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I rapporti tra autorità distrettuali, regionali e centrali

Nel documento Indice Introduzione 6 (pagine 194-198)

Nella RFPJ tutto il potere emana dal popolo ed è nelle mani del popolo

3.6. Le autorità popolari: questioni organizzative e politiche

3.6.2. I rapporti tra autorità distrettuali, regionali e centrali

Il Comitato regionale del partito ebbe una funzione guida nel campo della formazione politica dei dirigenti distrettuali che, attraverso diversi livelli di “corsi di partito”, venivano educati e avviati alla gestione politica e amministrativa della nuova realtà sociale che si stava concretizzando. Le autorità regionali gestirono pure tutta la

      

642 Poziv na tromjesečno općenarodno takmičenje “Takmičenje za priključenje Jugoslaviji“, in “Glas Istre”, 18 giugno 1946, p. 1.

643 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b. 5, verbale del 19 giugno 46.

644 Cfr. gli articoli Tutto il popolo è in gara; In gara con l’eroico popolo vogliamo accelerare l’annessione della Regione Giulia con Trieste alla Jugoslavia e Grandi successi raggiunti nella ricostruzione del Litorale sloveno, in “La Voce del Popolo”, 2 e 12 luglio, 23 agosto 1946, p. 1.

645 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b. 5, verbale del 12 giugno 1946.

formazione del personale amministrativo, con l’attivazione di corsi professionali per l’abilitazione di quadri impiegatizi ai livelli inferiori.

Nel 1946 si arrivò a una prima riorganizzazione dei comitati popolari, che aveva lo scopo dichiarato di avviare la decentralizzazione del potere, attraverso l’introduzione di una nuova forma di comitato, quello “locale”. In realtà, nulla cambiò in fatto di “metodi di lavoro” e di autonomia decisionale; al contrario, il potere rimase nelle mani del Comitato regionale, rispettivamente del partito, che attraverso persone “di fiducia” continuò a controllare e dirigere qualsiasi attività. Infatti, in base alla nuova gerarchia, ad ogni seduta dei neoformati “comitati locali”, avrebbe partecipato un membro dell’esecutivo cittadino, così come un’autorità regionale alle sedute del comitato cittadino647.

Questo rapporto gerarchico tra istituzioni politiche e amministrative si rifletteva sulle persone che ricoprivano tali funzioni e cariche. Uno dei maggiori problemi che i vertici regionali rilevarono a livello di dirigenza distrettuale nel 1945-1947, era quello che veniva definito “metodi di lavoro” dei nuovi dirigenti popolari che, con precedenti legati alla guerra partigiana, avevano adottato i sistemi propri di quel periodo. Definiti “alla partigiana”, questi non potevano più corrispondere alle nuove situazioni del dopoguerra, in cui il partito comunista jugoslavo, ovvero il potere popolare, si faceva portatore della costruzione di uno Stato fondato sulla legalità e sulla democrazia popolare. Gli abusi arbitrari, come le perquisizioni, o il comportamento “dittatoriale” con la popolazione, inteso come autoritarismo e forte oppressione, il divieto di critica ed altro, erano fenomeni segnalati di continuo dai dirigenti regionali fin dai primi mesi del dopoguerra648. Ma con la creazione e l’avvio di quegli organismi della giustizia popolare, che sono già stati illustrati, tali metodi non cessarono. In alcuni momenti e occasioni, tali comportamenti “stalinisti” si scontravano, come è stato illustrato in precedenza, con quel tatticismo politico che parte dei dirigenti regionali proponeva e invocava al fine di guadagnare il consenso di vasti strati di popolazione, soprattutto di quella italiana. Tale modo di operare, difficile da estirpare e amplificato dalle drastiche misure di carattere economico e sociale imposte dalla dirigenza di partito nel corso del 1946-1947, ottenne invece l’effetto di radicalizzarsi in maniera maggiore nelle autorità popolari, e l’intento di guadagnare il consenso fu destinato al fallimento.

Nelle valutazioni dei dirigenti regionali, perciò, gli amministratori distrettuali erano non soltanto incompetenti, ma anche incapaci i di portare a termine i compiti loro spettanti sul territorio, se non con l’aiuto del foro superiore.

L’accentramento del processo decisionale a Zagabria, rispettivamente a Belgrado, la rigida imposizione dall’alto come metodo di lavoro, rappresentano alcuni dei motivi che portarono severe critiche da parte dei fori superiori anche all’istanza

      

647 HDAP, f. Gradski narodni odbor (=GNO) Rovinj – Comitato popolare cittadino di Rovigno, b. 21, verbale del Comitato esecutivo del CPC del 2 ottobre 1946, pp. 3-4.

