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montes Pyreneos; in Hispania Caesar fudit filios Pompei Post redditum et obitum Caesaris, rursus aliud ciuile bellum natum perfidia Marc

IV.2.1. Osservazioni relative al I libro (ff 1r-12v)

Le note pomponiane relative al I libro del Bellum ciuile (ff. 1r-12v), poste in forma di catena intorno al testo, sono abbastanza brevi e trattano essenzialmente di storia, di geografia, di antiquaria, di mitologia e di astronomia; vi è una sola riflessione di carattere grammaticale, ad Phars. I, 642-643, dove Pomponio, attingendo al De compendiosa

doctrina di Nonio, sostiene che due particelle negative usate insieme possono anche negare

e non solo affermare6.

Questa nota merita particolare attenzione perché prova che Pomponio, leggendo nel testo di Lucano la doppia negazione, aveva davanti a sé un manoscritto con la lezione nulla

sine piuttosto che con la variante nulla cum.

La lezione nulla sine trova una propria attestazione anche in Prisciano e nei

Commenta Bernensia e potrebbe essere un utile indizio per l’identificazione dell’antigrafo

del Lucano Mazzatosta7.

Un altro utile indizio potrebbe derivare dalla lezione satiri contenuta nel Vat. lat. 3285 in Phars. I, 420 : qui tenet et ripas Satiri qua litore curuo, che viene ripresa da Pomponio nella relativa nota:

ad Phars. I, 420-421: TARBELLI habitant sinum qui est prope

ist<h>mum Oceani Gallici ubi effoditur aurum. Per hunc sinum labitur SATYRVS amnis e Pyrene<is>.

Anche l’editio princeps di Lucano riporta satyri; alcuni codici antichi hanno satyri, altri satiri o satyris, mentre i Commenta Bernensia e le Adnotationes hanno saturis; la lezione, però, oggi maggiormente accolta dagli editori moderni è Atur, grazie ad un confronto con l’opera di Vibius Sequester, che scrive: Atur Tarbellae, ciuitatis Aquitaniae,

in oceanum fluit (p. 146 RIESE)8.

Per quanto riguarda le osservazioni di natura retorica, Pomponio si limita solo ad indicare la Comparatio, che di solito scrive in inchiostro rosso e colloca in forma

6

Per gli studi e gli interessi grammaticali di Pomponio Leto vd. I.2.3.1. del presente lavoro. Per questa nota grammaticale cf. ZABUGHIN 1910-1912p. 30. I passi di Nonio di riferimento potrebbero essere NON.851 e 853 LINDSAY.

7

PRISC. GLK 3, 337, 14-15; per i Commenta Bernensia , vd. USENER 19672p. 42, ad Phars. I, 642. 8 Cf.

BADALÌ 1992 p. 23. Sulle fonti di Vibius Sequester vd. GELSOMINO 1961 pp. 645-660 e GELSOMINO 1962 pp. 131-161.

abbreviata sul margine destro o sinistro del foglio, delimitando i versi interessati con delle linee verticali sempre in rosso (es. ad Phars. I, 100-103; 118; 136-143; 674-676).

Inoltre, probabilmente in questo libro si può cogliere una sola riflessione di natura morale, allorquando il Leto commenta una famosa sentenza lucanea, ad Phars. I, 128:

causa uictrix placuit deis, sed uicta Catoni, e spiega al giovane Fabio che la causa di

Pompeo appariva più giusta a Lucano perché sembrava difendere la libertà.

Rari i casi in cui l’umanista esprime una propria opinione, come in ad Phars. I, 547, dove parlando della leggenda di Scilla e Cariddi scrive: indignatus Hercules

dilaniatam (sott. Charybdin) proiecit in mare, ubi adhuc uorat, ovvero mostra di credere

che il mostro esista e che ancora ai suoi tempi divori gli uomini.

Passando in rassegna le fonti classiche a cui Pomponio attinge per le sue notazioni, certamente imponente è la prevalenza della Naturalis Historia di Plinio, che l’umanista sfrutta non solo per le note di astronomia, ma anche per quelle di storia, di geografia e di mitologia (ad Phars. I, 206; 357; 399; 419; 450; 527; 532; 531; 537-539; 529; 540-543; 569; 580-583; 599-604; 639; 652-660)9; in questo libro, però, a differenza dei successivi, non si legge alcuna citazione esplicita di Plinio ma si incontrano piuttosto casi, molto frequenti nelle note, in cui Pomponio cita direttamente gli autori menzionati nella

Naturalis Historia, senza rendere in alcun modo noto che sta attingendo ad essi tramite

Plinio (es. ad Phars. I, 537-539; 529).

