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Gli anni ‘70–‘80: la nascita del volontariato moderno

La prospettiva storica per capire il futuro

2. Le quattro fasi di evoluzione del ruolo politico del volontariato

2.1. Gli anni ‘70–‘80: la nascita del volontariato moderno

La convergenza tra il volontariato di origine cattolica e quello laico verso obiettivi comuni di azione politica ha costituito il grande cam- biamento e anche la forza di quel movimento di volontariato che ha preso il nome, proprio ad iniziare dagli anni ‘70–‘80, di “volontariato moderno”, distinguendosi così nettamente dalla filantropia. Si tratta di

un vero e proprio ‘movimento’, in quanto crea una nuova cultura, un cambiamento culturale, che forma improvvisamente una “comunità di persone” che si riconoscono e danno contributi fondamentali a quel- la stessa cultura. Una cultura che è innanzitutto una diversa visione della società e di futuro.

Tra gli anni 70 e gli inizi degli anni ’80 i dirigenti di grandi reti di volon- tariato italiane si sono così organizzati coinvolgendo anche studiosi

di problemi sociali, giuridici ed economici ed hanno iniziato una ri- flessione comune sul ruolo delle proprie organizzazioni aprendo un dibattito che da allora ha accompagnato la vita di alcune reti di vo- lontariato.

Il mondo del volontariato d’ambito cattolico è quello che ha iniziato una profonda riflessione sul concetto di carità e che ha segnato for- se la prima scintilla della nascita del volontariato moderno, a partire dagli ani ‘70. Tutti coloro che sono stati i fondatori del “volontariato moderno”, che in quegli anni ha iniziato a prender forma, ossia Gio- vanni Nervo e Giovanni Pasini, fondatori della Caritas nazionale, Lu- ciano Tavazza (Movi) e Maria Eletta Martini (Cnv), proponevano una visione diversa di carità che non poteva significare più solo alleviare la sofferenza degli ‘ultimi’ o degli ‘esclusi’, ma che doveva denunciare anche le cause delle disuguaglianze, delle povertà, delle ingiustizie, assumendosi la responsabilità di dialogare con le istituzioni, per cam- biare. A questo proposito Luciano Tavazza3 affermava che il volonta-

riato ‘moderno’ si distingueva da quello filantroco ed assistenziale dei periodi storici precedenti proprio perché assumeva una “dimensione politica” di impegno nel rimuovere le cause delle disuguaglianze e non di sola gestione degli effetti di tali disuguaglianze. Ed aggiunge- va anche che per fare questo c’era bisogno di alleanze forti anche con le parti più laiche della società:

l’azione per diventare efficace e risolutiva deve essere condotta insieme a tutte quelle forze sociali che – come noi – deside- rano il mutamento delle attuali politiche economiche… tutte le organizzazioni di volontariato tendono oggi a rafforzare la loro autonomia, a prendere le distanze dai partiti. Distanze opportu- ne non per un rigurgito di stupido qualunquismo, ma per quella distinzione di ruoli che in democrazia è motivo di chiarezza e base di diversificata collaborazione...4

Tale riflessione è stata imposta anche dai profondi cambiamenti in- tervenuti nella realtà politica di quegli anni. Il volontariato in Italia era

3 E. Alecci e G. Turus, Il cercatore di arcobaleni: il lungo cammino di Luciano

Tavazza, Ed. Movi, Milano, 2009.

diventato un punto di riferimento anche politico per chi non si ricono- sceva nella logica dei partiti e dei governanti, per chi cercava un ruo- lo diverso anche in politica. Sono gli anni del compromesso storico tra Dc e Pci, sono gli anni di piombo e del terrorismo, della nascita del nuovo potere craxiano, della caduta dei grandi ideali ed ideolo- gie. Sul piano internazionale dominano le figure di Reagan negli Usa e della Thatcher, che affermano la logica del liberismo fondato sul principio del ‘più mercato e meno Stato’.

Il volontariato veniva così ad assumere anche il significato di protesta nei confronti della classe politica e di ricerca di nuovi ideali.

A fronte del politico di professione visto come un freddo cal- colatore (...), impegnato a cercare il consenso intorno a sé, il volontario è invece inteso come l’animatore politico (...) che si impegna (...) per sviluppare il protagonismo e cioè la voglia di vivere delle persone.5

Lo spazio politico che il volontariato offre in quegli anni era un ‘nuovo’ luogo tra il pubblico ed il privato che si andava a costruire fuori dal contesto dei partiti e delle istituzioni, che integrava lo stesso sistema di democrazia rappresentativa, per valorizzare una richiesta di par- tecipazione al di fuori delle sole rappresentanze politiche e dai soli movimenti che erano sempre più affossati tra strategia della tensione e terrorismi.

