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What Honourable Glory in so Abiecte a Thynge: per un elogio del mostro

L’approdo dei mostri nell’Inghilterra riformata

2.1. What Honourable Glory in so Abiecte a Thynge: per un elogio del mostro

Il testo di Erasmo, come usuale negli Adagia, partiva dalla spiegazione del modo di dire «Sileni Alcybiadis». Nelle raccolte di proverbi greci, l’espressione veniva adop- erata per intendere ciò che al primo aspetto appare ridicolo o addirittura mostruoso, ma all’interno risulti splendido e ammirevole, come «that man / whose behauoure & cou[n]tenaunce shewyth far wyde fro[m] the inwarde entente of the harte & mynde»5.

Fin dalle prime righe, Erasmo mostrava dunque i due intenti principali del capi- tolo sui sileni: da un lato l’invito al ribaltamento dello sguardo, per osservare il si-

4 Sileni Alcybiadis, il pamphlet tradotto singolarmente per i tipi dello stampatore N. Hill nel 1543, costi-

tuisce il capitolo 2201 degli Adagia, il più grande repertorio paremiografico mai realizzato in età moder- na. In esso, Erasmo raccolse una vastissima collezione di motti in lingua latina, in gran parte risalenti al mondo classico, ricostruendone l’origine e fornendo note esplicative che andavano anche al di là della mera illustrazione filologica. La sua composizione ossessionò per più di quarant’anni l’umanista di Rot- terdam: l’ultima redazione dell’opera, stampata a Basilea nel 1536, arrivò a contenere quasi quattromi- laduecento voci. Per un inquadramento critico su questo e altri aspetti degli Adagia, si rimanda alla bi- bliografia ragionata, e aggiornata, contenuta in Erasmo da Rotterdam, Adagi, prima traduzione italiana completa a cura di Emanuele Lelli, Milano, Bompiani, 2013, pp. LXVIII-LXXVIII. A questa edizione si farà riferimento d’ora in poi per le citazioni in latino, che accompagneranno in nota quelle del testo in- glese di Sileni Alcybiadis.

5 Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image, cit., p. 1 («De homine,

qui habitu vultuque longe minus prae se ferat, quam in animo claudat» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1734]).

gnificato riposto che sta oltre le apparenze; dall’altro, il profondo significato morale e religioso che egli intendeva attribuire a questo scandaglio dentro gli abissi del rea- le. Il discorso si faceva subito limpidamente chiaro nella descrizione dei sileni, cioè le statuette mostruose che nascondevano immagini divine:

some say that Sileni were certayn Images karuen and grauen and made after suche a fasshio[n] that they might be opened & closed agayne / which when they were close had a scorneful and monsterous shape / & when they were opened sodenly thei shewid as godes6.

«Sileni di Alcibiade» sono dunque, per estensione, tutte quelle persone, quegli og- getti, quei fenomeni di apparenza ridicola, povera o addirittura mostruosa, all’interno dei quali, però, a un’analisi più attenta, è possibile scorgere significati ri- posti, addirittura divini. Sileno era, infatti, un satiro figlio di Pan o di Ermes, dalle orrende sembianze, ma dotato di grandissima saggezza, precettore del dio Dioniso. Già per gli antichi, riferiva Erasmo, Sileno era divenuto una metafora, se è vero che nel Simposio di Platone il giovane Alcibiade elogiava Socrate proprio con un par- agone silenico, poiché ben diversa dal suo aspetto era, per chi avesse avuto la fortu- na di percepirla, la sua essenza. La lunga digressione su Socrate, e poi su altri celebri saggi dall’aspetto ripugnante (Antistene, Diogene, Epitteto), impegna Erasmo per alcune pagine, tutte volte a convincere il lettore sull’importanza del non fidarsi delle apparenze nel giudizio morale. Fino ad arrivare all’esempio silenico più sorprendente, che si spinge al limite della blasfemia:

Was not crist a wonderfull Image [?] / if a man may so boldely after suche maner speke of hym. and veryly / I see no cause why but euery man that ys a chrystyan may / myght / and shulde speake of hym and declare hym after what facio[n] so euer he wyll / so that he hurte not the cristen fayth7.

