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ICF e/o Index: il dibattito in corso

Verso una definizione di inclusione

2.3. ICF e/o Index: il dibattito in corso

Come detto precedentemente, il concetto di inclusione evoca dei paradigmi interpretativi differenti: Cottini a tal fine individua quattro principali modelli di interpretazione della disabilità, come appare dalla seguente schematizzazione (Cottini, 2015, p. 11):

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Fig. 3 I modelli interpretativi della disabilità (Cottini, 2015)

Analoghe differenziazioni si riscontrano nell’ambito della funzione assegnata all’ICF: da un lato, infatti, si pongono studiosi come Chiappetta Cajola e Ianes, che riconoscono l’utilità dell’ICF ai fini della progettazione dei percorsi didattici. L’ICF infatti «costituisce un aspetto di grande rilevanza per il rinnovamento dell’approccio dinamico ed evolutivo alle varie abilità del soggetto e per la individuazione e realizzazione degli obiettivi individualizzati»94. Ciò non implica tuttavia il non guardare all’inclusione come a un processo che riguarda l’intera comunità educante, in quanto «i bisogni educativi speciali non possono essere ridotti a problemi del singolo ma devono essere invece considerati in una visione complessiva e interattiva tra l'ambiente e l'individuo»95: l’apporto dell’Index in questo caso può risultare fondamentale in quanto in grado di sollecitare la riflessione sulle strategie attuate dal sistema scuola nell’opera di ridurre e/o superare le difficoltà di partenza. All’interno di tale prospettiva, l’ICF consente inoltre, nell’ambito di una cultura che considera la valutazione formativa come leva strategica per l’apprendimento (Domenici 1998; Watkins, 2007; Chiappetta Cajola, 1998, 2008, 2011), di soddisfare i criteri di Evidence Based Education, che devono essere applicati anche nell’ambito della pedagogia speciale (Calvani 2012, Nepi 2013).

Secondo Ianes, inoltre, un’integrazione di qualità richiede una adeguata conoscenza dei

94 Chiappetta Cajola, L. (2013). L’applicabilità dell’ICF nel nido e nella scuola dell’infanzia: uno studio teorico-esplorativo, ECPS Journal, 8/2013, p. 64.

95 Chiappetta Cajola, L. (2015). ICF, BES, Inclusione scolastica e Personalizzazione della didattica, La scuola possibile, n. 49, gennaio 2015, p. 2.

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punti di forza e dei deficit degli allievi, per cui l’ICF può offrire un valido aiuto nella costituzione di una Diagnosi Funzionale che, caratterizzandosi come educativa non dovrebbe rispondere esclusivamente a dei requisiti medici, ma dovrebbe essere strutturata in modo tale da condurre i soggetti all’elaborazione di un Profilo Dinamico Funzionale e di un Piano Educativo Individualizzato-Progetto di Vita (PEI-Pdv) che consentano di rispondere in modo efficace, attraverso l’identificazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine, ai bisogni reali dell’allievo (Ianes, 2004, 2007). Il tutto con la finalità di garantire una speciale normalità (Ianes, 2006), che sia in grado di

«rispondere adeguatamente a tutte le diversità individuali di ogni alunno, non soltanto a quelli con Bisogni Educativi Speciali. Si tratta di una scuola che non pone barriere, ma anzi valorizza le differenze individuali di ognuno e facilita la partecipazione sociale e l’apprendimento di tutti»96, utilizzando in modo sinergico componenti quali l’adattamento di obiettivi e materiali, la resilienza collettiva, l’attivazione della risorsa compagni di classe, l’intervento positivo sui comportamenti problema e la didattica metacognitiva (Ianes, 2012).

Per tale ragione, secondo Ianes il modello antropologico dell’ICF si pone in continuità con la convenzione Onu dei diritti del 2006 e con il modello del Capability Approach di Sen e Nussbaum (Ianes, 2011). Pasqualotto, al contrario, ritiene che l’ICF, nella valutazione delle variabili ambientali, non tenga sufficientemente conto delle modalità con le quali l’ambiente influenzi la formazione delle attitudini dell’individuo, limitandosi a soffermare la sua attenzione sulle attività che l’individuo è in grado di compiere sull’ambiente. Il concetto di funzionamento proprio del Capability rinvia infatti ad una dimensione più ampia rispetto a quello dell’ICF, in quanto comprende una gamma più ampia di aspetti quali la possibilità di autodeterminarsi e di compiere delle scelte che si accordano con le proprie capacità che, se alimentate, possono divenire fattori di benessere (Pasqualotto, 2014).

