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Prosocialità o comportamento prosociale?

Prosocialità e didattica inclusiva

3.1. Prosocialità o comportamento prosociale?

Il termine prosocialità ha rappresentato un concetto poco noto fino all’ultimo decennio del secolo scorso tanto che, ancora oggi, questo termine non è presente nel Dizionario della lingua italiana (Caprara, 2014). È soprattutto negli ultimi anni che questo filone di studi ha iniziato a essere implementato in maniera maggiormente sistematica (Batson, 1991, 1998; Eisenberg & Mussen, 1989) sia come costrutto psicologico a sé stante sia, come sta apparendo in modo più decisivo nella fase attuale, come una dimensione umana da promuovere attraverso delle pratiche educative.

Per arrivare a comprendere tale concetto, è opportuno effettuare una prima distinzione con quello di altruismo, che secondo una definizione condivisa rappresenta un comportamento essenzialmente volontario e disinteressato, mosso dall’amore verso il prossimo e che appartiene fondamentalmente alla sfera dei sentimenti (Gerbino, 2014;

De Beni, 1998). La prosocialità, invece, allude a dei comportamenti specifici e, in quanto tali, direttamente osservabili: per tale ragione sarebbe più opportuno utilizzare il termine di comportamento prosociale piuttosto che quello di prosocialità, che si riferirebbe quindi essenzialmente a una predisposizione più generica dell’individuo.

Così, ad esempio, la prosocialità è una «disposizione individuale a mettere in atto comportamenti volontari che producono effetti positivi a favore di altre persone»110,

110 Caprara, G.V. (2006). Il comportamento prosociale. Aspetti individuali, familiari e sociali. Trento:

Erickson. p. 45.

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oppure «a voluntary beahaviour intended to benefit another (e.g. helping, sharing and conforting)»111 che è importante per la qualità delle relazioni tra gli individui e tra i gruppi (Eisenberg, Fabes & Spinrad, 2006; Caprara, Alessandri & Eisenberg, 2012). La focalizzazione degli aspetti comportamentali ricorre in particolare in Roche (2002, 2010) che ha elaborato una definizione di tale costrutto che ha trovato un’ampia diffusione nel linguaggio scientifico. A suo avviso, la prosocialità è data da «Quei comportamenti che, senza ricercare gratificazioni estrinseche o materiali, favoriscono altre persone o gruppi secondo i criteri propri di questi o il raggiungimento di obiettivi sociali positivi e aumentano la probabilità di dare inizio a una reciprocità positiva e solidale nelle relazioni interpersonali, salvaguardando l’identità, la creatività e l’iniziativa delle persone e dei gruppi coinvolti»112. Riferendosi al pensiero di questo autore, De Beni precisa che è possibile parlare di prosocialità in termini di obiettivi, alludendo a tutti quei comportamenti finalizzati a favorire altre persone o gruppi, di effetti, in riferimento alla possibilità che ha la prosocialità di accrescere la reciprocità nelle relazioni interpersonali e, infine, di condizioni: il comportamento prosociale non può essere considerato un atto di imposizione, in quanto richiede di salvaguardare l’identità, la creatività e l’iniziativa delle persone (De Beni, 1998).

Una volta chiarito cosa si intenda per prosocialità, procederemo lungo tre direttive, con la finalità di illustrare le principali teorie, maturate in senso alla scienza psicologica, riguardanti i seguenti aspetti: a) l’individuazione dei comportamenti prosociali; b) la genesi dei comportamenti prosociali; c) la relazione tra prosocialità e pratiche educative.

In merito al primo aspetto, secondo Roche la prosocialità trova la sua espressione in pensieri, parole, azioni e attitudini e può essere identificata da dieci comportamenti:

1. aiuto fisico: comportamento non verbale con il quale si dà assistenza alle altre persone, con il loro consenso, per il raggiungimento di un determinato obiettivo;

2. servizio: comportamento che elimina la necessità, da parte dei destinatari, di agire nell’esecuzione di un compito, e che ottiene la loro approvazione o soddisfazione;

111 Eisenberg, N. (2007). Empathy-related responding and prosocial behavior, Novartis foundation symposium, 278. p. 71. Trad. nostra: un comportamento volontario finalizzato a recare benificio a un’altra persona (per esempio aiutando, condividendo e procurando conforto).