Cristo stesso fu dunque un sileno, disprezzabile e disprezzato fino al sacrificio ulti- mo, perché si compissero le parole del profeta «non ha né forma né bellezza»8. Ep- pure, prosegue Erasmo, se si apre questo magnifico sileno,

O Immortall god / what an vnspecable tresure a man shall fynde there / what pre- ciouse stone in suche vyle place / what hye and excedynge gretnes / in so lowe and lyttel thyng / what maruelous riches in so poure a thynge / what excellente strengthe in so weake a thynge / what honourable glory in so shamefull and abiecte a thynge what absolute rest in so paynful labours / and to be shorte / what euerlastynge foun-

6 Ibidem («Aiunt enim Silenos imagunculas quaspiam fuisse sectiles et ita factas, ut diduci et explicari

possent, et quae clausae ridiculam ac monstrosam tibicinis speciem habebant, apertae subito numen ostendebant» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1734]).

7 Ivi, p. 7 («An non mirificus quidam Silenus fuit Christus? Si fas est de hoc ad eum loqui modum, quem

equidem haud video cur non omnes pro virili debeant exprimere, qui Christiani nomine gloriantur» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1736]).

8 Erasmo alludeva alle parole del profeta Isaia (Is., 53, 2: «he hath nether bewtye nor fauoure», nella

versione della Great Bible, 1540). gazione di un proverbio greco, costruiva una dura reprimenda contro la corruzione

della Chiesa del suo tempo4.

Estrapolato dal corpo complessivo degli Adagia di Erasmo (1536), il capitolo sui sileni di Alcibiade veniva dunque proposto ai lettori inglesi come lettura auto- noma, e preceduto dal significativo, e per certi versi fuorviante, frontespizio sopra descritto. Il lavoro si inseriva in tal modo nel turbolento contesto degli ultimi anni del regno di Enrico VIII, in quell’arco temporale che va dall’ Act of Supremacy (1534), al momento in cui, morente, avrebbe affidato il regno ad un fragile sovrano fanciullo (1547).

I Sileni erasmiani, con il loro sorprendente ‘elogio del mostruoso’, si collocano pertanto in uno snodo essenziale della storia inglese, e – significativamente – costi- tuiscono la prima di una lunga serie di pubblicazioni (pamphlet, ballate, fogli volan- ti) apparse oltre Manica a partire dalla seconda metà del Cinquecento, e dedicate a raccontare, testimoniare, elaborare, interpretare il mostruoso umano. Per il momento davvero aurorale in cui il testo pone il problema della lettura allegorica del mostro, e per il suo tema centrale, il potente j’accuse contro la secolarizzazione del clero, il libello di Erasmo costituisce un passaggio obbligato, un ponte di senso tra il conti- nente e il regno inglese nella grande rivoluzione della Riforma, e un vero proemio all’incredibile fioritura di mostri e prodigi che il dibattito religioso avrebbe scatenato in Inghilterra negli anni immediatamente successivi.

2.1. What Honourable Glory in so Abiecte a Thynge: per un elogio del mostro

Il testo di Erasmo, come usuale negli Adagia, partiva dalla spiegazione del modo di dire «Sileni Alcybiadis». Nelle raccolte di proverbi greci, l’espressione veniva adop- erata per intendere ciò che al primo aspetto appare ridicolo o addirittura mostruoso, ma all’interno risulti splendido e ammirevole, come «that man / whose behauoure & cou[n]tenaunce shewyth far wyde fro[m] the inwarde entente of the harte & mynde»5.

Fin dalle prime righe, Erasmo mostrava dunque i due intenti principali del capi- tolo sui sileni: da un lato l’invito al ribaltamento dello sguardo, per osservare il si-

4 Sileni Alcybiadis, il pamphlet tradotto singolarmente per i tipi dello stampatore N. Hill nel 1543, costi-

tuisce il capitolo 2201 degli Adagia, il più grande repertorio paremiografico mai realizzato in età moder- na. In esso, Erasmo raccolse una vastissima collezione di motti in lingua latina, in gran parte risalenti al mondo classico, ricostruendone l’origine e fornendo note esplicative che andavano anche al di là della mera illustrazione filologica. La sua composizione ossessionò per più di quarant’anni l’umanista di Rot- terdam: l’ultima redazione dell’opera, stampata a Basilea nel 1536, arrivò a contenere quasi quattromi- laduecento voci. Per un inquadramento critico su questo e altri aspetti degli Adagia, si rimanda alla bi- bliografia ragionata, e aggiornata, contenuta in Erasmo da Rotterdam, Adagi, prima traduzione italiana completa a cura di Emanuele Lelli, Milano, Bompiani, 2013, pp. LXVIII-LXXVIII. A questa edizione si farà riferimento d’ora in poi per le citazioni in latino, che accompagneranno in nota quelle del testo in- glese di Sileni Alcybiadis.

