• Non ci sono risultati.

La l. 327/1988 e la ristrutturazione delle fattispecie di pericolosità

Nel documento Dipartimento di Giurisprudenza (pagine 85-89)

CAPITOLO 2: LO SVILUPPO DEL SISTEMA PREVENTIVO DOPO (E

6. La l. 327/1988 e la ristrutturazione delle fattispecie di pericolosità

presupposto applicativo costituito dalla possibilità di inquadrare il prevenuto in una delle fattispecie di pericolosità, sia essa “generica” (ai sensi della l. 1423/56) ovvero “qualificata” (ai sensi della l. 575/65, per i mafiosi, e l. 152/75, per i sovversivi).

204 Analoghi accertamenti sono previsti nei confronti di quanti siano destinatari di misura di prevenzione ai sensi dell’art. 1 della l. 575/65, ossia coloro che sono indiziati di appartenenza ad una delle associazioni criminali ivi contemplate.

Non basta, perché a tale inquadramento, di tipo “constatativo”, deve seguire anche un giudizio -prognostico- di pericolosità attuale per la sicurezza o per la moralità pubblica.

La riferibilità del proposto ad una fattispecie di pericolosità, dunque, appare condizione indefettibile -ma di per sé insufficiente- anche in relazione all’applicazione di nuovi strumenti patrimoniali. In tal senso è peraltro ragionevole osservare come le misure patrimoniali, sin da subito, ereditano anche la problematicità -prima riservata alle sole misure personali- di legittimare restrizioni spesso molto pesanti dei diritti costituzionali (dunque anche del diritto di proprietà e di iniziativa economica) a seguito di un accertamento della pericolosità ante delictum dell’individuo, condotto con i limiti, teorici e pratici, già da decenni evidenziati da larga parte della dottrina (tassatività, precisione, prevedibilità, arbitrarietà, ecc..) con riferimento alla materia preventiva.

Proprio per disinnescare molti dei profili critici individuati dalla dottrina in relazione a tali aspetti, per c.d. “comuni” a tutto l’apparato di prevenzione, il legislatore interviene nel 1988, con la legge. n. 327, coerentemente con le indicazioni sul punto pervenute anche dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 177 del 1980. Il provvedimento si distingue, appunto, per segnare un’interruzione della tendenza espansiva delle misure205 che, infatti, vedono circoscrivere il proprio raggio di azione sulla base di due operazioni.

La prima si sostanzia nell’eliminazione di alcune ambigue fattispecie di pericolosità generica, come quella degli “oziosi e i vagabondi validi al lavoro”, e dei riferimenti ad attività indeterminate e generiche, quale, ad esempio, quello in tema di “attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume”.206

La seconda operazione consiste, invece, nella ristrutturazione delle fattispecie superstiti attorno ad una nuova comune locuzione, quella degli “elementi di fatto” (in forza dei quali potrà ricondursi il soggetto ad una delle fattispecie di pericolosità),

205 In questo senso F.BASILE, Manuale delle misure di prevenzione. Profili Sostanziali, cit., 20.

206 Riguardo in particolare a quest’ultima espressione, in particolare, è stato osservato condivisibilmente come si trattasse di “concetti che, oltre a riflettere un bene giuridico indeterminato e perciò di difficile afferrabilità, coprono aree interferenti con l’esercizio delle libertà fondamentali dei cittadini (comportamenti immorali, ma non criminosi, non dovrebbero dar luogo a interventi repressivi da parte di uno stato laico e pluralista!)” cfr. F.BASILE, Manuale delle misure di prevenzione. Profili Sostanziali, cit., 20-21.

destinata, quantomeno nelle ambizioni, a meglio oggettivare i fatti e gli elementi valorizzati a fini preventivi (tanto in ottica di inquadrare il prevneuto, quanto nel giudizio prognostico sull’attualità della pericolosità) e, quindi, anche ad innalzare lo standard “probatorio” dell’accertamento.

Per effetto delle modifiche le fattispecie di pericolosità c.d. “generica” (o “comune”) assumono così l’attuale conformazione normativa, poi confluita, da ultimo, nel codice antimafia del 2011.

Le tre fattispecie sopravvissute sono così riferite a: 1) «coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi»; 2) «coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose»; 3) «coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o tranquillità pubblica».

