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L’importanza del commercio internazionale

Una prima prova del rilancio dell’internazionalizzazione dell’Italia viene fornito dalla forza dei numeri, confermando la supremazia della matematica citando Oscar Farinetti. Nella maggior parte dei paesi industrializzati, i livelli di attività e i mercati interni sono tornati indietro di dieci anni, stando alle analisi industriali di ICE e Prometeia. Se si osserva il commercio internazionale invece gli scambi mondiali hanno già recuperato il loro livello pre-crisi, qualunque sia l’unità di misura. La domanda estera per i prodot- ti italiani, rappresentata dalla crescita dei mercati internazionali ponderata per il peso dei singoli paesi rispetto all’anno precedente, si prevede aumenti di almeno 3 punti a prezzi costanti [ICE-Prometeia]. Questo giustifica una vera e propria corsa all’interna- zionalizzazione da parte delle imprese, dato che il mercato domestico è in recessione e si registra una lenta crescita attesa delle importazioni mondiali nel 2012. Il rapporto offre un’ ulteriore conferma del presidio dei paesi più dinamici osservando l’estensione e il grado di diversificazione crescenti dei mercati a cui l’Italia si rivolge. Èdoveroso ricordare come per un paese un migliore posizionamento all’estero dipenda in preva-

lenza da quanti nuovi operatori e iniziative di esportazione (demografia recente delle imprese esportatrici in valore assoluto 200000) sono organizzate rispetto al passato, più che dall’intensificazione delle combinazioni già esistenti. La forte concentrazione verso i mercati dell’Europa occidentale anticipa la stima di un effetto mercati negativo per la quota italiana, però il diverso effetto traino delle aree favorisce già nel 2012 una ricomposizione del commercio estero dell’Italia [ICE-Prometeia]. Un esempio è for- nito dal differenziale di sviluppo delle importazioni fra l’Asia e l’Europa occidentale nel 2011 che supera l’8%. L’Europa, soprattutto la parte orientale, è destinata ad avere un ruolo marginale e solo Turchia e Russia superano la media mondiale. Tuttavia nel- l’ultimo decennio, l’indice di diversificazione dell’export italiano è migliorato, seppur rimanendo inferiore a quello tedesco, avendo aumentato il proprio differenziale con la Francia. Inoltre si deve sottolineare come con la Germania esista un rapporto di com- plementarietà in molte produzioni (componenti meccaniche e motori). Le quotazioni dell’euro sono un altro fattore da considerare per la fiducia del posizionamento italiano [ICE-Prometeia]. I timori in merito alla sorte della Grecia si sono riflessi nelle quo- tazioni della nostra moneta e la svalutazione è ancora più significativa se misurata sul cambio effettivo a fronte dell’apprezzamento delle valute dei Paesi Emergenti, anche rispetto al dollaro. Rispetto al 2011, il livello medio dell’euro nel 2012 corrisponde a un deprezzamento di 8 punti percentuali rispetto al dollaro, costituendo così un ine- dito guadagno di competitività per le imprese italiane. Infatti dall’adozione dell’euro, le imprese italiane hanno subito un effetto cambio sfavorevole o trascurabile, riuscen- do però a trovare la spinta per rafforzare la qualità della loro internazionalizzazione [ICE-Prometeia]. Per trovare una svalutazione superiore a quella del 2012 si deve tor- nare al 2000, in cui le esportazioni italiane erano aumentate a fronte di una maggiore domanda internazionale e non per effetto del cambio. Secondo le stime di Prometeia del 2010, seppur le nostre imprese abbiano cambiato le loro strategie non basandole uni- camente sul prezzo, qualora la svalutazione dell’euro rispetto al dollaro sia intorno al 10% si riscontra un aumento delle esportazioni reali tra l’1,5% e il 3%, che a prezzi cor- renti corrisponde ad almeno 7 miliardi di nuove esportazioni rispetto ai livelli del 2011 [ICE-Prometeia]. L’impatto della debolezza dell’euro non è univoco fra tutti i comparti e in tutti i mercati: nei settori energetici si avrà un aumento dei costi rischiando così di annullare il vantaggio competitivo, dato che la svalutazione sarà comune a tutti i patner europei; i settori che saranno privilegiati saranno quelli orientati verso mercati lontani e con competitor extraeuropei. ICE e Prometeia hanno incrociato le prospetti- ve di crescita con la quota dei produttori aderenti all’euro e hanno fatto così emergere

