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Gli insegnanti e i Dirigenti Scolastici

Verso una definizione di inclusione

2.1. La situazione italiana: alcuni dati di sfondo

2.1.2. Gli insegnanti e i Dirigenti Scolastici

La situazione di disagio richiamata nel paragrafo precedente trova un corrispettivo anche nella situazione degli altri protagonisti fondamentali dell’azione didattica: gli insegnanti e i dirigenti scolastici che, come detto precedentemente, hanno da sempre rappresentato l’oggetto di una pluralità di attenzioni, che oscillano dal campo letterario, cinematografico e, soprattutto negli ultimi tempi, politico e amministrativo.

Anche in questo caso, l’analisi dei dati statistici non persegue quindi esclusivamente il fine di descrivere sotto il profilo numerico una determinata situazione, ma soprattutto quello di evidenziare alcune aree di criticità che, come vedremo successivamente, hanno poi orientato l’asse della ricerca.

Come detto precedentemente, la riflessione sarà condotta sugli aspetti di natura emotiva (gradimento del proprio lavoro) e su quelli più propriamente didattici (metodologie utilizzate), partendo tuttavia dal presupposto che si tratta di elementi non scindibili: come vedremo nel capitolo successivo, le percezioni sull’efficacia e

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autoefficacia richiamate dai docenti conducono all’adozione di metodologie didattiche innovative nonché alle capacità di compiere scelte trasformative dei contesti di apprendimento (Bandura, 2000).

Nell’analisi dei dati riguardanti i docenti ci avvarremo soprattutto di due tipologie di fonti:

a) l’indagine Internazionale sull’Insegnamento e Apprendimento (TALIS, 2013) che ha coinvolto 200 scuole secondarie di primo grado, con una media di 20 insegnanti e un dirigente per ciascuna scuola.

b) il Rapporto Iard sulla condizione dei docenti italiani (2010).

In relazione all’Indagine TALIS, rivolta alla scuola secondaria di primo grado, l’aspetto che appare maggiormente significativo riguarda la discrepanza tra il grado di soddisfazione personale provato dagli insegnanti per il proprio lavoro e la percezione della funzione sociale dell’insegnamento. Infatti, il 94% degli intervistati (dato superiore alla media TALIS del 91%), si dichiara in grado di saper motivare in modo adeguato gli studenti che mostrano scarso interesse per le attività scolastiche, dato questo che appare in crescita rispetto ai risultati provenienti dal Rapporto Agnelli del 2011, per il quale ben il 79,5% dei docenti intervistati ha dichiarato di trovare difficile o molto difficile la gestione dei comportamenti provocatori degli studenti in ambito scolastico. Nello stesso tempo, tuttavia, l’88% dei docenti italiani coinvolti nell’indagine lamenta in misura maggiore degli altri (il 69% dei paesi TALIS e dell’81% dei paesi europei) il fatto che l’insegnamento rappresenti una funzione scarsamente valorizzata dalla società.

Tra le difficoltà principalmente evocate dai docenti, un particolare rilievo è attribuito all’assenza di sostegno e alla scarsità di incentivi per la partecipazione ad attività di sviluppo professionali che, nella media dei paesi considerati, raggiunge i livelli più bassi (75% Italia, 88% media TALIS). Inoltre, nell’analisi delle attività di formazione, gli insegnanti riportano dei livelli di partecipazione che si pongono in linea con gli altri paesi solamente per quanto riguarda la frequenza di corsi o laboratori, ma che risultano nettamente inferiori in aspetti quali la frequenza di conferenze o seminari, la partecipazione a reti di insegnanti, oppure l’opportunità di usufruire di stage formativi

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in servizio presso altre istituzioni pubbliche, imprese e ONG. Contrariamente a tale tendenza, risulta invece superiore alla media il tasso di partecipazione ad attività di ricerca individuale e di gruppo (Italia 46%, TALIS 31%). Il quadro che emerge è quindi, in un certo senso, quello di un professionista isolato, all’interno di un contesto che non tiene sufficientemente conto del fatto che l’aspetto partecipativo rappresenta un fattore di promozione della professionalità docente: TALIS riporta a tal fine che coloro che fanno parte di reti di insegnanti risultano maggiormente propensi ad utilizzare in modo consapevole le TIC (che rappresenta un settore sul quale intensificare i percorsi formativi) e a far lavorare gli studenti su attività progettuali.