5 Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image, cit., p. 1 («De homine,

qui habitu vultuque longe minus prae se ferat, quam in animo claudat» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1734]).

fallyth in errour and is deluded with the false similytudes of good thynges & yl, tur- neyng the image as they say in and out as whiche then they wo[n]dre & maruelously beholde11.

In questo mondo alla rovescia, anche e soprattutto i valori fondamentali del cristia- nesimo appaiono capovolti, tanto che nella gerarchia delle priorità morali la più im- portante delle facoltà umane, lo spirito, è del tutto scomparsa:

The spryte which is our beste parte of whome as of the lyuely fountayne, all oure felycytye spryngeth fourthe / by whome also we are coupelyd to god / ys not so mo- che had in regarde of the multitude that they once inquire not / whether there be any suche or not / or what is the spririt of whome yet Paule so often speakith hereof put- tyth out the paruers Iugement of the multytude whyche gyue moste honoure to suche thynges as ar leste to be reuerensed / moste hyely couetynge those thynges whiche are moste in contempte12.

Perciò, al mondo rovesciato corrisponde la chiesa rovesciata: perché, se il popolo ha perso la capacità di vedere il vero, che è sempre nascosto ad uno sguardo di superfi- cie, la responsabilità di questo ‘traviamento’ è dei ministri di Dio, che non sanno prendersi cura delle loro anime. Loro, le anime, sono la vera Chiesa, e nessuno può minacciarne la purezza più di un cattivo pastore:

they call the churche preestes, bysshopes, & popes / wha[n] verely they are no other thyng but euen the mynysters of the churche. For the church is the chrysten people whome Christ hym selfe calleth greatter than the bysshoppes can mynyster vnder / beynge vnable in seruyce […]. But yf a enemye of the churche ought to be hated, tell on / whether there can be any enemye more hurteful or more dedely, than an vngodly prelate13.

Su questo punto, il discorso di Erasmo si fa vibrante: una e una soltanto è la soluzione possibile al rovesciamento di ogni legge morale, e cioè il ritorno alla pov- ertà evangelica, all’autenticità ideale della chiesa primitiva. Qui l’umanista di Rot- terdam dispiega tutta la sua capacità oratoria, costruendo una ricca pagina di con-

11 Ivi, pp. 18-19 («Crassum vulgus, quoniam praepostere iudicat, nimirum ex his quae maxime sensibus

corporis obvia sunt aestimans omnia, passim et labitur et errat ac falsis bonorum et malorum simulachris deluditur inversosque Silenos miratur ac suspicit» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1740]).

12 Ivi, pp. 26-27 («Spiritum optimam nostri partem, a quo ceu fonte felicitas omnis nostra proficiscitur

quoque deo copulamur, adeo non habent in pretio, ut nec illud inquirant, sitne aut quid sit spiritus, de quo tamen Paulus toties inculcat. Atque hinc praeposterum de rebus multitudinis iudicium, ut quibus primus debebatur honos […], in contemptissimis ducant» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1744]).

13 Ivi, pp. 33-34 («Ecclesiam vocant sacrificos, episcopos, ac summos pontifices, cum hi revera nihil

aliud sint quam ecclesiae ministri. Caeterum ecclesia populus est Christianus, quem Christus ipse maio- rem vocat, ut cui recumbenti ministrent episcopi […]. Verum cedo, siquidem hostem ecclesiae iuvat odisse, num esse possit hostis ecclesiae perniciosior aut capitalior quam impius pontifex?» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1746]).

tayne or well of Immortallytye in so bytter and cruell deth / why now abhor they this Image / whyche yet boste them selfe in the tytle of hym / that is to say to be callyd christians [?]9.

