Considerazioni conclusive
4. Obbiettivi strategici comun
Oltre alle tre implicazioni sopra evidenziate che emergono dalle ri- cerche svolte, s’intende anche porre in evidenza tre obbiettivi che il volontariato già oggi sta perseguendo e che costituiscono importanti tendenze di cui tener conto per ridisegnare il futuro del suo ruolo po- litico. Si tratta di un ruolo politico che nei prossimi mesi ed anni dovrà anche consolidarsi, a giudizio di molti dei nostri esperti, con momenti di dibattito interno, che potrà essere favorito da corsi di vera e propria formazione politica dei volontari e dei suoi quadri associativi, da at- tività tese al raccordo tra le prassi esistenti sui diversi territori, anche attraverso laboratori territoriali specifici e di azioni tese al rafforza- mento delle reti teritoriali. I tre obbiettivi che sembrano caratterizzare il futuro ruolo politico del volontariato, che accomunano le opinioni della maggioranza degli nostri intervistati in particolare nella ricerca Units, sono i seguenti:
1. Nuovi rapporti con le istituzioni: valorizzare la sussidiarietà e la partecipazione
Se il volontariato giudica spesso il proprio ruolo ricoperto nel welfare negli ultimi decenni come sostitutivo di quanto spetterebbe alle istitu- zioni, spesso di sola gestione di servizi, ma senza avere un effettivo ruolo programmatorio e decisionale, adesso però l’obiettivo che sem- bra emergere è diverso, segna un cambiamento. Si tende sempre più a stabilire patti di alleanza tra Ts e istituzioni per creare un welfare di partecipazione civica, che valorizzi la sussidiarietà verticale ed oriz- zontale. Ciò significa, per esempio, “amministrazione condivisa”, pat- ti di sussidiarietà, regolazione per la “rigenerazione dei beni comuni urbani”, forme di welfare rigenerativo, di investimento sociale, a cui
hanno fatto riferimento segnatamente la maggioranza dei nostri inter- vistati. In questo contesto il volontariato ed il Ts si assumono quindi la responsabilità di farsi portatori/costruttori di beni/interessi “gene- rali” (beni comuni, welfare e salute, ambiente, cultura, educazione) creando nuovi rapporti con le istituzioni e le amministrazioni locali, ma anche coinvolgendo stakholders e cittadini. Ciò implicherà an- che prepararsi, da parte del volontariato, a superare le autoreferen- zialità, per favorire modalità di monitoraggio e valutazioni d’impatto del proprio operato, trasparenza interna, ma anche affinare le proprie competenze e capacità di partecipare , alla pari, sia nella fase di pro- grammazione e gestione delle risorse (come con i Fondi strutturali) e degli interventi, sia nella salvaguardia dei diritti (Lea e Liveas), sia nei momenti di attivazione della partecipazione alla gestione dei servizi. Questo implicherà inoltre sostenere un’economia sociale di qualità, ossia che sia in grado di offrire reale qualità di servizi e di lavoro, vigi- lando affinchè questa sia effettivamente tale.
