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Dalle leggi razziali alla guerra

2.2 Una guerra da perdere

Ascoltammo dagli altoparlanti che era iniziata la guerra, c’era la voce di Mussolini, mi ricordo solamente che trovai 10 lire. Una cosa che mi rimase impressa è che trovai una moneta da 10 lire in terra... 98

L’immagine che un bambino ha del proprio passato è diversa da quella che una persona dopo che questa è diventata adulta. «Un avvenimento non diventa ricordo se non è caricato di emozione», di un significato particolare99. In principio, ha notato Gibelli, i bambini italiani vissero

«l’ingresso nel conflitto con distacco, come se nulla cambiasse nella vita quotidiana»: la guerra, in cui era entrata l’Italia di Mussolini il 10 giugno 1940, ancora lungi da colpirli fisicamente era altrettanto distante da segnarli psicologicamente100. Poi, con lo scorrere dei mesi, i bambini, insieme al resto

della popolazione italiana, subirono i tremendi contraccolpi imposti alla

96 A. Zargani, Per violino solo, cit., p. 86. 97 ACS, SHF, c. n. 8790, Bruno Portaleone. 98 ACS, SHF, c. n. 42041, Renzo Bemporad. 99 B. Cyrulnik, Il dolore meraviglioso, cit., p. 121. 100 A. Gibelli, Il popolo bambino, cit., p. 341.

nazione da un conflitto che dal punto di vista militare stava serbando all’Italia un tragico epilogo.

Franca Tedeschi Portaleone, a Roma durante i primi anni di guerra,si ricorda che durante quei mesi drammatici vide moltissimi film; la madre, portava lei e le altre figlie tutte al cinema ma, non avendo denaro a sufficienza, riusciva a farle entrare nella sala solo corrompendo il bigliettaio con un panino101:

Da grande ho domandato a mia madre: “Ma non c’era il pane, non avevamo niente, ma come ti veniva in mente di dare quel pane per farci entrare?” – “Senti voi eravate quattro bambine, tutto il giorno dicevate «C’ho fame! C’ho fame!» e allora avevo deciso che al cinema vi sareste distratti”. Mi ricordo tutti i film, quello con Alida Valli che si chiamava Noi vivi Addio Kira.

Il razionamento, le file interminabili davanti ai negozi, le faticose e “costose” ricerche alla borsa nera dei generi di prima necessità sempre più introvabili, divennero annosi problemi quotidiani. Come rispondono i bambini a tutto questo? Quando l’Italia è ancora solo sfiorata dagli eventi bellici i più grandi potevano farsi un’idea degli avvenimenti attraverso la lettura delle cronache dei giornali o dalla visione dei cinegiornali dell’Istituto Luce, mentre i bambini più piccoli sapevano della guerra ciò che riuscivano a “captare” di riflesso dai discorsi e dagli umori dei propri famigliari102.

Agli occhi dei bambini, il conflitto mondiale diventò qualcosa di reale e temibile soprattutto quando le principali città italiane cominciarono ad essere devastate dagli alleati dal cielo e dal mare103. Dal 19 luglio 1943 in poi,

con il bombardamento del quartiere San Lorenzo, gli aerei inglesi e americani non risparmiarono più nemmeno la Capitale fino allora ritenuta,

101 ACS, SHF, c. n. 8777, Franca Tedeschi Portaleone.

102 Come ricorda Enrico Modigliani nato nel 1937: «Non so se questo è un rendersene conto, ma ricordo un giorno, deve essere stato appena scoppiata la guerra, dopo giugno ’40. Ero in autobus con mia madre venivo dal Corso e l’autobus doveva voltare ad angolo retto per via Del Plebiscito, quindi sfiorando proprio Palazzo Venezia dove c’era il balcone - evidentemente, nessuno me l’aveva detto ma sapevo perfettamente che quello era il balcone di Mussolini -, perché improvvisamente, come l’autobus ha voltato e ci siamo avvicinati a Palazzo Venezia, mi sono alzato sul sedile dell’autobus, mi sono rivoltato verso i finestrino dell’autobus, e ho urlato “MUSSOLINI DACCI L’OLIO!”. Perché in quei giorni erano stati razionati molti cibi, molti generi alimentari e in particolare l’olio d’oliva e non se ne poteva disporre normalmente. Evidentemente a casa sentivo questo disagio di non potere avere l’olio per condire i cibi: avevo evidentemente sentito dire che la colpa era di Mussolini che aveva iniziato la guerra e quindi, senza che nessuno mi sollecitasse, ma di mia iniziativa ho fatto questo gesto di clamoroso antifascismo che ha spaventato terribilmente mia madre e mi ha trascinato giù dall’autobus di corsa, siamo scesi alla prima fermata. Siamo scappati subito nel timore di essere seguiti». ACS, SHF, c. n. 40308, Enrico Modigliani.