Dall’altra parte, vi sono autori come Dovigo, che evidenziano che l’accentuazione del ruolo svolto dal deficit e l’estensione delle categorie di soggetti identificati con Bisogni Educativi Speciali, intesi come casi clinici (Dovigo, 2014) ha avuto come esito

96 Ianes, D. (2009). Qualche spunto di riflessione su integrazione, inclusione, disabilità e Bisogni Educativi Speciali. Alcune proposte di priorità, L’integrazione scolastica e sociale, 8/5, p. 445.

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una divaricazione sempre più ampia tra BES e non BES, conducendo quindi al rischio di etichettature (Tomlinson, 2012) e di conseguenti fenomeni di esclusione e rischio. La crescita degli allievi con BES non sarebbe stata letta infatti come la richiesta di attuare un «potenziamento generale della capacità inclusiva delle scuole, ma come un aiuto extra da fornire al singolo studente, a condizione che sia formalmente dichiarato disabile e limitatamente al tempo di frequenza della scuola. Di conseguenza, attraverso la congiunzione di diagnosi clinica e pratiche burocratiche la separazione fisica abolita per legge è stata ricreata all’interno della scuola in termini di barriere meno visibili, che tutt’oggi riaffermano la divisione tra studenti normali e speciali come un fatto scontato, naturale»97, aspetto questo che, come visto precedentemente, ha trovato purtroppo conferme dai dati di ricerca. L’affermazione positiva del concetto di differenza sembrerebbe allora porsi come il discriminativo semantico di inclusione: una scuola inclusiva, infatti, è una scuola che è in grado di «affermare le differenze e metterle al centro dell’azione educativa in quanto nucleo generativo dei processi vitali che si sviluppano proprio attraverso lo scarto di prospettiva derivante dalle molteplici differenze di cultura, abilità, genere e sensibilità che attraversano il contesto scolastico»98.

Il dibattito in corso è attraversato inoltre da due riflessioni di fondo: la rivisitazione della prospettiva che considera come criterio di qualità della scuola il raggiungimento di performance o di risultati visibili, secondo quella che può essere definita la tirannia della trasparenza (Ashby, 2012), e la ridefinizione del concetto di Evidence Based, che secondo Cottini e Morganti dovrebbe rispondere a istanze meno rigide e classificatorie.

A loro avviso, infatti, l’uso dell’Index rende difficile giungere a una chiara identificazione delle variabili dipendenti, ponendo quindi evidenti difficoltà nella misurazione e classificazione (Cottini & Morganti, 2013). Contemporaneamente, la ricerca attuale è tesa a strutturare modelli di esperienze e buone pratiche nelle quali gli adempimenti legati al Rapporto di Autovalutazione d’Istituto (RAV) e alla necessità di individuare percorsi di miglioramento, come previsto dalla normativa scolastica, si pongano in accordo con i valori e le procedure presenti nell’Index (Damiani & Demo,

97 Dovigo, F. (2016). La scuola come organizzazione inclusiva: un lungo percorso. Atti del convegno Nessuno Escluso. Università di Bergamo, 27-29 gennaio 2016. pp. 35-36.

98 Dovigo (2008). L’Index per l’Inclusione: una proposta per lo sviluppo inclusivo della scuola. In T.

Booth & M. Ainscow. L’Index per l’inclusione. Promuovere l’apprendimento e la partecipazione nella scuola. Trento: Erickson. p. 17.

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2016). Le prime osservazioni condotte sui PAI (Piani Annuali per l’Inclusività), introdotti dalla CM del 6 marzo 2013, n. 8 prot. 561, sembrano confermare tale tendenza: Dainese e Friso, attraverso l’analisi di 187 documenti, hanno riscontrato una diffusa tendenza a superare le tradizionali dicotomie sano/malato, normale/speciale, secondo una logica che quindi cerca di andare oltre le tradizionali classificazioni (Dainese & Friso, 2016).

Queste considerazioni ci inducono a ritenere che le ricerche condotte nell’ambito accademico, al di là delle prospettive epistemologiche dei vari studiosi, abbiano contribuito a determinare un cambiamento culturale sul modo di considerare l’inclusione. Questa, infatti, è sempre più percepita come un fenomeno che coinvolge l’intera collettività, configurandosi come «un modo di vivere insieme, basato sulla convinzione che ogni individuo ha valore e appartiene alla comunità»99, un insieme di procedure che sanno trasformare la risposta specialistica in risposta ordinaria (Caldin, 2009), risultando «in grado di assicurare a tutti le condizioni di avere pari opportunità, in funzione dei propri bisogni e delle proprie aspirazioni»100. La mozione lanciata dall’ultimo Convegno Erickson La qualità dell’integrazione scolastica e sociale, che ha visto una partecipazione storica di 5000 insegnanti, ribadisce la necessità di riaffermare tale sfida: in essa si dichiara infatti che l’inclusione è una questione di classe, intesa quest’ultima come una «comunità di relazioni tra pari e adulti come unico luogo possibile di una inclusione non illusoria»101.

