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Il ruolo dell’Ozna dopo l’entrata nelle città

Nel documento Indice Introduzione 6 (pagine 38-46)

Le operazioni militari nella regione istriana ufficialmente si conclusero il 6 maggio 1945, quando a Pisino gli ultimi reparti tedeschi firmarono la loro capitolazione. Nel maggio-giugno 1945 in tutta l’Istria le strutture della polizia segreta jugoslava, l’Ozna, e l’esercito misero in atto le medesime procedure operative che si erano registrate in altre città nella Venezia Giulia, come Trieste, Fiume, ma anche nel resto dei territori liberati in Croazia. Sulla falsariga di quanto stabilito dalla documentazione interna preparata prima della fine della guerra, emergevano però delle varianti particolari, in quanto l’Istria rappresentava un territorio che non apparteneva alla Croazia/Slovenia e soprattutto era nazionalmente misto.

L’operato dell’Ozna doveva assicurare una chiara “bonifica” politica delle istituzioni e della cittadinanza, dei militari e dei civili, da attuarsi tramite arresti, scomparse, perquisizioni, sequestri. Considerato dal punto di vista del diritto internazionale, si trattava di pratiche extragiudiziarie, e dunque di azioni illegittime, messe in atto senza alcuna garanzia giuridica.

Il territorio istriano e in genere quello giuliano, andava “normalizzato” da quei gruppi politici che i comunisti jugoslavi percepivano come opposizione, anche solo potenziale, di matrice politica e nazionale. E i gruppi da colpire alla fine della guerra

      

111 HDAP, f. OK KPH Pazin, fasc. II, Comunicato del 3 luglio 1944.

112 HDAP, f. Kotarski Komitet (=KK) KPH Labin – Comitato distrettuale PCC di Albona, b.1, f. 4/1945, Ozna di Dignano, 6 giugno 1945, Cartelle di due sorelle di Cavrano, vicino a Marzana.

e nel momento della presa del potere erano già ben noti e conosciuti. Tali gruppi “reazionari” rappresentavano di fatto degli oppositori politici al nuovo potere e un ostacolo all’annessione del territorio alla Jugoslavia.

Avvalendosi perciò dei dossier sui gruppi “reazionari” tenuti sotto controllo, elaborati durante la primavera del 1945, e progressivamente completati di particolari relativi all’attività politica di ognuno di essi, nel circondario di Pola e nella medesima cittadina, gli agenti dell’Ozna fecero prigionieri, uccisero e fecero scomparire nelle foibe gran parte dei soldati tedeschi asserragliati a Musil, nella periferia della città. Inoltre, prelevarono dalle loro abitazioni centinaia di cittadini, che furono arrestati, spesso portati nelle carceri di via Martiri a Pola, trattenuti per alcuni giorni e, in molti casi, deportati per destinazioni rimaste spesso ignote. Al prelievo della persona, seguiva la perquisizione degli uffici, che da quel momento entravano in possesso delle autorità.

A Pola, la centrale dell’Ozna si insediò nel palazzo di via Smareglia, già sede del Comando della Gestapo e delle SS,113 mentre nel giugno 1945 si trasferì a Laurana114. Gli arrestati nella altre località istriane venivano inviati nella sede centrale dell’Ozna a Pola115, e di tali arresti venivano informati sia le relative strutture militari, sia quelle amministrative (Comitato distrettuale CPL) che quelle politiche (sezione Agit-prop del PCC) locali.

Nulla impedì che in quei giorni di grandi cambiamenti fossero arrestate anche persone che non si erano compromesse con gli occupatori e che avevano mantenuto un comportamento leale nei confronti del movimento partigiano jugoslavo durante la guerra. Non esistevano accuse specifiche da addebitare a quest’ultima categoria di arrestati, ma ciononostante non venivano liberati dall’Ozna, che invece affidava la sorte di tali persone al segretario politico distrettuale del partito, il quale godeva dell’arbitrio di decidere il loro invio a uno dei campi di lavoro coatto che erano stati creati in Istria, ovvero alle miniera di Arsia116.

