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Il caso J.M.Salgueiro da Silva Mouta v Portogallo.

Capitolo II : Matrimonio omosessuale e omogenitorialità alla luce della recente giurisprudenza della Corte Europea de

2.4 L'omogenitorialità e la questione dell'adozione delle coppie dello stesso sesso agli occhi della Corte di Strasburgo.

2.4.0 Il caso J.M.Salgueiro da Silva Mouta v Portogallo.

Il tema del diritto degli omosessuali ad essere genitori diventa centro di interesse da parte delle Corti costituzionali nazionali e della Corte EDU a partire dagli anni Novanta, riguardo a circostanze concernenti l'affidamento dei figli dopo lo scioglimento del matrimonio.

Questo caso rientra in quelle esperienze, in cui un genitore si scopre omosessuale dopo aver contratto matrimonio e messo alla luce dei figli. Per molto tempo la giurisprudenza e la legge hanno qualificato il genitore che si scopre in un secondo tempo omosessuale non degno e capace di crescere un figlio, tanto che la dichiarazione di essere omosessuale o la sua esternazione attraverso una relazione o una convivenza con persona dello stesso sesso, comportava l'automatica abdicazione del ruolo di genitore. Questo è un settore nel quale spesso l'interesse del minore viene utilizzato in senso ideologico: per privare un'intera categoria di cittadini della possibilità di diventare o del loro diritto a continuare ad essere genitori unicamente sulla base del loro orientamento sessuale. La legge è dalla loro parte, anche nei procedimenti di affidamento dei figli, paradossalmente finché non si dichiarano omosessuali o non decidono di stabilire forme di relazione o convivenza con persone dello stesso sesso. A costoro si chiede di mantenere una omosessualità discreta, segreta, il prezzo per la conservazione dello status di genitore e la possibilità concreta di crescere i figli (o il diritto di far visita) sarebbe la negazione di ”essere se stessi”.

Nel caso J.M Salgueiro da Silva Mouta c Portogallo108, il ricorrente è

un cittadino portoghese nato nel 1961, che nel 1983 ha sposato C.D.S., ma dal 1990 ha iniziato una convivenza con un uomo L.G.C.

Nel 1993 C.D.S. ha ottenuto una pronuncia di divorzio dal tribunale di Lisbona (Tribunal de familia). Nel 1991 durante il processo di divorzio, per regolare l'affidamento della piccola i due genitori firmano un accordo ai sensi del quale la madre avrebbe avuto l'affidamento esclusivo della bambina, mentre il padre avrebbe goduto di un diritto di visita. Il ricorrente però lamentava di non aver potuto esercitare tale diritto per il mancato rispetto da parte della moglie dei termini dell’accordo. Nel 1992 il ricorrente ha richiesto un’ordinanza che variasse i termini dell’accordo per avere in affido la figlia, allegando che la moglie non stava rispettando l’accordo in quanto la bambina al momento stava vivendo presso i genitori materni. Nelle memorie di risposta la moglie accusava il convivente del ricorrente di aver sessualmente abusato la figlia. Il Tribunale di famiglia di Lisbona ha emesso una sentenza il 14 Luglio del 1994 in seguito a diverse perizie psicologiche effettuate mediante interviste sul ricorrente, la bambina, la madre, il compagno del ricorrente e i nonni materni della bambina. In tale sentenza, sulla base delle perizie eseguite, la Corte ha conferito l’affidamento al ricorrente e lasciato cadere le accuse fatte a L.G.C. in quanto a giudizio degli psicologi sarebbero state suggerite da altri. La bambina ha quindi vissuto con il padre dal 18 aprile al 3 novembre 1995, quando è stata rapita dalla madre. La madre ha presentato appello contro la decisione del Tribunale di Famiglia presso la Corte di Appello di Lisbona, che ha emesso una sentenza nel 1996 ribaltando il giudizio e conferendo la potestà genitoriale alla madre, con diritto di visita per il ricorrente. La sentenza in particolare ha rilevato che il principio fondamentale riconosciuto in casi del genere riguardanti la

potestà genitoriale è la preminenza dell’interesse della prole, considerata indipendentemente dagli interessi dei genitori.