Nonostante ciò, persistono tuttora, come evidenziato precedentemente dai dati di ricerca, numerose ambiguità da parte delle istituzioni scolastiche in merito alle modalità con le quali tradurre i principi inclusivi in prassi consolidate, caratterizzate dai requisiti della sistematicità e verificabilità e, pertanto, ripercorribili nei loro elementi essenziali.

La questione fondamentale riguarda quindi non solo il cosa sia l’inclusione, quanto soprattutto il come sia possibile attuare quelle scelte che si pongono, dal punto di vista metodologico e didattico, in linea con il suo significato più autentico, che appare ormai consolidato a livello internazionale.

99 Pavone, M. (2014). L’inclusione educativa. Indicazioni pedagogiche per la disabilità. Milano:

Mondadori. p. 162.

100 de Anna, L. (2014). La scuola inclusiva: ruoli e figure professionali, Italian Journal of Special Education for Inclusion, II (2), p. 111.

101 Mozione finale Convegno Internazionale Erickson La qualità dell’integrazione scolastica e sociale.

Rimini 13-15 novembre. Disponibile su www.convegni.erickson.it/qualitaintegrazione2015/mozione/.

80 2.4. I Disability Studies

Il movimento di pensiero nel quale la critica al modello medico appare maggiormente radicale è quello dei Disability Studies, che ha dedicato una parte cospicua delle proprie riflessioni all’analisi dei modelli educativi presenti nella società.

Come detto nel corso del primo capitolo, una delle principali critiche del modello sociale della disabilità è rivolto al concetto di norma che, come osserva Medeghini, ha assunto una forza tale da determinare l’impossibilità per chiunque, seppur in forme e modi diverse, di sottrarvisi, da «chi persegue la normalità ossessivamente a chi la contrasta, da chi la invoca a chi ne è vittima, da chi la celebra a chi ne è vittima o la nega»102, e che dovrebbe rappresentare un costrutto che, al contrario, contempla e racchiude l’estrema variabilità umana (si veda, a tal fine, il dibattito sulla neurodiversità, cfr. Bocci, 2015f). All’interno di questo quadro teorico, i Disability Studies offrono un contributo fondamentale alla riflessione sull’educazione in quanto pongono l’attenzione sul fatto che le modalità con le quali sono educati gli allievi disabili rappresentano l’esito della modalità di comprensione della stessa disabilità (Ferri, 2015). In tal senso, una visione della disabilità intesa come allontanamento da una norma conduce a pratiche educative foriere di processi di categorizzazione ed esclusione. Per tale ragione, una «inclusive education, therefore, must be to disrupt the centrality of normalcy and ability that remain embedded in current iterations of inclusion and integration. In other words, if we think about integrating or including students with disabilities into general education – we may have widened the circle (Sapon-Shevin, 2007) of access, but we have not necessarily disrupted the ways that schools continue to privilege students who can assimilate into normative expectations of ability or behavior – those students who can lay claim to smartness and goodness as forms of currency or property (Broderick & Leonardo, 2016; Leonardo & Broderick, 2011) »103.

102 Medeghini, R. (2015). Norma e normalità nei Disability Studies. Riflessioni e analisi critica per ripensare la disabilità. Trento: Erickson. p. 13.

103 Ferri, B. (2015). Inclusion for the 21st Century : Why we need Disability Studies in education, Italian Journal of Special Education for Inclusion, 3 (2), p. 16. Trad. nostra: un’educazione inclusiva, pertanto, deve decostruire la centralità di normalità e abilità che rimane sottesa alle correnti interpretazioni approssimative di inclusione e integrazione. In altre parole, se pensiamo all’integrazione o all’inclusione degli studenti disabili nell’educazione generale - probabilmente abbiamo ampliato il cerchio di accesso (Sapon-Shevin, 2007) – ma non abbiamo necessariamente decostruito le modalità con le quali le scuole

