2.6. Riorganizzazione e scioglimento del Comitato regionale
2.6.1. I “trasferimenti di italiani”
Solo nel febbraio ‘47, pochi giorni prima della firma del Trattato di pace, i vertici regionali del partito si riunirono con i relativi responsabili distrettuali per discutere il punto della situazione in regione. Le notizie che arrivavano dalle varie zone della penisola erano alquanto preoccupanti sul piano del consenso politico. Da Rovigno, il segretario riferiva di una “situazione sconfortante” per le strutture del potere popolare, dove la popolazione ne rimaneva quasi estranea, nonostante l’alto numero degli iscritti ad esempio nell’UAIS (2.500 circa), tanto che la gente non riconosceva l’autorità dei nuovi dirigenti popolari. La situazione nei villaggi circostanti era migliore, “più vicina al partito”, perché contava “sull’appoggio di nazionalisti che amano la Jugoslavia e non il Partito”, anche se ciò determinava forti tensioni all’interno del partito rovignese, composto da italiani, che li vedevano come “dei nemici da eliminare”503. E giungevano anche notizie sul numero delle persone che avevano deciso di lasciare Rovigno prima della firma del Trattato di pace. I dati erano ancora contenuti: dal luglio 1946 al 30 gennaio ‘47 si erano registrati 130 casi di esodo, di cui 40 circa erano gli epurati “fascisti” delle varie imprese cittadine con le rispettive famiglie, 30 circa coloro che vivevano a Rovigno da sfollati, 20 casi di italiani “regnicoli” che lavoravano in città da molti anni; altri casi di famiglie di “fascisti” che non vivevano a Rovigno; 5 o 6 intellettuali, 1 famiglia contadina e 2 preti. Quelli che erano partiti erano in prevalenza capi e maestranze della Manifattura Tabacchi, anche quelli considerati fascisti (“erano andati a lavorare perché erano fascisti”). Si segnalava “solo qualche caso” di partenze di singoli che non erano
502 B. VOJNOVIĆ, Zapisnici, cit., verbale del 4 ottobre ‘47, p. 394.
503 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b. 3, Relazione politica del comitato cittadino del PCC di Rovigno, 3 febbraio ‘47.
considerati fascisti, ma che si sarebbero “accordati alla propaganda nemica”. Dalla relazione si percepivano i primi segnali di sorpresa per il fatto che nelle ultime due settimane che avevano preceduto la firma del Trattato, le domande di espatrio erano aumentate rispetto al precedente periodo, registrando circa 20 richieste504.
Alla conferenza tra i dirigenti regionali e quelli distrettuali del partito, svoltasi il 4 febbraio ‘47, il segretario del Comitato cittadino del PCC di Pola, l’italiano Sergio Seggio informò i dirigenti regionali e quelli del CC (Marko Belinić e Jakov Blažević)505, sulla situazione politica di Pola in vista della firma del Trattato di pace. Egli lamentò in particolare l’”indebolimento” della posizione del partito, che nel 1945-46 aveva fallito nel tentativo di coinvolgere nella causa del potere popolare una parte degli antifascisti italiani, che invece avevano formato il partito socialista e il nuovo PCI506, unendosi al fronte filoitaliano. L’insuccesso del partito, aggiunse Seggio, si era registrato anche con i commercianti e i funzionari amministrativi che, attratti dalla “reazione”, erano confluiti nel campo avversario. Seggio ammise anche che con la partenza di tanti polesani, il partito a Pola aveva perso la campagna politica per l’annessione alla Jugoslavia: “la battaglia è stata vinta dal nemico!” Allo stesso tempo, però, veniva sottovalutata e considerata frutto della propaganda italiana
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la cifra secondo la quale 25.000 persone sarebbero state pronte ad abbandonare la città, così come le partenze che settimanalmente già avvenivano con la naveToscana
507.Negli altri territori abitati da popolazione italiana e sottoposti ad amministrazione jugoslava, la situazione non appariva migliore. Il segretario politico del Comitato cittadino del partito di Dignano, Antonio Gorlato, informava i vertici regionali che in vista della firma del Trattato di pace e in seguito a una serie di
504 Ivi, p.2.
505 Dopo che, verso la metà del ‘46, Savo Zlatić era passato ad altro incarico, divenendo responsabile della Commissione economica presso il PCC, gli interlocutori del CC con il comitato regionale istriano divennero Marko Belinić e Jakov Blažević, che ricopriva anche il ruolo di Pubblico Accusatore della Croazia; in seguito anche Antun Biber si occupò dell’Istria.
