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- ALLE ORIGINI DELLA RIVISTA MARITTIMA

Nel documento RIVISTA MARITTIMA (pagine 35-42)

va. Titolo «Sulla resistenza dell’aria al movimento dei proiettili» e anche in questo caso ci troviamo di fronte all’inizio una feconda collaborazione, destinata a durare sino al 1908, su temi, soprattutto, di strategia navale, di cui il Bonamico, uno dei pensatori navali più originali dell’Ottocento, con la sua sterminata bibliografia sarà propriamente l’iniziatore in Italia.

Nell’ottobre dello stesso anno, Carlo Randaccio, storico e direttore generale della Marina mercantile, allora di-pendente dal ministero della Marina, esordisce sulle co-lonne della Rivista con una nota sui «Dizionari di mari-na italiani», affrontando il tema allora spinoso di come poter disporre di una «lingua marinaresca nazionale» in quanto, come sostiene il nostro scrittore, «la disciplina dei governi e la notabile varietà dei dialetti della stessa lingua in Italia portò necessariamente diversità grande di vocaboli nel linguaggio marino, il quale fu soltanto parlato e non mai determinato con un vocabolario». E ritroveremo anche in seguito il Randaccio, nella sua ve-ste professionale di dirigente generale come firmatario delle Relazioni sullo stato della marina mercantile, pun-tualmente pubblicate dalla Rivista, da sempre attenta agli sviluppi del naviglio commerciale.

Nel novembre 1870, appena due mesi dopo la fine del dominio temporale del Papa-Re, compare l’articolo

«L’onda marina» a firma del «Commendatore» Ales-sandro Cialdi (1807-1882), l’ultimo comandante della Marina pontificia, all’epoca una delle figure più note del mondo scientifico marittimo del tempo, membro di prestigiose Accademie e Società scientifiche. E sul-le pagine della Rivista Marittima il Cialdi continuerà

meteorologia. Con rapporti peraltro cordialissimi con la direzione della Rivista stessa, tant’è che, nel fascicolo del luglio 1872, il Nostro accompagna un proprio ar-ticolo con una lettera indirizzata al Direttore, che «si compiacque di invitarlo a tessere un qualche articolo», concludendo con le seguenti parole: «gradisca le espres-sioni del mio rispetto e mi abbia per suo devotissimo servitore».

Ed è una bella immagine vedere come l’ultimo coman-dante della Marina pontificia si inserisca, a pieno tito-lo, tramite la collaborazione alla Rivista, nel più vasto dibattito nazionale a carattere marinaresco nell’Italia uscita dal Risorgimento. E qualche anno dopo sarebbe stato proprio il Cialdi a introdurre un altro esimio col-laboratore, il suo concittadino di Civitavecchia padre Alberto Guglielmotti recensendone in termini estre-mamente lusinghieri la sua «Storia della marina pon-tificia nel Medioevo» in cui, tra l’altro, scrive che: «Il legislatore, il filologo, l’architetto militare, il nocchiero, il costruttore navale, la classe che dell’ameno si pasce, tutti vi trovano abbondante messe di istruzione e di diletto.

Opera classica in ogni ramo».

E lo stesso Guglielmotti (1812-1893) che la stampa del tempo definiva «il primo maestro di arte militare ma-rittima», non tarderà a collaborare direttamente con uno studio dedicato alle «Due navi romane scolpite sul bassorilievo portuense del principe Torlonia», apparso in due puntate nel gennaio e febbraio 1874 e riccamente illustrato.

Sempre agli inizi degli anni Settanta, in tema di ru-briche stabili, accanto alla citata Cronaca, compare La copertina del libro del

Cialdi “Sul moto ondoso del mare”. A destra: Padre Guglielmotti, illustre sto-rico navale, definito dal Vecchj “Padre dell’Armata italiana” (Foto USMM).

anche ai periodici italiani e stranieri in una sorta di ras-segna stampa del comparto marittimo italiano e stra-niero. Tra gli altri collaboratori del periodo ricordiamo il giurista Jacopo Virgilio, docente all’Università di Ge-nova e un agguerrito gruppetto di geografi, etnologi e antropologi con una serie di interventi e articoli che fi-niscono per rappresentare, con la dovizia delle notizie profuse, una specie di vademecum del viaggiatore del tempo. E questa apertura verso il mondo delle esplora-zioni e dei viaggi non ci deve affatto stupire se consi-deriamo che la Marina con le sue crociere transoceani-che era, nel periodo considerato, lo strumento principe delle conoscenze geografiche e scientifiche, una vera e propria «finestra sul mondo» della Nazione e il marina-io stesso veniva considerato (e non solo in Italia!) come

«le pionnier de la science et le délégué de nos Académies». 

Così, a mano a mano, possiamo rilevare come vengano coinvolti sulle pagine della Rivista i personaggi di spicco del mondo dei viaggi e delle esplorazioni. Come Luigi Ma-ria d’Albertis con un suo reportage sull’Australia e che la-scerà al cugino, il più celebre Enrico Alberto d’Albertis la propria collezione privata conservata al Castello d’Albertis di Genova, oggi sede del Museo delle Culture del Mondo.