Passando in rassegna le citazioni esplicite di codesto libro, spiccano soprattutto quelle di Varrone10; in ad Phars. I, 172, Pomponio cita Varrone e Catone; la citazione varroniana (VARRO ling. 2,3), però, come si evince da un’analisi lessicale e sintattica del

periodo e da una collazione tra i testi, non avviene attraverso la conoscenza diretta dell’opera, ma piuttosto attraverso la mediazione di Columella (COLVM.1,praef. 12-15)11:

9 La Naturalis Historia di Plinio ebbe, in effetti, un grande successo durante l’Umanesimo, a partire proprio dall’interesse geografico di Petrarca verso il testo pliniano. L’editio princeps dell’opera uscì a Venezia per i tipi di Giovanni Spira proprio nel 1469 (HC(+Add)R 13087, IGI 7878, ISTC ip00786000); ad essa seguì a Roma l’edizione curata da A. Bussi nel 1470 per i tipi di Sweynheym e Pannartz (HC 13088*, IGI 7879, ISTC ip00787000) e l’edizione a cura di Perotti nel 1473 sempre per Sweynheym e Pannartz (HCR 13090, IGI 7881, ISTC ip00789000). Inoltre, cospicua è la presenza di Plinio anche nel commento di Pomponio alle

Georgiche di Virgilio, contenuto nel Vat. Lat. 3255, vd. ABBAMONTE 2004pp. 579-583. 10

Per gli studi di Pomponio Leto su Varrone si veda I.2.3.4. del presente lavoro. 11

ad Phars. I, 172: Varro ait patres familias falce et aratro relictis intra

muros correpsimus et in circis potius ac theatris quam segetibus ac uinaeis manus mouemus.

Varrone, ling. 2,3: igitur quod nunc intra murum fere patres familiae

conrepserunt relictis falce et aratro et manus mouere maluerunt in theatro ac circo, quam in segetibus ac uinetis [...]

Columella, 1, praef. 15: Omnes enim, sicut M. Varro iam temporibus

avorum conquestus est, patres familiae falce et aratro relictis intra murum correpsimus et in circis potius ac theatris quam in segetibus ac uineis manus mouemus [...]

La citazione di Catone, invece, come quella che si legge a proposito di ad Phars. I, 181, viene presa da Pomponio direttamente dalla prefazione del De agri cultura (CATO agr. praef. 1-2).

Una sola citazione varroniana, fra l’altro esplicita, è tratta dal De re rustica di Varrone (ad Phars. I, 675-678), mentre tutte le altre, sia implicite che esplicite, sono tratte dal De lingua latina ed in particolare dal quinto libro, fatta eccezione per ad Phars. I, 642- 644, dove l’etimologia di saeculum viene tratta dal sesto e per ad Phars. I, 599-604 dove la spiegazione dell’aggettivo saeuus viene presa dal settimo; il quinto libro del De lingua

latina viene sfruttato, in effetti, da Pomponio per tutte le note sulla religione e sulle

istituzioni romane (ad Phars. I, 595; 602-604), il cui contenuto spesso viene ripreso dall’umanista nella sua opera De magistratibus12

.

E ancora, tra le citazioni esplicite si trovano Svetonio (ad Phars. I, 188), Silio Italico (ad Phars. I, 303-305), Pompeo Festo (ad Phars. I, 444-446 e 598)13, Tacito con un’unica citazione diretta dalla Germania (ad Phars. I, 441), Cesare (ad Phars. I, 451) da

12 Cf.

LOVITO 2005p. 74 a proposito dei flamines: Dialem et martialem flaminem Romulus instituit; Numa

Quirinalem addidit. Varro asserit Numam Pompilium flamines singulis diis fecisse et ab eis nomina dedisse; hic, responsis hominibus in caelum relatis, flamines decreuit [...] ; LOVITO 2005 p. 76 a proposito dei

pontifices: [...] Appellati sunt, ut Varro scribit et Dionysius, a Ponte Sublitio quem reficiebant; quare uidentur a Numa non pontifices sed sacerdotum principes nominati, et, inde, regnante Anco Martio, quando Sublitius Pons factus fuit, a ponte pontifices appellati, et ideo sacra ab eis trans Tiberim non mediocri ritu ad pontem fiunt. Scaeuola pontifex maximus dicebat pontifices dici a posse et facere. Quidam scribunt ab eo quod potentia sacra perficiant; per il De magistratibus si veda I.2.4.4. del presente lavoro.

