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Le Glosule super Lucanum di Arnolfo d’Orléans (XII sec.)

L’ESEGESI A LUCANO PRIMA DI POMPONIO LETO

II.4. Le Glosule super Lucanum di Arnolfo d’Orléans (XII sec.)

Un documento fondamentale della prassi scoliastica medievale sono senz’altro le

Arnulfi Aurelianensis Glosule super Lucanum, contenute in un gruppo di codici di XII

secolo39 e pubblicate nel 1958 a Roma ad opera di Marti40.

Arnulfus, chiamato Arnulfus Rufus o Arnulfus Aurelianis o Aurelianensis, fiorì ad Orléans nell’ultima

parte del XII secolo, come si evince da alcuni dati interni alla sua opera41; inoltre, anche la sua connessione con Orléans, dove in quel periodo vi erano molti studiosi esperti nella lettura di autori classici, è chiaramente indicata da Arnolfo stesso nell’explicit del commentario a Lucano e in alcune sue glosse (I, 584; IV, 673, 820; X, 6)42. Certa poi è la sua rivalità con Matteo di Vendôme e la stesura, anche, di un suo commento ad Ovidio43.

Il commento di Arnolfo a Lucano fu scritto dopo la morte di Thomas Becket (1170), a cui si allude, e prima del 1211-1214, quando venne pubblicata la novella storica

Faits des Romains, in cui si fa largo uso delle glosse arnolfiane44.

Per quanto riguarda la struttura del commento, troviamo all’inizio un accessus45

costituito da:

1) commento all’epitaphium Lucani46 2) materia47

3) scopo dell’opera48

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MARTI 1958pp. LX-LXXII, decide di utilizzare sette manoscritti per la sua edizione delle glosule. 40 MARTI 1958. 41 MARTI 1958p. XXIX. 42 MARTI 1958pp. XVII-XVIII. 43

MARTI 1958p. XV-XXIX; per il commento ad Ovidio vd. GHISALBERTI 1932. 44

MARTI 1958p. XXIX. 45

MARTI 1958pp. XXXVII-XXXVIII; l’edizione del testo è alle pp. 3-5; ecco l’incipit: rius uerendum est

de uolibet uis sit uam uid i se fecerit. ucanus i itur natus ordube, ue est ciuitas is anie, unde abetur orduba me enuit , de non infimo genere, elegantis sapiencie. Nepos fuit magni Senece quem non solum imitatus est morum onestate, uerum in modo dicendi et carmine. ui, deuicta orduba a erone, inter ceteros ca tiuos ductus est omam, unde est illud a uit ero . [...] Sulla base di quest’ultima

affermazione, si può leggere già in Arnolfo una notizia destinata ad avere grande successo presso i commentatori medievali, come vedremo, ovvero che Nerone, conquistata Cordoba, portò a oma come schiavi sia Seneca che Lucano; si tratta di un’invenzione che, elaborata sulla base dell’espressione a uit

ero , non trova alcun riscontro nella realtà storica.

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Epitaphium Lucani, Anthol. Lat. no. 668 (ed. BUECHELER-RIESE 1906, I2 p. 139): Corduba me genuit,

rapuit Nero, praelia dixi,/quae gessere pares hinc gener, inde socer./Continuo numquam direxi carmina ductu,/quae tractim serpant; plus mihi comma placet./Fulminis in morem quae sint miranda, citentur:/Haec uere sapiet dictio, quae feriet.

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MARTI 1958p. 3: Materia Lucani in hoc opere est totus Cesar et totus Pompeius, totus Cesar id est ipse et

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4) utilità49

5) titolo dell’opera ed etimologia del nome di Lucano50 6) considerazione di Lucano come poeta e come storico51 7) paternità non senecana dei primi sette versi della Pharsalia52

8) spiegazione della materia trattata nel poema con l’inserimento di un sommario della guerra civile

Ogni libro è preceduto da un breve riassunto del contenuto ed è diviso in sezioni, con la segnalazione delle digressioni e con l’analisi delle sequenze degli eventi.

Tale lavoro non è, in effetti, una mera collezione di glosse, ma un commento continuo, che pur avendo un impianto tradizionale, non è assolutamente privo di originalità.

Arnolfo, infatti, non sembra aver consultato né i Commenta Bernensia né le

Adnotationes, pertanto eventuali coincidenze sono da attribuirsi piuttosto ad una fonte

comune; in effetti il suo commentario è più ricco e dettagliato rispetto ad essi.

Egli menziona Vacca, anche se lo usa molto raramente, per cui lo conosceva o attraverso un testo corrotto o attraverso intermediari.

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MARTI 1958p. 3: Intencio sua est tractare de hac historia, tum ut populo Romano placeat et senatui, tum ut

ceteros a consimili bello deterreat.