La composizione etnica o nazionale degli arrestati variava a seconda dai luoghi in cui venivano effettuati gli arresti. Nelle cittadine italiane gli arrestati risultavano essere a maggioranza italiani, mentre nelle cittadine dell’Istria interna non mancarono croati non comunisti (Marciana, zona Istria sud orientale, Medolino) accusati di collaborazionismo con i tedeschi. Un parte di questi arrestati poté sicuramente tornare nelle proprie case, ma un’altra venne inviata in altri luoghi di detenzione situati nei territori della Jugoslavia, dove vi erano detenuti cittadini che non appoggiavano l’MPL. Altri ancora furono infoibati, ma in molti casi la sorte di coloro i quali furono prelevati dall’Ozna rimase sconosciuta. In quei giorni convulsi di

      

113 G. RUMICI, Storie di deportazione: Pola e Dignano - maggio 1945, Edizioni ANVGD, Gorizia, 2006, p. 16.

114 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, Libro dei verbali del Comitato regionale PCC, verbale del 13 luglio 1945.

115 HDAP, f. KNO Buje, b.1, Elenco degli incarcerati dall’Ozna nel distretto di Buie, 21 maggio 1945.

116 HDAP, f. KK KPH Labin, b.1, Ozna per l’Istria – Segretario del Com. distrett. Albona, Elenco di trasferimento di 9 arrestati, 5 giugno 1945.

maggio ’45, furono uccisi e sparirono molti personaggi noti, ai quali furono sequestrati tutti i beni da parte delle nuove autorità popolari. A Rovigno, ad esempio, come primo atto dopo la “liberazione”, furono uccise la baronessa Hutterot e la figlia (30 aprile 1945) all’isola di S. Andrea, e il grande patrimonio di beni mobili fu razziato117.

Degli arresti e deportazioni di militari e civili avvenuti nel maggio-giugno 1945 da parte dell’Ozna gli anglo-americani chiesero conto nell'ambito delle trattative che sarebbero sfociate negli accordi di Belgrado del 9 giugno 1945, insistendo affinché fosse inserita una clausola, la sesta, che prevedeva la liberazione da parte del governo jugoslavo di tutte le persone arrestate e la restituzione di tutte le proprietà sequestrate e confiscate nella regione. Di fronte però alla negazione dell'evidenza da parte jugoslava furono gli stessi negoziatori alleati, interessati a chiudere comunque l'intesa, a suggerire una scappatoia al governo jugoslavo di Belgrado, il quale accettò il testo ma contemporaneamente lo svuotò di ogni efficacia, dichiarando che gli arresti e le confische avevano riguardato soltanto “fascisti” e “criminali di guerra”.

A livello interno, nei mesi immediatamente successivi alla fine della guerra, il massimo organismo del partito in Croazia intervenne, ma senza alcun risultato, per regolare le esecuzioni di prigionieri e di oppositori al movimento partigiano. Sia a giugno, che a luglio 1945 la seduta del Politburo del PCC si soffermò sull’anarchia generale che regnava nel paese, dove nonostante le punizioni e le ammonizioni, si continuava a torturare e ad uccidere i prigionieri di guerra. La situazione in Slavonia, poi, era degenerata, tanto che il ministro della giustizia croato, Dušan Brkić, membro del Politburo PCC aveva richiesto di agire per fermare l’uccisione di prigionieri

domobrani

croati. A luglio 1945, durante la I consultazione dell’Ozna per la Croazia, I. Brkić e Ivan Krajačić Stevo, capo dell’Ozna e ministro degli interni croato, avevano ordinato di smetterla con le esecuzioni, perché vi andava di mezzo il consenso della popolazione. Nonostante queste prese di posizione del massimo organo di partito e dell’Ozna per la Croazia, così come l’istituzione di appositi tribunali militari, le esecuzioni continuarono anche nei mesi successivi118.