13

Per la presenza del Festo Farnesiano nelle note pomponiane a Lucano si veda BIANCHI 1980-1981pp. 235- 262.

cui cita quasi alla lettera i Commentarii, i Fasti di Ovidio (ad Phars. I, 598) e Cicerone (ad

Phars. I, 314; 481; 599-604)14.

A proposito, in particolare, della citazione dei Fasti di Ovidio in ad Phars. I, 598 è interessante il fatto che Pomponio chiami l’opera Annales e non Fasti, infatti nella nota così introduce la citazione ovidiana: ut Ouidius in VI annalium [...]

Nelle annotazioni ai Fasti, contenute nell’Ovidio Mazzatosta (Vat. lat. 3264), Pomponio così scrive a proposito di I, 7 f. 1r: Annales libri in quibus continentur gesta per

singulos an<n>os. Fasti libri in quibus sacra depinguntur15.

Nel suo “commento”, però, ai Fasti contenuto nel Vat. lat. 3263, l’umanista opera in maniera esplicita un’identificazione tra Fasti ed Annales; infatti a proposito di I, 7 f. 1r scrive: Fasti et annales idem sunt fere16.

In effetti, il Leto, chiamando i Fasti anche Annales fa un’allusione alla polemica, esistente nell’Umanesimo, relativa all’origine dell’etimologia del termine Fasti.

La corrente di pensiero più cospicua, cui fa capo lo stesso Antonio Costanzi (1436- 1490), riteneva che il termine Fasti fosse equivalente ad Annales, in quanto questi furono fonte dei primi, come dice lo stesso Ovidio al v. 7 del I libro dei Fasti: sacra recognoscens

annalibus eruta priscis, e come viene confermato anche da Prisciano (GLK 2, 256, 11):

´fastus` quando a ´fastidio` est uerbo, quartae est, quando uero pro annali accipitur, a

fastis et nefastis diebus sic dictum, frequentius secundae est.

Sulla base di ciò, Costanzi, nell’argumentum al suo commento ai Fasti, così scrive:

luculentum opus Nasonis, quod explicandum assumpsimus, fastorum titulum ac nomen accaepit non a fastis diebus idest festis, ut multi aetatis nostrae homines et quidem eruditissimi falso arbitrantur, quos Festi Pompeii traditio non intellecta decaepit, sed a fastis hoc est libris annalibus, unde magnam partem huius operis exceptam esse autor ostendit ut “sacras recognoscens annalibus eruta priscis”17.

Egli respinge l’opinione di coloro che fanno derivare fasti da festi e, sulla base di un passo di Livio (4, 20), distingue i fasti anche dagli acta diurna, poiché questi ultimi raccontano solo fatti quotidiani.

14

Sulle note di commento del Leto ad alcune orazioni ciceroniane, vd. I.2.3.2. del presente lavoro. 15 Sull’Ovidio Mazzatosta vd. III.1.2 del presente lavoro.

16 Sul commento di Pomponio ad Ovidio contenuto nel Vat. lat. 3263 vd. I.2.3.5 del presente lavoro.

17 A. Costanzi, Commento ai Fasti di Ovidio, Roma, Eucharius Silber, 23 ottobre 1489 (H 12244*; IGI 7071; ISTC io00175000) f. 2v.

Dunque, l’identificazione di fasti con annales operata dal Leto trova una propria giustificazione nel contesto di tale polemica.

In relazione, poi, alle citazioni ciceroniane (ad Phars. I, 314; 481; 599-604) è opportuno far notare come delle tre citazioni esplicite presenti nelle note solo una viene presa da Pomponio direttamente dal De oratore (ad Phars. I, 599-604), mentre le altre due si hanno attraverso la mediazione di Plutarco, Vita di Pompeo (ad Phars. I, 314) e di Ammiano Marcellino (ad Phars. I, 481, dove Pomponio inserisce un frammento della Pro

Fronteio).

Quanto alle citazioni esplicite di fonti greche, gli autori menzionati in questo libro sono Dionigi d’Alicarnasso (ad Phars. I, 196; 198; 198-199; 595), Esiodo, Pindaro (in realtà attraverso Igino) e Diodoro Siculo (ad Phars. I, 665).

Si tenga conto che, come si è più volte detto, Pomponio Leto conosce soltanto i rudimenti della lingua greca, pertanto quando ricorre a fonti greche, egli si serve di traduzioni latine circolanti nella sua epoca; in questa sede, però, si è rinunciato all’individuazione di queste, dal momento che si tratta di materiale, per la maggior parte, tuttora inedito.

