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She had given hir self indifferently to all Comers: mostri, donne e lussuria

Lo Stato contro Eva Mostri e stereotipi di genere

4.1. She had given hir self indifferently to all Comers: mostri, donne e lussuria

Prostituzione, adulterio, fornicazione e incesto costituivano da secoli una materia tanto delicata quanto imbarazzante, di cui il potere politico aveva preferito non inte- ressarsi se non raramente. Uno statuto del 1286 voluto da Edoardo I Plantageneto (1239-1307) aveva decretato che fossero coloro che avevano cura delle anime a do- versi occupare «[of] those things which are purely spiritual, that is concerning cor- rections which prelates impose for mortal sin, namely for fornications, adulteries and such like, for which sometimes corporal punishment is inflicted, sometimes a money penalty»5. Così era stato per tutto il Basso Medioevo, epoca durante la quale la chiesa – sebbene non sempre con risultati soddisfacenti – era stata investita di questo compito di vigilanza6.

Con la separazione di Enrico VIII da Roma nel 1534, e la conseguente soppres- sione dei monasteri minori nel 1536, le istituzioni religiose, ora fortemente indeboli- te, furono costrette a rivedere la loro scala di priorità: le più pressanti urgenze di riorganizzazione e ridefinizione dogmatica fecero scivolare in secondo piano le preoccupazioni di teologia morale. Fu solo in seguito all’ascesa al trono di Elisabetta I, e al progressivo consolidamento del protestantesimo, che il bisogno di approntare

4 Sulla contrapposizione tra sfera pubblica e privata nell’Inghilterra della prima età moderna, con parti-

colare riferimento alle conseguenze che tale dialettica aveva sulla vita delle donne, cfr. l’affascinante studio di Lena Cowen Orlin, Private Matters and Public Culture in Post-Reformation England, Ithaca- London, Cornell University Press, 1994, p. 3. Sul concetto di ‘vita privata’, si rimanda ovviamente an- che al lavoro di PhilippeAriès, Georges Duby (a cura di), La vita privata, 5 voll., Roma-Bari, Laterza, 1986-1988 (Histoire de la vie privée, 5 vols., Paris, Seuil, 1985-1987), soprattutto il volume III, nel qua- le si parla dell’Inghilterra come il luogo di nascita del termine ‘privacy’.

5 13 Edw. I (Circumspecte agatis), in Frederick M. Powicke, Christopher R. Cheney (eds), Councils and

Synods, with other Documents relating to the English Church, A.D. 1205-1313, 2 vols., Oxford, Oxford

University Press, 1964, II, part II, pp. 974-975.

6 A questo proposito si veda Brian L. Woodcock, Medieval Ecclesiastical Courts in the Diocese of Can-

terbury, Oxford, Oxford University Press, 1952. Com’è facile immaginare, durante il Basso Medioevo il

potere temporale non rimase mai del tutto passivo e in silenzio. Seguirne, tuttavia, le entrate in scena per legiferare in materia di trasgressioni sessuali non è cosa semplice. Cfr. Martin Ingram che descrive la coesistenza (non sempre del tutto pacifica) e la sovrapposizione dei due poteri (temporale e spirituale) mettendo in luce la difficoltà di stabilire per ognuno le reali competenze: «the boundary between spiri- tual and non-spiritual offences was subject to debate in certain areas; bastardy could also be prosecuted at the common law, but, while some commentators argued slanders of bastardy should be tried in the secular courts, it was generally accepted as a spiritual offence and hence within the remit of the church courts» (Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 296-297). Richard H. Helmholz ha, infine, ribadito questo concetto, sottolineando però come sul finire del ’500 e gli inizi del ’600, tutte le questioni inerenti alle «sexual offences» fossero un problema delle «church courts, solidly established as the principal forum for disputes over words and reputation» (Roman Canon Law in Reformation England, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 56-68).

per i fedeli modelli di comportamento più inflessibili si fece di nuovo cosa incom- bente e improrogabile.