Segnali opposti arrivavano invece dal massimo organismo di partito in Istria nei confronti dell’operato dell’Ozna nella penisola. Ci fu infatti una parte del partito, decisamente molto radicale, che biasimò l’Ozna per la superficialità della “pulizia” che stava attuando nelle cittadine italiane, dove la popolazione sarebbe stata in mano “alla reazione”119. Nel valutare la situazione politica, il segretario politico, Jurica Knez, suddivideva infatti la penisola istriana in due zone, sulla base della nazionalità. Una era la zona dove vivevano gli “Italiani”, in cui il “popolo cadeva nelle mani della reazione”, ed era in attesa del ritorno dell'Italia, dove ci sarebbero state maggiori

      

117 F. ZULIANI, L’esodo da Rovigno, cit., p. 131.

118 B. VOJNOVIĆ (a cura di), Zapisnici Politbiroa Centralnog Komiteta Komunističke Partije Hrvatske 1945-1952, sv. 1, Zapisnici Politbiroa 1945-1948, Verbali del 6 e 13 luglio 1945; Z. RADELIĆ, Uloga OZNE, cit., p. 121.

119 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.5, Libro dei verbali del Com. reg. PCC, verb. del 10 luglio 1945, e D. DUKOVSKI, Rat i mir istarski, cit., p. 149.

libertà democratiche. In tale zona ovviamente il partito non nutriva fiducia nella popolazione in quanto non riusciva ad avere la situazione sotto il proprio controllo. L’altra parte era quella delle zone considerate croate, ma dove le istituzioni del nuovo potere erano talmente deboli che si verificava che i CPL e la Milizia avessero “paura” e temessero un eventuale arrivo delle forze Inglesi.

In tale contesto, a luglio ’45, alla riunione del Biro del Comitato regionale del PCC dell’Istria120 Ljubo Drndić-Vladen, sollevò la questione della “punizione dei fascisti” che a suo modo di vedere stava destando “insoddisfazione generale” in tutto il territorio istriano, e specie nelle cittadine italiane. Egli affermò che a tale proposito il partito dovesse assumere “una dura presa di posizione”. Dušan Diminić, rispose che l’Ozna ne era “stracolma, ci sono troppe persone dentro, interrogano con troppa lentezza, non possono arrestarne dei nuovi”. Si affermò che nella fase di presa del potere fossero state arrestate anche persone contro le quali non si avevano avuto sufficienti prove, e tale modo di agire aveva fatto emergere problemi di legalità. In un fase in cui si i tribunali militari sul territorio istriano non avevano ancora iniziato a funzionare, furono impartiti precisi ordini ai comitati distrettuali e all’Ozna: “coprire le foibe” (“zatrpati jame”) e richiedere ai comitati distrettuali “l’elenco dei liquidati, le accuse e la data all’incirca quando è stato liquidato”121. Emergevano perciò evidenti segnali di ingovernabilità da parte delle autorità comuniste regionali, che a parte l’Ozna, doveva dividere il potere con l’altra colonna del nuovo regime, ovvero l’esercito.

Anche nei mesi successivi alla presa del potere vera e propria, problematica apparve la situazione dei quadri distrettuali dell’Ozna, dove i membri locali del partito difficilmente accettavano di entrare a far parte delle strutture informative. Il responsabile della II sezione dell’Ozna regionale, Makso Glažar, membro del Regionale del partito, alla fine di giugno ’45 presentò la questione al massimo organismo politico regionale, che decise di ricercarli e di individuarli nei quadri dell’esercito, ovvero in quei quadri militari provenienti dai Comandi locali, che era stato deciso di sciogliere, perché non corrispondenti alla nuova situazione stabilitasi con la divisione della penisola in due aree di amministrazione militare (jugoslava e alleata)122.

