera di discrezionalità che pur si deve riconoscere come necessaria all’attività amministrativa, perché leggi e, tanto meno, la Costituzione non possono prevedere a disciplinare tutte le mutevoli situazioni di fatto né graduare in astratto e in anticipo le limitazioni poste all’esercizio dei diritti” C. Cost. 2/1956.
132 C. Cost 2/1956. Sempre la Corte nel passaggio appena successivo evidenzia come l’obbligo di motivazione sia necessario anche al fine di consentire di verificare che in alcun modo siano realizzate limitazioni della libertà circolazione giustificate da motivo politico (che l’art. 16 Cost. appunto espressamente esclude).
alla parola “sicurezza” il significato di situazione nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza. Sicurezza si ha quando il cittadino può svolgere la propria attività lecita senza essere minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale; è “l’ordinato vivere civile”, che è indubbiamente la meta di uno Stato di diritto, libero e democratico”.133
Quanto alla (pericolosità per la) moralità, si evidenzia nella sentenza come non dovrà certo tenersi conto delle convinzioni intime del cittadino di “per sé stesse
incoercibili”, né delle teorie in materia di morale, “la cui manifestazione, come ogni altra del pensiero, è libera e disciplinata da altre norme di legge”. Dovrà, invece, farsi
riferimento al diritto dei cittadini a non essere turbati ed offesi da manifestazioni immorali, quando queste risultino pregiudizievoli anche alla sanità o creino “situazioni
ambientali favorevoli allo sviluppo della delinquenza comune”.
Riguardo invece il concetto di pericolo per l’ordine pubblico che insieme a quello dei motivi di sanità risultano gli unici, al metro dell’art. 16 Cost., in grado di legittimare le restrizioni imposte dall’autorità di p.s. alla libertà di circolazione dei cittadini, la Corte mette in guardia dall’individuarlo in “semplici manifestazioni di
natura sociale o politica” (disciplinate da altre leggi) potendo questo essere integrato,
invece, solo da quelle “manifestazioni esteriori di insofferenza o ribellione ai precetti
legislativi ed ai legittimi ordini dell’autorità, manifestazioni che possono facilmente dar luogo a stati di allarme e a violenze, indubbiamente minacciose per la “sicurezza” della generalità dei cittadini, i quali finirebbero col vedere, essi, limitata la propria libertà di circolazione”.
Da questa (prima) pronuncia in materia emergono, come anticipato, alcune eterogenee indicazioni che accompagneranno con una certa costanza il dibattito (sia in giurisprudenza sia in dottrina) sulle misure di prevenzione.
Alcune concorrono a formare uno “sbarramento”, quantomeno formale, al travaso nell’impianto costituzionale di standard probatori come quello del sospetto,
133 La Corte, nella medesima pronuncia, conclude poi affermando che “non è dubbio che le “persone pericolose per l’ordine e la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità (art. 57 legge p.s.) costituiscano una minaccia alla “sicurezza” indicata, e così intesa, nell’art. 16 della Costituzione”. A sostegno la Corte richiama la giurisprudenza della Corte di Cassazione formatasi in quegli anni, di segno conservativo quanto alle misure di prevenzione, nonché i lavori preparatori della Costituzione.
ed in relazione al quale la Corte opera una corretta valorizzazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti dell’autorità di p.s. (anche e soprattutto per verificare che gli stessi non siano assunti sulla base di motivi politici). Altre, invece, sembrano mostrare l’intenzione di voler conservare un filo conduttore tra la ratio del sistema preventivo pre-costituzionale e quella invece ricollegabile a tali istituti, oggi, secondo lo spirito della Costituzione.
Da un lato, infatti, l’idea di un potere preventivo (giustificato dalla e) finalizzato alla più efficace tutela e protezione degli spazi di libertà garantiti ai cittadini è un concetto che ha da sempre accompagnato il tentativo di giustificare i poteri preventivi e/o di polizia sin dall’unificazione nazionale.
Da un altro lato, ancora, il concetto di “sicurezza”, evocato quale condizione necessaria per l’esercizio degli ulteriori diritti e facoltà dei cittadini, viene ripreso in sostanziale continuità con le declinazioni liberali-governamentali che vedevano appunto nell’ordine un nuovo polo della dialettica con i cittadini e i diritti individuali.134
Peraltro, è interessante evidenziare ancora come il sistema preventivo, o meglio il “magistero di polizia”, era per i classici una “funzione” necessaria, appunto, per condurre, arricchire e disciplinare la nazione in un ideale progresso verso una condizione (sociale-giuridica-ordinamentale) in cui tale magistero non sarebbe più stato necessario (e dunque intendendolo, come uno strumento temporaneo e giustificato dalla particolare congiuntura sociale e ordinamentale del paese, da poco unificato, la cui struttura e coscienza sociale erano appunto in via di formazione)135, mentre, leggendo alcuni dei passaggi della sentenza, l’operatività di strumenti disciplinanti che perseguano l’ordinato vivere civile sembra sia prospetticamente intesa come la condizione, senza tempo, di uno Stato libero e democratico, razionale e conforme allo “spirito della Costituzione”.
134 Alcune preziose riflessioni di sintesi in argomento sono offerte nel già richiamato (supra cap. I, par. 4.2) lavoro di P.COSTA, P., Diritti individuali e governo dei soggetti: un quadro tipologico in Giornale di storia costituzionale, cit., 9-32.
135 Sul punto v. F.CARRARA, Dottrina fondamentale della tutela giuridica, in Programma del corso di diritto criminale, cit., 241 ss.; ancora in argomento v. G. FILIPPETTA, Liberalismo e governamentalità: garantismo penale e prevenzione di polizia in Francesco Carrara, cit., 20-21.
2.2 La sentenza n. 11/56 e la “caduta” della disciplina dell’ammonizione