Un ulteriore aspetto sul quale concentrare l’attenzione riguarda inoltre il ruolo svolto dai feedback nella professione docente: a tal fine gli insegnanti italiani dichiarano di poter disporre di una percentuale di feedback decisamente più bassa rispetto ai propri colleghi internazionali (la valutazione formale riguarda solamente il 30% degli insegnanti, contro una media del 93% dei paesi TALIS), mentre quella informale coinvolge il 57% degli intervistati, a fronte dell’88% degli altri docenti. Nonostante ciò, gli insegnanti italiani dichiarano una maggiore utilità rispetto ai propri colleghi internazionali del ruolo svolto dai feedback nei confronti del proprio operato, come si evince dalla tabella 1 (cfr. pagina seguente).

Tale dato ci consente quindi di entrare nel secondo aspetto della nostra analisi, quello riguardante le metodologie didattiche utilizzate dai docenti.

Nonostante il riconoscimento dell’importanza dei feedback ricevuti ai fini del cambiamento delle proprie pratiche didattiche, il rapporto TALIS mette in evidenza come la didattica dei docenti italiani risulti ancora ancorata a metodologie scarsamente innovative, che «ricorrono prevalentemente all’interrogazione davanti a tutta la classe

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Modalità di gestione nella classe 56% 67%

Conoscenze e competenze nel

Soddisfazione per il proprio lavoro 63% 75%

Motivazione personale 65% 75%

Tab. 1 Esiti del feedback (TALIS 2013, p. 5-77)

La preponderanza di metodologie didattiche tradizionali è un dato presente anche nel Rapporto Iard, in base al quale il 70% degli insegnanti intervistati, indipendentemente dal grado e dalla tipologia di scuola, afferma di utilizzare forme più trasmissive e unidirezionali di insegnamento quale la lezione frontale e collettiva per la trasmissione delle informazioni e la lezione frontale accompagnata da discussione e domande finali.

Sulla base delle risposte fornite, il Rapporto ha individuato quattro tipologie di insegnanti, indicando la percentuale riconducibile a ciascun ambito:

73 MIUR (2014). L’Italia nei dati TALIS. p.1. Disponibile su

http://www.istruzione.it/allegati/2014/TALIS_Nota_Paese_def_ITALIA.pdf.

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Tab. 2 Profili di insegnanti (p. 141)

Secondo IARD, inoltre, non esiste una piena congruenza tra i modelli pedagogici che sottendono le scelte degli insegnanti, in particolare di coloro che appartengono alla categoria tradizionalisti flessibili, che racchiude la percentuale più alta degli intervistati.

Questo gruppo di docenti, infatti, sembra essere orientato verso l’applicazione di procedure che, pur apparendo innovative, non sempre sono la risultante di un quadro pedagogico coerente, in quanto esperite all’interno di un contesto di apprendimento nel quale «la dimensione interattiva ed esperienziale potrebbe assumere una funzione meramente strumentale o tecnicistica, con il rischio di indurre negli allievi una percezione di frammentarietà, dicotomia o mancanza di senso»74. Questo perché, come vedremo anche successivamente, l’adozione di una metodologia deve necessariamente essere accompagnata da una riflessione sul modello formativo al quale aderire e, conseguentemente, sull’idea di scuola che si intende attuare, idea che a sua volta necessita di essere tradotta in pratiche e metodologie corrispondenti, all’interno di un circuito virtuoso tra teoria e prassi (Baldacci, 2015).

Due riflessioni conclusive in merito al Rapporto Iard che, secondo Bottani, offre delle sintesi maggiormente spendibili rispetto ai dati provenienti dall’Indagine TALIS, che suscita delle perplessità in merito alla qualità degli strumenti utilizzati (i questionari, in particolare), e alla finalità prevalentemente conservatrice dell’Indagine (Bottani, 2014):

 la tendenza al tradizionalismo didattico appare in aumento rispetto alla precedente rilevazione del 1999 (nella scuola secondaria di primo grado, ad

74 Cavalli, A. & Argentin, G. (a cura di) (2010). Gli insegnanti italiani: come cambia il modo di fare scuola. Terzo rapporto Iard sulla situazione docente. Bologna: Il Mulino. p. 142.

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esempio, la percentuale di tradizionalisti è passata dal 9,4% al 14, 7%, con un conseguente calo degli innovatori coraggiosi dal 30,7% al 15,6%);

 l’esistenza di una corrispondenza tra la tendenza all’innovazione e la quantità di tempo dedicata alla programmazione collegiale: gli insegnanti che investono energie nella programmazione a scuola con i colleghi rispondono ai profili che denotano maggiormente spinte innovative. Si tratta inoltre di docenti che riconoscono come obiettivo prioritario dell’insegnamento il soddisfacimento dei bisogni formativi di ogni allievo, rispetto all’aspetto meramente trasmissivo (riconosciuto prioritario dal 31% dei tradizionalisti contro il 10,5% degli innovatori coraggiosi).

