• Non ci sono risultati.

La politica nei confronti degli “italiani”

Nel documento Indice Introduzione 6 (pagine 107-113)

Il 18 giugno 1945, a pochi giorni dall’accordo con gli alleati sulla divisione delle zone di occupazione nella Venezia Giulia, i massimi dirigenti comunisti jugoslavi e stretti collaboratori di Tito, Eduard Kardelj e Vladimir Bakarić, giunsero in Istria e ad Arsia, sede della dirigenza regionale sia di partito che del Comitato popolare di liberazione, dove parteciparono a una “conferenza di partito”, con tutti i presidenti e i segretari dei distretti e delle cittadine istriane348.

La strategia delineata durante l’incontro prevedeva che nella lotta per la soluzione confinaria, le nuove strutture politiche cittadine, distrettuali e regionale svolgessero un compito “impegnativo e delicato”, ovvero quello di sviluppare una politica di sostegno e di appoggio al popolo “democratico” dei territori che cadevano sotto l’amministrazione angloamericana (Pola, Trieste), che doveva continuare a poggiare sulle intese con le “forze progressiste”, alle quali non sarebbero stati intaccati i diritti nazionali e, in particolare, il diritto ad esprimersi nella propria lingua. Sul versante interno, i vertici jugoslavi valutarono che la Jugoslavia avrebbe potuto uscire vittoriosa dalla questione confinaria soltanto qualora il partito, a livello locale e

      

347 Vedi quanto riporta K. SPEHNJAK, Javnost i propaganda: Narodna Fronta u politici i kulturi Hrvatske, ‘45-1952, Zagreb, 2002, pp. 57-60.

348 D. DIMINIĆ, Sjećanja, cit., Allegato 1: Relazione sulla conferenza di partito tenutasi il 18.06.’45 a Arsia. Sguardo sulla situazione politica, p. 295. Il verbale in italiano è pubblicato in G. RADOSSI, Documenti dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (maggio ‘45- gennaio ‘47), in “Quaderni”, vol. III, Centro di ricerche storiche, Rovigno, 1973, pp. 158-162, nonché in E. e L. GIURICIN, La Comunità Nazionale Italiana, cit., vol. II, doc. 8.

distrettuale, fosse stato capace di mettere in pratica e, quindi, “di dimostrare” alle masse operaie croate, slovene, ma soprattutto a quelle italiane, che il nuovo stato jugoslavo era portatore di “libera espressione nazionale”. La partita confinaria, dunque, era tutta da giocare, tanto che il partito era chiamato a cambiare tattica soprattutto nei confronti degli “italiani”. Questa constatazione appariva fondamentale, dal momento che i vertici comunisti ammisero che agli occhi della popolazione italiana, le strutture del MPL jugoslavo si erano screditate politicamente, soprattutto con la politica di revanscismo, che aveva provocato abusi e violenze nelle fasi finali della guerra in Istria. Infatti, durante la riunione venne riconosciuto che tali “eccessi” – valutati come “errori” dalla linea del partito, che sarebbero stati provocati dall’”impeto liberatorio”, conseguente alla politica fascista attuata nei confronti della popolazione slava durante i venti anni di fascismo – erano destinati a rimanere delle “macchie profonde e indelebili” nel futuro della politica jugoslava in tali territori349.

Per questo motivo nei confronti degli “italiani”, termine con il quale venivano intese le “masse operaie” che vivevano nei territori che rientravano nella sfera di controllo militare jugoslavo, le autorità comuniste locali erano invitate a realizzare una politica nazionale di “fratellanza e di democrazia” tra l’elemento croato e quello italiano. Dall’altro lato, nei confronti delle masse operaie che vivevano nei territori sotto amministrazione angloamericana (Litorale sloveno, Pola), il compito del partito doveva essere quello di offrire loro un continuo aiuto politico, rivolto a una politica nazionale egualitaria tra italiani e croati, o sloveni.