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Con particolare ironia, Ferri sottolinea come nella scuola siano presenti pratiche e argomentazioni che non rispondono al principio dell’equità e della giustizia, e che si traducono, ad esempio, in un’interpretazione impropria del concetto di Evidence Based Learning. I risultati che provano l’inefficacia di alcune pratiche nei confronti di certi allievi sono infatti considerati come evidenze dell’esistenza di una disabilità, secondo una pratica conosciuta come Response to Intervention (RTI) (Ferri, 2015). Un ulteriore aspetto da evidenziare riguarda la necessità di operare una riconfigurazione semantica del concetto di bisogno, che passa dall’equivalente di una mancanza, misurabile secondo dei parametri di tipo quantitativo (bisogno delle cose), a una dimensione sociale, dove diviene sinonimo di bisogno di relazione, di un Altro che è «orientato ai valori e alla comunità»104, una comunità che «mette in discussione il costrutto individualista e si propone come un processo sostanziale per l’emancipazione e la partecipazione di tutti»105. È all’interno di questa prospettiva che si gioca allora il discorso sull’inclusione: per attuare una scuola realmente inclusiva, gli studiosi afferenti ai Disability Studies riconoscono che non è sufficiente erogare servizi e dispositivi in funzione dei bisogni speciali individuati, che non possono essere letti riduttivamente come privazioni di qualcosa, in quanto il lavoro da compiere è quello che mira ad

«affrontare le questioni che possono essere all’origine dei problemi incontrati dagli alunni»106, questioni che spesso non originano dalla disabilità, ma dalle situazioni concrete (handicap di situazione) nelle quali questi si trovano (Mainardi, 2010). Per tale ragione, i Disability Studies non rivolgono la loro attenzione alle pratiche educative da attuare nei confronti degli alunni con BES, bensì ai limiti «strutturali, organizzativi, curricolari, pedagogici esistenti nel nostro sistema scolastico»107, che divengono tangibili grazie alla presenza e azione di quegli stessi allievi ritenuti BES. Queste riflessioni raramente hanno accompagnato il dibattito sulla riforma del sistema scolastico italiano, facendo sì che la ricerca di innovazione auspicata si collocasse sempre all’interno di una prospettiva riduzionista, in base alla quale le problematiche

continuano a privilegiare gli studenti che possono assimilare dentro aspettative di abilità o comportamento di tipo normativo – quegli studenti possono considerare la prontezza mentale e l’integrità come le forme attuali di valore e di ricchezza.

104 Medeghini, R. (2015), Op. cit., p. 29.

105 Medeghini, R. (2015). Op. cit., p. 30.

106 D’Alessio, S. (2011). Decostruire l’integrazione scolastica e costruire l’inclusione in Italia. In R.

Medeghini & W. Fornasa. L’educazione inclusiva. Milano: Franco Angeli. p. 78.

107 D’Alessio, S. (2011). Op. cit., p. 79.

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sollevate dall’inclusione derivavano prevalentemente dalla qualità e quantità di risorse disponibili, piuttosto che dai paradigmi di riferimento dell’intero sistema (Medeghini, 2008; D’Alessio, 2011). Questo perché è avvenuto come uno scollamento tra la ricerca di pratiche educative ritenute efficaci e una «riflessione critica sui presupposti e sulle idee che ispirano le scelte organizzative e didattiche degli insegnanti»108. Per ripensare autenticamente l’inclusione, è necessario quindi esplicitare chiaramente i nessi e le questioni di fondo, al fine di evitare di evocare come analoghi concetti tra loro contraddittori: ne è un emblema la recente legge di riforma sulla Buona Scuola, che da un lato professa la necessità di praticare l’inclusione, mentre dall’altro pone in evidente contrapposizione gli studenti che potrebbero essere elevati al rango delle eccellenze, secondo quanto prevede un sistema meritocratico, e coloro che, al contrario, presentano difficoltà o patologie, con i quali comunque è dovere etico manifestare un atteggiamento basato sulla bontà (Bocci, 2015c).

Le argomentazioni finora espresse trovano una sintesi nella tabella 7, che illustra i cambiamenti presenti tra il sistema dell’integrazione, che ha come presupposto il riconoscimento di un Bisogno Educativo Speciale, e quello dell’inclusione (D’Alessio, Medeghini, Vadalà & Bocci, 2015, p. 165).

108 D’Alessio, S., Medeghini, R., Vadalà, G. & Bocci, F. (2015). L’approccio dei Disability Studies per lo sviluppo delle pratiche scolastiche inclusive in Italia. In R. Vianello & S. Di Nuovo. Quale scuola inclusiva in Italia? Oltre le posizioni ideologiche: risultati della ricerca. Trento: Erickson. p. 151.

Aspetti Integrazione, integrazioni,

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Tab. 7 I sistemi dell’integrazione e dell’inclusione a confronto