Le relazioni politico-informative compilate dai comitati di partito di livello inferiore dal giugno ‘45 in poi, gettano luce sulle modalità di lavoro dell’Ozna, che vagliava come attività nemica qualsiasi osservazione, atteggiamento, parola, umore della popolazione che potesse esprimere anche soltanto sentimenti di frustrazione, delusione, insoddisfazione e insofferenza a proposito di qualsiasi misura economica e politica attuata dalle nuove autorità popolari, come il cambiamento della moneta,

      

120 Era formato da Jurica Knez, Makso Glažar-Mladen, Dušan Diminić, Arsen, Ljubo Drndić-Vladlen, Dina Zlatić.

121 HDAZ, f. Obl. Kom. KPH za Istru, b.5, Libro dei verbali, cit., verb. del 10 luglio 1945.

l’aumento dei prezzi, gli ammassi, ecc.123 Compito dell’Ozna fu anche quello di creare le condizioni politiche in vista delle elezioni del novembre 1945,

in primis

togliendo il diritto di voto a coloro i quali dimostravano idee politiche contrarie all’MPL, oppure costringendo la popolazione a firmare “per la Jugoslavia”124. Il caso di Antonio Budicin di Rovigno, membro del CPL regionale, che voleva presentare una lista accanto a quella ufficiale, rimase quello più clamoroso.

All’insegna dello slogan politico “Morte al fascismo-Libertà ai popoli”, anche dopo il 1945 l’Ozna continuò a svolgere il ruolo di guardiano del partito e del regime jugoslavo, eliminando qualsiasi ostacolo che potesse mettere in discussione gli obiettivi del partito unico, primo fra tutti, nel 1945-1947, l’annessione del territorio alla Jugoslavia.

 

1.2. L’Armata e l’Amministrazione militare

1.2.1. L’Armata jugoslava

La guerra effettiva in Istria durò molto meno rispetto agli altri territori jugoslavi, ma furono venti mesi densi di cambiamenti (ottobre ’43 - maggio ’45). Dopo la caduta di Mussolini e specie dopo l’8 settembre ’43, quando l’esercito italiano – che aveva occupato la Jugoslavia nel 1941 - si trovò allo sbando e i soldati abbandonati al loro destino, intere unità italiane consegnarono le armi per tornare a casa, e moltissimi militari passarono nel movimento partigiano jugoslavo con tutte le armi. Con la presa sotto il proprio controllo di gran parte dei territori jugoslavi, l’esercito di Tito aveva progressivamente assunto aspetti di massa; impossessatosi dei mezzi pesanti sottratti al nemico italiano e tedesco, era pure dotato di attrezzature tecniche fornite dagli alleati, che avevano riconosciuto il movimento partigiano nel dicembre 1943. Fu con la liberazione di Belgrado nell’ottobre 1944, che aumentò notevolmente il numero di coloro i quali entrarono nell’esercito partigiano, determinando le prime riorganizzazioni interne delle sue unità militari. Tito, inoltre, nel novembre 1944 (fino alla metà di gennaio 1945) aveva concesso l’amnistia ai domobrani sloveni e croati, ai cetnici e ai loro sostenitori125, provvedimento che in Croazia aveva avuto un buon successo in quanto i domobrani croati erano entrati in massa nell’esercito del MPL. Dall’estate 1944, poi, a seconda delle condizioni specifiche dei territori jugoslavi, era stata avviata la mobilitazione di tutti i maschi adulti nelle fila partigiane, azione che era proseguita sino alla fine della guerra. L’afflusso in massa nell’esercito partigiano

      

123 Nei fondi dei comitati distrettuali del PC, conservati all’archivio di Pisino, tutte le relazioni del 1945 testimoniano di una situazione politica molto complessa, in continuo fermento, dove le nuove autorità popolari trovavano scarso appoggio e consenso non soltanto nelle “cittadine italiane”, ma anche nelle zone considerate croate, come il Pinguentino o l’Albonese. Vedi HDAP, f. KK KP Buzet, b. 1, Verbale della riunione del 7 settembre 1945; f. KK KPH Poreč, b.1, Relazioni del 19 agosto e del 19 dicembre 1945.