In questo periodo, dunque, per i vertici comunisti la condizione fondamentale per una soluzione favorevole alle richieste jugoslave al tavolo della pace era legata all’attuazione di una corretta politica nazionale da parte delle strutture del partito nella Venezia Giulia. Per dirla con le parole dei dirigenti jugoslavi, la “fratellanza” tra italiani e croati, fondata sulla lotta di classe, doveva avere il fine di “unire il popolo” nel desiderio di “voler vivere sotto la bandiera jugoslava”. Traducendo tali indicazioni nella politica quotidiana, i dirigenti locali e distrettuali venivano invitati “a non accentuare, ma anche a non manifestare apertamente il carattere slavo della regione” (sic!), soprattutto in quelle località dove vivevano gli italiani, per non incorrere in motivi (“errori”) che avrebbero potuto portare a conflitti aperti tra le due anime istriane. Il compito dei comunisti locali doveva essere quello “di impegnarsi a convincere gli italiani sulla loro scelta democratica e nazionale”. Per i comunisti istriani, spiegò Kardelj, non doveva essere importante il sentimento nazionale perché per gli internazionalisti esso passava in secondo piano. Per la riuscita della politica dell’”unità e fratellanza”, non era necessario che la popolazione dichiarasse la propria nazionalità, ma che le masse si dichiarassero a favore di tale scelta.350 Kardelj inoltre osservò che il potere popolare in sé non aveva elementi nazionalistici, bensì erano le tendenze che si manifestavano nel partito a livello regionale e locale quelle che

      

349 Ibidem.

avevano un carattere nazionalista, che doveva necessariamente essere eliminata.351

Questa politica nei confronti della popolazione italiana nelle terre sotto amministrazione jugoslava doveva avere anche una funzione esemplare per le masse operaie italiane rimaste nella zona A (Pola e Trieste), che l’avrebbe idealmente sostenuta, trasformandosi in un alleato favorevole alla soluzione jugoslava per l’intera area352.

Ma l’azione del partito non fu uniforme in tutte le zone della penisola, a seconda soprattutto delle specificità sociali e nazionali delle diverse aree. Infatti, nell’analizzare la situazione politica regionale, i dirigenti comunisti usavano dividere il territorio istriano in due zone: quella croata, costituita in generale dai villaggi e dalla campagna centrale, e quella italiana, circoscritta alle cittadine della costa occidentale. A riprova della centralità dei ragionamenti e dei discorsi nazionali nella politica del partito a livello regionale fu, sin dall’estate 1945, la direttiva, impartita dai massimi dirigenti comunisti (Kardelj e Bakarić), di agire con la “massima democraticità” nei confronti dei due gruppi considerati problematici, ovvero i sacerdoti e gli “italiani” in generale. A loro volta, le direttive politiche regionali prescrivevano di osservare tale linea nell’organizzazione del potere popolare e in particolare nell’inserimento di personale impiegatizio precedente ma non implicato col passato regime, specie lungo la zona occidentale, riconosciuta a maggioranza italiana.353 Anche nei confronti dei parroci delle varie località, andava attuata una politica di avvicinamento con l’intento di inserirli nel Fronte popolare, coinvolgendo anche a coloro i quali si erano “compromessi”, a condizione che “pubblicamente avessero denunciato la loro attività collaboratrice”. A Dušan Diminić fu affidato l’incarico di avviare i contatti con quei parroci considerati vicini al MPL, quali Šenk, Štifanić, Herak, con l’intesa che nel giro di una decina di giorni avrebbe poi riferito “in che mano potevano tenerli”354.

Durante l’estate, l’azione del Comitato regionale del PCC per l’Istria si articolò in base alla distinzione fra “zona italiana” e “zona croata”. La prima comprendeva le cittadine lungo la costa occidentale (Pola, Dignano, Gallesano, Valle, Orsera, Parenzo, Buie, Umago, Cittanova, Verteneglio), dove gli italiani “cadevano nelle mani della reazione ed erano in attesa di cambiamenti e di speranze per un’unione all’Italia”. A Rovigno, ma anche in altre parti dell’Istria, durante l’estate fu registrata l’attività di gruppi e movimenti studenteschi collegati al CLN dell’Istria355, che esprimevano il loro antijugoslavismo anche con il lancio di volantini rivolti alla popolazione italiana. Così a Rovigno fu arrestato lo studente Angelo Bronzin, che era riuscito a diffondere dei manifestini che propagavano le idee di una “repubblica della Venezia Giulia con

      

351 Ibidem.

352 Ivi, p. 296.

353 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, verbale del 13 giugno ‘45.