2. Sviluppare cittadinanza, fare rete e comunità, nei territori e all’in- terno dello stesso Ts: tessere legami e creare unità, coesione so- ciale
È vero che vi è una frammentazione, quasi volatilità di tipi di volonta- riato che operano per i beni comuni, o nel settore dell’ambiente o per nuovi stili di vita, o in settori molto specifici del sanitario o socio–sa- nitario. Ma questa frammentazione con cui si presenta il volontariato e il Ts, anche o in particolare in Toscana, può essere letta non solo come una debolezza, ma anche come una virtù. Il volontariato ed il Ts aderisce alle diverse pieghe della società, esprime competenze e capacità di autorganizzazione democratica in diversi campi rispetto ai monolitismi ideologici di un tempo ed alla ‘liquidità’ dei partiti. La società civile si è articolata, è cresciuta, ha trovato nella sussidiarietà, nei BC, nei movimenti per l’ambiente e la sostenibilità, nelle nuove forme di welfare, un proprio campo di intervento. Ora si richiede da parte del volontariato di ripensare a modalità e strumenti che mettano in relazione questa nuova società civile con istituzioni e partiti, nella reciproca autonomia, ma anche nella reciproca collaborazione e cor- responsabilità, valorizzando momenti di democrazia deliberativa e
nuove modalità di collegamento ed integrazione tra le attività, proget- ti, programmi di istituzioni e volontariato. Alcuni territori già lo stanno facendo, per esempio nella formula del c.d. “welfare rigenerativo” in Emilia Romagna. Condividere queste pratiche, queste ‘culture’ che creano anche ‘comunità’ di persone e di identità sociale, significa lasciare che vari mondi del Ts si contaminino ed interagiscano tra di loro: significa capire e sviluppare il volontariato come “movimento” e non solo come “istituzione”.
Certo, è necessario rafforzare le reti, crearne magari di nuove: come qualche nostro intervistato ha auspicato che si crei in Toscana la rete delle OdV che si occupano di gestione e sviluppo dei territori, rispetto a quelle che invece si occupano di welfare. Ma certamente se il vo- lontariato ed il Ts vuole assumere un nuovo ruolo politico complessivo e non frammentario, di espressione del Paese e non solo dei volonta- ri, dovrà favorire sia il rafforzamento delle reti, che la contaminazione di questi diversi mondi dello stesso Ts e delle diverse pratiche che lo caratterizzano.
Il volontariato sociale di comunità, la cooperazione, il credito alternati- vo, le esperienze di protagonismo civico e di democrazia deliberativa, i comitati per i beni comuni, i centri sociali, i gruppi che sperimentano stili di vita a basso impatto ambientale, il co–housing o altre forme di economia della condivisione, i gruppi di acquisto solidali o i volontari che fanno agricoltura sociale con i disabili, o trasporto sanitario con il 118, prestazioni sanitarie ambulatoriali, le botteghe del commercio equo e solidale e quelle della legalità, i gruppi ambientalisti, i movi- menti non violenti, le case del popolo e le aggregazioni ecclesiali, i movimenti di tutela dei consumatori, di salvaguardia del paesaggio, gli educatori… ciascun protagonista e attore di queste esperienze, oggi si sta già mescolando all’interno di un complessivo nuovo ruolo politico che il volontariato e che il Ts si sta preparando ad esprimere compiutamente, ma che già oggi in parte svolge. Un ruolo politico, non solo attraverso propri programmi, propri obiettivi e progetti, ma anche esprimendo la capacità di tessere e ritessere legami sociali, di creare coesione, di costruttore di capitale sociale, là dove anche i partiti sembrano aver abbandonato questo ruolo.
3. Privilegiare la funzione educativa e formativa, culturale ed etica del volontariato: privilegiare il sociale per creare sviluppo, rin- novare l’etica della politica per combattere la corruzione diffusa e tornare a creare ponti tra cittadinanza e politici, rafforzare la “politica della mitezza”
Molti dei nostri intervistati hanno indicato l’importanza di privilegia- re questa funzione culturale del volontariato anche come proposta e chiave di volta per uscire dalla crisi economica: una crisi – a detta di alcuni – che è innanzitutto sociale e culturale, della politica, prima ancora che economico–finanziaria.
È evidenziata in particolare la necessità di ribaltare la logica dei due tempi lamalfiana (prima lo sviluppo economico e poi quello sociale) per evidenziare invece esattamente il contrario, ossia ridando premi- nenza al sociale e al ruolo della politica, rispetto a quello dell’econo- mia e della finanza neo–liberista. Sviluppando su questo consape- volezze, cultura ed educazione. Ribadendo la priorità dello sviluppo del sociale, di welfare. Ma anche di una politica dei partiti che sia rinnovata nella forma e nella sostanza.