112 Roche, R. (2002). L’intelligenza prosociale. Imparare a comprendere e a comunicare i sentimenti e le emozioni. Trento: Erickson. p. 24.

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3. dare/donare: cedere un bene ad altri perdendone la proprietà o l’uso;

4. aiuto verbale: spiegazione, istruzione verbale, condivisione di idee o di esperienze utili e desiderabili per altre persone o gruppi per il raggiungimento di un obiettivo;

5. conforto verbale: espressioni verbali per ridurre la tristezza di persone abbattute e dare loro sollievo;

6. conferma e valorizzazione positiva dell’altro/valorizzazione: espressioni verbali di conferma del valore di un’altra persona o di rafforzamento della sua autostima, anche davanti a terzi (interpretare i suoi comportamenti, valorizzandoli attraverso parole di simpatia o elogio);

7. ascolto profondo: comportamenti metaverbali e di attenzione che esprimono accettazione e interesse nei confronti dei contenuti espressi dall’interlocutore;

8. empatia: comportamenti verbali che, partendo da un temporaneo accantonamento dei propri pensieri, manifestano comprensione del vissuto dell’interlocutore o condivisione dei suoi sentimenti;

9. solidarietà: comportamenti fisici e verbali che esprimono la disponibilità a condividere le conseguenze, soprattutto negative, della situazione di altri;

10. presenza positiva e unità: presenza personale che manifesta vicinanza, attenzione, ascolto profondo, empatia, disponibilità al servizio, all’aiuto e alla solidarietà nei confronti delle altre persone, e che contribuisce a un clima psicologico di benessere, pace, reciprocità e unità in un gruppo di due o più persone113.

Come precisa lo studioso, le prime quattro categorie rinviano a dei comportamenti che possono essere agiti senza un coinvolgimento emotivo diretto, in quanto potrebbero essere dettati dalla ricerca razionale di un senso di equità e di ridistribuzione dei beni, ad esempio, mentre le successive richiedono in chi le mette in atto una profonda conoscenza di se stessi. Infatti, solamente chi è in grado ascoltare attentamente le proprie emozioni può sintonizzarsi positivamente su quelle altrui. L’espressione più alta della prosocialità è data poi dall’ultima categoria, presenza positiva e unità, che

113 Roche, R. (2002). Op. cit., p. 25.

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sintetizza le precedenti e che risulta particolarmente importante per coloro che intendono rivestire un ruolo di mediatori o conciliatori. Lo studioso precisa comunque che la prosocialità indica un rapporto diadico, nel quale entrambi i soggetti coinvolti sono importanti e contribuiscono alla prosecuzione dell’atto prosociale stesso: è il grado di soddisfazione del destinatario dell’azione prosociale in merito all’utilità e alla significatività di quanto ricevuto che contribuisce a innescare un clima autentico di reciprocità, incoraggiando a sua volta l’attivazione di ulteriori azioni positive future.

L’attenzione agli aspetti comportamentali ha trovato una teorizzazione anche in altri autori; ad esempio, Carlo e Randall (2002) hanno individuato una tassonomia che contempla cinque diversi tipi di comportamento prosociale: pubblico, se compiuto di fronte agli altri, altruistico, se motivato dal desiderio di far stare bene un’altra persona, reattivo, se risponde a una richiesta verbale o non verbale, emotivo, se l’aiuto fornito si colloca in una circostanza che evoca stati emotivi importanti per la persona, e anonimo, se si realizza in circostanze tali quali, ad esempio, uno stato di emergenza, da non poter identificare la fonte dell’aiuto.

