1.3. La “giustizia del popolo”
1.3.1. Modello e uso della “giustizia del popolo”
La “giustizia del popolo” e più in generale il nuovo potere popolare, nascevano e traevano la propria legittimità dalla lotta di liberazione, che per i comunisti jugoslavi fu anche rivoluzione, e quindi da una rottura rivoluzionaria che poneva problemi nel rapporto con il precedente ordinamento e la precedente legislazione. Da un punto di vista teorico, la rottura avvenne su una piattaforma ideologica, una delle cui componenti fu la critica alla libertà formale delle leggi, tipica delle “concezione borghese” del mondo, in contrapposizione alla “libertà creativa” espressa dai soggetti rivoluzionari. Così, i concetti di “coscienza politica” e “legittimità rivoluzionaria” costituirono le basi della nuova giustizia, attribuendo alle nuove leggi un ruolo “rivoluzionario”, di “armi micidiali nelle mani delle masse popolari”223.
La “giustizia del popolo” o “giustizia popolare” rappresentava per i comunisti jugoslavi l’espressione diretta del nuovo potere popolare. Il “popolo” era investito del ruolo dirigente del paese ed era chiamato a ricostruirlo, mediante l’avanguardia rappresentata dal “partito nuovo”. Costituito dalla classe operaia e da quella contadina, che nella Jugoslavia dell’epoca, e nell’Istria nello specifico, esprimevano la maggioranza della popolazione, al “popolo” veniva attribuita anche la funzione giudiziaria. Sin dai primi momenti la propaganda filo jugoslava, ispirandosi ad un socialismo populista, preannunciò l’uso politico della nuova giustizia:
Il popolo che ha tanto sofferto per causa di malfattori asservitisi all’occupatore ed al fascismo, esercita così i diritti che gli sono derivati dalla lotta, primo tra questi la giustizia. Alla giustizia del popolo non sfugge nessuno che si sia macchiato di colpe nei suoi riguardi. E’ finalmente giunto il momento in cui ognuno risponde delle proprie azioni224.
221 Vedi l’ordinanza pubblicata su “La Voce del Popolo”, 19 dicembre 1945, p.2.
222 Il testo del telegramma è pubblicato nel volume AA.VV., Istra i Slovensko Primorje, cit., p. 621.
223 N. KISIĆ-KOLANOVIĆ, Državnocentralistički sistem u Hrvatskoj 1945-1952, in “Časopis za suvremenu povijest”, XXIV, n.1, Zagreb, 1992, pp. 49-99.
224 Vedi Servi e collaboratori dell’occupatore davanti al Tribunale di Albona, in “Il Nostro Giornale”, 6 giugno 1945, p.2.
Erano i primi di giugno 1945, quando l’organo dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (UIIF), poi organo del Comitato Cittadino del Fronte Unico Popolare di Liberazione di Pola,
Il Nostro Giornale
, informò la cittadinanza sulle sentenze di condanna, emesse da un Tribunale del popolo di Albona, a gruppi di “collaboratori fascisti”, definiti anche “rifiuti del popolo” di Arsia, Chersano, Marzana e San Lorenzo. Le condanne ai lavori forzati e alla perdita dei diritti civili per molti anni, si rifacevano a motivazioni molto generiche ed arbitrarie, con formule ispirate alla nuova etica “popolare” e rivoluzionaria: per “aver lavorato contro il popolo”, per aver “depredato la proprietà popolare” e per aver “combattuto contro la libertà del popolo”225. Il Comitato distrettuale del PCC di Albona, a fine maggio 1945 informò il massimo organismo del partito a livello regionale (Comitato regionale del PCC per l’Istria) di aver condannato un gruppo di “nemici del popolo” ai lavori forzati e alla privazione dei diritti civili, ma di non essere certo di aver “agito correttamente”, in quanto il “popolo” avrebbe voluto pene più severe, ovvero la fucilazione226.In seguito, durante l’estate, sui giornali a diffusione locale e regionale non furono segnalati altri processi. Il vuoto di potere e la situazione di emergenza che si erano determinati nel primissimo periodo dopo la fine del conflitto in cui si consumò una resa dei conti contro gli eserciti nemici, ma anche contro i nemici del nuovo potere - con violenze e repressione, arresti, uccisioni, deportazioni, sequestri e confische - avevano portato ad un clima di giustizia sommaria e di illegalità. Fu lo stesso segretario del CPL regionale provvisorio, Dušan Diminić, a confermarlo alla prima seduta del nuovo organismo rappresentativo popolare jugoslavo, dopo le prime elezioni popolari del novembre 1945:
(…) subito dopo la Liberazione, subentrarono molte irregolarità nel lavoro delle autorità (…) la dirigenza si è impegnata al massimo per far comprendere e far acquisire agli esponenti del potere popolare la divisione del potere in legislativo, giudiziario ed esecutivo; inoltre, chiarire loro che il potere giudiziario e quello esecutivo sono figli naturali del potere legislativo (…) E se ciò si è svolto con molte difficoltà, un po’ alla volta a tutti è stata chiara la divisione del potere in legislativo, giudiziario ed esecutivo (…) a tutti è chiara la divisione di determinati poteri in istanze: di primo, di secondo e di terzo grado. E così, se oggi, a sei mesi dalla
225 Ibid. In due sentenze di condanne furono giudicate complessivamente 11 persone. Nel secondo gruppo, il 27 maggio ’45 ne furono condannate sei: Nicolò Scopaz, di anni 20, da Arsia, a due anni di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili per 7 anni; Rodolfo Radollovic, di anni 31, di Marzana, a 20 mesi di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili per tutta la vita; Giovanni Lazzaric, di anni 34, da Chersano, a 3 anni di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili per 20 anni; Carlo Bucic, di anni 21, da Marzana, a 5 anni di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili per 32 anni; Lodovico Petranic, di anni 36, da Arsia, a 3 mesi di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili per un anno; Vittorio Gelcic, di anni 36, da Polje, Comune di S. Lorenzo, a 3 anni di lavori forzati ed alla perdita dei diritti civili per 13 anni.