Questa necessità si tramutò nel 1563 in «certaine Sermons appoynted by the Quenes Maiesty, to be declared and read, by al Parsons, Vicars, & Curates, eueri Sunday and Holi Day, in their Churches», il cui scopo era, tra le tante cose, di sco- raggiare tutte quelle «forms of sexual misconduct [which] were rife largely condo- ned by popular standards»7. In particolare, una sezione intitolata «agaynst Whore- dome and Uncleanesse» affermava:

it is necessary at this present to intreat of the sin of whoredom and fornication, de- claring unto you the greatness of this sin, and how odious, hateful, and abominable it is and hath alway been reputed before God and all good men, and how grievously it hath been punished both by the law of God and the laws of divers princes; again, to shew you certain remedies whereby ye may, through the grace of God, eschew this most detestable sin of whoredom and fornication, and lead your lives in all honesty and cleanness8.

Sebbene senza affermarlo esplicitamente, l’attività di predicazione che soggiaceva a tale iniziativa promossa dalla regina e dal suo Privy Council aveva come principali obiettivi le donne, che apparivano chiaramente «the focus of sexual guilt and re- sponsability»9.

I Sermons dovettero tuttavia risultare inadeguati a fornire rimedi risolutivi, se due decenni più tardi – di fronte ad una situazione ulteriormente degenerata – il puri- tano Philip Stubbes (c. 1555 – c. 1610), noto fra i contemporanei per la sua intransi-

7 Martin Ingram, Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, cit., p. 154.

8 Thomas Cramner, Certaine Sermons appoynted by the Quenes Maiesty, to be declared and read, by al

Parsons, Vicars, & Curates, eueri Sunday and Holi Day, in their Churches: and by her Graces Aduise pervsed & ouersene, for the better Understanding of the Simple People, London, imprinted in Powles

Churcheyard, by Richard Iugge, and Iohn Cavvood printers to the Quenes Maiestie, 1563 [STC (2nd ed.) 13651], p. 57.

9 Laura Gowing, Domestic Dangers. Women, Words and Sex in Early Modern London, Oxford, Oxford

University Press, 1996, p. 63. La storica inglese riporta dati molto interessanti a questo proposito, quasi a voler sottolineare un triste primato femminile in termini di apparizioni nei procedimenti giudiziari isti- tuiti per punire le trasgressioni sessuali: «three-quarters of all defamation cases were brought by women, and nearly half were both fought and defended by women. Sexual slander was also predominantly a women’s crime: nearly two-thirds of these cases were brought against women» (p. 61). Martin Ingram ha confermato queste percentuali con un procedimento inverso, riportando cioè come accadesse di rado che le donne si trovassero implicate in crimini come l’eresia, il tradimento, l’omicidio, tutte attività, queste, «that required a high degree of initiative and self-assertion (Scolding Women Cucked or Washed.

A Crisis in Gender Relations in Early Modern England, in Jenny Kermode, Garthine Walker (eds), Wo- men, Crime and the Courts in Early Modern England, Chapel Hill, University of North Carolina Press,

1994, p. 49)» . D’accordo con questa linea interpretativa si è trovata anche Sandra Clark che, nel sottoli- neare come «in the early modern period […] women committed fewer crimes in general than did men», ha elencato i numerosi casi in cui le donne finivano più frequentemente davanti ai tribunali. La ricorren- za di crimini legati a questioni di carattere morale è particolarmente significativa: «typically, women who came before the courts did so in relation to property crimes such as grand and petty larceny, crimes of the tongue such as scolding, slander, swearing or blasphemy, sexual misdemeanours such as fornica- tion, adultery, prostitution or bastard-bearing, or vagrancy» (Women and Crime in the Street Literature

of Early Modern England, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2003, pp. 33-34). della sua vita pubblica e privata, non v’è dubbio che il pericolo più grave, e quindi

l’ambito da sottoporre al maggior controllo da parte maschile, fu quello delle tanto vituperate trasgressioni sessuali4.

4.1. She had given hir self indifferently to all Comers: mostri, donne e lussuria

Prostituzione, adulterio, fornicazione e incesto costituivano da secoli una materia tanto delicata quanto imbarazzante, di cui il potere politico aveva preferito non inte- ressarsi se non raramente. Uno statuto del 1286 voluto da Edoardo I Plantageneto (1239-1307) aveva decretato che fossero coloro che avevano cura delle anime a do- versi occupare «[of] those things which are purely spiritual, that is concerning cor- rections which prelates impose for mortal sin, namely for fornications, adulteries and such like, for which sometimes corporal punishment is inflicted, sometimes a money penalty»5. Così era stato per tutto il Basso Medioevo, epoca durante la quale la chiesa – sebbene non sempre con risultati soddisfacenti – era stata investita di questo compito di vigilanza6.

