Il ruolo politico del volontariato in Italia visto da 12 esperti nazional
1. Premessa: l’intervista e il panel di esperti nazional
In questo secondo capitolo abbiamo voluto svolgere un approfondi- mento, attraverso interviste ad un panel prescelto di esperti nazionali, circa alcuni elementi evolutivi del ruolo politico del volontariato con riferimento specifico agli anni più recenti, ossia al periodo iniziato dal 2008, l’anno della crisi economica chiamata anche la “grande reces- sione”. In particolare volevamo approfondire i quattro temi che erano emersi, al termine della fase 1, come elementi caratterizzanti il ruolo politico del volontariato dal 2008 ad oggi. I quattro temi sono: 1) wel- fare e disuguaglianze sociali; 2) beni comuni e cittadinanza attiva; 3) stili di vita e ridefinizione di benessere; 4) rapporto con le istituzioni e la politica, forme di democrazia deliberativa. Queste quattro aree di temi erano risultate, al termine dell’analisi compiuta nel primo capito- lo, quelle più rilevanti per comprendere anche le linee evolutive future del ruolo politico del volontariato. Ecco in sintesi le nostre 4 aree di temi affrontati nelle interviste.
1) Welfare e disuguaglianze
Dal 2008, la crisi di natura finanziaria originatasi inizialmente negli Stati Uniti, ma che ha coinvolto i maggiori paesi industria- lizzati di tutto il mondo, ha cambiato radicalmente non solo il nostro modo di pensare il presente, ma anche le prospettive future. Per la prima volta nella storia, quel ceto medio che era stato protagonista dello sviluppo dal secondo dopoguerra, si impoverisce e con esso quel welfare state che aveva svolto un ruolo cardine per assicurare le basi dello sviluppo sociale e forse prima ancora di quello economico. Il welfare aveva infatti permesso sino ad allora di ridistribuire opportunità e benes- sere tra diversi ceti sociali garantendo l’universalità di alcuni diritti (inerenti soprattutto salute, istruzione, pensioni) tendendo
quindi a rimuovere alcuni aspetti delle stesse diseguaglianze sociali. Tutto ciò inteso anche come base dello sviluppo eco- nomico. Ma in questo nuovo contesto delineatosi dal 2008 è proprio la capacità di tenuta del welfare state che si è mostrata debole soprattutto là dove un’economia non molto robusta si è coniugata con un welfare fragile e/o frammentario (come in Grecia, Spagna e Italia e più in alcune regioni del nostro Paese, come quelle del Sud, rispetto alle altre).
E nel 2013 queste disuguaglianze sono aumentate ulteriormen- te: il 46% del patrimonio mondiale si trova nelle mani dell’1% dei nuclei famigliari. Ed i tagli al welfare sono aumentati nello stesso periodo: in Italia, in base ai dati del Rapporto sui diritti globali promosso da alcune associazioni quali Cnca, Gruppo Abele e Arci1, la spesa sociale dal 2008 è diminuita dell’80%,
con una diminuzione di fondi per le politiche sociali da 518 a 44 milioni e per il welfare da 2,5 miliardi a 270 milioni di euro. Ma al contempo, l’aumento delle persone a rischio di povertà è salito ed è oggi al 24,5%. Di fronte a tale contesto di crisi, accade che l’esclusione intesa non solo come povertà econo- mica, ma anche processo di progressivo allontanamento delle persone dalle opportunità di occupazione, di istruzione, di reti sociali e comunitarie, di ambiti decisionali e politici, è vissuta spesso nella dimensione individuale, se non addirittura come fallimento personale da nascondere. Molti ‘outsiders’ negano così il problema, la sua gravità e quindi anche la gestione degli effetti e delle cause. La dimensione ‘liquida’ della vita indivi- duale sembra prevalere su quella ‘solidale’ e collettiva. Come interviene il volontariato in questo contesto? E cosa potrebbe fare anche in futuro? È stata questa la prima area di domande che abbiamo compreso nella nostra intervista.
1 Arci , Cgil, Associazione Società dell’informazione, Gruppo Abele, Cnca: Rap-
2) Beni comuni e cittadinanza attiva
In Italia il ‘movimento’ dei beni comuni si è sviluppato lenta- mente, nell’ambito del terzo settore, sin dagli anni 80–90, con l’esperienza di Libera e di altre OdV nei terreni confiscati alle mafie, soprattutto al Sud. Ma nel corso del decennio le espe- rienze si sono moltiplicate in riferimento a spazi urbani comuni (per es: con Roma Si–cura, o con le associazioni di Corviale di Roma, o con alcuni interventi in quartieri di Torino ad opera del Gruppo Abele), a spazi demaniali (per es: spiagge e fon- dali puliti con iniziative di Legambiente) o beni pubblici (per es: Teatro Valle di Roma o ex–caserme militari) o anche privati (per es: ex–Colorificio di Pisa), spesso in stato di degrado ed abbandono. Il salto di qualità vi è stato con la modifica dell’art. 118 della Costituzione. I beni comuni quindi non sono ‘dati’ solo dalla loro stessa natura e da chi li possiede, ma si manifestano nel loro essere ‘comuni’ attraverso l’agire condiviso: nascono con la partecipazione attiva e diretta della cittadinanza e fanno parte di un movimento che riguarda anche l’ambiente, il pae- saggio, la cultura ed altri beni immateriali. I tipi di intervento del volontariato nell’ ambito dei beni comuni sono un reale segno di innovazione rispetto al ruolo politico del volontariato degli anni passati? E quali cambiamenti possono comportare nei territori e nel ruolo futuro del volontariato? Questi temi costituiscono la seconda area di domande della nostra intervista.