226 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.7, fasc. 1945 V-VIII, Relazione del Comitato distrettuale del PCC di Albona, 23 maggio 1945. La relazione si riferisce al primo gruppo, composto da cinque persone condannate.
Liberazione, i poteri popolari funzionano, anche se non in maniera ideale, causa la mancanza di personale specializzato, il principio della legalità è stato attuato dappertutto, il regno della legalità è stato introdotto dappertutto227.
Data la specificità dell’Istria dal 1945 al 1947, la legalità del vecchio ordinamento giuridico non venne però invalidata completamente. Si verificò una parziale utilizzazione delle norme precedenti da parte dei tribunali e del CP regionale e, dato fondamentale, solo di quelle che corrispondeva alle esigenze del nuovo potere popolare. In una simile situazione, il criterio fondamentale che si impose nell’applicazione delle vecchie norme, così come nell’applicazione delle nuove, specie in rapporto ai cosiddetti “nemici del popolo”, ossia nemici del nuovo potere, non poteva non essere un criterio puramente politico228.
I giudici popolari, infatti, avrebbero dovuto attenersi “alle leggi vigenti, in quanto queste non contrastino con lo spirito e gli interessi del movimento popolare di liberazione. Tale “equità rivoluzionaria” era quella coincidente con la linea politica di un potere popolare che coincideva con il partito comunista jugoslavo, il quale sotto tutti gli aspetti appariva il più ligio nei confronti di quello sovietico. Basato su una struttura centralizzata, gerarchica, magico - religiosa, il partito richiedeva obbedienza e dedizione totali. Erio Franchi, giudice popolare nel 1945-1946 a Fiume, ha sottolineato quanto l’ideologia del partito condizionasse qualsiasi altro valore, affermando che se “il partito richiedeva di seguire una linea, tutto il resto veniva piegato alle necessità politiche. Si trovava il modo, velocemente anche, di rintracciare tra le maglie della legge la soluzione più o meno presentabile, più o meno decente, che consentisse di salvare la forma”229.
Da tale atteggiamento fideistico, amplificato da elementi di rivalsa e sopraffazione nazionale dovuti alla politica fascista condotta nei confronti delle popolazioni slovene e di quelle croate nella Venezia Giulia, nasceva anche l’intransigenza e la radicalità verso gli occupatori ed i loro alleati, ma soprattutto verso gli oppositori politici del nuovo potere popolare. Ne derivò una situazione di crescente persecuzione nei confronti di coloro che non corrispondevano ai valori “popolari” o “socialisti” e di coloro che avversavano la soluzione jugoslava per l’Istria.
Il ruolo politico affidato alla giustizia e le forme in cui essa si manifestò- attraverso i processi, i sequestri e le confische - favorirono non solo la conquista del potere da parte dei comunisti, ma anche la creazione della base economica dello Stato “socialista”. Tale processo fu agevolato da una legislazione spregiudicata, che
227 HDAP, f. ONOI, b.19; Archivio del Centro di ricerche storiche – Rovigno (=ACRSRV), f.190/05, Relazione sul lavoro svolto della Sezione amministrativa del CPR per l’Istria dalla Liberazione ad oggi, p.1.
228 Sul ruolo della giustizia del popolo a Fiume vedi l’articolo O. MOSCARDA OBLAK, La ‘giustizia del popolo’: sequestri e confische a Fiume nel dopoguerra (1946-1948), in “Qualestoria”, n.1, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste, 1997, pp. 209-232.
229 Intervista ad Erio Franchi, in “Fiume”, XVI, n.32, Roma, 1996, p. 27 e ripresa a puntate (24 febbraio-5 marzo 1997) da “La Voce del Popolo”, Fiume, 1 marzo 1997.
in nome dell’etica rivoluzionaria giustificava qualsiasi eccesso nei confronti dei cittadini.