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IL “MARE NOSTRUM”

Nel documento RIVISTA MARITTIMA (pagine 113-118)

Nell’illustrazione: 1939 - Capitano di Vascello e Capo Infermiere di 3°

classe in gran divisa inver-nale nei disegni di Bruna Pecciarini Gay, pubblicati nel fascicolo del gennaio 1982 all’interno dell’ar-ticolo «Le uniformi della Marina italiana dal 1930 al 1982».

prospetta la guerra da corsa come la più conveniente alla Marina italiana. In merito segnaliamo alcuni inter-venti che sembrano particolarmente significativi, come l’articolo «Guerriglia e azione di massa» del CF Oscar di Giamberardino che, nel dicembre 1929, propugna un’azione «rapida, sparsa, temporanea» con l’impiego di incrociatori leggeri, grossi cacciatorpediniere e som-mergibili, «sfruttando al massimo la velocità per sor-prendere il nemico». Ovvero il contributo dello scrit-tore che si nasconde dietro la sigla «A.L.» il quale, nel marzo del 1932, nell’articolo dal titolo inequivocabile,

«Guerra da corsa» insiste sull’azione di incrociatori cor-sari (come d’altra parte aveva fatto lo stesso Fioravanzo sulle pagine della Rivista Aeronautica nel fascicolo del luglio 1929).

E sulla stessa falsariga, sebbene in maniera più sfu-mata e articolata, procede il dibattito degli anni se-guenti. Nell’aprile del 1932, sempre di Giamberardino

lo analogo, sostiene che «mentre l’azione dell’esercito si può considerare continua nel tempo e nello spazio, sia pure con l’alternativa di soste e di movimenti, l’azione della Marina e dell’Aeronautica sono continue solo nel tempo, ma discontinue nello spazio, con alternative di puntate offensive e di ritorno alle basi». Mentre infatti

«le operazioni terrestri possono, con riferimento al ter-reno, essere studiate e preparate in anticipo nel campo sia strategico che tattico, quelle in mare ed in aria non possono essere predisposte che nelle loro grandi diret-tive strategiche, perché «la condotta della battaglia non può che essere concepita dal Capo nell’istante stesso in cui incontra il nemico. E siccome il mare non è una superficie che si vuole occupare, ma di cui si vuole solo consentire o impedire l’uso, ne deriva che in mare si può conseguire lo scopo non solo con la distruzione ma con la paralizzazio-ne della forza paralizzazio-nemica».

Secondo lo stesso Fioravanzo, la Marina «non agisce più Sestri Ponente, 1° agosto

1931: il varo del REX, dal fascicolo di febbraio 1983.

Il REX, che conquistò il Nasto Azzurro nel 1933 (mantenendo il prima-to per circa due anni), fu uno dei simboli del potere marittimo italiano, al pari delle corazzate dell’epoca.

Nelle foto, dall’alto: Giu-seppe Fioravanzo, Oscar di Giamberardino, e Ro-meo Bernotti. I tre ufficia-li rappresentano «la triade di eccellenza» del pensiero navale in Italia.

eseguita in massa con uno scopo ben definito e consegui-bile in un ristretto limite di tempo sulla base di informa-zioni attendibili o presuninforma-zioni logiche, al termine della quale tutte le navi insieme dovranno al più presto essere riportate al massimo della loro capacità logistica ridotta a zero dopo la puntata. La Marina ha perduto in persi-stenza e continuità operativa quello che ha guadagnato in velocità» (fascicolo 7/8-1935).

Dal canto suo, nello stesso fascicolo, Romeo Bernotti (che, con Fioravanzo e di Giamberardino, rappresenta la «triade di eccellenza» del nostro pensiero navale nel periodo considerato), riassume i compiti della Marina in tre categorie essenziali: «difesa e attacco delle comu-nicazioni marittime, difesa e attacco delle spedizioni ma-rittime, difesa e attacco delle coste», pur osservando che

«ogni guerra è un caso particolare. La futura guerra sarà diversa da quella di ieri, ma è certo che la possibilità di esercitare il dominio del mare avrà una grande influenza sulle sorti delle Nazioni, come in ogni epoca della Storia, e da questo deriva, in tempo di pace, l’importanza del potere marittimo come fattore politico».

Anche il CF Aldo Cocchia nel giugno del 1938, eviden-ziando la propria opzione per una condotta offensiva della guerra sui mari, precisa che dei tre obiettivi classi-ci che si affidavano alle Marine (bombardamento delle città costiere, guerra al traffico marittimo avversario e attacco ai convogli di truppe), sono da perseguire solo gli ultimi due (dato che per il primo una maggiore ef-ficacia si può conseguire col bombardamento aereo).

L’autore, futuro direttore della Rivista dal 1958 al 1963, si dice convinto che i futuri combattimenti navali sa-ranno soprattutto caratterizzati dalla “rapidità e brevità dei contatti”, esprimendo la perplessità che, in un simi-le contesto, «l’intervento dell’armata aerea sul teatro di operazioni solo raramente potrà essere tempestivo».