Con la separazione di Enrico VIII da Roma nel 1534, e la conseguente soppres- sione dei monasteri minori nel 1536, le istituzioni religiose, ora fortemente indeboli- te, furono costrette a rivedere la loro scala di priorità: le più pressanti urgenze di riorganizzazione e ridefinizione dogmatica fecero scivolare in secondo piano le preoccupazioni di teologia morale. Fu solo in seguito all’ascesa al trono di Elisabetta I, e al progressivo consolidamento del protestantesimo, che il bisogno di approntare

4 Sulla contrapposizione tra sfera pubblica e privata nell’Inghilterra della prima età moderna, con parti-

colare riferimento alle conseguenze che tale dialettica aveva sulla vita delle donne, cfr. l’affascinante studio di Lena Cowen Orlin, Private Matters and Public Culture in Post-Reformation England, Ithaca- London, Cornell University Press, 1994, p. 3. Sul concetto di ‘vita privata’, si rimanda ovviamente an- che al lavoro di PhilippeAriès, Georges Duby (a cura di), La vita privata, 5 voll., Roma-Bari, Laterza, 1986-1988 (Histoire de la vie privée, 5 vols., Paris, Seuil, 1985-1987), soprattutto il volume III, nel qua- le si parla dell’Inghilterra come il luogo di nascita del termine ‘privacy’.

5 13 Edw. I (Circumspecte agatis), in Frederick M. Powicke, Christopher R. Cheney (eds), Councils and

Synods, with other Documents relating to the English Church, A.D. 1205-1313, 2 vols., Oxford, Oxford

University Press, 1964, II, part II, pp. 974-975.

6 A questo proposito si veda Brian L. Woodcock, Medieval Ecclesiastical Courts in the Diocese of Can-

terbury, Oxford, Oxford University Press, 1952. Com’è facile immaginare, durante il Basso Medioevo il

potere temporale non rimase mai del tutto passivo e in silenzio. Seguirne, tuttavia, le entrate in scena per legiferare in materia di trasgressioni sessuali non è cosa semplice. Cfr. Martin Ingram che descrive la coesistenza (non sempre del tutto pacifica) e la sovrapposizione dei due poteri (temporale e spirituale) mettendo in luce la difficoltà di stabilire per ognuno le reali competenze: «the boundary between spiri- tual and non-spiritual offences was subject to debate in certain areas; bastardy could also be prosecuted at the common law, but, while some commentators argued slanders of bastardy should be tried in the secular courts, it was generally accepted as a spiritual offence and hence within the remit of the church courts» (Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 296-297). Richard H. Helmholz ha, infine, ribadito questo concetto, sottolineando però come sul finire del ’500 e gli inizi del ’600, tutte le questioni inerenti alle «sexual offences» fossero un problema delle «church courts, solidly established as the principal forum for disputes over words and reputation» (Roman Canon Law in Reformation England, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, pp. 56-68).

Insomma, al tramonto del XVI secolo, normare l’attività sessuale dei sudditi era diventata una questione di ordine pubblico sempre più stringente. Tuttavia, appurare il rispetto di tali norme era cosa tutt’altro che semplice, soprattutto nelle aree parec- chio isolate, spesso prive di guide spirituali e difficilmente assoggettabili a qualsiasi tipo di accertamento, proprio per la loro lontananza geografica. Non è una mera coincidenza allora che i preposti organi di controllo facessero di frequente affida- mento sulla collaborazione degli stessi abitanti del luogo. Questi ultimi, vivendo in loco, potevano osservare dall’interno l’intrecciarsi e il dispiegarsi delle relazioni umane e, infrangendo quelle che Annabel Gregory ha definito le regole del «good neighbourhood», denunciare i propri vicini riferendo alle autorità informazioni sulla loro eventuale licenziosità14. Di solito, la giustizia entrava in scena solo quando le segnalazioni su una determinata persona erano ripetute e sostenute da più voci («Tis Merrie when Gossips meete», avrebbe scritto Samuel Rowlands nel 1602 a proposi- to della forza destabilizzante del pettegolezzo)15. A quel punto, il diretto interessato veniva convocato per rispondere delle maldicenze che circolavano sul suo conto; chi non era in grado di destituire di fondamento le calunnie di cui era vittima poteva an- dare incontro alle pene più svariate: la gogna nei mercati e nelle piazze del paese e l’imposizione di un lenzuolo bianco sugli indumenti, in segno di penitenza, erano le pene inflitte con maggiore frequenza. Non mancarono però situazioni in cui gli im- putati – per lo più donne – venissero brutalmente mutilati (per esempio – proprio come a suo tempo aveva suggerito Harrison – con il taglio del naso o delle orec- chie), pratica che marchiava a vita i malcapitati sia da un punto di vista fisico, sia a livello sociale.