una serie di opportunità nei cosiddetti nuovi mercati: in particolare, si deve prestare attenzione al Brasile, agli Emirati Arabi e a tutto il Sud Est Asiatico. In altri mercati l’effetto del cambio rafforza l’attuale posizionamento italiano, come Giappone, Medio Oriente e Cina per qualche settore, mentre in altri la debolezza dell’euro può essere l’occasione per entrare e successivamente godere delle prospettive di crescita previste tra il 2013 e il 2014 [ICE-Prometeia]. È importante sottolineare che l’andamento del cambio stimola una maggiore competitività nell’area euro, offrendo così una sorta di sostegno anche per l’Italia in cui detiene i suoi interessi più rilevanti. Infatti in questi mercati non ci si confronta solo con imprese locali, a cui la svalutazione è comune ad ogni parte, ma anche con fornitori internazionali. Questo avviene in un momento stori- co in cui si assiste ad un peggioramento qualitativo della domanda interna a causa della contrazione del reddito disponibile, spiazzando così le produzioni di fascia medio-alta come quelle italiane. Le esportazioni verso il Nord America rappresentano una nota positiva in questo scenario, tuttavia questi benefici temporanei offerti dall’euro posso essere controbilanciati da dei fattori strutturali che condizioneranno le future importa- zioni americane anche nel lungo periodo [ICE-Prometeia]. Il processo che sta colpendo le famiglie, denominato deleveraging, si traduce in una minor propensione al consumo di beni domestici e di beni importati. Questo può favorire le esportazioni verso i paesi emergenti, dato che, come rileva ICE-Prometeia, già nel 2011 i BRIC hanno superato gli Stati Uniti quanto a livello complessivo di prodotti italiani importati e ormai hanno raggiunto la massa critica per giustificare i costi fissi d’ingresso [ICE-Prometeia]. In questi paesi si passa dunque da un modello basato esclusivamente sulle esportazioni ad uno più equilibrato in cui emergono le esigenze della domanda interna. Le previsioni di crescita del 2012 per la spesa delle famiglie nei Bric superano di gran lunga il PIL di questi paesi: molte imprese italiane specializzate nei beni di consumo dovrebbero approfittare di questa propensione per invertire la tendenza negativa che attanaglia il nostro Paese [ICE-Prometeia]. Oscar Farinetti è stato uno dei pochi che ha preso in considerazione questi dati e li ha utilizzati per porre le basi dei suoi vantaggi competi- tivi: aperture di Eataly in Giappone, a Dubai, ecc. Ulteriori fattori di questi paesi che accelerano la penetrazione dei beni italiani sono: l’aumento del reddito e del turismo, l’ampliamento della borghesia urbana correlato alla nascita di un ceto medio. Inol- tre ICE-Prometeia parlano della qualità della crescita di questi paesi: essa costituisce una delle caratteristiche che avvicinano la loro domanda alla tipologia di offerta del nostro Made in Italy. Alcuni esempi sono costituiti dalla crescente richiesta dei beni del settore moda e di quello mobiliare in Cina, dal 4 e 4,3% tra il 2004-2006 all’8,6