124 HDAP, f. KK KPH Buzet, b. 1, Verbale 7 settembre 1945, cit.

125 Il testo dell’ordinanza sull’amnistia è riportato nella raccolta di S. NEŠOVIĆ, Stvaranje nove Jugoslavije, 1941.-1945., Beograd, 1981, pp. 575-578.

aveva però portato anche al cambiamento della composizione politica sua e del MPL in generale (si potevano trovare oltre ai domobrani, simpatizzanti del Partito contadino croato, ecc.); e ciò in contrasto con l’indirizzo politico dei quadri militari - compresi quelli dell’Ozna – che guardavano come esempio all’Armata russa e che venivano addestrati presso le scuole militari di Mosca, come pure degli istruttori militari sovietici si trovavano nelle fila dell’esercito jugoslavo126. Una grande influenza politica nell’esercito era svolta dal partito comunista, anche e soprattutto attraverso l’aiuto del KNOJ e dell’Ozna127.

L’esercito, come scrisse Moša Pijade, rappresentava “la forza armata della rivoluzione (…), di coesione per l’unità e la fratellanza fra i popoli jugoslavi (…), la forza militare del potere popolare”128. In effetti, assieme alla polizia segreta (Ozna) e all’apparato giudiziario (che tratteremo in seguito), l’esercito costituì uno dei pilastri fondamentali su cui si costruì lo Stato jugoslavo. Dotato di una organizzazione centralizzata, esso dopo la guerra rappresentò un potente fattore di coesione nel rafforzamento del nuovo ordinamento politico.

Durante la guerra l'esercito fu gradualmente controllato dal PCJ, che ne occupò progressivamente i ruoli chiave. Nel 1948, Tito ebbe a ricordare che “Oltre il 94% dei quadri dirigenziali della nostra Armata sono comunisti … 85.000 comunisti, membri del Partito, ci sono oggi nell’Armata”129.

E proprio nelle ultime fasi del conflitto, l’esercito rappresentò anche una vera e propria scuola politica, che tramite le figure dei commissari politici, forgiò i propri reparti armati in vista degli obiettivi e dei compiti politici assegnatigli - assieme all’Ozna - durante le fasi di presa del potere130. Per il partito, perciò, i commissari erano molto più importanti dei medesimi comandanti.

I commissari politici, che in definitiva furono l’emanazione diretta del partito comunista nel campo militare, seguivano la verticale delle strutture militari, dal Comando, ai battaglioni, alle unità più piccole, e facevano parte della dirigenza militare; avevano il compito di controllare la condotta politica e morale dei militari, e di impedire ai “provocatori e spioni” di agire nelle formazioni partigiane131; di istruire e di elevare politicamente i partigiani, in particolare educandoli a quelli che erano i fini e gli obiettivi del MPL, nonché di illustrare la situazione politica e militare e gli

      

126 Durante la crisi di Trieste, che scoppiò di lì a poco, nel maggio 1945, Tito richiese ai sovietici che in Jugoslavia venissero inviati qualche centinaio di ufficiali, vedi in TITO, Sabrana djela, vol. 28, pp. 38-40 e Oslobodilački rat naroda Jugoslavije 1941-1945, Vojnoistorijski institut, Beograd, 1965, p. 500.

127 J. VODUŠEK STARIĆ, Kako su komunisti osvojili vlast 1944.-1946., Naklada Pavičić, Zagreb, 2006, p. 222.

128 Cfr. M. PIJADE, Izabrani spisi, 1/5, p. 547.

129 TITO, Relazione politica presentata al V Congresso del PCJ, “Kultura”, 1948 e D. BILANDŽIĆ, Historija SFRJ. Glavni procesi, Zagreb, 1976, p. 101.

130 Vedi HDAP, f. ONOI, b. 9, fasc. “Izvještaj o zadatcima ONO u oslobođenim krajevima”; D. DUKOVSKI, Rat i mir istarski, cit., p. 149; Z. RADELIĆ, Uloga OZNE, cit., pp. 97-122; M. RUPIĆ (a cura di) Partizanska i komunistička represija i zločini 1944.-1946. Dokumenti, Hrvatski institut za povijest, Slavonski Brod, 2005.

