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Degli ultimi trenta anni di vita di Pomponio, cioè del periodo in cui insegnò presso lo Studio, si sa, purtroppo, davvero poco: si sposò nel 1479108 e, nello stesso anno, acquistò una casa sull’Esquilino109, come si legge nel documento steso dal notaio Camillo Benembene110; ebbe due figlie: Nigella e Fulvia, che studiarono

105

Cf. DORATI 1980 p. 122. 106

Vd. MERCATI 1925 pp. 82-83, BASSET – DELZ-DUNSTON 1976 p. 380 e LUNELLI 1987 p. 194. 107

Cf. DORATI 1980 p. 122. In questo groviglio di ipotesi, va tenuta presente anche la testimonianza del

De officio scribae di Marcantonio Sabellico, messa in luce da LANERI 2008: all’inizio del dialogo si trova un riferimento al ritorno di Pomponio Leto da un viaggio in Sarmazia (probabilmente il cosiddetto iter Scythicum), che, attraverso un esame di dati cronologici interni ed esterni all’opera del Sabellico, potrebbe essere avvenuto nel 1476: CALPH. Quis te huc ad nos deus appulit, Sabellice?

SABE. Ne quaeras, Calphurni, quis deus, sed quae causa potius. CALPH. Istuc igitur ipsum quaerimus. SABE. Vt Pomponium uiderem, quem audio ad nos incolumen ex Sarmatia rediisse. CALPH. Rediit certe, sed tu omnino huc tarde: nam Pomponius iamdudum Ariminum uersus nauigat.

Vd. LANERI 2008 p. 146. La questione dei viaggi, dunque, risulta essere molto complessa, pertanto andrebbero riviste e verificate nuovamente, non solo la tesi di Bracke, ma tutte le tesi degli studiosi che si sono espressi a tal riguardo, tenendo conto non solo del registro di pagamenti e delle opere pomponiane ma anche del carteggio del Leto con gli altri umanisti a lui contemporanei.

108

Della moglie di Pomponio abbiamo notizia da due soli brevi epigrammi composti dall’umanista, da uno dei quali, in particolare, veniamo a sapere che si chiamava Giulia, vd. ZABUGHIN 1909 pp. 197-199 e 348 n. 23.

109

Ci sono diverse notizie relative all’ubicazione della casa e della vigna che Pomponio acquistò. Per una sintesi, vd. ACCAME 2008 pp. 72-78.

110

Il protocollo notarile della compravendita recitava così: Pro Pomponio Leto uenditio domus et

pacta cum herede Mabilii de Nouate (marg. sin.). 1479. Eisdem anno pontificatu et indictione quibus supra proxime, mensis aprilis XVII in presentia mei publici not[arii]. Cum hoc sit prout infrascriptae partes asseruerunt q. quondam Mabillas seu Mabilius de Nouate de Mediolano [...], Archivio di Stato

di Roma, Coll. Not. Cap. 175 (notaio Benembene Camillus), ff. 130r e 140rv; una copia dell’atto ci è trasmessa nel codice Barberiniano lat. 1572, ff. 32r-33v, conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Nel documento del 1479, stilato dal notaio Benembene, si registra l’atto di compravendita di una seconda casa di cui Pomponio aveva già acquistato una metà, vd. ACCAME 2008 p. 72 n. 84.

entrambe i classici, ma è probabile che la seconda abbia anche ricopiato alcuni manoscritti per conto del padre111.

Sull’insegnamento di Pomponio Leto in questi anni, invece, si possono leggere alcune notizie negli scritti dei suoi allievi; Michele Ferno, in particolare, descrive il suo maestro che si precipita anche nei giorni più freddi e piovosi dalla sua casa nell’aula del Ginnasio: le sue lezioni si svolgevano all’alba e la folla degli ascoltatori era tale da poter a stento entrare all’interno dell’edificio, creando così una lunga coda fuori dalla porta112; ancora Ferno ci racconta che Pomponio Leto preferiva insegnare piuttosto che scrivere, perché, come usavano fare Socrate e Cristo insegnando, creava attorno a sé una schiera di allievi valenti, che con le loro virtù avrebbero reso grande il nome del maestro113.

Paolo Cortesi, che era nato nel 1471, ricordava nel suo De cardinalatu di aver seguito puer le lezioni di Pomponio Leto, quando, prima dell’alba, il vecchio professore scendeva dalla sua casa sul Quirinale e la folla degli studenti era tale che egli non riusciva neppure ad entrare nell’aula114

.