A questo proposito M.E. Martini diceva agli inizi degli anni 80:

Il problema da approfondire (...) è se il volontariato non sia…la sintesi tra privato e pubblico, che supera le tradizionali antino- mie, rigidità e contrapposizioni tra i due termini; è infatti un ser- vizio reso da privati a tutta la collettività ed è, nella sostanza, un servizio pubblico. Siamo in presenza di privati che ‘partecipano’ con impegno personale; … e il potere deve sostanziarsi di par- tecipazione popolare, se vuole superare le aridità burocratiche e favorire lo sviluppo della coscienza civile dei cittadini.6

5 M. Orsi, Il volontariato e la riforma della politica, “Animazione Sociale”, 1981, n. 31, p. 79. Il testo citato è la trascrizione dell’intervento al convegno Acli di Riccione, svoltosi nell’ottobre 1980.

6 M.E. Martini, L’evoluzione dei problemi del volontariato italiano, in Tavazza L. (a cura di), Verso uno statuto del volontariato. I Problemi, Atti del secondo convegno

Anche il mondo del volontariato laico in quegli anni riceve un nuovo impulso dal fervore di cambiamenti sociali di quel periodo. Le Pubbli- che Assistenze, che rappresentano la forma associativa di volontaria- to laico più diffusa in Italia, si fan carico dei bisogni soprattutto in cam- po socio–assistenziale e dagli anni 70 diventano sempre più soggetti di interlocuzione con le istituzioni in questi ambiti, insieme alle Miseri- cordie. Questo cambiamento avvia un processo di rinnovamento che ha il suo culmine con il congresso di Sarzana del 1978: ne esce una Federazione Nazionale profondamente rinnovata sia nell’ immagine che nelle proposte. E un’ulteriore e decisiva svolta è rappresentata nel 1987 dal Congresso Nazionale di Lerici: viene elaborato un nuovo statuto nazionale che, innanzitutto, modifica la denominazione stessa della Federazione e che disegna un ruolo di ciò che diverrà l’Anpas. Il volontariato in quegli anni era costituito da milioni di cittadini che prestavano la loro opera gratuita attraverso decine di migliaia di asso- ciazioni. Le rilevazioni Istat sarebbero state svolte solo nel decennio successivo, ma sappiamo che allora si registrava un aumento verti- ginoso di crescita delle Odv e soprattutto del numero dei volontari. All’interno di questo mondo vi erano presenti alcune grandi reti che con attrezzature e volontari operavano in servizi anche complessi e ben organizzati (emergenza, trasporto sanitario, protezione civile, do- nazione sangue ed altro). Nonostante questa dimensione e qualità, il volontariato non riusciva a sopperire a nuovi bisogni insoddisfatti che il welfare state non poteva più coprire.

Tra i nuovi problemi sociali emergenti a fronte dei quali i servizi pub- blici si trovano impreparati a fornire risposte adeguate, vi sono quelli connessi ai progressivi processi di emarginazione ed esclusione so- ciale in parte acuiti anche dagli effetti occupazionali della crisi eco- nomica degli anni ‘70, ma che rappresentano il nodo centrale intor- no a cui le istituzioni pubbliche si mostrano inefficaci. Il crescente numero di tossicodipendenti, soprattutto giovani, anche per effetto della perdita di valori esistenziali di riferimento; le persone con di-

nazionale di studi sul volontariato: Il volontariato negli orientamenti legislativi regio-

nali e nazionale e nella ricerca di nuove politiche sociali, Lucca 26–28 Marzo 1982,

sabilità, che reclamano servizi scolastici e occupazione e che l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) classifica per la prima volta come persone con ‘svantaggio sociale’ e non più con menomazione personale; l’inizio del flusso di immigrazione (solo tra il 1979 e 1989 vi è stato un incremento del 45,4% e negli anni ‘80 ingressi media- mente di mezzo milione di persone all’anno)7, il progressivo processo

di de–istituzionalizzazione (Legge Basaglia N 180/1978): sono tutti ambiti in cui il volontariato dà in quegli anni un proprio contributo ori- ginale, offrendo nuovi centri di accoglienza, difesa dei diritti, proposte di innovazioni delle politiche istituzionali. Tutte azioni a forte impatto politico, sia nei confronti delle istituzioni che della cittadinanza, che hanno segnato anche un rapido movimento del volontariato che si è organizzato sempre più in reti e collegamenti nazionali. Il suo ruolo politico era nettamente ‘di parte’: ossia dalla parte e con le persone più emarginate.

