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I fattori determinanti per la crescita della produttività

1.7 Apertura internazionale e potenzialità di crescita del sistema produttivo

1.7.3 I fattori determinanti per la crescita della produttività

Per misurare il grado di efficienza e di innovazione tecnologica-organizzativa nell’uti- lizzare gli input produttivi, l’Istat prende in esame il rapporto tra la crescita economica e la produttività totale dei fattori nel lungo periodo (Ptf) e conferma la scarsa dinamicità che caratterizza l’Italia[ISTAT] . Fino alla metà degli anni Novanta, l’Italia ha registra- to tassi di crescita della Ptf superiori a quelli di altri paesi avanzati. Successivamente è iniziata una graduale riduzione dei tassi di espansione reale della nostra economia a causa delle limitate innovazioni tecnologiche ed organizzative dei processi produttivi. Inoltre poca attenzione è stata dedicata ad altri tipi di beni immateriali che possono sti- molare la crescita come la spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S) e il software. In merito a quest’aspetti l’Istat ha scomposto la crescita della produttività del lavoro riferendosi al periodo dal 1995 al 2010: sono stati poi creati due sottoperiodi per analizzare me- glio gli effetti della crisi e gli eventuali benefici apportati dagli investimenti in capitale tangibile e intangibile effettuati dai vari paesi [ISTAT]. Già nel periodo 1995-2007 si nota una crescita della produttività italiana bassa rispetto alla media europea, con un tasso medio dello 0,4% contro il 2,2%: le migliori sono Finlandia e Svezia con un +3%, grazie al ruolo preponderante degli investimenti in capitale intangibile rispetto a quelli in capitale tangibile (12,1% per la Finlandia e 14,1% per la Svezia) [ISTAT]. Anche per altri paesi dell’Ue il capitale intangibile ha contribuito moltissimo ad ac- crescere la produttività del lavoro, ad esempio la Danimarca ha rilevato un valore del 25,4%, la Spagna un 17,5% e la Francia 15,4%, mentre per l’Italia solo l’8,3% (di cui

l’1,3% in R&S) [ISTAT]. Oltretutto ciò non è compensato da un maggior contributo della produttività totale dei fattori, che anzi registra un -0,14% sottolineando un uso inefficiente delle risorse produttive. Il rallentamento nell’accumulazione di capitale tangibile nella maggior parte dei paesi europei è una fase fondamentale nella transizio- ne verso un’economia basata sulla conoscenza oltre a: un alto rapporto i R&S sul PIL, una semplificazione nella regolamentazione dei mercati, degli investimenti in una forte riorganizzazione dei processi produttivi. Nel periodo più recente, dal 2007 al 2010, l’e- voluzione della produttività del lavoro è fortemente influenzata dalla crisi economica: infatti in tutti i paesi europei si registrano tassi negativi, ad eccezione della Spagna che è cresciuta mediamente del 2% all’anno[ISTAT] . L’impatto più forte è stato subito dalla Finlandia (-2,2%) e dalla Svezia (-2,1%), mentre gli effetti sono stati più contenuti per Regno Unito (-0,3%) e Austria (-0,2%). L’Italia ha registrato un tasso medio annuo di crescita della produttività del lavoro pari a -0,9%, mentre sono aumentati seppur margi- nalmente gli investimenti in beni immateriali (0,06% in media annualmente). Emerge dunque l’importanza dell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazio- ne (Ict) e delle attività volte allo sviluppo delle innovazioni, essendo tra loro connessi e cruciali per la crescita e la competitività delle imprese. Questi aspetti possono essere approfonditi attraverso l’Esslimit, un progetto europeo al quale partecipano gli Istitu- ti nazionali di statistica di 15 paesi europei, tra cui l’Istat, predisponendo un’analisi microeconomica grazie a delle informazioni a livello aziendale, molto più dettagliate rispetto alle statistiche aggregate [ISTAT]. In primis si dà evidenza del rapporto tra l’adozione delle Ict e la realizzazione di attività innovative per i paesi considerati affer- mando che le imprese innovative, sia nel campo dei prodotti realizzati sia nei processi produttivi e nell’organizzazione interna per tutti i vari macro-settori, dispongono sem- pre più di un collegamento a banda larga, anche se ormai dovrebbe essere una dotazione base per tutte le imprese. Il commercio elettronico è un’altra forma di Ict che dal lato delle vendite online caratterizza le imprese che innovano i loro processi produttivi (dif- ferenziale positivo intorno al 10% rispetto ad imprese non innovative) e dal lato degli acquisti online rappresenta l’innovazione organizzativa di alcune (differenziale positivo superiore al 10% e oltre il 25% per i Paesi Bassi rispetto ad imprese non innovatrici). Si deduce che le imprese ad alta crescita, cioè quelle che secondo la definizione europea hanno almeno 10 addetti con tassi di crescita del fatturato o degli addetti superiori al 20% annuo per tre anni, fanno un uso maggiore delle Ict rispetto ad altre anche se i dif- ferenziali cambiano notevolmente per tipologia di innovazione tra macro-settori e tra paesi [ISTAT]. Ad esempio per i servizi di mercato nelle imprese ad alta crescita sono