103 Genova fu bombardata dal largo delle sue coste in due occasioni: la prima il 14 giugno 1940 da navi da guerra francesi, la seconda il 9 febbraio 1941 dalla marina britannica.

in quanto residenza papale, sicura da ogni attacco. Per Franca Tedeschi Portaleone fu proprio quella prima incursione aerea su Roma a farle capire cosa significasse essere in guerra:

Io mi ricordo benissimo nel 1940 quando hanno detto «È scoppiata la guerra! È scoppiata la guerra!», ma non mi rendevo tanto conto di che cosa volesse dire. Però, per esempio, quando c’è stato il bombardamento di San Lorenzo a Roma mi sono ben resa conto di che cosa volesse dire la guerra: quando suonavano le sirene bisognava mettere la carta azzurra per l’oscuramento, tenere le luci basse, bisognava andare nel rifugio. C’era il nostro capocaseggiato responsabile… come suonavano le sirene, si attaccava al campanello per farci scendere di sotto perché siccome noi eravamo ebrei potevamo fare segnali dalla finestra agli aerei inglesi o americani… Figuriamoci che stupidaggine! Finché non scendevamo nel rifugio non si staccava dal nostro campanello. Piccole cose che rimangono impresse nei ricordi e imprimono la sensibilità di una bambina. E poi sempre questo ritornello degli ebrei, perché noi siamo ebrei...104

Se la propaganda convinceva gli italiani che gli ebrei erano pericolosi nemici, d’altra parte fu inevitabile per questi ultimi cominciare sperare, nel loro intimo, alla disfatta italiana poiché solo la sconfitta militare avrebbe potuto portare alla caduta del fascismo e alla fine della discriminazione razziale. Ricorda Bruno Portaleone a riguardo:

Mio nonno, che era una persona vissuta, ogni volta che venivano restringimenti alimentari si sfregava le mani e diceva: «Bene, Bene!», e ripetendo una barzelletta che si diceva in Italia allora, faceva il segno che l’Inghilterra ci avrebbe raccolto in una vasca come il pesciolino rimasto nella vasca senza acqua… al che succedevano in famiglia delle tragedie perché mio padre strillava, diceva: «Io devo preoccuparmi di dare da mangiare a quattro figli e tu fai questo verso che ci prenderanno per fame!».

Tuttavia fra gli ebrei più giovani il disfattismo che trapelava dalle considerazioni degli adulti, non mancò di suscitare in un primo tempo anche un certo disorientamento:

Dall’inizio del conflitto, il giornale radio delle 13 si apre con un bollettino di guerra che annuncia i grandi successi del “nostro” esercito sia sulle Alpi, sul fronte francese, sia in Libia e nell’Africa Orientale italiana. Non capisco bene cosa debbo pensare: è naturale che io tenga per l’Italia, è il mio paese; ma dai discorsi degli adulti so anche che solo la caduta di Mussolini e del fascismo potrà portare all’eliminazione delle

leggi razziali e alla possibilità per me e per noi di ritornare cittadini italiani a tutti gli effetti.105

Altri giovani meglio consapevoli della ferita loro inferta dal fascismo, sentirono che non avrebbero mai più avallato alcuna impresa italiana. Lo stesso Portaleone ha raccontato come furono proprio le leggi razziali a fargli prendere tale coscienza: «Bisogna capire che io ero un bambino di otto anni e i bambini di otto anni in definitiva accettano le cose. A quell’epoca non ero capace di entrare in profondità. Ho visto semplicemente che ho cambiato scuola, ma mi si è identificato un sentimento anti italiano preciso. Per cui tutta la fase della guerra noi eravamo dalla parte degli inglesi, degli americani; ogni vittoria degli inglesi e degli americani era per noi una gioia personale laddove una sconfitta degli italiani e dell’asse era vissuta come un fatto gioioso. […] A otto anni sapevamo da che parte stare»106. Anche Nedo