Secondo Raykowski, invece, possono essere identificate cinque tipologie di comportamento prosociale (nella definizione di questo autore l’altruismo si pone al primo gradino della scala tassonomica piuttosto che indicare, come sottolineato precedentemente, un costrutto psicologico differente) (cfr. De Beni, 1998):

a) l’altruismo, che è centrato soprattutto sul sacrificio personale e, in quanto tale, indica un comportamento essenzialmente volontario e disinteressato, anche se a volte può essere utilizzato come una modalità per fare una buona impressione sugli altri o come forma di autocompiacimento;

b) l’aiuto, che indica atti concreti agiti in favore di altri;

c) la cooperazione, che comprende forme di aiuto in vista del raggiungimento di obiettivi comuni;

d) la reciprocità, che allude al comportamento di aiuto messo in atto da chi si sente in dovere di ricambiare in modo proporzionale un dono o altre forme di aiuto;

e) l’empatia, intesa come la capacità di assumere in se stessi le emozioni degli altri, di sentire con e, in definitiva, di comprenderli.

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In Italia, il riferimento principale è dato dai lavori di Caprara per il quale la prosocialità rappresenta un costrutto che rinvia a quattro dimensioni: aiutare, consolare, condividere alle quali si aggiunge, a partire dalla preadolescenza, l’empatia che, come evidenziato anche da Eisenberg e Fabes (1998) rappresenta la manifestazione più completa della prosocialità. L’empatia, infatti, intesa come «la capacità di identificazione con l’altra persona e di comprensione delle sue emozioni»114, è ciò che consente l’attivazione della simpatia, che, secondo Eisenberg (1987), rappresenta «la sollecitudine o la compassione che nutriamo nei confronti di un’altra persona»115 e conduce in modo più diretto all’attuazione immediata di comportamenti di aiuto.

Secondo la studiosa, infatti, la condivisione con un amico di un sentimento di tristezza (empatia) determina in chi lo prova il desiderio di agire attivamente per ridurre uno stato di sofferenza nei confronti della persona verso la quale si prova un sentimento di affetto (simpatia).

Il secondo aspetto da considerare riguarda la genesi e lo sviluppo del comportamento prosociale. Anche su questo filone, è possibile individuare differenti teorie (De Beni, 1998):

a) Teoria sociobiologica: considera le condizioni biologiche e sociali che possono determinare lo sviluppo del comportamento altruistico, che nasce fondamentalmente dal bisogno di sopravvivenza e di sviluppo della specie.

Così il bisogno altruistico, nato da esigenze vitali quali la necessità di arginare le tendenze disgregatrici dell’egoismo individuale e di gruppo, sarebbe stato progressivamente fissato a livello neurobiologico e, quindi, trasmesso geneticamente.

b) Teoria dello sviluppo cognitivo: focalizza l’attenzione sulle modalità con le quali la mente umana elabora le informazioni e le regole, all’interno di una prospettiva che considera l’apprendimento un processo dinamico, basato sulla formazione di procedure e di concetti finalizzati all’acquisizione delle capacità di soluzione dei problemi, compresi quelli di natura sociale. Il comportamento

114 Pastorelli, C. & Vecchio, G. (2014). Promuovere i comportamenti prosociali nella scuola. In G.V.

Caprara, M. Gerbino & P. Luengo, P. Educare alla prosocialità. Teorie e buone prassi. Milano: Peason.

p. 56.

115 Ricard, M. (2015). Il gusto di essere altruisti. Il potere della generosità per cambiare noi stessi e il mondo. Milano: Sperling & Kupfer. p.35.

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prosociale è quindi la risultante delle capacità di giudizio e di autoregolazione, che determinano nell’individuo quel self-control, che gli consente di impegnarsi positivamente in favore degli altri.

c) Teoria dell’azione: si colloca nell’ambito della teoria cognitivista e persegue come fine principale lo studio del rapporto emotività/cognitività e delle strategie relative al processo di decisione/azione. In base ad essa, il comportamento è analizzato in termini di obiettivi e valori, che, prima di essere tradotti in azioni manifeste, sono considerati essenzialmente dal punto di vista cognitivo.

d) Teoria psicoanalitica: non rappresenta la corrente più rilevante negli studi sulla prosocialità. Essa focalizza l’attenzione sull’interiorizzazione dei modelli di comportamento sociali positivi, che è conseguente al processo di identificazione del bambino con le figure genitoriali. Il rapporto con la madre, in particolare, consente al bambino di sviluppare motivazioni autogratificanti che gli consentiranno poi nella vita adulta di controllare i comportamenti più aggressivi e istintuali e di divenire in grado di intraprendere azioni costruttive in favore degli altri.