648 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.3, verbale della IV conferenza dei segretari dei comitati distrettuali del PCC per l'Istria, Arsia 4 febbraio 1947.

politica di secondo livello, ovvero a quella regionale. Essendo la struttura regionale un esecutore e non il decisore di una politica, la cui continuità di elaborazione stava nelle mani del CC PCC/CC PCJ, ovvero di Tito e dei suoi stretti collaboratori, i bersagli delle critiche colpivano soprattutto la sua responsabilità politica per le modalità di attuazione di determinate misure a livello periferico (distrettuale)649. La struttura era spesso chiamata a smettere di svolgere il suo compito in modo unidirezionale, e a non limitarsi a diramare dal centro in modo dirigistico le direttive politiche zagabresi/belgradesi.

Al contrario, invece, i dirigenti regionali lamentarono durante tutta la seconda metà degli anni ’40, la scarsa volontà di ascolto e mediazione del centro rispetto alla situazione istriana. Nelle sue memorie, il dirigente istriano, Dušan Diminić, poi passato ad incarichi repubblicani federali, afferma che, soprattutto dopo l'annessione, i dirigenti istriani avessero incontrato poca "comprensione“ a livello repubblicano e federale, in quanto non disposti a riconoscere all'Istria uno status e una posizione specifica, quale territorio "neoliberato“, bensì avessero inteso applicare al territorio tutte le misure politiche ed economiche jugoslave in modo meccanico e stereotipato650. Questi furono, secondo Diminić, i motivi che avrebbero causato quelle ostilità sociali e nazionali con la popolazione, sfociate nel rifiuto del regime jugoslavo e concretatisi con la presentazione della richiesta di opzione per la cittadinanza italiana nel 1948-49.

Alcuni autori, come Mate Krizman e ben prima Slobodan Nešović, sono concordi nel valutare che, all’analisi di tutti gli avvenimenti susseguitisi in Istria nella seconda metà degli anni Quaranta, l'Istria fosse stata relegata alla periferia delle vicende (politiche ed economiche) jugoslave651 e che il CC PCJ non avesse tenuto sufficiente conto della situazione e delle esigenze della popolazione istriana, comportandosi come nei confronti di una “figliastra”652. Nešović afferma nel suo contributo che fino al 1949 nessun rappresentante croato o originario dell’Istria presso il Governo e l’Assemblea federale, si fosse fatto carico dei problemi istriani, laddove i politici di altri territori cercavano in tutti i modi di riservare denaro pubblico a favore delle proprie repubbliche o territori più circoscritti653.

Conferme su fonti di tensioni con il centro giungono dalla documentazione interna delle massime autorità istriane del dopoguerra. Le posizioni e le argomentazioni di una parte della classe politica istriana arrivarono ad un netto contrasto con i dirigenti repubblicani/federali soprattutto con la costruzione della ferrovia Lupogliano-Stallie. Dopo la Nota Tripartita del marzo 1948, quando lo Stato jugoslavo perse la speranza di ottenere Trieste, ebbe inizio il processo di avvicinamento dell’Istria alla Croazia/Jugoslavia, con la creazione di un nuovo centro

      

649 B VOJNOVIĆ, Zapisnici Politburoa, cit., verbale del 1 agosto 1947, p. 383.

650 D. DIMINIĆ, Sjećanje, cit.

651 Cfr. M. KRIZMAN, Nastanak, uloga, cit., 378.

652 Sono queste le posizioni del già citato D. Diminić, S. Nešović e M. Krizman, vedi S. NEŠOVIĆ, Moša Pijade i Istra, in “Pazinski memorijal“, br. 16, Pazin, 1986; M. KRIZMAN, Nastanak, uloga, cit., p. 381.

politico, economico e culturale di riferimento per il territorio. Nel 1947-48, però, le ferrovie istriane passarono sotto l’autorità della Slovenia e nel 1948, con la creazione del

