CAPITOLO DUE
2.5 Quando l’affido riguarda gli orfani “speciali”: i pro e i contro di questo intervento.
Ogni storia di affidamento che riguarda gli orfani da femminicidio è diversa ma quasi tutte hanno un comune denominatore: l’impreparazione di chi prende in affidamento questi ragazzi.
Per questi minori non esistono protocolli, percorsi, strumenti che consentano loro una vita migliore. Soltanto la regione Basilicata ha avviato un iter legislativo per la concessione di un sostegno economico specifico per bambini che vivono questo dramma. Mentre a livello nazionale non esiste alcun provvedimento in merito, manca un vero e proprio intervento organico sul problema.
Una soluzione individuata dai Tribunali per i minorenni è l’affidamento familiare, come abbiamo già visto, oppure l’adozione da parte di famiglie ritenute idonee ad accogliere bambini problematici. Certamente l’adozione è una soluzione che mira a creare un equilibrio familiare per i bambini ma allo stesso tempo è un ulteriore taglio inflitto a questi minori i quali perdono, in tal modo, gli ultimi legami con la famiglia d’origine.
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Invece lo scopo principale dell’affidamento familiare, istituito dalla legge 184 del 1983134 e modificato dalla successiva legge 149 del 2001135, è quello di sostenere il minore nel proprio, delicato, percorso di crescita psicofisico, cercando di non allontanarlo dalla propria famiglia naturale, favorendo anzi il graduale reinserimento al proprio interno, contenendo allo stesso tempo i danni derivanti dalla momentanea perdita delle figure genitoriali di riferimento.
L’affidamento pertanto consiste nell’inserimento del minore in una famiglia diversa da quella di origine ma per un periodo di tempo limitato. Presupposto dell’affidamento è dunque la temporanea privazione di un ambiente familiare idoneo.
Il legislatore con la legge del 1983 modificata nel 2001 ha inteso dettare misure, tali, da rendere pienamente operativo il diritto del minore ad una propria famiglia, da intendersi sia quella naturale d’origine sia quella cui sia eventualmente affidato a causa delle difficoltà della famiglia d’origine. Ciò emerge dallo stesso titolo della legge 149/01 :“Diritto del minore alla propria famiglia”. Infatti, con tale legge al minore è esplicitamente riconosciuto il diritto a “...crescere e ad essere educato nell’ambito della propria famiglia”136,a favore della quale sono previsti interventi di sostegno e aiuti da parte dello stato, delle regioni e degli enti locali, al fine di superare eventuali difficoltà connesse a situazioni di indigenza dei genitori o del genitore che eserciti la potestà genitoriale in via esclusiva.137
Nonostante l’articolo 1 della legge 184/1983 preveda il diritto del minore ad essere educato nell’ambito della propria famiglia, sottolineando la necessità di occuparsi non solo del diritto del minore ad avere una famiglia, ma anche di sostenere il suo nucleo familiare d’origine, in realtà nei servizi di tutela si lavora, spesso, più per realizzare dei buoni allontanamenti che per evitare le
134 Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori. 135 Diritto del minore alla propria famiglia.
136 Le informazioni riportate sono interamente consultabili sul sito internet www.diritto.it/docs/l-affidamento-familiare- in-seguito-alla-legge-140/2001
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separazioni. La situazione, dunque, si discosta dal principio enunciato al primo articolo della legge, tanto che la funzione che l’opinione pubblica attribuisce ai servizi sociali è quella di separare i bambini dalle proprie famiglie, anziché di riunire. Nel nostro paese, infatti, la letteratura e la riflessione metodologica si sono dedicate principalmente a quelle situazioni in cui sia più opportuno effettuare l’allontanamento del bambino dal suo ambiente familiare e all’individuazione delle soluzioni migliori per accoglierlo, mentre non esistono informazioni esaurienti sugli esiti di allontanamenti a lungo termine e vengono trascurate le tematiche del rientro e dei contatti con la famiglia d’origine durante la separazione. La funzione dell’istituto dell’affidamento si riduce spesso a quella di parcheggio dove collocare il bambino la cui famiglia si trova in una situazione di vulnerabilità, costretto a vivere sospeso fra famiglia di origine, genitori affidatari e un futuro incerto quando invece l’affido dovrebbe rappresentare uno strumento volto alla protezione del minore ed occasione di cambiamento a favore della sua famiglia in difficoltà, nella prospettiva del superamento della temporanea situazione di crisi e del ricongiungimento fra genitori e figli.138 È in quest’ottica che l’affido dovrebbe essere considerato, come parte di un progetto più ampio che prevede un lavoro sulle capacità residue della famiglia, nell’interesse del bambino.139 Qualunque soluzione individuata per l’accoglienza del bambino, anche se ben progettata, contiene in sé il trauma profondo della rottura dei legami e della separazione. Il luogo migliore per la crescita dei bambini, infatti, è la sua casa, con la sua famiglia, a condizione che i suoi genitori siano in grado di assolvere alle loro funzioni genitoriali in modo sufficientemente adeguato ai suoi bisogni di sviluppo e, nei casi di inadeguatezza bisogna aiutarli a recuperare e a potenziare le proprie capacità e a mantenere i rapporti con i figli. Quando la separazione è inevitabile, è importante gestire questo passaggio lavorando fin dall’inizio sul processo di riunificazione familiare. Dare la possibilità al bambino di mantenere continuità con le proprie origini, anche nei casi in cui i legami familiari sono pressochè inesistenti, come nel caso dei bambini vittime secondarie del femminicidio, rappresenta