e) Teoria dell’apprendimento sociale: rappresenta l’orientamento che ha indirizzato l’azione e il progetto della nostra ricerca. Essa ritiene che il comportamento dell’individuo rappresenti la risultante di tre tipologie di fattori: emotivi, cognitivi e ambientali, che si trovano tra loro in una posizione di interdipendenza reciproca. Differentemente dalla teoria dell’azione, nella quale i comportamenti sono valutati soprattutto dal punto di vista cognitivo, le emozioni in questo caso assumono un ruolo rilevante, in quanto ad esse è riconosciuta la capacità di orientare le azioni dell’individuo. Nello stesso tempo il contesto, con il suo sistema di rinforzi, positivi o negativi, agisce sulle disposizioni individuali, creando le condizioni affinché un determinato comportamento abbia la possibilità o meno di riprodursi. Infatti, “I comportamenti classificati come buoni o cattivi o ingiusti e sbagliati non sono dovuti alla bontà, alla cattiveria o al buono o al cattivo carattere, ma a

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contingenze che coinvolgono una gran quantità di rinforzi”116. Ciò fa sì che la possibilità di usufruire di un contesto prosociale accresca la probabilità che si generino i comportamenti prosociali stessi. Come osserva infatti Eisenberg:

«People, especially children, may learn more or different prosocial behaviors that can be repeated in future situations, that is, they may increase their competence with regard to prosocial functioning»117. Le punizioni, al contrario, rappresentano dei fattori che ostacolano l’attivazione di comportamenti positivi (Mussen & Eisenberg, 1977).

Nella dialettica tra emozione e cognizione, un contributo significativo è quello offerto da Roche, che sottolinea il ruolo svolto dai processi metacognitivi nella genesi dei comportamenti prosociali, che devono essere in primis degli atti consapevoli. Gli individui che, infatti, hanno la possibilità di riflettere in modo sistematico sulle determinanti e sugli effetti che scaturiscono dai propri comportamenti, individuando le emozioni che a essi sono associate, sono maggiormente portati a ripetere quelle azioni alle quali hanno riconosciuto effetti positivi significativi. Per tale ragione, secondo Roche, la riflessione sulla prosocialità rappresenta un percorso privilegiato per promuovere l’intelligenza emotiva (nella teorizzazione elaborata da Goleman), espressione che tuttavia a suo avviso andrebbe sostituita con quella di emozione intelligente (Roche, 2002). È infatti nell’opera Intelligenza emotiva di Goleman (1996) che lo studioso rintraccia uno dei primi esempi di educazione alla prosocialità.

Tali premesse ci consentono di affrontare il terzo argomento: la relazione con gli aspetti educativi e l’analisi delle pratiche funzionali all’incremento dei comportamenti prosociali tra gli studenti. In merito al primo punto, è significativo ricordare la teoria di Caprara, secondo il quale la prosocialità, oltre a determinare nell’individuo uno stato di maggior benessere individuale, con una conseguente riduzione di fenomeni quali l’isolamento e l’aggressività, rappresenta un fattore predittivo del successo scolastico.

Infatti, «La tendenza ad aiutare i compagni, ad offrire spontaneamente sostegno affettivo e a condividere giochi, curiosità ed esperienze si è rilevata decisiva nel

116 Eisenberg, N. (1986). Altruistic emotion, cognition and behavior. New York: Psychology Press. p. 17.

117 Eisenberg, N. (1986). Op. cit., p. 208. Trad. nostra: Le persone, soprattutto i bambini, possono apprendere meglio i differenti comportamenti prosociali che possono essere ripetuti in situazioni future, fatto questo che implica che i contesti possono accrescere la loro competenza sulla prosocialità.

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sostenere un percorso scolastico di successo, oltre che nel contrastare tendenze depressive e aggressive»118. Attraverso studi longitudinali, lo studioso ha infatti rilevato come, a parità di capacità cognitive, misurate attraverso il ricorso alle matrici di Raven, gli allievi che riportavano i punteggi più alti ai test sulla prosocialità riuscivano ad ottenere dei risultati scolastici migliori, impegnandosi con maggiore produttività nel percorso di studi intrapreso (Caprara et al., 2000, 2014).