diffuse tutte le varie tipologie di innovazioni, tranne qualche eccezione per Norvegia, Regno Unito e Paesi Bassi; mentre nel caso della manifattura si notano differenze si- gnificative e per l’Italia le imprese con una crescita rapida in questo settore non puntano tanto ad innovare, riscontrando in generale una minore propensione all’innovazione nel campo delle Ict. Nei paesi considerati nell’Esslimit si notano delle differenze statistiche rilevanti nella diffusione di questi strumenti tecnologici nelle imprese, soprattutto nel- l’adozione dei sistemi informatici di enterprise resourse planning che gestiscono tutti i processi d’impresa di qualsiasi macro-settore e in cui l’Italia presenta l’incidenza più bassa rispetto alle altre economie avanzate [ISTAT]. L’Italia per colmare i propri gap strutturali e l’inefficienza del suo sistema, che la posizionano molto indietro rispetto ad altri paesi europei in termini di crescita economica e di produttività, deve puntare su alcuni fattori chiave: l’accumulazione di capitale umano, la regolamentazione del mercato del lavoro, lo sviluppo della logistica, il miglioramento della giustizia civile e il contrastare l’economia sommersa. Riguardo al grado di qualità della logistica di ogni paese, la Banca Mondiale elabora un indicatore denominato Logistic Performance Index (LPI) che colloca ai primi posti Germania, Singapore, Svezia e Paesi Bassi nel 201019. L’Italia si trova al ventiduesimo posto tra i 155 paesi considerati a causa di una limitata qualità delle infrastrutture e una ridotta efficienza nei trasporti internazionali [ISTAT].

19L’indice LPI riassume le variabili qualitative che caratterizzano sei componenti determinanti per la

funzionalità della rete logistica in merito ai servizi e alle strutture: certezza e rapidità delle procedure doganali, qualità delle infrastrutture materiali e immateriali, effettiva concorrenza nei prezzi dei traspor- ti, efficienza dei servizi legati al trasporto, tracciabilità e puntualità delle operazioni di trasporto e di consegna.

Figura 30: Indice di performance nella logistica (a), 2010

Fonte: Elaborazioni Banca Mondiale; (a) Sono stati considerati i primi quindici paesi della graduatoria della Banca Mondiale, intervallo da 1 (performance peggiore) a 5 (performance migliore) [ISTAT]

Se si considera anche l’intensità di trasporto, definita come l’incidenza sul PIL delle tonnellate/chilometro (tkm) prodotte complessivamente nel trasporto interno, via terra e via mare, il livello dell’Italia appare vicino a quello medio dell’Unione a 15 paesi mentre la modalità stradale è utilizzata nel 90% dei casi con una differenza di circa 10 punti percentuali in più rispetto alla media europea e registrando valori bassi per le altre modalità (ferrovia e vie d’acqua interne) [ISTAT]. Una piccola inversione di tendenza si può cogliere se si esaminano i dati relativi al cabotaggio stradale, cioè il grado di utiliz- zo della rete stradale per il trasporto internazionale (calcolando la quantità di trasporto interno effettuato da vettori comunitari non residenti): dal 2000 al 2010 l’Italia registra livelli molto inferiori rispetto agli altri paesi europei come Austria, Germania, Francia e Regno Unito. Anche dal punto di vista della tipologia di imprese che offrono i servizi di trasporto l’Italia è in svantaggio: sono presenti numerose aziende di trasporto in conto terzi, ma con una dimensione media notevolmente inferiore a quella europea (nel 2009 le imprese italiane erano 80.915 più del doppio di quelle della Germania, della Francia e del Regno Unito e con 4 addetti, a fronte degli 8-10 addetti negli altri paesi)[ISTAT] . La misurazione dello stock di capitale è sempre molto difficile, ma grazie ad un proget- to dell’Ocse sono stati sperimentati degli nuovi indicatori che si basano sulla somma scontata del reddito percepito nell’arco dell’intera vita dei lavoratori e che compensano le altre misure relative alle spese e al livello di istruzione/formazione. L’Italia occupa una posizione intermedia con il 28,8% per quanto riguarda la profittabilità, rispetto alla

Francia che registra il valore più basso, 8,5%, e ai valori più elevati di Regno Unito (42%) e Germania (42,9%) [ISTAT]. Riguardo alla dotazione infrastrutturale, nel de- cennio 2000-2009 solo Germania, Francia e Spagna hanno investito mentre negli altri paesi come in Italia la lunghezza della rete autostradale è rimasta invariata.

1.8

La strategia del valore per il successo dell’agroalimentare ita-