Le note in cui si legge la prima citazione tratta dalle Antichità Romane di Dionigi d’Alicarnasso (ad Phars. I, 196; 198; 198-199)18

, riguardante i Penati e le diverse leggende e le vicissitudini toccate al Palladio, sono molto interessanti per capire il metodo dell’umanista: Pomponio riprende tutte le notizie presenti nelle Antichità Romane, ne inverte l’ordine di presentazione rispetto ad esse e ne offre una mirabile sintesi, aggiungendo qualche particolare che forse prende altrove (es. Romolo e Numa Pompilio) e citando non solo Dionigi, che è la fonte prima, ma gli autori menzionati da Dionigi: Timeo, Callistrato e Satiro, come se avesse preso la notizia direttamente da essi senza la mediazione dell’Alicarnasseo; non menziona, tra gli altri autori citati da Dionigi, Arctino, di cui, però, riporta comunque la testimonianza19.

Interessante ancora è che, quando Pomponio cita Dionigi, menzioni il libro secondo, mentre in realtà la citazione viene presa dal libro primo; ora, vi è un luogo del libro secondo (Antichità Romane 2, 66) in cui Dionigi si esprime in termini non dissimili, ove, pur ricordando che su questi fatti sono state elaborate molte leggende da poeti e storici, afferma che il Palladio era caduto dal cielo ed era in possesso dei Troiani e che fu

18

ACCAME 2008p. 44 afferma che Pomponio leggeva Dionigi nella traduzione latina di Lapo Biraghi. 19

Per la questione delle lezioni del testo di Dionigi accolte nella nota da Pomponio (Cerianas in luogo di

Enea a condurlo in Italia; dunque, o Pomponio scrive “libro secondo”confondendosi, dal momento che il medesimo argomento è trattato in entrambi i libri, o perché si basava su una versione delle Antichità Romane con una diversa divisione in libri.

Nella nota ad Phars. I, 595, Pomponio, nello spiegare l’etimologia del nome

pontifices, cita in maniera esplicita non solo Varrone, come si è detto sopra, ma anche

Dionigi d’Alicarnasso, il quale, in Antichità Romane 1, 38,3; 2, 73, 1 e 3, 45, segue l’autore del De lingua latina nel far derivare il nome pontifex da pons e facere.

Interessante è anche la nota ad Phars. I, 665, relativa al mito di Orione, nella quale l’umanista cita una serie di autori greci, tra cui Esiodo, Pindaro e Diodoro Siculo.

Come lo stesso Zabughin ha già sostenuto, fatta eccezione per Diodoro, è poco probabile che Pomponio conoscesse direttamente gli altri autori greci menzionati20; e infatti la prima citazione di Esiodo (fr. 148a Merkelbach-West), in realtà, viene presa da Igino (astr. 2, 34), così come la citazione di Pindaro (fr. 72-74 Maehler); mentre la seconda citazione di Esiodo (fr. 149 Merkelbach-West) viene presa direttamente da Diodoro che viene menzionato subito prima (4, 85).

A proposito, poi, della citazione di Diodoro, si individua un nuovo errore nella numerazione dei libri: Pomponio, infatti, scrive “libro quinto”, ma in realtà la citazione proviene dal libro quarto; ciò sarebbe dovuto, secondo Zabughin, allo sdoppiamento dei libri di Diodoro nella traduzione di Poggio, edita a Bologna nel 1472, (il primo libro era sdoppiato in due e i libri terzo, quarto e quinto corrispondevano agli ultimi quattro), della quale il Leto si sarebbe servito per la costituzione delle note21.

Veniamo ora alle possibili fonti implicite individuate tra gli autori latini: Vitruvio (ad Phars. I, 20), Lucio Ampelio (ad Phars. I, 108), forse lo Pseudo-Asconio (ad Phars. I, 178)22, Floro (ad Phars. I, 30; 254; 510-511), Pomponio Mela (ad Phars. I, 229; 389; 404; 426; 435), Igino (ad Phars. I, 544; 665); Isidoro (ad Phars. I, 229), Cesare (ad Phars. I, 397; 450; 481), le cui notizie, nelle note in cui Pomponio fa un interessante excursus sui Galli, vengono fuse dall’umanista con quelle date anche da Plinio, da Ammiano Marcellino e da Strabone. 20 ZABUGHIN 1910-1912p. 30 e 1910-1912(note) p. 270 n. 163 e 164. 21 ZABUGHIN 1910-1912pp. 49-50 e ACCAME 2008p.105.

22 Pomponio avrebbe potuto leggere direttamente Asconio e lo Pseudo-Asconio poiché Zabughin ritiene di aver individuato l’uso di entrambi e anche dei giureconsulti nel commento che l’umanista fece alle orazioni ciceroniane, contenuto nel Vat. Lat. 3233, vd. ZABUGHIN 1910-1912pp. 14-18.