506 L’opzione socialista era nata nella seconda metà del ‘45, mentre la Sezione di Pola del PCI della Venezia Giulia si costituì nell’aprile ‘46, così come in altre parti dell’Istria, vedi Comunicato e invito ai comunisti italiani, in “L’Arena di Pola”, 30 aprile ’46, p. 2.
507 I dati riguardanti le dichiarazioni di esodo della popolazione di Pola furono pubblicati dal Comitato di assistenza di Pola (riferiti alla data del 15 luglio ‘46) sul quotidiano “L’Arena di Pola”, il 28 luglio ‘46: 28 mila su 31.700 abitanti avevano chiesto di lasciare la città se questa fosse stata annessa alla Jugoslavia. Ma le vere e proprie operazioni dell’esodo da Pola furono aperte il 15 gennaio’47 con mezzi limitati e con largo ricorso all’iniziativa privata. Il primo viaggio del piroscafo Toscana, da Pola a Venezia, avvenne il 2 febbraio ’47 (m/s Grado e Pola facevano già la spola tra Pola e Trieste). Col Toscana fino al 22 febbraio partirono 8500 persone, col m/s Pola e Grado 7000. Si calcolò che rimanessero da sgomberare da Pola ancora 10000 persone. Il penultimo e l’ultimo viaggio (14 e 20 marzo) del Toscana furono riservati a coloro che avevano dovuto trattenersi in città per esigenze di lavoro relative all’esodo. Sempre secondo i dati pubblicati su “L’Arena di Pola”, l’esodo comportò il trasporto di oltre 28.000 persone e 65 mila tonnellate di masserizie varie. Il Governo italiano dichiarò l’esodo da Pola chiuso con il 31 marzo ‘47. Vedi gli articoli Per la partenza del primo scaglione di esuli; Il ciclo delle operazioni d’esodo si sta chiudendo; Il popolo di Pola all’ordine del giorno della Nazione, in “L’Arena di Pola”, 1 e 22 febbraio, 25 marzo ‘47.
atteggiamenti nazionalistici e drastiche misure politiche, la situazione per il partito era diventata “allarmante”:
La situazione politica a Dignano è molto peggiorata in quanto osserviamo che troppa gente sta abbandonando le proprie case senza capire dove andrà a finire, però la gente ha molta paura perché ha visto che abbiamo commesso troppi errori, a cominciare con il ritiro esagerato delle carte d’identità, dei fucili da caccia, poi ancora di qualche elemento sciovinista che lavora negli uffici del CP Distrettuale, che diverse volte è intervenuto fra la popolazione italiana, sostenendo che qui si dovrà parlare il croato e che nella nostra città comanderanno i croati, e queste sue parole hanno avuto molta influenza sul popolo di Dignano, provocando forte dubbi e panico fra le masse.
L’avvio dell’esodo, che nella cittadina aveva già coinvolto alcune famiglie contadine, era considerato un enorme insuccesso del partito:
Un altro fattore che ci ha danneggiato nel lavoro politico è stato quello delle domande presentate dalla popolazione per il trasferimento nella zona A oppure in Italia, in questo caso sono stati fatti degli errori perché alcune domande presentate prima, cioè quattro mesi fa, non sono state evase, mentre alcune persone che hanno presentato la domanda 8 giorni fa, hanno già avuto l’approvazione dell’Amministrazione dell’Ar.(mata n.d.a.) Jug.(oslava n.d.a.) di Abbazia, questo come su accennato è dovuto agli errori fatti da certi compagni a Dignano, che pareva loro di aver fatto le cose giuste; per questo motivo la popolazione è molto agitata e si prevede che se ne andranno anche dei contadini (…) influenzati dalle parole che porteranno loro via tutta la terra, i figli e che per vivere dovranno mendicare (…)508.
Nel distretto di Parenzo, a gennaio ‘47 erano 200 le persone che avevano presentato richiesta di “trasferimento”. Si trattava di commercianti, una categoria sociale di cui peraltro il potere popolare intendeva fare a meno, vista la “caccia allo speculatore” avviata alcuni mesi prima, ed il giudizio secondo il quale, essendo persone con un “passato fascista”, avrebbero avuto “paura di vivere nell’Istria jugoslava”. Le richieste inoltrate dai pescatori parentini e delle località vicine, come Orsera, secondo il segretario distrettuale erano invece motivate dall’insoddisfazione per la politica condotta dalla cooperativa regionale dei pescatori. Uno stato di fermento veniva registrato anche tra i contadini della campagna parentina, dove il partito seguiva l’attività del vescovo Radossi e di altri parroci che con la loro propaganda avrebbero “operato contro il comunismo jugoslavo e in particolare contro le cooperative contadine”. Tali attività non furono ancora punite dalle autorità
508HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.3, Relazione politica del Comitato cittadino PC-RG Dignano, 4 febbraio ‘47.
distrettuali, ma nel febbraio ‘47 queste ricevettero l’autorizzazione dal membro del CC PCC, Jakov Blažević, di agire dal punto di vista giudiziario: “La condanna rappresenta uno degli strumenti per il rafforzamento dell’organizzazione del potere popolare. Per questo motivo non bisogna permettere che questi (parroci n.d.a.) operino apertamente”509.