Qui si nasconde il più potente nucleo morale dell’opera di Erasmo: quella necessità, che certo gli veniva dall’avere aderito alla devotio moderna e al suo ideale ascetico, di riportare la Chiesa alla sua povertà originaria, a quelle abitudini ‘mostruose’ dei primi cristiani, nel cui scandalo insopportabile stava la vera grandezza. Sileni mostruosi erano i profeti, viventi nella solitudine, come bestie; sileno lo stesso Gio- vanni Battista, sporco, coperto di pelli, cui unico cibo erano le locuste; sileni gli apo- stoli, nella loro incondizionata eroica povertà. Quanto difforme dalla Chiesa del presente, soffocata di gioielli e smodate ricchezze:

If a man wolde throwly beholde the iner strength & nature of thinges, he shal fynde none farther from the very wysdom then those which with magnified tytles, furred hoddes, shynyng gyrdels and rynges set full of precious stones, processe absolute wysdom. […] None more vnlyke to bysshoppes then they whiche amonge byss- hoppes couet to holde ye chyefe rowme. And that none ar more oftentimes farther from trew relygion, which thynge I wolde were vntrue, then they whiche in name apparral and ceremonyes professe absolute and parfyt relygion10.

Non è inutile segnalare quanto quest’apostrofe suonasse potente nell’Inghilterra ap- pena uscita dall’orbita romana: la formula «None more vnlyke to bysshoppes then they whiche amonge bysshoppes couet to holde ye chyefe rowme», al di là dell’ambiguità suggerita dall’uso della forma plurale, poteva essere letta solo in chiave inequivocabilmente antipapista.

Da qui in poi, l’opera di Erasmo abbandona i sileni da cui il discorso aveva pre- so l’avvio, per rispondere all’esigenza morale di un’ampia requisitoria contro i co- stumi del suo tempo. Un tempo in cui, ovunque si posi l’occhio, si vedono solo ti- ranni, magistrati corrotti, preti malvagi, vescovi inadeguati, mistici impostori. E il popolo, abbagliato, non vede che l’aspetto esteriore delle cose. È il mondo capovolto della moltitudine:

The grose multytude bycause yt hathe a puerse iugement estemyng al thyng by those thynges whiche chyefely ment wyth the sensys of the body slydeth and euery where

9 Erasmo da Rotterdam [Erasmus Desiderius], Here folowith a Scorneful Image, cit., pp. 8-9 («Deum

immortalem, quam ineffabile reperies thesaurum, in quanta vilitate quale margaritum, in quanta humili- tate quantam sublimitatem, in quanta paupertate quantas divitias, in quanta infirmitatem quantam incogi- tabilem virtutem, in quanta ignominia quantam gloriam, in quantis laboribus quam absolutam requiem, denique in morte tam acerba perennem inmortalitatis fontem. Cur sic abhorrent ab hac imagine qui titulo tamen illius se iactitant?» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1736]).

10 Ivi, pp. 12-15 («Si quis rerum vim ac naturam penitus introspiciat, reperiet nullos a vera sapientia lon-

gius abesse quam istos, qui magnificis titulis, qui sapientibus pileis, qui splendidis cingulis, qui gemma- tis anulis absolutam profitentur sapientiam […]. Nullos esse minus episcopos quam qui inter episcopos primas tenent […]. Saepenumero longissime semotos esse a vera religione, qui titulo, qui cultu, qui ce- rimoniis religione absolutam profitentur» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., pp. 1738-1740]).

fallyth in errour and is deluded with the false similytudes of good thynges & yl, tur- neyng the image as they say in and out as whiche then they wo[n]dre & maruelously beholde11.

In questo mondo alla rovescia, anche e soprattutto i valori fondamentali del cristia- nesimo appaiono capovolti, tanto che nella gerarchia delle priorità morali la più im- portante delle facoltà umane, lo spirito, è del tutto scomparsa:

The spryte which is our beste parte of whome as of the lyuely fountayne, all oure felycytye spryngeth fourthe / by whome also we are coupelyd to god / ys not so mo- che had in regarde of the multitude that they once inquire not / whether there be any suche or not / or what is the spririt of whome yet Paule so often speakith hereof put- tyth out the paruers Iugement of the multytude whyche gyue moste honoure to suche thynges as ar leste to be reuerensed / moste hyely couetynge those thynges whiche are moste in contempte12.

