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Specializzazione nell’export e internazionalizzazione

1.7 Apertura internazionale e potenzialità di crescita del sistema produttivo

1.7.1 Specializzazione nell’export e internazionalizzazione

Nonostante il buon andamento delle esportazioni tra il 2010 e il 2011, la quota di mer- cato italiana all’interno del commercio mondiale si è ridimensionata passando dal 3,8% del 2000 a 3,1% nel 2011 (Figura 24)[ISTAT] . Ciò accade a fronte dell’emergere di nuovi paesi leader nella produzione industriale che di conseguenza fa mutare anche la divisione internazionale del lavoro. L’Istat ha analizzato il modello di specializzazione dell’Italia rispetto al commercio mondiale usando un apposito indice di specializzazio- ne16per il periodo che va dal 2000 al 2010 e il risultato a livello settoriale è che persiste una specializzazione nei prodotti simbolo del Made in Italy e nella meccanica strumen- tale. Entrando più nel dettaglio, si nota un rafforzamento della specializzazione nella produzione di bevande, prodotti in metallo, macchinari e una riduzione significativa della specializzazione nelle produzioni tessili, in altre produzioni di minerali e nell’ar- redamento come in altri settori manifatturieri [ISTAT]. Si conferma nuovamente la nostra despecializzazione nei prodotti chimici, nell’elettronica e nelle apparecchiatu- re elettriche. A seguito della crescente integrazione delle filiere produttive, emergono alcune importanti specializzazioni di nicchia esaminando gli indicatori di specializza- zione per gruppi di prodotti (Figura 25): l’Italia risulta essere specializzata in 48 gruppi di prodotti rispetto al totale di 86, di cui 19 sono beni intermedi, 17 beni di consumo e 12 beni strumentali [ISTAT]. Alcuni di questi non rientrano nel tradizionale modello di specializzazione produttivo, rappresentando dunque delle nicchie che non sono ri- conducibili alla specializzazione del relativo settore: prodotti dell’industria alimentare, medicinali, mezzi di trasporto, parti e accessori per autoveicoli, pitture, vernici, inchio-

16Si può calcolare la specializzazione settoriale calcolando l’indice di specializzazione rispetto al va-

lore aggiunto oppure la specializzazione internazionale utilizzando le esportazioni nel calcolo. In sintesi l’indice di specializzazione è dato dal rapporto tra la quota del valore aggiunto/esportazioni in un certo settore sul totale dell’economia di un paese e la quota del medesimo settore rispetto ad una determinata area di riferimento, ad esempio UE o Mondo. L’indice relativo alla specializzazione internazionale si ottiene per simmetria e varia tra -1 e +1.

stri da stampa. Nel caso dell’alimentare e dei beni intermedi si nota a posteriori un importante connessione diretta o complementare ai prodotti del Made in Italy.

Figura 24: Esportazioni nazionali di merci e quote dell’Italia sul commercio mondiale (a), 2000-2011 (valori correnti, variazioni rispetto all’anno precedente, quote%)

Fonte: Elaborazioni ISTAT, Registro statistico delle imprese attive, statistiche del com- mercio con l’estero; (a) Stima realizzata dall’ICE sulla base di dati disponibili per i primi 11 mesi [ISTAT]

Figura 25: Specializzazione dell’Italia nel commercio mondiale di manufatti (a), 2000- 2010

Fonte: Elaborazioni ISTAT su dati ICE; (a) L’indice varia da -1 (despecializzazione) a +1 (specializzazione) e si fa riferimento alla seconda cifra della classifica Cpa-ATECO [ISTAT]

Un’altra caratteristica dell’evoluzione strutturale del commercio tra l’Italia e l’e- stero è la presenza crescente degli scambi di prodotti all’interno di uno stesso settore [ISTAT]. Il commercio intra-industriale17 incide molto nei confronti dei paesi con un reddito elevato (come Francia, Germania, Stati Uniti), mentre flussi intesi di scambi all’interno di settori medesimi avvengono con Romania, Cina e India. Questo è dovuto alla presenza di economie di scala, di una crescente differenziazione della domanda e da un livello elevato di reddito di certi paesi. Il scenario internazionale si contrad-

