Le leggi razziali volute dal Fascismo e firmate dalla Monarchia avevano già sconvolto la vita ebraica dal 1938 ma è solo dall’8 settembre 1943 che, in Italia, la sopravvivenza fisica degli ebrei viene apertamente minacciata. I piani tedeschi per la soluzione della questione ebraica vengono attuati senza incertezza e con l’attiva collaborazione del vecchio alleato fascista. Il 30 novembre 1943, Buffarini Guidi, Ministro dell’Interno della Repubblica Sociale Italiana, comunica che tutti gli ebrei «a qualsiasi nazione appartengano e comunque residenti nel territorio nazionale» devono essere arrestati e condotti in campi di concentramento. La caccia all’ebreo è dichiarata e per chi denuncia o dà informazioni utili alla cattura di qualche israelita c’è una ricompensata elevata.
Nel 1943 la popolazione ebraica italiana superava le quarantamila unità a cui andavano sommati i circa diecimila ebrei stranieri internati nel territorio metropolitano italiano durante la guerra. Il precipitare degli eventi dopo l’armistizio condannò gli ebrei in Italia allo stesso destino dei correligionari nell’Europa nazista.
L’alternativa all’espatrio in Svizzera (pieno di insidie e per nulla scontato) fu di far perdere le proprie tracce falsificando i documenti di identità, lasciando il proprio domicilio, allontanandosi il più possibile dai luoghi dove potevano essere riconosciuti e denunciati. Per gli ebrei perseguitati questa fu la scelta più comune, la più semplice da pensare forse,
ma la più difficile da mettere in pratica. Unite o separate, famiglie intere cercarono di nascondersi in campagna o in città, da soli od ospitati da persone più o meno disponibili. La sopravvivenza in balia di tante particolari condizioni, non fu mai certa fino alla liberazione.
Sperando in una veloce avanzata delle truppe anglo-americane, e nella sicurezza apparentemente garantita dalla presenza papale, Roma fu la meta preferita da molti fuggiaschi. Il grande rastrellamento del ghetto del 16 ottobre 1943 e la deportazione, uniti alla stagnazione del fronte meridionale, costrinsero molti ebrei a cercare l’accoglienza delle istituzioni cattoliche ritenute, in quanto spazi di giurisdizione vaticana, immuni alle retate nazifasciste.
L’ospitalità nei conventi e nei collegi di Roma rappresenta probabilmente, l’unica occasione per avere dei riferimenti, se non altro parziali, sulla quantità di bambini qui nascosti. Una relazione sull’attività cattolica in favore dei perseguitati parla di circa 4500 ebrei italiani salvati74;
considerando alcune fonti bibliografiche, e una serie di documenti provenienti dagli archivi ebraici romani il numero dei bambini e dei giovani nascosti nelle istituzioni della capitale può essere valutato in alcune centinaia di unità. Di fatto, l’opera cattolica di salvataggio svolta a Roma risulta abbastanza indagata: probabilmente più come conseguenza della volontà politica di evidenziare il ruolo della Chiesa nell’opera di salvezza degli ebrei in opposizione alla ricorrente polemica contro i suoi “dilemmi e silenzi” piuttosto che di una determinazione storiografica. Al di là di tutto, le informazioni che da queste pubblicazioni si possono desumere sulla condizione dei bambini ebrei nascosti a Roma sono molteplici e restano interessanti75.
Uno studio sulla clandestinità dei bambini ebrei in Italia acquisisce una sua specificità poiché quest’ambito, come si è sottolineato, è stato per molti versi diverso da quello degli altri paesi occupati dall’esercito hitleriano. All’interno dei confini “dell’alleato occupato”, la persecuzione delle vite ha
74 Archivio Centrale dello Stato in Roma (da qui in poi ACS), Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM), fasc. 15539/2.3.2, s. fasc. Congresso ebraico Canadese. Riconoscimento opera svolta
dal padre francescano “Benedetto”.
75 Cito i più significativi: A. Riccardi, La Chiesa a Roma durante la Resistenza. L’ospitalità negli
ambienti ecclesiastici, in «Quaderni della Resistenza laziale», II, 1977; A. Riccardi, L’inverno più lungo. 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Roma-Bari, 2008; A. Falifigli, Salvàti dai conventi. L’aiuto della Chiesa agli ebrei di Roma durante l’occupazione nazista, San Paolo, Milano
2005; A. Gaspari, Nascosti in convento. Incredibili storie di ebrei salvati dalla deportazione, Italia 1943-
1945, Ancora, Milano 1999; F. Motto, L'Istituto salesiano Pio XI durante l'occupazione nazifascista di Roma: asilo, appoggio, famiglia, tutto per orfani, sfollati, ebrei, LAS, Roma 1994; F. Motto, Non abbiamo fatto che il nostro dovere. Salesiani di Roma e del Lazio durante l’occupazione tedesca (1943- 1944), LAS, Roma 2000; A. Giovagnoli, Chiesa, assistenza e società a Roma tra il 1943 e il 1945, in L’altro dopoguerra. Roma e il sud 1943-1945, (a cura) di Nicola Gallerano, Franco Angeli, Milano
avuto tempi e modi per certi aspetti molto differenti ma lo scopo rimaneva il medesimo; questo, per quanto riguarda il territorio italiano, è stato esaustivamente riassunto così:
Tra spostamenti, emigrazioni, sconfinamenti e fughe, dopo l’8 settembre 1943 sono circa 32-33 mila gli ebrei italiani e stranieri presenti nel territorio controllato dalla Repubblica sociale. Secondo i dati più attendibili – tenendo presente che 900-1.100 persone non sono calcolate per l’impossibilità di procedere alla loro identificazione - sono 8.566 i deportati nei Lager del Terzo Reich (6.746 dall’Italia e 1820 dal Dodecaneso). Ne verranno uccisi almeno 7557. Ma il dato più sconvolgente di questo sterminio è l’altissimo numero delle vittime più giovani, dei bambini e dei ragazzi ebrei: complessivamente i morti, fra gli zero e i venti anni ammontano a 1.541 (1.288 per l’Italia e 253 per il Dodecaneso). Fra questi, i bimbi dai 3 ai 10 anni sono 508 (rispettivamente 483 e 25) e quelli con pochi mesi, o giorni, di vita e quindi collocati nella fascia di età compresa fra le classi 1943 e 1945, sono 115 (72 e 43), mentre rimangono ignote le età di altri 1379 deportati fra i quali, comunque i giovani e i ragazzi sotto i venti anni oscillano intorno ad una percentuale del 15-19 per cento. 76
Maida, sintetizzando questi dati, ha osservato quanto possa essere impressionante costatare la grande percentuale di bambini e di giovani periti nei lager. Un simile sentimento può sorgere esaminando le tabelle proposte da Sara Valentina di Palma riguardanti i bambini e adolescenti italiani sopravvissuti alla deportazione: secondo i dati riportati da di Palma, su 1445 bambini e adolescenti italiani deportati ne ritornarono 280, meno del 20%; i bambini nati tra il 1930 e il 1944 che sopravvissero allo sterminio oscillano tra un massimo di 18 (classe 1930) e un minimo di 3 (classe 1940)77.