Per questa e altre ragioni la scuola, per le finalità che le sono proprie, dovrebbe riconoscere che l’educazione alla prosocialità rappresenta un aspetto importante delle proprie funzioni e agire fattivamente in modo da creare un clima favorevole alla collaborazione e alla reciprocità tra gli studenti.

Lo schema successivo, in particolare, illustra la relazione tra obiettivi educativi da perseguire nell’ambito di un percorso di promozione alla prosocialità e le risorse da attivare e da tenere in considerazione (Caprara, 2006, p.184):

promuove

 Potenziamento di competenze individuali legate al ricorso alla prosocialità;

 Potenziamento di fattori socio-contestuali connessi alla prosocialità;

 Riflessione sulle condotte prosociali.

attraverso

 Relazioni con gli insegnanti;

 Relazioni con i coetanei;

 Contenuti curricolari.

Fig. 1 Obiettivi e risorse di un percorso educativo alla prosocialità (Caprara, 2006)

Da ciò ne consegue che la promozione della prosocialità può essere attuata attraverso

«due itinerari connessi ma indipendenti tra loro: il modellamento, spesso involontario,

118 Caprara, G.V. (2006). Op. cit., p. 10.

La scuola

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non consapevole o non programmato; e l’educazione intenzionale e sistematica da realizzarsi attraverso specifici curricoli appositamente progettati»119. Il primo aspetto rinvia direttamente al comportamento degli insegnanti: questi agiscono nel contesto classe attraverso lo stile educativo adottato, il modello di riferimento proposto, e l’organizzazione scolastica (Mooij, 1999). Così, i docenti che cercano di instaurare delle relazioni autentiche con gli studenti, mostrandosi pronti all’ascolto delle loro difficoltà, e che, nello stesso tempo, valorizzano in modo esplicito i comportamenti degli allievi di aiuto e condivisione, creano un clima positivo e socialmente coerente, che favorisce l’insorgere dei comportamenti prosociali (Caprara, 2006; Mooij, 1999;

Bombi & Scittarelli, 1998).

Il secondo aspetto rinvia invece all’elaborazione di modelli e/o programmi finalizzati alla promozione della prosocialità nella scuola.

Ricordiamo a tal fine essenzialmente due percorsi, che hanno trovato una più ampia diffusione rispetto agli altri:

1. il modello Unipro di Roche (1996, 2002);

2. il programma CEPIDEAS del gruppo coordinato da Caprara (2014).

1. Il modello Unipro nasce da una serie di programmi che hanno iniziato a diffondersi fin dal 1982 in ambito individuale e di gruppo e in contesti diversificati, con finalità che variavano dal miglioramento della qualità di vita nelle persone anziane all’accrescimento, nei più giovani, della motivazione allo studio. Esso, differentemente dagli altri, è stato strutturato come un percorso di educazione scolastica e nasce dall’individuazione di quindici fattori, cinque appartenenti alla sfera dei principi prosociali (fattori IPRO) e dieci a quella delle unità prosociali (fattori UPRO). I primi, gli IPRO, descrivono aspetti quali manifestare accettazione e affetto, diffondere la prosocialità, disciplina positiva, incoraggiare la prosocialità e rinforzare la prosocialità, mentre i secondi, gli UPRO, in quanto manifestazione diretta dei primi, identificano le unità da svolgere nel percorso di promozione della prosocialità. In particolare, esse si riferiscono a dignità e valore della persona, atteggiamenti e abilità di relazione interpersonale, creatività e iniziativa prosociali, comunicazione, empatia

119 Di Bonito, G., Sciamplicotti, G. & Urso, A. (1999). Prosocialità e altruismo: una strada da percorrere, OIkonomia: rivista di etica e scienze sociali, anno 0-ottobre, p. 19.

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interpersonale e sociale, assertività prosociale, modelli prosociali reali e di finzione, azioni prosociali, prosocialità collettiva e complessa. Nello specifico, ciascun fattore UPRO si sviluppa attraverso una serie di attività strutturate, che agiscono su tre differenti livelli (sensibilizzazione cognitiva, pratica e applicazione nella vita reale), articolandosi in sessioni specifiche, finalizzate direttamente all’educazione alla prosocialità, e integrate, che si svolgono nel corso delle lezioni disciplinari e che mirano all’approfondimento delle tematiche affrontate nel corso delle sessioni specifiche. Il percorso proposto è inoltre arricchito da attività da svolgere a casa, che hanno la funzione di ottimizzare i risultati ottenuti a scuola e che richiedono il coinvolgimento della sfera familiare dell’allievo.