e 10% nel 2011, e dal posizionamento a doppia cifra che il Made in Italy ha ottenuto da tempo nel mercato russo[ICE-Prometeia]. Il rallentamento e lo squilibrio, comu- ni all’intero scenario italiano, possono essere meno determinanti di quanto invece lo saranno le scelte messe in atto. L’obiettivo dell’industria italiana deve essere quello di puntare con determinazione verso i nuovi mercati e recuperare la quota di mercato sulle esportazioni mondiali nel medio termine, attraverso l’allargamento di alcuni meccani- smi virtuosi già messi in atto da alcune imprese: promuovere un’internazionalizzazione diffusa di tutti i prodotti, non solo dei grandi marchi, e di cercare nuovi mercati ai quali interessarsi anche tra le regioni considerate secondarie e quelle di nuova industrializ- zazione. ICE-Prometeia forniscono nel loro rapporto un profilo abbastanza omogeneo delle importazioni per settore e denotano che l’evoluzione della quota italiana deriverà dalla competitività all’interno dei comparti, anche se è utile riportare l’analisi settoria- le per evidenziare alcuni flebili segnali emersi già negli ultimi anni e che andranno a rafforzarsi fino a diventare nuove opportunità per altri comparti o per nicchie di pro- dotto al loro interno[ICE-Prometeia]. Ad esempio l’invecchiamento della popolazione è collegato al miglioramento delle condizioni di vita ed è la determinante principale del futuro sviluppo della farmaceutica e dell’elettromedicale (Tabella 13). Altri recen- ti megatrend sono l’urbanizzazione crescente correlato al catching up infrastrutturale dei paesi emergenti e la politica del risparmio energetico messo a confronto con la dif- fusione della tecnologia nel nostro quotidiano: questi fattori a prima vista spiegano l’aumento oltre il livello medio di settori specifici come mezzi di trasporto alternativi, elettronica, elettrotecnica ed elettrodomestici ma parallelamente mostrano la direzione di sviluppo di nicchie e nuovi segmenti nel settore dell’arredo, della meccanica, della moda e dell’automotive. La riclassificazione per filiera delle 124 classi merceologiche alla base del modello di previsione del rapporto di ICE-Prometeia mette in evidenza un ampliamento geografico delle principali catene del valore industriali[ICE-Prometeia]. In particolare negli ultimi dieci anni si sono intensificati gli scambi di prodotti interme- di, riconducibili a scambi intrafirm all’interno di imprese multinazionali, al crescente ricorso dell’offshoring e ad accordi di collaborazione internazionale per la realizzazio- ne di intere fasi produttive. Analizzando le distanze medie coperte da questi scambi viene sfumata l’idea che il commercio internazionale assuma un modello regionale e quindi di relativa chiusura. In alcune filiere di fatto si è accorciata la distanza media fra le fasi ma la maggior concentrazione territoriale rispecchia un maggior riequilibrio geografico fra produzione e consumo. Per quanto riguarda le catene produttive emerge invece un aumento della distanza fra i diversi attori della filiera, a causa della logica di

vantaggi comparati fra i paesi per la costante ricerca di competitività che esula sempre più dall’ottenere i prezzi più bassi. Ad esempio, dal lato dei costi la contrattazione salariale in molti paesi emergenti e la minor incidenza della manodopera sui costi di produzione stanno via via allentando i vantaggi tipici della delocalizzazione; inoltre l’affollamento dei mercati spinge le imprese a differenziarsi attraverso l’innovazione e la qualità dei prodotti, la sicurezza e la tracciabilità dei processi [ICE-Prometeia]. È

per questo che si sentono sempre più le parole back-sourcing e re-manufacturing per- ché si associano alla probabile riorganizzazione delle basi produttive nei prossimi anni. L’industria italiana potrebbe così ricoprire un ruolo strategico come hub manifatturiero in questo nuovo scenario, sia per le produzioni tradizionali sia per quelle a maggior contenuto tecnologico. Infatti all’interno delle prime, l’Italia vanta una chiara vocazio- ne industriale e mantiene un presidio strategico nelle fasi più a monte rispetto ad altri paesi maturi . Nel secondo caso, pur scontando un gap di sistema rispetto ad altri big del mondo, in Italia si assiste ad una buona integrazione nelle reti tecnologiche glo- bali (vedi le subforniture verso la Germania) oltre che su nicchie di eccellenza legate all’efficienza energetica, alla chimica per l’ambiente, alla meccanica di precisione che sarebbero valorizzate ancora di più se ci fosse l’auspicato riequilibrio delle basi pro- duttive mondiali, attribuendo maggior peso alle piattaforme europee [ICE-Prometeia]. Queste dinamiche possono essere favorite da maggiori investimenti in conoscenza e in- frastrutture tecnologiche, alla capacità di attrarre capitali e talenti esteri, dalla tutela dei soggetti più fragili dentro le filiere ma strategici, alla pianificazione industriale di lungo termine del nostro paese. Tutto questo dipenderà in gran parte dalla capacità di adatta- mento e dalla lungimiranza nel prevedere i cambiamenti delle singole imprese. Questo rilancio manifatturiero non sarà indolore per le imprese, dovranno superare nuove sfide e processi di selezione. In questo la debolezza della domanda interna rende necessario misurare questa capacità di resistenza sui mercati esteri, un terreno difficile per molti operatori a causa della complessità apportata dall’internazionalizzazione, ma fonte di grandi opportunità.

Tabella 13: Crescita delle importazioni mondiali per settore (livelli e variazioni % a prezzi costanti relativi ai paesi considerati nel progetto dal 2011 al 2014)

Fonte: Elaborazioni ICE-Prometeia [ICE-Prometeia]

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Le catene del valore nel commercio internazionale e il ruolo