354 Ibidem.

355 Gli esponenti di quei partiti antifascisti italiani, che avevano escluso l’opzione jugoslava, avevano invece trovato coagulo nel CLN dell’Istria, che operava a Trieste. Sulle tali vicende vedi G. FOGAR, Trieste 1940-1945. Società e Resistenza, IRSML, Trieste 1999; R. SPAZZALI, …l’Italia chiamò. Resistenza politica e militare italiana a Trieste (1943-1947), LEG, Gorizia, 2003.

capitale Trieste”356. In tale zona il partito non era riuscito ad avere la situazione “nelle proprie mani”, soprattutto perché la politica dell’unità e fratellanza non stava ottenendo gli obiettivi desiderati. A proposito, il segretario Jurica Knez, criticò tutta la dirigenza del partito per non essersi impegnata a trovare il modo di attirare l’intellighenzia italiana nel movimento jugoslavo. Inoltre, nelle città si registrava pure una grande attività da parte dei parroci.

L’altra zona, “croata”, era rappresentata da tutto il resto del territorio istriano, abitato nella stragrande maggioranza da croati, che in questa fase, in base alla relazione, sarebbe stata incerta sulla sorte dell’Istria. I comitati popolari in questa zona erano molto deboli e faticavano a darsi una forma organizzativa per la mancanza di personale qualificato e politicamente affidabile357.

Le mancate risposte delle nuove autorità e del partito alle pressanti richieste di cibo da parte della popolazione cittadina nei primi mesi dopo la guerra, avevano contribuito alla diffusione del malcontento e di giudizi negativi sull’incapacità degli jugoslavi di gestire il nuovo potere, specie se paragonati agli anglo-americani, che erano invece capaci di organizzare convogli di cibo nelle zone sotto la loro influenza358. Alla richiesta di aiuti alimentari all’esercito jugoslavo, che aveva preso in amministrazione il territorio istriano, il segretario politico regionale si era sentito rispondere da un alto ufficiale: “Nemmeno le coperte”!359 Di ancor più difficile soluzione era il problema della ricostruzione e dalla ripresa della vita produttiva, che non era nemmeno decollata e che la controparte - il “nemico” - sfruttava contro i comitati popolari. L’impreparazione scolastica, l’incompetenza amministrativa e l’incapacità politica dei nuovi quadri rappresentavano il vero punto debole nell’intero quadro politico monitorato dal partito.

In particolare lungo la costa, con precisione a Buie e Umago, il responsabile del partito, Anton Cerovac - Tonić affermò che la situazione nell’agosto ’45 non era per niente favorevole al potere popolare, mentre destava preoccupazione il fatto che alcuni democristiani erano entrati a far parte della struttura amministrativa jugoslava, il CPL360. Anche qui veniva seguita l’azione dei parroci, che sembrava essersi placata, mentre rappresentava un problema il fatto che tutta l’intellighenzia fosse sotto l’influenza della “reazione” italiana. Le informazioni dell’Ozna segnalavano anche che i democristiani stavano prendendo piede a Parenzo e a Pisino.

Nell’agosto 1945 il segretario politico, Jurica Knez, costatò che nelle campagne, dove vivevano i croati, la situazione politica era migliore rispetto alle città, dove vivevano gli italiani. In queste zone croate le organizzazioni di partito distrettuali, a

      

356 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.7, fasc.’45, V-VIII, verbale a carico di A. Bronzin, senza data né firma; Copia del volantino lanciato a Rovigno, firmato dalla Lega Antifascista Democratica V.G., 15-16 agosto ‘45; copia del volantino Italiani tutti della Venezia Giulia!

357 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.7, verbale 10 luglio ‘45.