Per quanto riguarda infine la situazione dei dirigenti scolastici, l’indagine TALIS evidenzia un quadro che, in un certo senso, si pone in linea con quanto evidenziato per gli allievi e i docenti. Questi, infatti, rispetto alla media internazionale, manifestano una più marcata insoddisfazione verso la professione (l’Italia si trova all’estremo più basso nella graduatoria della soddisfazione insieme al Giappone, la Francia e la Svezia), pur esprimendo, al contrario, maggiore positività in merito all’operato svolto all’interno della propria scuola. Anche per i Dirigenti, come per gli insegnanti, il Rapporto evidenzia delle risposte contraddittore: nonostante il livello di insoddisfazione per la professione sia piuttosto elevato, i dirigenti italiani dichiarano più degli altri di usufruire di un buon potere di decisionalità operativa. Un aspetto che invece si pone in linea con quanto già rilevato riguarda la presenza di problematiche disciplinari tra gli studenti:

l’84% dei DS italiani dice di essersene frequentemente occupato, contro il 68% del complesso dei rispondenti (dato, anche questo, che sembra porsi in contraddizione con quanto dichiarato dai docenti, che al contrario, «segnalano invece una situazione in classe di gran lunga favorevole. Ad esempio, la percentuale di quanti dichiarano problematiche di chiasso in classe, è addirittura la metà (13%) rispetto alla media TALIS (26%)»75.

75 MIUR (2014). TALIS 2013 Italia.p. 94.

Disponibile su http://www.istruzione.it/allegati/2014/TALIS_Guida_lettura_con_Focus_ITALIA.pdf.

62 2.1.3. Gli insegnanti e l’inclusione

Tra i principali limiti delle rilevazioni comparative a base nazionale o internazionale, vi è il fatto di non riuscire a considerare in modo adeguato la situazione di coloro che presentano delle differenze (identificati come allievi con Bisogno Educativo Speciale) rispetto a coloro che, invece, sono considerati potenzialmente regolari nei confronti del percorso scolastico frequentato. Come ricorda Chiappetta Cajola, le prime rilevazioni Invalsi escludevano completamente gli allievi con disabilità, suscitando conseguentemente le proteste delle associazioni. Come risposta, l’Invalsi regolamentò allora la questione, indicando che gli allievi stranieri e con DSA avrebbero svolto le prove comuni con modalità differenziate di somministrazione, mentre gli allievi con disabilità avrebbero dovuto svolgere delle prove preparate dagli stessi docenti, sulla base di alcune linee guida (non sempre sufficientemente chiare e congruenti tra di loro), fornite dall’Invalsi stessa (Chiappetta Cajola, 2008). Gli unici dati dei quali disponiamo su base nazionale riguardano quindi la consistenza numerica degli allievi con BES nei differenti percorsi scolastici.

In linea con quanto rilevato precedentemente, il primo dato significativo da segnalare riguarda la maggiore diffusione delle certificazioni in corrispondenza della popolazione maschile. Come riporta infatti l’associazione Treellle (2011), in tutti e tre i gruppi che compongono l’area dei BES (disabilità, DSA e svantaggio socio-culturale), la popolazione maschile risulta sovra rappresentata, soprattutto in corrispondenza delle situazioni di disabilità e di DSA, per i quali è stato rilevato un rapporto percentuale di 60/40 per i primi e di 70/30 per i secondi. Tale divaricazione tra maschi e femmine, seppur riguardante anche i paesi OCSE considerati, appare più marcata nel caso italiano.

Secondo l’Ocse il fenomeno descritto, pur essendo dovuto in parte a cause biologiche, in quanto i maschi generalmente risultano maggiormente vulnerabili e a rischio di malattie e traumi nel corso dell’età evolutiva, è alimentato da fattori di tipo di tipo socio-culturali, in quanto questi esternano in modo maggiormente visibile delle situazioni di insoddisfazione e frustrazione scolastica, contrariamente con quanto manifestato dalle femmine che, al contrario, tendono ad assumere un atteggiamento maggiormente passivo. Per i maschi esiste quindi il rischio di essere identificati in