Ministero federale per i territori neoliberati

, fu previsto il proseguimento della ferrovia Lupogliano-Stallie, che era stata avviata già nel 1947 per favorire il trasporto del carbone dell’Arsia verso le zone jugoslave interne. Dal punto di vista dei dirigenti istriani, questa soluzione non avrebbe soddisfatto le esigenze della regione e non avrebbe risolto il problema, così come non trovava giustificazione né dal punto di vista tecnico né di quello economico. In quel periodo, infatti, una parte della classe politica istriana (in particolare Dušan Diminić, che era passato ad altri incarichi fuori dall’Istria, Vlado Juričić, Franjo Nefat, quest’ultimi del CP di Pola), che si autodefiniva “di forte sentimento patriottico istriano”, sosteneva che per collegare l’Istria al “suo retroterra naturale” e creare quello che le tesi jugoslave propagandavano come un’unità etnografica ed economica, fosse necessario costruire una rete di vie di comunicazione con il resto della Croazia, attraverso Fiume. In questo senso, il Comitato popolare regionale, con le finanze disponibili assegnate dalla Vuja nel 1946, aveva cercato di avviare una serie di interventi nel campo della ricostruzione di strade, ponti, ferrovie, scuole, edifici ad uso abitativo danneggiati o distrutti durante la guerra. Nel 1947 era stata ricostruita la strada Pola-Fiume, la ferrovia Stallie-Mattuglie (per il trasporto del carbone), in vista della costruzione del tratto Fiume-Pola e Fiume-Pisino-Parenzo. Ma il fatto era che le vie più importanti, la ferrovia Fiume- Pola-Divaccia e la strada Pola-Trieste collegavano l’Istria a Trieste e alla Slovenia; la strada Fiume -Trieste a Trieste, mentre le altre erano di importanza locale. L’Istria stava vivendo una condizione “innaturale” che, secondo i politici istriani, si sarebbe potuta cancellare con l’apertura di buone vie di comunicazione, che avrebbero portato sviluppi positivi sull’economia istriana (importazione di prodotti dalle regioni e dai centri più ricchi della Croazia e della Jugoslavia; esportazione di prodotti agricoli – vino, pesce, verdure; aumento del turismo), ma soprattutto fondamentale dal punto di vista nazionale e culturale.

Ciò che provocò la reazione di una parte della classe politica istriana fu che gli organi di base, ovvero i comitati popolari della regione - quelli cittadini di Pola e di Fiume, così come quello della Regione di Fiume, dove ormai l’Istria era inclusa - non erano stati né informati dei progetti né - fondamentale garanzia per il successo del progetto - interpellati per avere il loro appoggio. Alla volta di Zagabria e Belgrado nel 1949 partirono lettere di protesta, e ben presto, arrivarono fino a Tito in persona. Tramite una relazione scritta che il neoministro per i “territori neoliberati”, V. Holjevac, inviò a Tito nel febbraio 1949654, tra le altre cose lo informò sul punto di vista delle autorità popolari istriane sullo stato di sviluppo delle vie di comunicazione e del traffico sul territorio. Holjevac rimarcò che si trattava di questioni fondamentali non soltanto per motivi di carattere economico, ma soprattutto per motivazioni

      

654 La relazione era stata richiesta su direttiva di Tito, in seguito a un colloquio avuto con Holjevac a Belgrado, verso i primi di febbraio 1949. Sui contenuti della relazione vedi il capitolo successivo.

politico strategiche. Dato che le vie di comunicazione stradali facevano capo a Trieste, quelle ferroviarie al territorio divenuto sloveno, come poteva reggere la tesi che l’Istria fosse un territorio croato o jugoslavo quando non esistevano collegamenti diretti con Fiume e con il resto della Croazia? Come si faceva a sostenere che l’Istria fosse collegata alla “madre patria croata e jugoslava”, slogan tanto declamato durante la guerra e nel dopoguerra, quando non esistevano nemmeno vie di comunicazione? Era una questione imbarazzante non soltanto per le autorità popolari istriane che lamentavano la situazione di abbandono da parte del governo centrale repubblicano e federale, ma per lo Stato jugoslavo, che si trovava a gestire dei rapporti difficoltosi in fatto di opzioni e di confini non risolti con lo Stato italiano. Per ovviare a tale stato di cose, la soluzione presentata nella relazione a Tito era quella di procedere alla costruzione del traforo del Monte Maggiore che, con una lunghezza di 6 km, avrebbe accorciato il viaggio in ferrovia di 104 km e, soprattutto, collegato di fatto l’Istria ai territori croati e jugoslavi. Ma del traforo non se ne fece nulla e gli eventi successivi confermarono le posizioni di Diminić e degli altri dirigenti istriani in quanto, nonostante la creazione di un ministero specifico "per i territori neoliberati“, lo sviluppo e l'industrializzazione dell'Istria rimasero alla periferia dell'agenda politica jugoslava.

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