358 Ibidem.

359 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.7, verbale del 5 settembre ‘45.

360 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.7, fasc. ‘45, Relazione dell’Ozna regionale sul clero, 4 dicembre ‘45.

maggioranza croata, erano però considerate politicamente “troppo deboli” per avvicinarsi agli italiani che vi vivevano, “mentre la reazione” sapeva sfruttare tale situazione. L’UIIF, l’organizzazione ufficiale creata durante la guerra dal partito per favorire la linea annessionistica fra gli italiani, nelle cittadine non era riuscita ad abbracciare quegli strati medi e in particolare l’intellighenzia “italianizzata” (sic!) che non stavano dalla parte dell’MPL, e perciò, affermò Knez, la sua forma organizzativa non corrispondeva più agli obiettivi del partito. L’incapacità era imputata agli stessi italiani che ne facevano parte. Pure i comitati del Fronte popolare che esistevano nelle cittadine istriane, non corrispondevano più alle attese dei vertici regionali del partito.

Nelle campagne, poi, la situazione era difficile a causa dell’azione dei parroci (italiani), anch’essi considerati vettori della reazione361.

Oggi si conduce una lotta tra la vera democrazia e la reazione. La posizione della vera democrazia è quella dell’annessione della Regione Giulia alla Jugoslavia, mentre quella della reazione è del tutto opposta362.

Sulla base di tale impostazione, era chiaro che nulla e nessuno sarebbe stato risparmiato. Molto critiche furono nell’autunno 1945 le reazioni del Comitato centrale (CC) del PCC alla situazione politica determinatasi in Istria: visto l’insuccesso registrato dal partito nella raccolta di firme pro Jugoslavia che era stata organizzata in quei giorni, il rappresentante del CC, Savo Zlatić, di origine istriana, nella riunione dell’11 settembre con il Burò regionale del partito (presenti Jurica Knez, Dina Zlatić, Viktor Hajon-Arsen, Božo Glažar - Makso, Silvo Milenić - Lovro, Vlado Juričić, Ljubo Drdić-Vladlen, Berto Črnja), criticò duramente tutti i dirigenti regionali presenti per l’incapacità dimostrata nello sviluppare una chiara condotta politica nei confronti degli italiani. Dal settembre 1945 alla primavera del ’46, Savo Zlatić, uno dei più competenti comunisti istriani, fu la figura che rappresentò il massimo organismo del partito (CC) in regione, partecipando spesso alle riunioni del Comitato regionale, in quanto “fedele guardiano della linea del partito”, e molto duro e rigido nelle sue osservazioni363.

La linea che da agosto il CC aveva raccomandato di adottare nei confronti degli italiani era stata quella dell’Unione italo-slava (UAIS), una nuova forma organizzativa che secondo i dirigenti jugoslavi sarebbe stata “capace” di raggruppare tutti quegli italiani che il partito non era riuscito ancora a coinvolgere. La prospettiva dei vertici comunisti era quella di sostituire le organizzazioni del Fronte popolare, e allo stesso tempo dare all’UAIS una base più ampia della stessa UIIF, “ormai compromessa”, in

      

361 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.7, fasc. ‘45, verbale della Riunione straordinaria per l’arrivo del membro del CC PCC, Savo Zlatić, 11 settembre ’45.

362 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.7, fasc. IX ‘45, verbale della riunione del Comitato Direttivo del PC Giuliano, 24 settembre ‘45, intervento di Savo Zlatić, p. 3.

363 Il giudizio è quello espresso da D. Diminić nelle sue citate memorie; nel 1948 S. Zlatić finì rinchiuso a Goli Otok.

quanto non era riuscita a portare nella propria sfera gli intellettuali italiani, e soprattutto meno “settaria” dei CPL.