In tal senso la Corte doveva in ogni caso tener conto dei valori familiari, educativi e sociali dominanti nel contesto in cui la figlia stava crescendo. La Corte rilevava che la giurisprudenza prevalente affida la custodia dei figli alla madre a meno che non vi siano ragioni prevalenti e a ciò contrarie. La Corte riteneva che la custodia della bambina andasse affidata alla madre, solo per il fatto che il padre aveva scelto di convivere con un altro uomo. Prendendo atto della convivenza del ricorrente con un altro uomo la Corte osserva che : <<è notorio che la società mostra sempre più tolleranza nei confronti di situazioni di questo tipo. Tuttavia, non oseremmo sostenere che un ambiente di questa natura sia il più adeguato allo sviluppo morale, sociale e mentale di un minore, soprattutto nel quadro dominante nella nostra città […]. La bambina deve vivere in seno a una famiglia, una famiglia tradizionale portoghese, che non è certamente quella che il padre ha deciso di costituire, perché vive con un altro uomo come se fossero marito e moglie. Non siamo interessati qui a comprendere se l'omosessualità sia o meno una malattia o se si tratti di un orientamento sessuale nei confronti delle persone dello stesso sesso. In entrambi i casi, si è in presenza di un'anormalità e un bambino non deve crescere all'ombra di situazioni anormali: è la natura che ce lo dice>>109.

Si riconosceva in ogni caso un amore sincero da parte del padre verso la figlia e pertanto era essenziale che gli fosse garantito un diritto di visita a tutela del benessere psicologico della bambina. Pertanto la Corte ha riformato la sentenza appellata affidando la custodia alla madre e il diritto di visita al padre. La Corte specificava che il padre

nei periodi di permanenza della figlia presso di lui avrebbe agito in maniera errata qualora si fosse comportato in modo tale da rendere evidente alla bambina la sua convivenza more uxorio con un altro uomo. In ogni caso uno dei tre giudici della corte d’appello deponeva una separate opinion in cui specificava che per quanto avesse votato a favore di tale sentenza egli reputa incostituzionale asserire il principio che una persona possa essere privata dei suoi diritti parentali sulla base del suo orientamento sessuale.110

Salgueiro presenta allora ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sostenendo che la pronuncia della Corte di appello di Lisbona “ricorra a fantasmi ancestrali, estranei alla realtà della vita e al buon senso”111.

La Corte di Strasburgo sostiene che la differenza di trattamento tra il ricorrente e la madre che riposa sull'orientamento sessuale ricade nell'art 14 della Convenzione. Prendendo in esame le affermazioni dei giudici portoghesi, che avevano qualificato le relazioni omosessuali come una anormalità idonea ad impedire l'affidamento di un minore, la Corte afferma che: <<questi passaggi della causa, lungi dal costituire semplici osservazioni sfortunate o maldestre come sostiene il governo, o semplici notazioni incidentali, fanno pensare, al contrario, che l'omosessualità del ricorrente abbia pesato in modo determinante sulla decisione finale […]. La Corte d'appello ha dunque operato una distinzione sulla base dell'orientamento sessuale, distinzione che la Convenzione non tollera >>112.

Non è stato rispettata la proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero l'esclusione dell'affidamento in ragione dell'omosessualità e il fine

110Uno dei tre giudici di appello ha redatto un'opinione dissenziente, notando come

“non possiamo dire in coscienza, nella nostra società e nella nostra epoca, che un bambino possa assumere l'omosessualità del padre senza rischiare di perdere i suoi modelli di riferimento”. Ivi, Paragrafo15.

111Ivi, Paragrafo14. 112Ivi, Paragrafi 35-36.

perseguito, ovvero la tutela del minore in un procedimento di diritto di famiglia. Questa sentenza è importante perché da essa consegue che non si può negare a un padre gay o ad una madre lesbica l'affidamento o il diritto di visita del figlio unicamente sulla base della loro condizione personale.