In ciò si coglie un’attenzione eccessiva del dianense per le questione etnografiche: le note sui Galli sono così lunghe e piene di particolari da sembrare quasi un testo a parte rispetto alle annotazioni più strettamente relative al poema lucaneo.

Tra le fonti implicite greche, invece, troviamo Plutarco (ad Phars. I, 62; 267; 314; 374), Strabone (ad Phars. I, 229; 254; 397; 424) e ancora Dionigi d’Alicarnasso (ad Phars. I, 598).

Una nota abbastanza significativa per comprendere il modo di lavorare di Pomponio, che scrive per scopi eminentemente didattici, è ad Phars. I, 229, dove a proposito delle isole Baleari l’umanista dapprima ne indica la collocazione (fonti: Isidoro e Pomponio Mela), poi fa l’etimologia del nome, riportando anche il corrispettivo termine greco traslitterato (gymnadas), infine dice che sono due e accenna brevemente ad un evento storico che le riguarda, quale la conquista romana di esse ad opera di Metello (fonti: Strabone e Isidoro).

Casi come questo sono, in effetti, molto numerosi: le note di geografia, infatti, s’intrecciano spesso con le notizie storiche perché di una località nominata da Lucano Pomponio specifica la collocazione o la conformazione geografica e poi racconta un determinato evento storico oppure un episodio mitologico in essa avvenuto (es. ad Phars. I, 105; 218), inoltre, le note storiche spesso si intrecciano con quelle etnografiche, come quelle in cui parla dei Cimbri e dei Senoni (Ad Phars. I, 254), o ancora la storia s’intreccia con la mitologia (es. Ad Phars. I, 197).

Questo modo di procedere, volto a chiarire, a semplificare, ad istruire, a soffermarsi sui particolari che maggiormente potessero colpire, riflette pienamente il ruolo per il quale Pomponio era stato chiamato a vergare tale manoscritto, ovvero quello di magister di Fabio Mazzatosta.

Non mancano, però, tra le note di questo I libro anche casi di sviste ed errori da parte dell’umanista, dovute a fraintendimenti del testo, cambi di grafia, o qualche variante testuale per noi non attestata: per esempio a proposito di ad Phars. I, 419 scrive Triboicis

et Nubiis in luogo di Tribocibus et Vbiis, forma attestata in Plinio (nat. 4, 106) che è qui

fonte per il Leto; tale forma viene ripetuta anche in ad Phars. I, 463; o ancora Belloaci in luogo di Bellouaci (ad Phars. I, 419); o Mandibule invece di Manduborum (ad Phars. I, 427); Vactucam in luogo di Atuatucam (ad Phars. I, 429).

Nel caso, però, di ad Phars. I, 397, dove Pomponio scrive Vogesus in luogo di

Vosegus, attestato in Cesare (Gall. 4,10), si tratta di una variante testuale presente in alcuni

nei Commenta Bernensia e nelle Adnotationes23, pertanto tale forma non è dovuta, come riteneva lo stesso Zabughin, ad un fraintedimento del passo da parte del Leto24, ma piuttosto ad una presenza di tale lezione nel testo del Lucano ricopiato dall’umanista sul codice Mazzatosta.

Pomponio, però, commette anche qualche errore nel ricostruire i fatti storici, come nel caso di ad Phars. I, 30, dove nell’elencare le battaglie sostenute da Annibale contro i Romani, pone la battaglia di Canne prima di quella avvenuta sotto il pretore Centenio, la quale si colloca, invece, nella giusta successione temporale, dopo quella del Trasimeno e prima di Canne (cf. NEP. 4,3; LIV.22,8,1; AMM.1,4; PLB.b.c.3,86,5).

Tale svista potrebbe essere dovuta al fatto che l’umanista citasse a memoria.

In conclusione, il I libro di annotazioni si configura certamente pieno di notizie, ma non sovraccarico come i successivi, poiché mancano completamente interventi interlineari; le note sono abbastanze brevi e puntuali, fatta eccezione per quelle contenenti l’excursus sui Galli (ad Phars. I, 450; 481), sulle leggende relative i Penati ed il Palladio (ad Phars. I, 196; 198; 198-199) e sulle Vestali e le istituzioni romane (ad Phars. I, 595; 598; 599-604; 602), le quali già preludono all’ampio sfoggio d’erudizione che si troverà procedendo nella lettura nel manoscritto.

23

BADALÌ 1992 p. 22. 24

IV.3. Le note al II libro (ff. 12v-24v)