avvenimenti politici quotidiani per mezzo della lettura dell’organo del PCJ,

Borba

(Lotta). Ben poco o nulla si sa della loro condotta nella soluzione di problematiche politiche, specie in un territorio nazionalmente misto come l’Istria e la Venezia Giulia in generale. Dalla rilettura di alcune opere sulla storia di alcune formazioni militari croate/jugoslave, pubblicate molti anni orsono, risulta che prima di avviare le operazioni militari per la “corsa di Trieste”, i commissari politici abbiano svolto un intenso lavoro politico e di propaganda ideologica per spiegare ai combattenti del resto dei territori croati la storia dell’Istria, i rapporti con l’Italia, nonché la “lotta di liberazione” nella regione istriana132. Le popolazioni, come i partigiani dei territori croati, erano praticamente a digiuno di qualsiasi nozione storica su quell’area nord adriatica, che mai aveva fatto parte di uno Stato croato/sloveno/jugoslavo. Sinteticamente, l’interpretazione propagandata dai commissari politici era quella del PCJ, che aveva fatto proprie le classiche tesi del nazionalismo borghese croato e sloveno di fine ‘800, e imperniata su posizioni fortemente ideologizzate, che istruiva i combattenti, come quelli appartenenti alle brigate dalmatine che parteciparono alle operazioni militari nella Venezia Giulia, a una missione di liberazione dei croati e sloveni - considerati “fratelli” - dell’Istria, delle isole quarnerine e del Litorale sloveno dal giogo fascista e nazista, per riunirli alla propria “madrepatria”, alla quale erano stati strappati dall’Italia dopo la I guerra mondiale, per essere poi sottoposti a una dura politica di asservimento e di snazionalizzazione da parte del fascismo italiano fra le due guerre. Durante la seconda guerra mondiale, poi, italiani (che avevano abbandonato l’esercito italiano, e i comunisti italiani istriani) e jugoslavi (croati, sloveni e di altre nazionalità) si erano uniti in fratellanza per combattere il fascismo italiano, in quanto desiderosi di vivere in uno Stato jugoslavo, considerato patria del socialismo133.

Pure lo slogan e il grido di battaglia che i commissari politici inculcarono alle proprie unità militari che combatterono nelle operazioni militari in Istria e nella Venezia Giulia, sintetizzava emblematicamente le rivendicazioni del MPL jugoslavo e del PCJ, nei confronti di tali territori, compresa Trieste: “L'altrui non vogliamo – Il nostro non diamo!” (Tuđe nećemo – Naše ne damo!)134.

Nelle ultime fasi della guerra, anche nel campo militare si manifestarono alcuni cambiamenti di rilievo. In vista della formazione del governo provvisorio jugoslavo - che era stato contemplato dall’accordo Tito-Subašić e poi approvato dalle potenze alleate alla Conferenza di Jalta nel febbraio 1945135 - furono attuate enormi modifiche

      

132 Nel volume che ripercorre il cammino della 4° Brigata d’assalto dalmatina - che sbarcò tra le altre sulla costa sud-orientale istriana nell’aprile 1945, per poi procedere verso Trieste - si ricorda che nella primavera del 1945, i commissari politici dedicarono 199 lezioni sulla storia dell’Istria e furono letti 25 articoli relativi a tale tematica, vedi M. ŠALOV, Cetvrta dalmatinska (splitska) brigada, Institut za historiju radničkog pokreta Dalmacije, 1980, p. 326.

133 Ivi, pp. 324-326.

134 La frase era stata lanciato come slogan da Tito nel suo discorso tenuto a Lissa nel 1944.

135 L’accordo Tito-Šubašić (era capo del governo monarchico in esilio) del novembre 1944, concluso a Belgrado, prevedeva la formazione di un governo di coalizione tra i membri del governo monarchico in

nell’organizzazione dell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo, ponendo così le condizioni per la sua trasformazione in una forza armata regolare136. Con l’ordinanza del 1 marzo 1945, si attuò la ristrutturazione delle forze militari partigiane, il cui nome venne cambiato in Armata jugoslava137. In quell’occasione il capo del Quartier generale, il generale Arso Jovanović138, ebbe ad affermare che l’Armata sarebbe stata una forza unitaria e monolitica, il garante della Jugoslavia unitaria, federale e democratica, mentre la “teoria” e la “pratica” per lo sviluppo futuro sarebbero state

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