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misura maggiore come soggetti problematici e aventi bisogni educativi speciali (Treellle, 2011). Per quanto riguarda invece i dati riguardanti il successo scolastico, il dato emergente è che non esistono stime chiare riguardo l’entità del fenomeno, aspetto questo imputabile a vari fattori, tra i quali la diffusione delle bocciature quale via ritenuta protettiva nei confronti dell’allievo, in quanto lo stesso «non è ritenuto in grado di affrontare i livelli successivi di istruzione»76, ma, soprattutto dal fatto che esiste «la diffusa convinzione che una certa quota di dispersione e scarsa frequentazione della scuola da parte di un allievo con disabilità costituisca, tutto sommato, un fenomeno fisiologico e comunque non significativo dal punto di vista dell’impatto sociale che ne deriva… Inoltre, mentre l’abbandono scolastico dei ragazzi normali può trovare una valvola di sfogo in comportamenti antisociali e devianti, tale rischio non è parimenti rilevabile nel caso dei ragazzi con disabilità. L’abbandono scolastico di questa categoria di studenti non crea allarme sociale e si limita a determinare una serie di conseguenze che pesano sul futuro personale del protagonista e si esauriscono in ogni caso all’interno della dimensione famigliare»77.

Pertanto, per l’analisi dei dati riguardanti l’inclusione, ci si avvarrà essenzialmente di ricerche che tengono in considerazione il punto di vista degli insegnanti e che non sono focalizzate sugli apprendimenti degli allievi; riteniamo un limite l’assenza di questo tipo di dati, in quanto potrebbe veicolare l’idea dell’esistenza di una separazione tra una didattica definita speciale e una, al contrario, considerata normale, rivolta a coloro che non si trovano in situazione di atipicità rispetto agli altri.

Le informazioni provenienti dalle ricerche mettono in evidenza essenzialmente tre fenomeni:

 la marginalizzazione degli insegnanti specializzati al sostegno rispetto ai colleghi curricolari: nonostante non esistano dati precisi su questo aspetto, molti insegnanti specializzati si percepiscono ai margini del sistema scolastico (D’Alessio, 2011; Ianes, 2014), delegati a svolgere un ruolo tecnicistico, spesso di mera assistenza nei confronti degli allievi disabili (Ianes, Demo & Zambotti, 2014), percepiti perlopiù come casi, secondo il modello medico (Dovigo, 2014).

76 Treellle, Fondazione Agnelli e Caritas Italiana (2011). Gli alunni con disabilità nella scuola italiana:

bilancio e proposte.Trento: Erickson. p. 179.

77 Treellle e Caritas Italiana (2011). Op. cit., p. 180.

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 la diffusione di fenomeni di esclusione nei confronti degli allievi identificati con Bisogni Educativi Speciali: nell’ambito di una ricerca del 2010 (Canevaro et al., 2011; Ianes, Demo e Zambotti, 2010) condotta su 3.230 questionari compilati da diverse figure professionali della scuola, si evidenzia come la maggior parte degli allievi con disabilità (circa il 54,9%) faccia esperienze di pull e push out, trovandosi a trascorrere fuori dalla classe una buona parte del tempo scolastico (il 5,7% degli allievi intervistati si trova addirittura sempre fuori da essa). Secondo l’ISTAT (2013), questo fenomeno tende ad ampliarsi con il progredire del ciclo scolastico, passando da una media pari 3,7 ore nella scuola primaria a 4,4 nella secondaria di primo grado (Demo, 2014).

 la diffusione tra gli insegnanti della percezione dell’inefficacia dei percorsi didattici dei quali usufruiscono gli allievi BES. Come evidenziato dalle ricerche precedentemente citate, una buona percentuale di insegnanti, soprattutto nella scuola secondaria, non ritiene che i percorsi formativi attuati siano in grado di rispondere efficacemente alle esigenze formative degli allievi con certificazione (oltre il 50% di essi infatti si schiera a favore di questa affermazione), mentre, d’altro canto, un’altra percentuale di insegnanti, sicuramente non ampia ma di consistenza statisticamente non trascurabile (25%), non si dimostra nettamente contraria alla strutturazione di percorsi speciali separati per le disabilità caratterizzate da maggiore complessità (Ianes, 2010). I dati disponibili sulla vita adulta sembrano, al contrario, testimoniare che coloro che hanno avuto la possibilità di partecipare in un modo più pieno e continuativo alla vita scolastica riescono a raggiungere una maggiore fiducia in se stessi nonché un livello più alto di soddisfazione della vita lavorativa (Demo, 2014). Inoltre, sembrerebbe che una presenza più continuativa in classe dell’allievo con disabilità conduca a risultati migliori,valutati sia in termini di apprendimento sia di socializzazione, che si estendono all’intero gruppo classe di appartenenza. Tali osservazioni sembrano quindi porsi in linea, come vedremo successivamente, con il fatto che, laddove la didattica si ridefinisce e si ristruttura, per far fronte al successo scolastico di tutti, se ne ricavano dei miglioramenti dei quali ciascun allievo, con le sue differenze, ne può usufruire,

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all’interno di un processo di interdipendenza che vede il successo di uno come il successo di tutti.