Rinviando al capitolo successivo per un compiuto approfondimento anche delle problematiche ancora oggi attinenti alla formulazione delle fattispecie di pericolosità “generica”, è comunque opportuno evidenziare già adesso come la scelta legislativa, pur imposta in un qualche modo dalle ampie crepe che segnavano l’eterogenea gamma delle precedenti fattispecie di pericolosità, abbia si innalzato la tassatività -e lo standard di accertamento- del procedimento di prevenzione, con l’effetto, tuttavia, di avvicinare ulteriormente (nei riferimenti e nella terminologia utilizzata) l’oggetto dell’accertamento preventivo a quello proprio, invece, del procedimento penale.207

In questo senso il riferimento ad attività e traffici “delittuosi” rinvia infatti con evidenza alla commissione di illeciti penali, ed in particolar modo di delitti, così come il riferimento agli elementi di fatto pare richiamare il giudice ad un accertamento più intenso e rigoroso, quasi alla ricerca della prova indiziaria di stampo penalistico.208

207 D.PETRINI, La prevenzione inutile, cit., 214 ss.

208 Per un’efficace panoramica delle diverse posizioni sul punto v. F.BASILE, Manuale delle misure di prevenzione. Profili Sostanziali, cit., 21-24.

Si è osservato, dunque, come con tali modifiche si siano resi i confini dell’accertamento di prevenzione, rispetto alla giurisdizione penale, ancora più labili e sfumati, circostanza che, secondo taluni autori, svela con ancora maggiore chiarezza la natura di “surrogato” penale della prevenzione, di vera e propria “pena del sospetto”.209

Tuttavia, la scelta di ridurre le fattispecie di pericolosità, e di elevarne al contempo lo standard obiettivo di accertamento, non può essere vista, nel complesso, negativamente: se da un lato erano infatti ormai troppo vistose e intollerabili le precedenti formulazioni delle fattispecie210, da un altro lato, le misure erano comunque già da tempo indiziate di costituire una vera e propria truffa delle etichette.211

In tale spinosa situazione la scelta assunta sembra, forse, il “male minore”, oltre che quella in grado più rapidamente di mettere al riparo la disciplina positiva da ulteriori censure costituzionali, anche considerando le esigenze di stabilità derivanti dal rilevante investimento sul sistema preventivo operato con l’introduzione delle recenti misure di carattere patrimoniale.

Tra le modifiche realizzate dal provvedimento in questione vi è anche da sottolineare, in materia di misure personali c.d. “amministrative” (ossia quelle di competenza dell’autorità di p.s.), la sostituzione dell’istituto della diffida con quello dell’avviso orale,212 e l’introduzione della “riabilitazione”213 dagli effetti derivanti dall’essere stato destinatario di misura di prevenzione.214

209 Tra questi v. D.PETRINI, La prevenzione inutile, cit., 214-215.

210 Già segnalati dalla dottrina dell’epoca, anche in occasione del convegno di Alghero (1974) più volte menzionato (v. supra par. 4.4), e comunque inquadrati anche dalla Corte costituzionale in talune pronunce, come appunto, da ultimo, la sentenza n. 177del 1980 con cui, oltre all’eliminazione della categoria soggettiva dei “proclivi a delinquere”, il legislatore veniva invitato a sviluppare le fattispecie di pericolosità attorno ad elementi razionali, in grado di essere accertati giudizialmente senza dover ricorrere all’impiego di sospetti o congetture.

211 In senso contrario si è evidenziato come “Uno dei segnali positivi, secondo parte della dottrina, sarebbe consistito proprio nella prognosi di pericolosità di queste categorie di soggetti: oggi la legge richiede che esso si basi sempre su elementi di fatto. Ma prevenzione personale e fatto sono incompatibili da sempre. Dove ci sono misure di prevenzione personali non ci possono essere elementi di fatto, perché se si richiede al giudice di «provare un fatto» che, come nel nostro caso, costituisce reato, allora significa che vi sono gli estremi per procedere penalmente. Un sistema preventivo personale che reprime il sospetto della commissione di un reato impone di accontentarsi di qualcosa di meno della prova di un fatto.” cfr. D.PETRINI, La prevenzione inutile, cit., 220-221.

212 Artt. 1 e ss., l. 327/1988.

213 Art. 15, l. 327/1988.

214 Per approfondimento, in senso critico, sulla sostanziale continuità di effetti tra diffida e avviso orale del questore v. D.PETRINI, La prevenzione inutile, cit., 215-220.

Infine, il legislatore con l’art. 13 l. 327/88 modifica l’art. 19 l. 152/75 ed in forza del quale le misure di prevenzione (ora, anche patrimoniali) di cui alla l. 575/65 possono applicarsi anche a talune categorie di pericolosità generica previste dalla l. 1423/56 (e senza la necessità di alcun previo avviso o diffida).

In particolare, in esisto alla selezione e riformulazione delle fattispecie di pericolosità in questione, l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale, al di fuori delle specifiche ipotesi di pericolosità qualificata (mafiosa) cui sono espressamente riferite, rimane consentita anche con riguardo a coloro che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi (art. 1 n. 1, l.1423/56) o vivono abitualmente con il provento di attività delittuose (art. 1 n. 2, l. 1423/56).215

Nel documento Dipartimento di Giurisprudenza (pagine 85-89)