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La posizione dei comunisti italiani

Nel documento Indice Introduzione 6 (pagine 160-164)

2.6. Riorganizzazione e scioglimento del Comitato regionale

2.6.2. La posizione dei comunisti italiani

Nel periodo in cui la popolazione italiana lasciava Pola e altre località istriane, avveniva quello che la storiografia italiana ha chiamato il “controesodo”, vale a dire che alcune migliaia di operai e intellettuali, provenienti da varie parti d’Italia, ma in particolare dal cantiere di Monfalcone, iniziarono a trasferirsi nel territorio jugoslavo, per contribuire alla costruzione di quella che essi vedevano come la “patria del socialismo”. Per la Jugoslavia si trattò di nuova forza lavoro, rappresentata da manovalanze specializzate e da vari profili intellettuali (insegnanti, artisti, giornalisti) di matrice antifascista e comunista, che andò a colmare gli spazi lasciati dalla popolazione locale. Questo “controesodo” di monfalconesi fu un fenomeno di breve durata, che si sarebbe concluso dopo il 1948 in maniera dolorosa per gran parte di essi, allorché, optando per Stalin, furono perseguitati in quanto “cominformisti”, tanto da conoscere la crudeltà di Goli Otok – Isola Calva512. I trasferimenti furono direttamente gestiti dal PCI, che a più riprese segnalò al CC PCC l’arrivo di operai qualificati e di diversi operatori culturali, in particolare nei centri industriali di Fiume e Pola, ma anche in altri località della Jugoslavia.

L’arrivo di tante persone, che non dovettero peraltro superare le 3-4.000 mila unità, creò però una serie di problemi all’interno del partito comunista jugoslavo. Certamente, non tutti coloro i quali arrivarono in Jugoslavia erano membri del PCI, ma in ogni caso l’arrivo di nuovi italiani, anche se in misura assai ridotta, creò notevoli difficoltà politiche. Il fatto era che a Pola, nei due anni precedenti, i socialisti e una parte dei comunisti italiani locali, avevano creato dei partiti per contrastare

      

511 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.9, verbale del 22 marzo ‘47.

512 Sui monfalconesi esiste ormai una vasta bibliografia, in particolare si segnalano A. BONELLI, Fra Stalin e Tito: cominformisti a Fiume 1948-1956, IRSML, Trieste, 1994; A. BERRINI, Noi siamo la classe operaia: i duemila di Monfalcone, Milano, 2004; a cura di A. MORENA, La valigia e l’idea. Memorie di Mario Tonzar Consorzio Culturale del Monfalconese, 2006; L. GIURICIN, La memoria di Goli Otok, cit.; M. PIN-GIURICIN, I motivi di una scelta. Una vita vissuta tra Monfalcone e Fiume, in “Quaderni”, vol. XVII, Rovigno-Trieste, 2007, pp. 335-373; L. LUSENTI, Una storia silenziosa – gli italiani che scelsero Tito, Milano, 2009.

l’annessione alla Jugoslavia ed erano confluiti nel fronte che lottava contro la cessione della città e per il mantenimento della sovranità italiana e poi, con la firma del Trattato di pace, avevano scelto di abbandonare la città. Ora, sbarazzatisi di questi oppositori politici, i dirigenti del partito croato vedevano arrivare altri “italiani”, ma comunisti, che chiedevano di essere inseriti nell’attività del PCC/PCJ. Quale atteggiamento assumere nei loro confronti?

Nell’estate del ‘47, in occasione dei preparativi per il passaggio di Pola dall’amministrazione angloamericana a quella jugoslava, la questione dell’ammissione dei comunisti italiani nel PCC/PCJ fu uno dei temi dibattuti nel partito.

La linea che il PCJ intese intraprendere con i comunisti italiani partiva dalla constatazione che, essendo il PCI un partito che aveva avuto origine e che operava in condizioni diverse da quello jugoslavo, anche i criteri di accettazione nel partito dovevano differire profondamente. Il PCJ si autodefiniva un partito di quadri, che operava in condizioni d’illegalità; in Italia, invece, dove era riconosciuto il pluripartitismo, il PCI doveva agire nella legalità. Per questo motivo, essendo i loro modi di operare completamente diversi, il CC riteneva che i membri del PCI non potessero essere accettati nel PCJ, neppure a livello di “candidatura”513. Veniva, però, concesso alle strutture locali di partito di mantenere dei “rapporti” con i comunisti italiani, in cui si sarebbero osservati dei criteri più deboli, se questi fossero stati operai, più rigidi, se si fosse trattato di intellettuali514.

Collegata alla posizione da assumere nei confronti dei comunisti che si trasferivano dall’Italia, emergeva anche l’atteggiamento del CC nei confronti dei comunisti istriani, soprattutto italiani e sostenitori del potere popolare, che durante il passato regime avevano fatto parte di qualche organizzazione politica, oppure prestato servizio militare in Italia. Se nel 1945-1946 nelle fila del partito e delle strutture del potere popolare erano stati inclusi anche coloro i quali avevano avuto un passato “fascista”

,

purché avessero appoggiato l’annessione jugoslava della Venezia Giulia e ne fossero stati propagandisti, ad annessione avvenuta ciò creava numerosi problemi alla linea del CC PCC.