17Il commercio intra-industriale è definito come lo scambio fra paesi di prodotti della stessa industria

distingue inoltre per una diffusa integrazione dei processi produttivi a livello globale portando una maggiore apertura delle filiere produttive nazionali, ma anche la delo- calizzazione all’estero di molte attività produttive. Per rendersi conto dell’importanza nel commercio internazionale dei beni con finalità produttiva, l’Istat ha classificato i prodotti in base ai settori industriali principali e ha esaminato l’evoluzione della quota dell’interscambio di beni intermedi rispetto al totale a prezzi correnti. In sintesi la rile- vanza degli scambi di beni intermedi è confermata dal dato delle importazioni relative a questi beni che sono cresciute dal 40,1% al 43% tra il 2000 e il 2011, contro la quota dei beni intermedi esportati che dal 33,5% del 2000 raggiunge solo il 35,9% nel 2011 [ISTAT]. Per valutare la competitività del nostro sistema produttivo l’Istat esamina la capacità di attrazione degli investimenti diretti esteri (Ide), considerando la delocalizza- zione delle attività economiche non solo un espediente per contenere i costi produttivi ma anche per presidiare in maniera diretta i mercati ai quali sono destinate le esporta- zioni. L’Italia partiva da livelli molto bassi di investimenti diretti esteri in entrata e in uscita: negli ultimi dieci anni è riuscita a rafforzare il processo di internazionalizzazio- ne grazie ad un aumento di 5,9% dell’incidenza sul PIL dell’Ide in entrata e di 7,3% sul fronte dell’Ide in uscita [ISTAT]. Gli investimenti esteri in entrata risultano molto contenuti se paragonati a quelli del Regno Unito e della Francia, che hanno un incre- mento del 20%, ma di certo sono superiori a quelli predisposti dalla Germania. Questa dinamica è il risultato di una crescita ridotta degli investimenti esteri diretti in uscita iniziata nel 2007 e inferiore rispetto a quella dei principali paesi dell’Ue, in particolare la Francia che registra un +27% e la Germania un +17% [ISTAT].

Figura 26: Investimenti diretti esteri in entrata per alcuni paesi UE, 2000-2010 (stock in % del PIL)

Figura 27: Investimenti diretti esteri in uscita per alcuni paesi UE, 2000-2010 (stock in % del PIL)

Fonte: Elaborazioni Eurostat [ISTAT]

Un altro aspetto interessante che l’Istat indaga nel suo rapporto è la rilevanza eco- nomica delle attività svolte dalle multinazionali estere per i nostri sistemi produttivi: nel confronto con gli altri paesi europei l’Italia risulta essere al sesto posto, con al pri- mo posto il Regno Unito, con quasi 1,2 milioni di addetti a controllo estero nel 2008. In antitesi, le attività delle multinazionali pesano in maniera ridotta sull’economia na- zionale a causa della nostra scarsa capacità di attrazione: in termini di addetti l’Italia impiega il 7,4% del totale e il 10,5% per quanto riguarda la manifattura e risulta essere molto lontana rispetto ad altri paesi; un’ulteriore conferma si trova in termini di valore aggiunto a controllo estero che è 13,2% per il complesso di attività e 17,2% per quelle manifatturiere [ISTAT]. L’Italia risulta ultima rispetto agli altri paesi europei anche per quanto riguarda il grado di internazionalizzazione: questo dato risulta dall’incidenza delle attività delle multinazionali italiane all’estero rispetto a quelle realizzate nel no- stro paese ed è pari a 12,7% per l’industria e a 7,5% per i servizi non finanziari contro il 63,5% e il 23,9% per la Finlandia che è la prima in quest’ottica [ISTAT].