3) Stili di vita e ridefinizione di benessere
In riferimento ai temi degli stili di vita, ai patti o accordi tra cit- tadini consumatori e produttori (consumi etici, Gas, Slow food, conti correnti bancari “etici”, ecc), che segnano la ricerca sia di nuovi tipi di benessere che di sostenibilità ambientale, so- ciale ed anche economica, quale tipo di ruolo può svolge e potrebbe svolgere il volontariato in futuro? Certamente questi temi esprimono valori molto forti e innovativi, connessi al ruolo che oggi può avere anche l’economia solidale: produttori che modificano il loro modo di pensare o produrre, che stabiliscono una filiera corta con i consumatori e creano ‘sviluppo locale’. Il
volontariato ed il Ts, con le proprie proposte che sono anche di stili di vita che si collocano all’opposto del consumismo indivi- duale, esprimono altri tipi possibili di benessere, ma anche di possibile diverso sviluppo economico e sociale. Del resto l’e- conomia sociale ha continuato a crescere negli anni della crisi sia pure mantenendosi ancora al di sotto di quanto potenzial- mente potrebbe divenire, rispetto al panorama internazionale. Alcuni studiosi del Ts hanno anche affermato che il lavoro è la risorsa più abbondante che abbiamo, la fonte di ogni ric- chezza: se tutti noi sviluppassimo l’economia della solidarietà e inoltre mettessimo a disposizione della comunità anche poche ore a settimana di volontariato potremmo soddisfare qualsiasi bisogno produttivo o ambientale, abbandonando il mito della crescita e ‘riprendendoci l’economia’2, ricostruendo un nuovo
welfare solidale. Quale ruolo per il volontariato in questo conte- sto, anche apportando uno stile di vita che è improntato all’im- portanza della gratuità e del dono, della solidarietà? È questa la terza area di domande della nostra intervista.
4) Rapporto con le istituzioni, la politica, la democrazia
Mentre le disuguaglianze sociali sono aumentate, la democra- zia sembra essere progressivamente diminuita. Oggi si parla di oligarchia e di plutocrazia, ossia del predominio nella vita pubblica di gruppi finanziari che, grazie all’ampia disponibilità di capitali, sono in grado d’influenzare in maniera determinante gli indirizzi politici dei rispettivi governi. I c.d. “movimenti del 99%” indicano questa forte differenza tra il peso politico di chi decide in quanto lobby della finanza, ed il peso di chi invece si vorrebbe ne pagasse gli effetti (99%). La democrazia diventa quindi il vero punto di attacco (ma crediamo anche la possibi- le risorsa) nella crisi economico–finanziaria che ha investito in modi diversi tutto il mondo occidentale. Nel nostro paese inol- tre, già da decenni era andata affermandosi un fenomeno che
ha preso il nome di “democrazia consociativa”3. Così, secondo
questa interpretazione, i partiti di fatto dipendono sempre più dalle lobby, non esercitano un reale ruolo di opposizione, ga- rantendo invece la stabilità della presenza delle stesse perso- ne alla guida dei partiti, dell’apparato politico pubblico, della classe dirigente del Paese.4 Ma nonostante questo ridotto peso
decisionale di chi è escluso da questo tipo di politica dei partiti, giungono oggi anche nel nostro Paese nuovi segnali e spinte da parte della società civile, magari non sempre in forme or- ganizzate, talora improvvisate e precarie: si tratta di segnali di volontà (come nel caso dei referendum sui temi dell’acqua e dell’energia nucleare), di nuove sensibilità sociali e forme di partecipazione democratica (come nel caso di alcuni enti locali ‘virtuosi’5) che segnano comunque un humus nuovo ed
un desiderio di cambiamenti sociali, talora riponendo nel ter- zo settore molta fiducia e sperimentano anche nuove forme di democrazia “dal basso”. Il volontariato ed il terzo settore sono portatori di una proposta politica di cambiamento di rapporti con il mondo dei politici e delle istituzioni? E il mondo della politica cosa potrebbe fare per sostenere e valorizzare il vo- lontariato ed il Ts, quali agenti di cambiamenti del tipo sopra delineati? Questi temi costituiscono la quarta area di domande della nostra intervista.
3 Nella scienza politica contemporanea, questo termine introdotto da A. Lijphart