Sembra, inoltre, che Pomponio non facesse lezione se non in ore antelucane; Sabellico lo descrive, infatti, armato di lanterna, quando le notti erano senza luna.

E ancora testimonia che il maestro, durante la lezione, rifuggiva da ogni discorso improvvisato e non diceva nulla che non leggesse in un codice scritto di suo pugno, al fine di garantire la massima correttezza testuale115.

Anche Giovio conferma le testimonianze di Ferno e Sabellico116.

111

Vd. BASSET- DELZ-DUNSTON 1976, pp. 379-383. 112

Legebat in Gallicinio semper; non imbres, non desaeuiens frigus, non immanis ulla tempestas

hominem coercebat, quominus praecipitem se ex illo Quirinali iugo ad Gymnasium daret; et ruebant agminati illa uel hora ad illum auditores, quantum schola ipsa uix poterat capi. Interdum pro ostio sub die longissimam uelut caudam, quae testudine recipi nequiret, ducerent, Ferno in MANSI 1859 p. 631. 113

Quamquam delectabatur magis docere quam scribere, ut essent Pomponiani plurimi discipuli, in

quorum excellentia cerneret nomen suum inclarere, sicut Socrates, et factitauit Christus: qui cum ipsi (sed longe aliter hic, et aliter ille) doctissimi consummatissimi essent, in discipulis et ministrorum splendore uoluerunt nomen et famam suam; ingenii et diuinitatis maiestatem elucere, Ferno in MANSI 1859 p. 6. A proposito dell’insegnamento di Pomponio, Zabughin dice che “il Leto non si sentiva creato ad essere scrittore, oratore, a far insomma lo schietto umanista; egli, infatti, diede all’insegnamento quasi tutto se stesso e la sua vita intera.” Vd. ZABUGHIN 1906 pp. 215-218.

114

CASTRO CORTESIO 1510 f. CIIII. Tale testimonianza è in perfetta sintonia con le parole del Ferno circa la discesa di Pomponio dal Quirinale al canto del gallo e la folla di studenti che rimanevano fuori dall’aula, MANSI 1859 p. 631.

115

Profitebatur antelucanis horis descendebatque ex Exquilinis ad lumen lanternae, nisi pernox luna

esset. Nihil fere legit unquam, nisi ex suo chirographo, Sabellico in DELL’ORO 2008 p. 216-217 § 29. 116

Xysto demum, Innocentioque fauentibus in Gymnasio docuit incredibili nominis authoritate

auditorumque frequentia, adeo ut ante auroram profitentem Romana iuuentus a media statim nocte praeoccupandis sub selliis praeueniret. Descendebat e Quirinali saepe solus, Diogenis more

I biografi del Leto, inoltre, insistono sulle sue capacità oratorie, benché sia indubbio che egli soffrisse di balbuzie, come suggerisce anche l’epiteto Balbus117: Ferno scrive: balbutire uisus cum expeditissimae linguae esset, haerere namque

palato lingua, et oris conuexum subquatere118; Sabellico dice: pronunciabat canora

uoce et iucunda minimeque concitata; ob linguae titubantiam sermo magis castus, quam comptus119; Paolo Giovio sottolinea: quod eo magis mirum uidetur, quum in

familiari sermone haesitante lingua balbutire esse solitus, nec orantem demum, aut clara uoce lectitantem, ulla omnino oris titubantia deformaret120.

Stando agli epistolari degli umanisti oggi noti, quello di Pomponio Leto è senz’altro il nome che ricorre con maggiore frequenza tra quelli dei professori romani quattrocenteschi ai quali si indirizzavano i pochi studenti che sappiamo esser venuti a studiare a Roma.

Ma proprio la figura del Leto, secondo Cherubini, è emblematica dei dubbi e degli equivoci che possono sorgere da conclusioni che non siano state debitamente approfondite: se da una parte, infatti, è possibile imbattersi in studenti che abbiano seguito i suoi corsi universitari, è però molto più facile incontrare i nomi di giovani che ascoltarono le sue lezioni private tenute nell’ambito dell’Accademia romana, magari lasciandone traccia in annotazioni manoscritte ad opere da lui commentate o nella richiesta di codici con i suoi emendamenti121.