Una circostanza in cui l’evidenza dell’infrazione sessuale non avrebbe avuto bi- sogno di alcun tipo di ponderazione da parte delle autorità era quella della scoperta di una gravidanza illegittima: «a great belly not only provided proof positive of se- xual immorality but also crystallised a sense of moral outrage»16. Se poi «the womb went bad» e la madre partoriva una creatura deforme, il discorso sull’immoralità rical and Explanatory, 2 vols., Oxford, Oxford University Press, 1842, I, pp. 154-156. Sul matrimonio

inteso come tappa fondamentale dell’esistenza di un individuo, momento di passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, si veda David Cressy, Birth, Marriage, and Death. Ritual, Religion, and the Life-Cycle in Tudor and Stuart England , Oxford, Oxford University Press, 1997, nello specifico pp. 285-376. Sullo stigma delle relazioni extraconiugali, cfr. Geoffrey R. Quaife, Wanton Wenches and Illicit Sex in Early

Seventeenth Century England, London, Croom Helm, 1979. Più in generale, sulle relazioni tra uomo e

donna in questo periodo, con particolare attenzione alla sfera sessuale, cfr. anche Laura Gowing, Gender

Relations in Early Modern England, Harlow, Pearson Education, 2012, pp. 29-50.

14 Annabel Gregory, Witchcraft, Politics, and «Good Neighbourhood» in Early Seventeenth-Century

Rye, «Past & Present», 133, 1991, pp. 31-66.

15 Samuel Rowlands, Tis Merrie when Gossips meete, London, printed by W. W[hite] and are to be sold

by George Loftus at the Golden Ball in Popeshead Alley, 1602 [STC (2nd ed.), 21409]. L’espressione ‘when gossips meet’ è il titolo anche dell’affascinante studio condotto da Bernard Capp, nel quale l’autore ha esplorato «the myriad ways in which women negotiated the constraints embedded in the pa- triarchal society of early modern England» (When Gossips meet. Women, Family, and Neighborhood in

Early Modern England, Oxford, Oxford University Press, 2003, p. v). Sulla potenza del linguaggio co-

me arma di difesa (o attacco), si veda David Cressy, il cui lavoro Dangerous Talk «explores the contest- ed zones where private words had public consequence» (Dangerous Talk. Scandalous, Seditious, and

Treasonable Speech in Pre-Modern England, Oxford, Oxford University Press, 2012, Preface, s. p.).

16 Martin Ingram, Church Courts, Sex and Marriage in England, 1570-1640, cit., p. 261.

genza morale, dedicava al medesimo problema un’intera sezione della sua famosa Anatomie of Abuses (1583):

the horryble vice of Whoredome is there [in England] too too much freque[n]ted, to y great dishonor of God, the provoking of his judgements against them, the staine and blemish of their profession, the evill example of al the world, & finally, to their owne damnation for ever, except they repente10.

La stessa apprensione l’avrebbe manifestata nel 1587 anche William Harrison (1534-1593) che, prendendo parte al dibattito sull’illiceità dei rapporti extraconiuga- li, nella sua Description of England non soltanto avrebbe denunciato la lascivia dei suoi connazionali, ma avrebbe suggerito per essi, quando ritenuti colpevoli, sanzioni durissime: l’uomo infedele, per esempio, avrebbe dovuto cedere «all his goods to the king» e garantire «his bodie to be at his pleasure», mentre «the adulteresse was to lose hir eies or nose or both»11. Tale severità era intesa a sollecitare indirettamente le autorità, tardive nel perseguire con rigore le vergognose violazioni del codice etico e incapaci di mettere in atto un’accurata azione preventiva; d’altra parte, la notevole difformità delle pene – variabili a seconda dei sessi – consentiva all’autore di ripro- porre un luogo comune di vecchia data, e cioè che le donne fossero esseri deboli, fa- cilmente inclini al peccato e quindi meritevoli di umiliazioni fisiche estreme, che raggiungevano l’apice con il gravame dell’infamia pubblica12.