49

MARTI 1958p. 3: Vtilitas magna quia, uiso quid contigerit utrique de ciuili bello, uidelicet et Pompeio

capite truncari, Cesari XX et IIII plagis in Capitolio perforari, caueamus nobis a bello consimili. Ethice supponitur, non ideo quoddet precepta morum, sed quodam modo inuitat nos ad IIII uirtutes, fortitudinem, prudenciam, temperanciam, iusticiam, per conuenientes personas, ostendendo bonam moralitatem sicut in Catone et in ceteris bonis ciuibus qui ad politicas uirtutes nituntur que ethice supponuntur. Arnolfo

considera “etico” il poema lucaneo non perché fornisce degli insegnamenti morali, ma perché presenta una serie di virtù da ammirare, vd. MARTI 1941pp. 250-251.

50

MARTI 1958pp. 3-4: Titulus talis: Marci Agnei Lucani liber primus incipit. Marcus praenomen est et ad

differenciam ponitur; agneos grece apis dicitur latine, quia ut dicit Vaca eo nato examen apum super caput eius consedit et ita dictus est Agneus ab euentu. Lucanus sit proprium nomen, uel dicitur Lucanus trutannice quasi lucide canens, eo quod omne iperbaton, id est longam conctructionis suspensionem, exclusit ab opere suo.

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MARTI 1958p. 4: Sicut Iuuenalis purus est satiricus. Terencius purus comedus, Horacius in odis purus

liricus, non est iste poeta purus, sed poeta et historiographus. Nam historiam suam prosequitur et nichil fingit, unde poeta non simpliciter dicitur, sed poeta et historiographus. Per Anselmo, invece, poiché la

poesia è finzione e Lucano, nella descrizione di alcuni luoghi, finge (dal momento che ricorre all’immaginazione piuttosto che alle fonti storiche) allora può essere considerato a pieno titolo un poeta:

notandum etiam quod iste non dicitur proprie poeta cum poesis dicatur fictio, sed tamen quia in topographiis, id est in descriptionibus locorum, fingit, inde uocatur poeta, vd. MARTI 1941p. 247.

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MARTI 1958p. 4: Illud enim non probo quod dicitur de Seneca, illos primos uersus ab eo appositos esse

quia Lucanus inceperat: QVIS FVROR, sed nimis abrupte. Absurdum mihi uidetur dicere uirum tante auctoritatis aliquid inemendatum reliquisse.

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In realtà, è maggiore il suo interesse per gli scolari medievalisti piuttosto che per quelli classicisti, tanto che egli mostra di essere molto più vicino al suo predecessore di XI secolo, Anselmo di Laon53.

I veri modelli di Arnolfo rimangono per lo più anonimi, il suo commentario incorpora materiali molto antichi, tra cui Servio, ma anche più tardi come Isidoro di Siviglia e Papia54.

Le glosse di Arnolfo contengono aneddoti, storia, geografia, mitologia, astronomia, pseudo-scienza e riflessioni di natura retorica55; egli parte dal presupposto di una deficienza possibile dei suoi studenti, volendo supplire alla quale si impegna ad essere enciclopedico; spesso considera il testo della Pharsalia solo un pretesto per spiegare altro56.

Si tratta, dunque, di un commento ricco e dettagliato, in cui Arnolfo fonde storia e aneddotica, paganesimo e cristianesimo, ricorrendo alle etymologiae e alle sententiae in un latino tipico del XII secolo57.

L’importanza di tale lavoro è provata dalla ripresa, anche se non sempre dichiarata, da parte dei commentatori medievali successivi, tra cui soprattutto Zono de’ Magnalis e Benvenuto da Imola, di cui si parlerà più avanti.

53 Anselmo di Laon fu autore di un commento a Lucano, contenuto nel manoscritto Berol. 1066, che purtroppo non ho avuto modo di vedere. Notizie sul commento di Anselmo si ricavano indirettamente anche da MARTI 1941pp. 245-254: la studiosa si ripropone di ricostruire alcune caratteristiche della critica letteraria medievale, proprio leggendo i commenti a Lucano di Anselmo di Laon e Arnolfo di Orléans; il loro giudizio su Lucano e sulla sua poesia consente di ricavare informazioni utili a riguardo, dal momento che i lettori delle Artes Poetriae basavano le loro dottrine non solo sulle opere canoniche di poetica (Rhetorica ad

Herennium, De inuentione di Cicerone, Ars Poetica di Orazio), ma anche sulle regole che guidavano la

composizione della poesia, estratte dalla lettura dei classici operata dai maestri di scuola. Tuttavia le coincidenze tra i due non presuppongono, secondo la Marti, necessariamente una ripresa diretta di Anselmo da parte di Arnolfo, ma potrebbero essere dovute anche al ricorso ad una fonte comune, vd. MARTI 1958p. XXXI. 54 MARTI 1958pp. XXIX-XXXIV. 55 MARTI 1958pp. XXXIX-LI. 56 MARTI 1958pp. XXXIV-XXXVII. 57

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II.5. L’esegesi lucanea successiva ad Arnolfo (XII-XIV sec.)