Il terribile destino a cui andarono incontro i più inermi non può che fare accrescere lo sconcerto e la commozione in chiunque si appresta ad affrontare qualsiasi aspetto dell’argomento Shoah.
La vita spezzata dei bambini, fatto lucidamente concepito, perseguito e giustificato, risulta l’aspetto più disumano e malvagio del razzismo nazi- fascista. È significativo che il Libro della memoria, l’opera che ha cercato di raccogliere tutti i nomi dei deportati ebrei dall’Italia, abbia avuto come immagine di copertina, in entrambe le sue edizioni fino ad ora pubblicate, il volto sorridente di una bambina uccisa all’arrivo ad Auschwitz all’età di soli due anni78. Quella foto, non pienamente nitida, quasi sfuggente, è divenuta il
simbolo dell’ingiustizia commessa ai danni di migliaia di innocenti. Il Libro
della Memoria, con la sua accuratezza nel rintracciare, oltre che i nominativi,
76 B. Maida, I bambini e la Shoah, cit. p. 174.
77 Cfr, S. V. Di Palma, Bambini e adolescenti nella Shoah, cit., tab. 1 p. 207 e tab. 2 p. 208. 78 L. Picciotto, Il libro della memoria, Mursia, Milano 2002 (1a ed. 1991).
anche i meccanismi e i principali artefici della deportazione, è probabilmente la prova più valida della profonda connessione tra Shoah e storia italiana: in questo senso rappresenta senza troppi dubbi un’opera monumentale79.
Questo libro, la cui “mole” anticipa “solo” visivamente l’impresa storiografica compiuta, induce peraltro a riflettere, all’interno del ragionamento fin qui condotto, sul delicato legame tra gli scomparsi e i superstiti, sempre inevitabilmente “condannati” nel confronto con chi non c’è più, a rimanere in una posizione d’ombra.
L’immagine scelta per la sopracoperta del recente libro di Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana. I racconti dei sopravvissuti, - una foto di Franca ed Enrica Spizzichino ritratte felici sulla loro biciclettina a rotelle sotto un’abbagliante sole romano - sembrerebbe mettere in risalto, ancora una volta, quanto il potere evocativo del ricordo degli scomparsi superi di gran lunga quello dei sopravvissuti: Franca ed Enrica Spizzichino, catturate con i famigliari nella retata del 16 ottobre 1943 e deportate ad Auschwitz- Birkenau, furono infatti immediatamente uccise dopo il loro arrivo nel campo di sterminio polacco80.
Si può forse immaginare, a questo punto, quanto ancor più problematico possa apparire affrontare la storia dei bambini nascosti - a partire dalla rielaborazione della memoria nei soggetti di questa ricerca - , se si tiene conto del peso enorme che ha avuto negli anni il paragone sia con i deportati uccisi e altrettanto con quelli sopravvissuti al lager. Sciogliere un nodo di tal genere significa mettere gli uni e gli altri, separati dal caso, ma fondamentalmente sopra un identico piano81. La storia dei bambini nascosti
in Italia diventerebbe un modo di ricostruire, da un lato insondato, quello che è stato l’approccio alla «vita offesa» di tutta un’intera generazione82:
vicende diverse di un’unica storia.
79 Così come è stata definita da Simon Wiesenthal.
80 M Pezzetti, Il libro della Shoah italiana. I racconti di chi è sopravvissuto, Einaudi, Torino 2009. 81 Marco Maestro, nel suo libretto di ricordi, dice: «Molti ebrei sopravvissuti ricordano il periodo della discriminazione come un momento di terrore e lo descrivono attraverso la metafora del bordo di un abisso. Non so, non trovo questa immagine calzante. Piuttosto eravamo come una persona che ha davanti a sé un bivio, oppure due porte eguali, nessuna delle quali sembra presentare particolari segni distintivi di pericolo, ma dietro una delle alternative può esserci la morte. Ci rendemmo conto di tutto ciò solo dopo aver aperto le porte, alcuni quella della vita altri quella della deportazione. Noi Maestro fortunatamente trovammo sempre la via della fuga». M. Maestro, Ballata di tempi lontani, La Meridiana, Molfetta (Ba) 2009, p. 11. p. 50.
82 Giusto parafrasando il bel lavoro curato da Anna Bravo e Daniele Jalla La vita offesa. Storia e