Così, nel 1980 nasce il Coordinamento Nazionale Comunità di Acco- glienza (Cnca) a Torino, ad opera di un primo gruppo di persone che si era dato appuntamento per confrontarsi su programmi e strategie con cui affrontare l’allora emergente problema della tossicodipen- denza e dell’emarginazione sociale. Nel 1982 viene stilato il Docu- mento Programmatico di Cnca. Da allora la federazione ha sempre mantenuto la caratteristica di costituire un momento di confronto e di coagulo per tutte quelle realtà che, distribuite sul territorio nazionale, propongono percorsi di accoglienza, di reinserimento sociale e itine- rari educativi, formativi, culturali e di impegno politico per contribuire a costruire giustizia sociale con chi più è ai margini della società e soggetto di discriminazioni.

Sempre in quegli anni nasce a Lucca il Cnv (Centro Nazionale Volon- tariato): a iniziativa congiunta delle associazioni di volontariato e delle istituzioni pubbliche in risposta alle esigenze più volte espresse nel corso dei primi convegni nazionali (1980 e 1982) di creare un ambito di incontro permanente tra gruppi, associazioni e istituzioni, per lo

7 Dati Caritas Italiana – Fondazione Migrantes, Dossier statistico immigrazione, 2005.

sviluppo e il perfezionamento di un dibattito culturale e sociale, attor- no alle peculiarità che il volontariato stava dispiegando in tutte le sue forme, in gran parte imperniata sull’analisi dei fenomeni di esclusione sociale e sulle risposte conseguenti da generare. La sua originale composizione, cioè associazione di secondo livello, costituita da or- ganismi di volontariato nazionali e locali, da centri studi, da pubbliche istituzioni e da ‘esperti’, è dovuta alla chiara scelta, fatta dall’allora presidente M.E. Martini, di porsi all’insegna del “pluralismo culturale, politico e religioso”. Finalità primaria del Centro era quella di promuo- vere una nuova cultura nei rapporti tra società e Stato, tra volontariato e pubbliche istituzioni, anche promuovendo una nuova legislazione in materia. E il Cnv ha infatti svolto per un decennio una battaglia cul- turale molto visibile e incisiva, culminata poi nell’approvazione della legge quadro sul volontariato (n. 266 del 1991).

L’apertura culturale che caratterizza lo sviluppo del Cnv di quegli anni propone anche per la prima volta nel panorama italiano una forma stabile di collegamento tra il mondo del volontariato italiano e quello europeo: nel 1989 il Cnv crea e raduna a Lucca il nucleo costitutivo di quello che sarà poi il Cev (Centro europeo del volontariato) con sede a Bruxelles, che diverrà rapidamente la rete europea del volontariato moderno.

In sintesi, quindi, la riflessione che si è sviluppata con l’apporto di studiosi fino agli inizi degli anni ’90 ha portato ad alcune punti fermi sul concetto di ruolo politico del volontariato moderno:

– l’impegno nei servizi non è sufficiente, non si può limitarci ad un ruolo di gestione degli effetti, ma ci si deve impegnare per rimuovere le cause sociali delle disuguaglianze e delle ingiusti- zie, delle emarginazioni ed esclusioni. I ‘servizi’ del volontariato sono utili per mantenere la ‘protezione’ sociale che producono, ma insieme ad essi occorre assumere un ruolo capace di pro- muovere e garantire ai cittadini i diritti previsti dalla Costituzio- ne e di risposta a nuovi bisogni sociali: diritti che non possono essere solo enunciati, ma messi realmente in pratica, renden- doli effettivi. Su questa base si sviluppa un’alleanza tra mondo del volontariato cattolico e laico.

– Il ruolo politico del volontariato non è partitico. Ma di parte. Non contro i partiti senza i quali è difficile immaginare la democra- zia, ma occorre adoperarsi per la rigenerazione del sistema dei partiti con la riacquisizione dei valori perduti. Stando dalla parte di chi è maggiormente escluso, emarginato, senza diritti o diritti calpestati. Il volontariato quindi come soggetto politi- co autonomo, in grado di sviluppare la capacità progettuale di indicare al Paese un nuovo welfare in cui anche il volontariato avrebbe potuto svolgere sempre più un proprio ruolo di espres- sione di nuove sensibilità sociali, “alla pari” ed al fianco delle istituzioni.

– Un soggetto politico collegato agli altri soggetti del terzo settore mantenendo il proprio ruolo trasversale derivato dai valori della gratuità, della solidarietà, della giustizia sociale e democrazia di cui è portatore. Il dibattito non è stato semplice. Una parte delle organizzazioni di volontariato ha sostenuto e continua a sostenere l’esigenza di un volontariato ‘puro’ che rifiuta il col- legamento con gli altri soggetti del terzo settore e che pensa (ancor oggi) ad un “quarto settore”. Ma è comunque prevalso l’intento di collegare e integrare tutte le realtà che compongono il Ts. Anche se talora riaffiorano “rigurgiti” nostalgici di separa- tezze e ‘specificità’.