138 Moro A.C., op. cit., p. 102. 139 Ibidem.
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una condizione essenziale per la garanzia di uno sviluppo equilibrato e di un adattamento alla complessa realtà del vivere in affido.140
Esistono pertanto dei casi particolari, come quello del minore rimasto orfano da parte di madre e con il padre in carcere, in cui l’affido potrebbe protrarsi per diverso tempo assumendo le caratteristiche dell’affido sine die. Gli affidi sine die sono propri riservati alle situazioni eccezionali in cui si è consapevoli di aver snaturato la finalità intrinseca dell’affido, che è la sua temporaneità e il suo essere una famiglia in più, piegandolo ad essere una famiglia stabile al posto di, invece di quella biologica.141 Questo si verifica, soprattutto, per i minori oggetto della nostra analisi in quanto privati della famiglia biologica e costretti a vivere in un’altra famiglia come figli benchè non lo saranno mai poiché in stato di affido e non di adozione. Di norma l’affidamento si conclude con provvedimento dell’Autorità Giudiziaria che lo aveva disposto, quando la famiglia ha superato le proprie difficoltà e può riaccogliere il bambino, la prosecuzione non sia più nell’interesse del bambino o ragazzo affidato, l’affidato abbia raggiunto la maggiore età o sia giunta al termine la sua presa in carico142. Nei casi di affido sine die, invece, l’affido si prolunga per un periodo non definito e la sua caratteristica principale cessa di essere la temporaneità.
È possibile considerare l’affido e l’adozione come facce della stessa medaglia giudicando di volta in volta quale provvedimento sia più idoneo al bambino in questione. La scelta dell’uno o dell’altro implica privilegiare o la dimensione dell’appartenenza a scapito della continuità o viceversa, nel caso dell’affido. Infatti per gli orfani da femminicidio sarebbe preferibile l’adozione e non la continuità tipica dell’affidamento, soprattutto quando entrambi i genitori sono morti. La recuperabilità dei genitori infatti in questi casi è impossibile.
140 Greco O., Iafrate R., Un legame tenace: il bambino in affido e la sua famiglia d’origine, in “Studi interdisciplinari sulla famiglia”, n. 11, 1992, p. 31.
141Cirillo S., op. cit. p. 218- 219. 142 Ibidem
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In ogni caso deve essere avviato nei confronti di un minore in difficoltà un intervento di tutela. L’intervento tutelante nei confronti dei minori ha due finalità: la prima di salvaguardare i diritti fondamentali di ogni bambino di essere cresciuto ed educato dai propri genitori, la seconda di prendersi cura dei legami familiari e sociali, feriti, rivolgendosi in particolare al futuro dei figli.143
Il contesto della tutela ha senso solo se è portatore di una visione precisa dei diritti che intende tutelare e delle violazioni non tollerabili.144 Ogni bambino ha il diritto di nascere desiderato dai suoi genitori. Ha il diritto al pieno riconoscimento della sua appartenenza e ascendenza familiare, della sua età, del suo genere, del suo carattere, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti e della sua personalità. Ha il diritto di nascere, di essere curato ed educato in modo gratuito e finchè non dispone di risorse adeguate alla completa autonomia, ha il diritto ad essere privilegiato e protetto per la sua immaturità.145 Ogni servizio territoriale ha il compito di vigilare perché a ogni bambino siano garantiti questi diritti e un pieno legame familiare. Ha il compito di verificare che i figli di qualunque famiglia non siano abbandonati, maltrattati, trascurati o abusati in alcun modo. Le violazioni dei diritti dei bambini minano, non solo la crescita, la qualità del legame familiare con conseguenze disastrose, ma possono minare anche il legame sociale.