Nel gennaio 1939 il comandante Vittorio Moccagatta, che abbiamo già presentato al lettore, teorizza, a sua vol-ta, la guerra di rapido corso (cioè una dinamica guerra di movimento che permetta di giungere ad una rapida conclusione del conflitto). Una guerra basata, nella sua visione, ancora una volta sull’offensiva che dovrebbe attuarsi «nell’affrontare il nemico sin dall’inizio delle ostilità» con una battaglia decisiva, per procedere poi al suo sfruttamento in senso tattico fino al raggiungi-mento del successo strategico, cioè alla vittoria

comple-IL “MARE NOSTRUM”

Alle prime battute del conflitto europeo, nel dicembre 1939, Romeo Bernotti non esita ictu oculi a riconoscere il carattere ormai di «guerra totale» della conflagrazione in corso da quatto mesi (cioè il suo carattere aero-ter-restre-marittimo), sottolineandone l’atteggiamento di-fensivo assunto dalla coalizione anglo-francese e quello offensivo assunto invece dalla Marina germanica (guer-ra sottomarina al t(guer-raffico e guer(guer-ra d’incrociatori), come reazione al blocco navale alleato.

Il comandante Castagna, nel febbraio del 1940, condi-videndo gli stessi criteri interpretativi del Bernotti, da una prima analisi delle operazioni navali, rileva come l’attività tedesca si sia sviluppata secondo due direttive principali: «guerra al traffico con i sommergibili, mine e navi di superficie e, nel contempo, azione diretta con-tro le forze navali avversarie, con unità di superficie ed aeree contro le navi in moto e in porto».

E all’uopo si chiede se sia più opportuno parlare di

«guerriglia» piuttosto che di una vera e propria «guer-ra navale» t«guer-radizionalmente intesa. Tanto più che, nelle condizioni di relatività esistenti, «sarebbe erroneo ten-dere ad uno scontro risolutivo in mare largo, con le pro-prie forze riunite, contro il nucleo principale di superficie avversario».

Per quanto attiene all’assetto interno della Rivista nel periodo considerato, si afferma la linea di tendenza che vuole una netta prevalenza delle rubriche informative rispetto agli studi originali. Ad esempio, per dirla in estrema sintesi, nel fascicolo di aprile 1938 abbiamo in complesso 57 pagine per cinque articoli rispetto alle 176 della filiera - rubriche che, dal 1935, inizia sempre con il Notiziario politico degli Stati esteri, seguito da Rivista di Riviste, Recensioni (o Bibliografia) e, infine, Notiziario e Rassegna tecnica ( che poi assume la

deno-IL “MARE NOSTRUM”

– rubriche interne, tipo “politica marittima, materiale, personale, attività delle flotte, areonautica, eserciti, ser-vizi commerciali, trattati internazionali”.

I supplementi del periodo sono, in media, tre all’anno, in genere di carattere tecnico, dedicati in particolare ai bilanci della nostra Marina, a quelli della Royal Navy e alla relazione della Commissione d’inchiesta, presiedu-ta dall’amm. Cagni, sulla perdipresiedu-ta del dirigibile Ipresiedu-talia, ma anche di carattere storico (portolani e cartografia della marina medicea).

Ma gli eventi stavano precipitando e, ancora una volta, si attagliava alla situazione italiana del 1940 quella mas-sima di Francesco Guicciardini, scritta quattro secoli prima: «La neutralità nelle guerre d’altri è buona a chi è potente in modo che non ha da temere di quello di loro che resterà superiore, perché si conserva senza travaglio e può sperare guadagno de’ disordini d’altri: fuori di que-sto è inconsiderata e dannosa perché si resta in preda del vincitore o del vinto. E peggiore di tutte quella che si fa non per giudicio [sic] ma per irresoluzione: cioè quando, non ti risolvendo se vuoi essere neutrale o no, ti governi in modo che non satisfai [sic] anche a chi per allora si contenterebbe che tu lo assicurassi di essere neutrale».

Ma non sempre nei processi decisionali di ogni tem-po, purtroptem-po, si riscontra una tale lungimiranza, una tale «discrezione» (per usare sempre un termine caro al Guicciardini) e, di conseguenza, ogni teoria sull’affer-mazione del potere marittimo di una Paese in guerra, alla prova dei fatti, avrebbe ben presto mostrato tutto il suo corto respiro in una situazione strategica genera-le di per sé già fortemente pregiudicata e condizionata dalle scelte politiche.

E così ancora una volta il Mediterraneo, come in tante altre epoche della sua storia, diventava teatro di lotta

La Rivista Navale di Napoli del 5 maggio 1938 alla quale, a bor-do della corazzata CAVOUR, assistettero il Re, Mussolini e Hitler, è in ordine di tempo la terza e la più famosa effettuata della Regia Marina (le prece-denti si svolsero nel 1888 e nel 1936, rispettivamente alla pre-senza dell’imperatore Gugliel-mo II e del Reggente d‘Unghe-ria, ammiraglio Horty). La sua finalità era quella di mostrare

“sia la potenza che il livello d’addestramento” raggiunto dalla Forza armata nelle sue va-rie componenti e, nel contempo,

“rinforzare l’orgoglio e la fidu-cia negli equipaggi” impegnati nelle complesse manovre.

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