Anche se il segretario politico aveva impartito la direttiva di procedere alla formazione dei comitati dell’UAIS nelle cittadine italiane, nulla era ancora stato fatto. Su una posizione discordante rispetto al segretario si trovò Dina Zlatić, la quale riteneva che se il partito avesse accettato nell’UAIS gli italiani che non avevano firmato la dichiarazione pro Jugoslavia, si sarebbero creati i presupposti per allargare le fila dell’UAIS e di conseguenza le premesse per la creazione di vere e proprie organizzazioni politiche. Ella perciò riteneva che soltanto a conclusione delle “azioni” per l’annessione del territorio alla Jugoslavia, si sarebbe potuto procedere allo scioglimento del Fronte e alla formazione dell’UAIS.

Alla seduta del CC Savo Zlatić biasimò in particolare la situazione a Pola, e criticò il segretario politico cittadino Viktor Hajon – Arsen, anch’esso membro del Comitato regionale, per aver “permesso” la formazione del partito socialista364. Molte altre attività furono criticate, come la linea “scorretta” di alcuni articoli apparsi su “Il Nostro Giornale” di Pola; in particolare il segretario del PCC, Vladimir Bakarić, disapprovò l’atteggiamento troppo “comprensivo” che Ljubo Drndić – Vladlen, membro del Comitato regionale istriano, responsabile del settore propaganda (Agit-prop) del partito e dell’UAIS regionale, manteneva nei confronti degli italiani365. Alla riunione in cui si erano discussi i preparativi per le elezioni del novembre 1945, svoltasi tra i dirigenti politici istriani e il rappresentante del CC Savo Zlatić, Ljubo Drndić aveva infatti affermato:

Siamo riusciti a manifestare la fratellanza soltanto attraverso gli slogan e le bandiere. Nei CPL distrettuali e nelle organizzazioni distrettuali gli Italiani sono soltanto delle bambole; nelle cittadine più piccole gli Italiani non partecipano al potere. I rapporti di potere e nell’amministrazione sono tali che gli Italiani si sentono trascurati. E la reazione sta sfruttando questa situazione. Le nostre organizzazioni sono a un livello politico così basso, che la reazione magistralmente utilizza a suo favore. I socialisti (a Pola n.d.a.) si presentano con le parole che in Italia vige maggiore democrazia che in Jugoslavia366.

La condotta politica di Drndić fu considerata errata, e di conseguenza punibile con l’allontanamento dal partito. E, infatti, nel dicembre 1945, il CC PCC decise che Ljubo Drndić dovesse essere trasferito dall’Istria a Zagabria, presso la redazione dell’organo del PCC

Naprijed,

non prima che Bakarić avesse osservato che Drndić

      

364 La sezione di Pola del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria fu costituita ai primi di settembre ’45; suo segretario fu Orlando Inwinkl, mentre tra i suoi membri troviamo Guido Miglia, Giorgio Dagri, Francesco Decleva, Rodolfo Manzin, Stefano Dorigo, ecc. vedi La prima Assemblea della sezione di Pola del Partito Socialista Italiano di U.P., in “L’Arena di Pola”, 12 settembre ‘45, p. 1.

365 B. VOJNOVIĆ, Zapisnici Politburoa, cit., verbale del 5 ottobre ‘45, pp.131-132.

366 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.5, Riunione straordinaria per l’arrivo del membro del CC PCC, Savo Zlatić, cit.

“sbagliava nell’impostare il lavoro con gli italiani”367. Dal canto suo, Dušan Diminić nelle sue memorie afferma che rispetto a lui, Drndić era “troppo vicino agli italiani” e che “cercava la loro collaborazione”368.

Infatti, una delle soluzioni praticate dal CC per risolvere i casi di funzionari politici con vedute discordanti da quelle del centro (viste come esclusivismo nazionale), oppure di quadri troppo indulgenti, fu quella di chiamarli a servizio negli organi centrali, cioè vicini al CC369. Così dall’Istria furono progressivamente allontanati, ovvero chiamati a Zagabria, dopo Ljubo Drndić, anche il segretario Jurica Knez, Dušan Diminić (fine del 1946-inizio ‘47), e dall’autunno ‘47 tutta una serie di dirigenti, come conseguenza dello scioglimento delle strutture regionali del partito e di quella politico-amministrativa (CPL).

Nel documento Indice Introduzione 6 (pagine 107-113)