A questo proposito qualcuno dei nostri intervistati ha fatto riferimento all’etica della politica e al metodo della “mitezza” del volontariato. La storia del volontariato – si afferma – sembra talora esprimere una
politica della mitezza, che come tale non ha spazi nel modo machia-
vellico di intendere la politica, anzi, è per certi aspetti l’antitesi della stessa politica5, di quella politica così realistica che talora diventa
cinica, senza lasciare spazi ai cambiamenti, perché riproduce solo il suo stesso potere. La mitezza è invece una sorta di politica della non– violenza, ma non è remissività, tutt’altro. È quindi coerente anche con le finalità dello stesso servizio civile che dovrebbe essere potenziato e valorizzato anche nel suo messaggio di rifiuto della violenza e di costruzione di ‘mediazione’ sociale. La mitezza è evitare l’arroganza e la sicurezza di chi difende solo il proprio interesse o quello di pochi pre–potenti, per favorire invece una gestione costruttiva dei conflitti per il bene comune, o per gli interessi/beni collettivi. Mitezza: non
perché il volontariato abbia rinunciato a lottare o perché si sia votato a una concezione idilliaca di un mondo conciliato. Ma esattamente per la ragione opposta: perché oggi le condizioni del conflitto sono profonde, radicali, globali ed estreme, pericolose, perché vertono su questioni ultime, come la sopravvivenza di persone sempre più in po- vertà o alla disperata ricerca di sopravvivenza, come accade per la vita milioni di ‘migranti’, mentre dall’altra parte si assiste alla difesa di grossi interessi finanziari ed economici, di gruppi potentissimi, di lotte di potere di pochi potenti. Il conflitto di interessi è talmente forte che se esso non viene condotto con linguaggi e con metodi non distrutti- vi, auto–sorvegliati, radicalmente rispettosi dell’altro, ossia, appunto, con mitezza, senza alimentare e spettacolizzare i contrasti, le divi- sioni sociali si acuiscono a dismisura. Ma se si vuole che la politica sopravviva come arte della costruzione di una società condivisa, è necessario oggi ripartire dall’antropologia del mite, e non da quella del guerriero. Per questa ragione la “politica della mitezza” può esse- re una via d’uscita da non considerare una rinuncia, un atteggiamen- to rassegnato, debole, ma piuttosto la sola che possa permettere di costruire mediazione sociale, ossia legami, pluralismo di convivenze, interdipendenze e convivenze tra diversità. Il ruolo del volontariato è quindi di offrire conoscenza, informazione, strumenti di consapevo- lezza per andare alle radici e cause delle disuguaglianze, facendone terreno di quotidiani impegni e di culture, scelte di vita da diffondere, di partecipazione civica.
Questa è la democrazia che il volontariato oggi contribuisce a creare, dal basso. E questa è la sua politica. Perché politica, come diceva Don Milani “è sortire insieme da un problema”. Un percorso collettivo, quindi, che parte dai territori, dal locale, dai vissuti delle persone, che esige atteggiamenti positivi, costruttivi, sostenuto dalla consapevo- lezza che questa ‘mitezza’ corrisponde non solo ad una visione della vita, ma anche ad un ethos della politica di cui oggi vi è vitale neces- sità, per tornare a sperare di poter disegnare un futuro migliore. È questo ethos che il volontariato tende ad esprimere. È di questo ethos che il volontariato si fa messaggero di domanda sociale nei confronti del mondo della politica e dei partiti.
È di questo ethos che dà anche testimonianza, vigilando in modo tale da rafforzare la democrazia del quotidiano vivere e allontanando gli ‘abusivi’ della democrazia che talora si annidano anche al proprio interno. E questo è un altro interesse generale, non particolare, che il volontariato oggi tende ad esprimere anche nel ridisegnare il suo rapporto futuro con la politica.