I “resti del fascismo” o semplicemente i “fascisti” non erano più soltanto i commercianti o gli artigiani, ma anche quei membri che erano entrati nel partito nel 1945-1946 il quali, nel momento in cui esprimevano alcune critiche nei confronti delle misure intraprese dal partito, venivano considerati svolgere un’attività contraria al potere jugoslavo. Nel definire la figura e il ruolo del comunista che la dirigenza comunista croata prospettava per l’Istria, il rappresentante del CC spiegò ai membri del comitato cittadino del PCC di Pola:

      

513 Durante tale periodo, che durava alcuni mesi, il futuro membro del partito veniva ideologicamente istruito e messo alla prova con diversi compiti sul versante politico ed economico.

514 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.3, verbale della riunione straordinaria del Comitato cittadino del PCJ di Pola del 16 luglio ‘47, con la partecipazione di due rappresentanti del CC (Antun Biber-Tehet e Tode Ćuruvija) e del segretario politico regionale, Dina Zlatić, p. 4.

Dovete tener conto della mentalità delle persone, perché il fascismo ha lasciato le proprie tracce, le persone vanno rieducate con attenzione.

(…) Per quanto concerne il passato di alcune persone che si sono unite a noi con buoni propositi, queste non devono essere poste su posizioni che rappresentino una figura politica. Bisogna vedere chi abbiamo nel partito e non metterli nei posti dirigenziali515.

Nella primavera del ‘47, questi membri furono in gran parte espulsi dal partito, seguendo ancora una volta un criterio che variava da zona a zona: nei villaggi, ovvero nella campagna croata, si era osservato il medesimo criterio di ripulire i “fascisti”, ovvero quei contadini che erano contrari all’annessione dei territori. Nelle zone italiane, come Rovigno, Pola, Lussino e altre cittadine, invece, il criterio seguito fu diverso, vale a dire oltre all’atteggiamento nei confronti dell’annessione, venivano valutate le motivazioni che avevano portato tali persone ad aderire alle organizzazioni fasciste, in quanto gran parte dei comunisti delle cittadine avevano questi precedenti. Sulla base di dichiarazioni personali e in seguito anche di testimonianze scritte, si valutavano perciò le motivazioni che avevano portato tali persone a iscriversi al partito fascista, oppure gli studenti e gli scolari che erano entrati nelle organizzazioni giovanili, che in gran parte dei casi i dirigenti regionali giustificarono perché ne riconoscevano il carattere costrittivo e le pressioni a cui erano stati sottoposti. Al contrario, riconoscevano che nei villaggi tali organizzazioni fasciste non avevano avuto successo per la resistenza dei contadini. Per tale motivo, nei villaggi il criterio adottato in questo senso fu quello di escludere tutti gli ex iscritti al partito fascista, a parte coloro i quali avevano preso parte attiva al MPL sin dall’inizio e non si erano distinti attivamente nel partito fascista516.

Complessivamente, in Istria i membri del partito che avevano prestato servizio nelle formazioni militari fasciste “o straniere”, nonché prigionieri all’estero nel ‘47 risultavano: 20 nella milizia fascista, 4 nei carabinieri, 1 nella finanza, 16 nella Guardia di re Pietro, 1 nelle SS, 3 nei servizi Guardia civica, 1 “lavoro volontario” in Germania, 3 nell’esercito inglese, 26 nelle prigioni dell’esercito inglese, 4 nelle prigioni dell’esercito americano, 47 iscritti alle organizzazioni fasciste, 104 iscritti alle organizzazioni giovanili fasciste517. Sedici erano i membri del PCC in Istria che avevano prestato servizio nelle formazioni dei

domobrani

, sei dei quali provenivano dalla Bosnia e dalla Dalmazia, e nel ‘47 operavano presso le diverse sezioni dei CPL istriani e di quello regionale (Pinguente, Abbazia), due da Sussak e gli altri otto erano istriani. Tra gli istriani risultava anche Ivan Motika, PA dell’Istria, membro del PCC dal

      

515 Ibidem.

516 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH, za Istru, b. 6, Relazione sullo stato organizzativo del partito inviata al CC PCC, n. 1693/47, 17 giugno ‘47, p. 5.

517 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.3, Elenco di membri del PCC nelle formazioni dei domobrani e degli ustascia, in quelle militari nemiche e straniere, e iscritti nelle organizzazioni fasciste dopo il 1941, 22 aprile ‘47.

dicembre ‘43518; nonché, originario di Sebenico, il presidente del tribunale circondariale dell’Istria, Franjo Benković, membro del PC dal febbraio ‘43519.

      

518 Nell’aprile ‘44 gli era stata affidata la “Sezione giustizia” e la “direzione” del CPL regionale da parte del Comitato regionale del partito, vedi D. DIMINIĆ, Sjećanje, cit., p. 192.

519 I dati complessivi furono inviati a Zagabria dal Comitato regionale su richiesta del CC PCC (telegramma n. 19 del 30 marzo ‘47), vedi HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.3, Elenco di membri del PCC nelle formazioni dei domobrani e degli ustascia, in quelle militari nemiche e straniere, e iscritti nelle organizzazioni fasciste dopo il 1941, 22 aprile ‘47.

III CAPITOLO

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