Perciò, al mondo rovesciato corrisponde la chiesa rovesciata: perché, se il popolo ha perso la capacità di vedere il vero, che è sempre nascosto ad uno sguardo di superfi- cie, la responsabilità di questo ‘traviamento’ è dei ministri di Dio, che non sanno prendersi cura delle loro anime. Loro, le anime, sono la vera Chiesa, e nessuno può minacciarne la purezza più di un cattivo pastore:

they call the churche preestes, bysshopes, & popes / wha[n] verely they are no other thyng but euen the mynysters of the churche. For the church is the chrysten people whome Christ hym selfe calleth greatter than the bysshoppes can mynyster vnder / beynge vnable in seruyce […]. But yf a enemye of the churche ought to be hated, tell on / whether there can be any enemye more hurteful or more dedely, than an vngodly prelate13.

Su questo punto, il discorso di Erasmo si fa vibrante: una e una soltanto è la soluzione possibile al rovesciamento di ogni legge morale, e cioè il ritorno alla pov- ertà evangelica, all’autenticità ideale della chiesa primitiva. Qui l’umanista di Rot- terdam dispiega tutta la sua capacità oratoria, costruendo una ricca pagina di con-

11 Ivi, pp. 18-19 («Crassum vulgus, quoniam praepostere iudicat, nimirum ex his quae maxime sensibus

corporis obvia sunt aestimans omnia, passim et labitur et errat ac falsis bonorum et malorum simulachris deluditur inversosque Silenos miratur ac suspicit» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1740]).

12 Ivi, pp. 26-27 («Spiritum optimam nostri partem, a quo ceu fonte felicitas omnis nostra proficiscitur

quoque deo copulamur, adeo non habent in pretio, ut nec illud inquirant, sitne aut quid sit spiritus, de quo tamen Paulus toties inculcat. Atque hinc praeposterum de rebus multitudinis iudicium, ut quibus primus debebatur honos […], in contemptissimis ducant» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1744]).

13 Ivi, pp. 33-34 («Ecclesiam vocant sacrificos, episcopos, ac summos pontifices, cum hi revera nihil

aliud sint quam ecclesiae ministri. Caeterum ecclesia populus est Christianus, quem Christus ipse maio- rem vocat, ut cui recumbenti ministrent episcopi […]. Verum cedo, siquidem hostem ecclesiae iuvat odisse, num esse possit hostis ecclesiae perniciosior aut capitalior quam impius pontifex?» [Erasmo da Rotterdam, Adagi, cit., p. 1746]).

tayne or well of Immortallytye in so bytter and cruell deth / why now abhor they this Image / whyche yet boste them selfe in the tytle of hym / that is to say to be callyd christians [?]9.

Qui si nasconde il più potente nucleo morale dell’opera di Erasmo: quella necessità, che certo gli veniva dall’avere aderito alla devotio moderna e al suo ideale ascetico, di riportare la Chiesa alla sua povertà originaria, a quelle abitudini ‘mostruose’ dei primi cristiani, nel cui scandalo insopportabile stava la vera grandezza. Sileni mostruosi erano i profeti, viventi nella solitudine, come bestie; sileno lo stesso Gio- vanni Battista, sporco, coperto di pelli, cui unico cibo erano le locuste; sileni gli apo- stoli, nella loro incondizionata eroica povertà. Quanto difforme dalla Chiesa del presente, soffocata di gioielli e smodate ricchezze:

If a man wolde throwly beholde the iner strength & nature of thinges, he shal fynde none farther from the very wysdom then those which with magnified tytles, furred hoddes, shynyng gyrdels and rynges set full of precious stones, processe absolute wysdom. […] None more vnlyke to bysshoppes then they whiche amonge byss- hoppes couet to holde ye chyefe rowme. And that none ar more oftentimes farther from trew relygion, which thynge I wolde were vntrue, then they whiche in name apparral and ceremonyes professe absolute and parfyt relygion10.

Non è inutile segnalare quanto quest’apostrofe suonasse potente nell’Inghilterra ap- pena uscita dall’orbita romana: la formula «None more vnlyke to bysshoppes then they whiche amonge bysshoppes couet to holde ye chyefe rowme», al di là dell’ambiguità suggerita dall’uso della forma plurale, poteva essere letta solo in chiave inequivocabilmente antipapista.

Da qui in poi, l’opera di Erasmo abbandona i sileni da cui il discorso aveva pre- so l’avvio, per rispondere all’esigenza morale di un’ampia requisitoria contro i co- stumi del suo tempo. Un tempo in cui, ovunque si posi l’occhio, si vedono solo ti-