Sul finire del ’500, all’incalzante azione della pubblicistica, si affiancò anche il governo centrale di Londra che, con la De moderandis indulgentiis pro celebratione matrimonii absque trina bannorum denunciatione (1597), tentava di porre fine alla celebrazione clandestina di sposalizi, ordinando che questi fossero considerati nulli se non celebrati di fronte a un altare e nel pieno rispetto di specifiche procedure. Il proposito di questa misura era di contrastare un’usanza piuttosto diffusa tra i sudditi del regno – soprattutto quelli di bassa estrazione – e cioè di unirsi in coppia accon- tentandosi di un semplice accordo verbale13.

10 Philip Stubbes, The Anatomie of Abuses, London, printed by Richard Jones, 1583 [STC (2nd ed.),

23376.5], p. 112.

11 William Harrison, The Description of England. The Classic Comtemporary Account of Tudor Social

Life, edited by George Edelen, Washington, The Folger Shakespeare Library, 1968, pp. 189-190. Quan-

do scrisse questo passaggio sull’adulterio, il cronista aveva sicuramente in mente il già citato ‘Sermon against whoredome and uncleanesse’, nel quale, non a caso, si faveca chiaro riferimento all’abitudine degli egiziani di tagliare il naso alle donne che avevano tradito i loro mariti e a quella degli arabi che «hadd [adulterous women’s] heades strucke from their bodies» (Thomas Cramner, Certaine Sermons

appoynted by the Quenes Maiesty, cit., pp. 58-59).

12 A questo proposito, Laura Gowing ha evidenziato come «the focal theme of defamatory speeches was

female sexual behaviour; the central character, the whore. Defamers constructed an image of whoredom, associating it with particular kinds of behaviour and appearance, and creating a recognizable vision as a reference point for female honesty» (Domestic Dangers, cit., p. 79). Parte di questa «recognizable vi- sion» furono proprio le punizioni corporali estreme, che con i loro segni rendevano visibile a tutti la col- pa di cui si erano macchiate le donne in questione. Sul medesimo argomento, seppure in un periodo an- tecedente, si veda anche Dinora Corsi, Donne medievali tra fama e infamia: leges e narrationes, «Storia delle donne», 6/7, 2010/2011, pp. 107-138.

13 Cfr. Edward Cardwell (ed.), Synodalia. A Collection of Articles of Religion, Canons, and Proceedings

Insomma, al tramonto del XVI secolo, normare l’attività sessuale dei sudditi era diventata una questione di ordine pubblico sempre più stringente. Tuttavia, appurare il rispetto di tali norme era cosa tutt’altro che semplice, soprattutto nelle aree parec- chio isolate, spesso prive di guide spirituali e difficilmente assoggettabili a qualsiasi tipo di accertamento, proprio per la loro lontananza geografica. Non è una mera coincidenza allora che i preposti organi di controllo facessero di frequente affida- mento sulla collaborazione degli stessi abitanti del luogo. Questi ultimi, vivendo in loco, potevano osservare dall’interno l’intrecciarsi e il dispiegarsi delle relazioni umane e, infrangendo quelle che Annabel Gregory ha definito le regole del «good neighbourhood», denunciare i propri vicini riferendo alle autorità informazioni sulla loro eventuale licenziosità14. Di solito, la giustizia entrava in scena solo quando le segnalazioni su una determinata persona erano ripetute e sostenute da più voci («Tis Merrie when Gossips meete», avrebbe scritto Samuel Rowlands nel 1602 a proposi- to della forza destabilizzante del pettegolezzo)15. A quel punto, il diretto interessato veniva convocato per rispondere delle maldicenze che circolavano sul suo conto; chi non era in grado di destituire di fondamento le calunnie di cui era vittima poteva an- dare incontro alle pene più svariate: la gogna nei mercati e nelle piazze del paese e l’imposizione di un lenzuolo bianco sugli indumenti, in segno di penitenza, erano le pene inflitte con maggiore frequenza. Non mancarono però situazioni in cui gli im- putati – per lo più donne – venissero brutalmente mutilati (per esempio – proprio come a suo tempo aveva suggerito Harrison – con il taglio del naso o delle orec- chie), pratica che marchiava a vita i malcapitati sia da un punto di vista fisico, sia a livello sociale.

Una circostanza in cui l’evidenza dell’infrazione sessuale non avrebbe avuto bi- sogno di alcun tipo di ponderazione da parte delle autorità era quella della scoperta