Fiano allo scoppio delle ostilità sentì dentro di sé che lui non avrebbe inneggiato alla vittoria del paese che lo aveva emarginato:

L’entrata in guerra dell’Italia ci fece vivere l’Italia come un paese nemico. Fummo inevitabilmente portati a vedere nel nostro stesso paese un nemico, perché nemici eravamo stati qualificati.107

Mentre i giornali alternavano le trionfanti vittorie degli eserciti dell’Asse - o i ripiegamenti strategici - con la propaganda antisemita, gli ebrei italiani fremevano per la riscossa degli alleati, che assai lontana apparve poi sempre più vicina. I bambini non mancarono di seguire con attenzione i fatti della guerra; studiavano le carte geografiche e, a seconda delle informazioni che riuscivano a raccogliere dai giornali108 o da ciò che filtrava dall’ascolto

105 C. M. Finzi, Il giorno che cambiò la mia vita, cit., pp.37-38. Per Ferruccio Neerman a causa della particolare condizione famigliare – il padre belga non aveva mai voluto cambiare la cittadinanza d’origine – la situazione parve ancora più complicata. Il giorno della dichiarazione di guerra, infatti, egli assistette alle parole del Duce e fu coinvolto dall’entusiasmo popolare: «Tornai a casa con la fierezza di essere Balilla ma, d’altra parte, preoccupato al pensiero che l’Italia fosse in guerra anche con il Belgio. Io appunto, ero cittadino belga, quindi in teoria nemico dell’Italia. La situazione, in realtà abbastanza complicata, mi gettava in uno stato di gran confusione. Quando rientrò mio padre, gli raccontai del discorso del Duce, del quale peraltro era già al corrente, con una certa enfasi. Egli non fece alcun commento, soltanto mi scoccò un’occhiata che mi incenerì: capii subito da quale parte si aspettava mi schierassi. Ebreo e straniero in uno stato belligerante: ce n’era più che a sufficienza per togliermi ogni dubbio su una condizione che presentava contraddizioni e pericoli a non finire». F. Neerman, Infanzia

rubata, cit., pp. 23-24.

106 ACS, SHF, c. n. 8790, Bruno Portaleone.

107 M. Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, cit., p. 46.

108 «Io leggo ogni giorno il “Gazzettino” e imparo quanto sono cattivi gli ebrei che ci hanno trascinato in guerra. Imparo anche quanto gli ebrei siano ricchi (rubano e sfruttano tutti) e sono molto perplesso nel considerare le nostre condizioni economiche e quelle degli amici più stretti. Mi pare che le cose non fossero come dicevano i giornali. Alla nonna, che lavorava in cucina, leggevo ogni mattina - e commentavo – i bollettini di guerra: quando tutto era tranquillo, si

segreto di Radio Londra109, ne immaginavano lo svolgimento a favore di

russi, inglesi e americani, trepidando ad ogni esito delle battaglie: Si viveva giorno per giorno. Ogni avanzata inglese in Libia o in Cirenaica era seguita positivamente, ogni controffensiva di Rommel era un dolore, una preoccupazione. Questa era la nostra vita e nel frattempo si faceva la scuola ebraica e si studiava110.

leggeva che vi erano state “scaramucce sul lago Ladoga”. La parola “scaramuccia” e il lago Ladoga, nel lontano Nord, devono aver colpito la mia fantasia in modo particolare: mi rivedo ancora mentre leggo queste parole sul tavolo di legno della nostra cucina…». R. Bassi,

Scaramucce sul lago Ladoga, cit., p. 72.

109 «Pur di captare le informazioni di Radio Londra, mio padre, come un soldato al fronte, non si stancava di ingaggiare quotidianamente una dura battaglia contro sibili, scricchiolii e rumori di disturbo emessi dalle trasmittenti nazionali. Quando la nostra piccola radio Phonola, nascosta dietro ad una pianta, trasmetteva i rintocchi d’inizio programma (il tum, tum, tum, della quinta sinfonia di Beethoven) e la voce del presentatore cominciava a scandire le prime parole, mio padre voleva essere lasciato solo. Noi figlioli e la mamma, ci ritiravamo in cucina, dove, in religioso silenzio, aspettavamo che papà abbandonasse il suo posto di…combattimento». O. Neerman, Ebrei per caso, cit., p. 98.

III