È un diritto fondamentale del minore essere sempre informato del perché dell’intervento di tutela, del perché di una eventuale proposta di affidamento familiare. Il minore ha il diritto di conoscere la verità, anche la più dolorosa e di essere aiutato a rappresentarsela in modo adeguato. Il minore va pertanto salvaguardato dal pensare e ritenere il suo allontanamento come effetto di proprie inadeguate azioni.
143 A cura del CAM, Nuove sfide per l’affido, Franco Angeli editore, Milano 2012, p.26 144 Ibidem
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I bambini in affidamento in Italia sono circa 16.800146. Tale cifra è comprensiva sia degli affidi etero familiari che di quelli intra familiari147. L’esperienza della affido riguarda tutte le fasce di età inclusa quella adolescenziale. Pertanto si può dedurre che l’interruzione delle cure e la formazione di una nuova relazione di attaccamento con i cargivers sostitutivi avviene in una fase dello sviluppo in cui i bambini hanno già formato una relazione di attaccamento. Per la maggioranza dei bambini l’affido comporta dunque una separazione dai caregivers biologici e la formazione e il mantenimento di una relazione con i caregivers affidatari. L’affido è dunque un’esperienza altamente stressante, il livello di stress con cui i diversi bambini rispondono alle esperienze negative associate all’affido porta a creare diverse modalità di coping. In tutti i casi di affido la perdita si riferisce alla separazione del minore dai genitori e dal suo ambiente e nello stesso tempo viene chiesto ai bambini di affrontare un ambiente familiare nuovo. Il dolore è ancora più accentuato quando si tratta di minori che hanno subito una doppia perdita: quella della madre in seguito alla sua morte per femminicidio e quella del padre che si è tolto la vita o che si trova in carcere dopo l’omicidio della moglie, compagna o convivente. Shock, negazione, protesta, disperazione, distacco sono le fasi successive alla separazione.148 In questa fase la famiglia affidataria dovrebbe essere preparata a condividere empaticamente questi sentimenti del bambino, rimandando a un periodo più favorevole la possibilità di essere riconosciuti come caregivers. Le famiglie che accolgono gli orfani da uxoricidio spesso sono impreparate a gestire una simile situazione. Spesso si tratta di familiari che, avendo subito essi stessi un lutto, non sono in grado di tutelare al meglio gli orfani, ne di indirizzarli in strutture specializzate anche in presenza di indicazioni da parte del Tribunale per i minorenni.149 Nel progettare i percorsi di affido è pertanto importante prevedere delle forme di sostegno dirette non solo ai bambini ma anche alla famiglia che li accoglie al fine di favorire l’elaborazione della perdita e dell’esperienza dell’affido.
146 A cura del CAM, op. cit. p. 44. 147 Ibidem.
148 Bowlby J., op. cit., p. 55.
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L’affidamento del minore nell’ambito della famiglia allargata, nonni o zii, è un problema non trascurabile quando si tratta di orfani da femminicidio. Spesso infatti in questi casi il Tribunale predilige l’affido ai nonni, talvolta anziani, e questo comporta la condivisione di una condizione economica fragile e spesso al limite della povertà. Nella maggior parte dei casi gli orfani da femminicidio vengono, inoltre, affidati ai nonni materni. Non va dimenticato che questi sono anche i genitori che hanno perso una figlia e non sempre quindi riescono a perdonare e a educare il proprio nipote dimenticando il male ricevuto dal padre del bambino. Difficilmente i nonni riescono ad offrire un sostegno psicologico per l’elaborazione del lutto. Frequentemente, inoltre, la nonna materna tende a considerare come figlio il nipote, generando una confusione generazionale che può provocare delle conseguenze negative sia nel rapporto tra gli adulti che nella crescita psicologica del minore.150 Per tutta questa serie di motivi in alcune circostanze è preferibile l’affidamento etero familiare. Inoltre, va sottolineato nuovamente, che nessun bambino deve trovarsi nella condizione di vivere lontano dai genitori senza sapere il perché. È un dovere civile informare un bambino su quanto accade a lui e alla sua famiglia.151 Anche dal punto di vista clinico non esiste nessuna ragione per tutelare i bambini non parlando di quello che è capitato alla sua famiglia e quindi anche a lui e di come ne sarò condizionato il suo futuro. Pertanto è possibile affermare che tutto quanto il bambino vede, sente, sa può essere argomento di esplicitazione e condivisione.152