Nel distretto di Albona, nonostante l’alto numero d’iscritti nell’UAIS, la popolazione era molto staccata dal partito e dai CPL e non partecipava alle azioni dell’UAIS. Ad Albona, secondo il segretario, il motivo era riconducibile al fatto che la maggioranza dei suoi membri fosse rappresentata da donne-casalinghe, da una parte, e al comportamento dittatoriale dei suoi dirigenti, dall’altra.
Verso la fine di marzo ‘47, quando il ciclo delle operazioni dell’esodo da Pola volgeva al termine e si era già svolto l’ultimo viaggio del
Toscana
, il comitato regionale del partito iniziò ad occuparsi di quello che veniva definito un semplice “trasferimento di italiani” e delle sue conseguenze. A parlare fu il responsabile regionale dell’Udba, Božo Glažar – Makso: costatando che si stavano trasferendo “ancora abbastanza persone”, egli collegava le partenze degli italiani alla capacità di persuasione esercitata dai sacerdoti italiani, i quali con la loro propaganda sarebbero stati capaci di organizzare la popolazione contro le autorità jugoslave. In particolare, il dirigente segnalò che da Dignano erano partiti anche 80 bambini per l’influenza esercitata dal parroco locale, don Rodolfo Toncetti, sulle loro famiglie510. Poiché agivano singolarmente e non offrivano alcuna resistenza organizzata, nei confronti di singoli parroci erano già stati presi dei provvedimenti, informò il capo dell’Udba; se in alcune località si dimostravano passivi, in altre contrastavano apertamente le autorità popolari. Così a Lussino, il parroco aveva disapprovato alcune attività legate alla ricostruzione e criticato apertamente il Comitato distrettuale. Ad Albona, una persona aveva impedito lo svolgersi dei comizi elettorali. La proposta del capo dell’Ozna fu perciò quella di procedere all’adozione di “adeguate misure” nei confronti di “chiunque si adoperasse a comportamenti di aperta critica”.Più misurata e prudente fu invece la riflessione del segretario politico, Tode Ćuruvija, il quale osservò che nel momento in cui si era trattato di lottare per l’annessione, la stragrande maggioranza della popolazione aveva sostenuto il potere popolare; con il cambiamento della linea del partito sul versante economico (come il piano per la ricostruzione, gli ammassi, la riforma agraria, ecc.), il partito era andato incontro a molte resistenze ed opposizioni aperte. Le cause di tale stato di cose,
509 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.3, verbale della IV conferenza dei segretari dei comitati distrettuali del PCC per l'Istria, Arsia, 4 febbraio ‘47, cit., p. 5.
510 Nato a Pola nel 1917, fu ordinato sacerdote a Parenzo nel 1940, dal Vescovo Trifone Pederzolli. Nel dopoguerra fu sacerdote delle parrocchie di Dignano, Gallesano e Valle, fino al 5 giugno del ‘47 quando, dopo la processione del Corpus Domini, fuggì a Trieste con la bicicletta, dopo essere stato avvisato che la polizia jugoslava l’avrebbe arrestato; vedi M. JELENIC, W. ARZARETTI (a cura di), Memorie di don Rodolfo Toncetti degli anni 1943 – 1947, Editore: Parrocchia di San Biagio – Dignano, 2008.
secondo Ćuruvija, andavano ricercate nell’incapacità dei membri del partito di spiegare alle masse la necessità di tali misure, che prontamente sarebbero state strumentalizzate dalla “reazione”. Nell’analisi che ne seguiva, ad opporre resistenza alle misure di carattere economico sarebbero stati gli strati sociali più ricchi perché sarebbero stati quelli più colpiti. Il partito doveva perciò porgere maggiore attenzione proprio a questi gruppi sociali, dove l’attività nemica avrebbe agito maggiormente, in modo tale da passivizzare la popolazione che avrebbe opposto resistenza alle autorità popolari. La linea doveva perciò essere quella di insistere sull’“attivazione delle masse” e di “denunciare” pubblicamente le singole persone che apertamente avrebbero agito contro le autorità, e soltanto a quel punto le autorità popolari “potevano e, anzi era loro dovere, adottare misure adeguate”, come l’arresto e la condanna511.