Per una maggiore comprensione della relazione tra i diversi elementi si riporta la tabella corrispondente al primo fattore UPRO (Roche, 2002, p. 41):

Fattore (UPRO) Obiettivi Tematiche su cui lavorare

Valutare gli atteggiamenti in classe riguardo ai valori, specialmente quelli di dignità, stima dell’altro e prosocialità, e promuovere lo sviluppo come base per la realizzazione del

Tab. 1: articolazione del primo fattore Upro

L’attuazione di questo programma, che necessita dell’adesione volontaria e del coinvolgimento di tutti i protagonisti (allievi e docenti), richiede un tempo variabile che oscilla da due (programma base) a sei anni (programma integrato). In generale, sono previsti sei corsi che coprono l’intera durata della scuola secondaria di primo grado e i primi tre anni della secondaria di secondo grado.

Una sua variante è quella prevista dal programma PROSEL (Prosocialità e Social Emotional Learning), sperimentato da Roche e Morganti nella scuola primaria nell’ambito del progetto Evidence-Based Education: European Strategic Model for School Inclusion (EBE-EUSMOSI) finanziato dalla Commissione Europea, che si concluderà nell’agosto del 2017. Esso nasce dall’integrazione tra i modelli di educazione socio-emotiva e prosocialità e si articola in 30 sessioni, distribuite in modo equivalente per ciascun ambito, come appare dalla tabella 2.

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La finalità del programma è quella di ottimizzare le opportunità insiste nei due modelli, creando nello stesso tempo «uno spazio di formazione ma anche di condivisione, intorno ai temi dell’educazione sociale, emozionale e prosociale, centrali non solo all’interno del progetto EBE-EUSMOSI, ma anche per la costruzione e il miglioramento della qualità dell’inclusione a scuola»120.

Prosocialità 15 sessioni Social Emotional

Learning

15 sessioni

Introduzione alla

Prosocialità

1 sessione Introduzione all’educazione socioemotiva

1 sessione Comunicazione di Qualità

Prosociale

3 sessioni Autoconsapevolezza 4 sessioni Valorizzazione Positiva

dell’altro

2 sessioni Autogestione 4 sessioni

Pensare come Te e Sentire come Te

2 sessioni Consapevolezza sociale 2 sessioni Modelli Prosociali TV 2 sessioni Relazioni interpersonali 1 sessione

Azioni prosociali 5 sessioni Prendere decisioni

responsabili

3 sessioni Tab. 2: Articolazione del programma PROSEL

2. Il programma Cepideas (Competenze Emotive e Prosociali: un’idea per la scuola) rappresenta un percorso di educazione alla prosocialità che si articola in cinque componenti: valori prosociali, competenze emotive, empatia, comunicazione efficace, autoregolazione del comportamento e impegno civico. La sua attuazione richiede, in particolare, l’integrazione tra attività laboratorali, condotte da esperti e finalizzate a consentire agli studenti la sperimentazione diretta di abilità prosociali, e lezioni curricolari, curate dagli insegnanti e mirate all’approfondimento di quanto emerso nel corso dei laboratori. Una particolare rilevanza è quindi assegnata ai contenuti disciplinari, che sono analizzati da un punto di vista induttivo, per la relazione che questi assumono con i temi della prosocialità o, al contrario, deduttivo: in questo caso, il

120 Morganti, A. Includere: laboratorio sull’inclusione, Didattica e Ricerca Educativa. Disponibile su ìhttp://includere.uniud.it.

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punto di partenza è dato dal comportamento prosociale considerato ed è in riferimento a questo che sono ricercati i contenuti corrispondenti (cfr. tabella n. 4, p. 102).

punto di partenza è dato dal comportamento prosociale considerato ed è in riferimento a questo che sono ricercati i contenuti corrispondenti (cfr. tabella n. 4, p. 102).