Il STV Giacomo Bove, che riferirà ampiamente sull’im-presa della baleniera Vega alla defatigante ricerca e, in-fine, alla conquista del mitico passaggio interoceanico a nord-est tra Atlantico e Pacifico. Cristoforo Negri, presi-dente e fondatore della Società geografica italiana e Man-fredi Camperio, fondatore del battagliero periodico L’E-sploratore. Giornale di viaggi di geografia commerciale.

Agli storici si aggiunge la collaborazione dell’antichista Francesco Corazzini, in perenne polemica col Vecchj, a cominciare dai suoi interventi sul porto etrusco di Luni o sulla battaglia navale di Ecnòmo. E proprio a proposi-to della polemica Vecchj-Corazzini, si può mutuare una precisa linea di condotta editoriale della Rivista: «permet-tere cioè a ogni autore di esprimere liberamente il proprio punto di vista su di una determinata questione, rifuggendo però sempre da polemiche ad personam e, soprattutto, sen-za mai sposare la causa di nessun autore rispetto a

quel-LO SPECCHIO DELLA MARINA

La Rivista infatti non si è mai prefissa di perseguire degli scoop per incrementare il mercato delle vendite, attizzando la polemica tra studiosi alla ricerca di una maggiore notorietà, ma si è sempre prefissa lo scopo di servire in primis la causa del sapere marittimo, nelle sue variegate articolazioni, a informazione e memoria del lettore, che da sempre ne ha apprezzato l’oggettivi-tà. E questa impostazione, nata agli albori della Rivista, possiamo dire che sia continuata sino ai nostri giorni:

sostenere la causa e la bontà di un’idea, non i singoli personaggi che le formulano, questo potrebbe essere uno dei principi di fondo della Rivista, in una tacita codificazione non scritta. E il consenso espresso dagli studiosi civili si accompagna con l’attiva ed entusiastica collaborazione delle più belle intelligenze dell’Armata (come allora si indicava ancora la flotta militare).

In particolare Benedetto Brin (1833-1898), (13) il ge-niale progettista navale e fondatore dell’industria nazio-nale della difesa nonché personaggio politico di primo piano (tanto da essere stato candidato per diventare addirittura presidente del Consiglio!), in un’epoca in cui assistiamo a una costante osmosi tra società civile e militare, nel maggio del 1871, come direttore delle Co-struzioni navali, pubblica lo studio: «Sull’effetto utile dei propulsori navali», destinato a diventare un best-seller della letteratura tecnica internazionale.

Il tutto senza trascurare gli studi di arte militare marit-tima, il cui antesignano era all’epoca il CF Carlo Rossi, autore del celebre pamphlet «Racconto di un Guardiano di Spiaggia», in cui aveva tracciato, a forti tinte, lo sce-nario che avrebbe potuto verificarsi in un’Italia, priva di una forza navale adeguata, nel caso di una guerra con la Francia.

E proprio Rossi, nel suo contributo sulle pagine della Rivista del luglio 1872, aveva, con la consueta chiarezza, espresso quali fossero i termini su cui si poneva il pro-blema strategico della difesa dell’Italia del tempo: «Ecco dunque i due partiti. Da un lato una poderosa forza na-vale che rende inutile il fortificare la costa; che permette al commercio di esercitarsi con poca differenza dallo

sta-Benedetto Brin, Ispettore gene-rale del Corpo del Genio Navale e Ministro della Marina e degli Esteri del neonato Regno d’Italia.

Dall’altro una debole flotta che mostrerà la bandiera, che farà qualche colpo in guerra altrettanto audace quanto poco utile, per ricorrere poi a rinchiudersi in un porto irto di cannoni e difese subacquee. Nel pri-mo caso - conclude il Nostro - impossibile qualunque blocco, qualunque bombardamento, qualunque sbarco del nemico; nel secondo invece, tutto possibile quello che egli voglia tentare».

Un dilemma che secondo l’autore non presentava che un’unica soluzione imperniata «nell’avere una flotta vera, proporzionata ai bisogni d’Italia» che lo scrittore, nell’articolo citato, affronta nei suoi profili tecnici e nei risvolti finanziari. Il tutto anche se, gli orientamenti del pensiero navale dell’epoca presentano ancora un netto primato della tattica sulla strategia. E se la tattica viene ancora considerata come la «scienza delle evoluzioni» e la stessa battaglia navale appare come «un grande fatto tattico, in cui le evoluzioni rappresentano la parte più importante», si stenta ancora a formulare un corretto apprezzamento del concetto stesso di strategia navale.

Ed è sintomatico sottolineare come proprio i reduci di Lissa si ritrovino tra i più tenaci assertori del primato della tattica, come il CA Luigi Fincati, che a Lissa ave-va comandato la cannoniera corazzata VARESE, rias-sumendone polemicamente le esperienze nel caustico pamphlet Ancona e Lissa: Cuique Suum.

ti apparsi sulla Rivista. Come negli «Aforismi militari.

Massime e principi generali» (apparsi in ben dodici pun-tate, a partire dal settembre 1877) e nelle «Considerazio-ni sulla tattica navale» (in quindici puntate, dal giugno 1881). Molto interessante si mostra, in particolare, la distinzione che il Fincati pone tra «tattica e …tattica», cioè tra una tattica come «arte delle evoluzioni navali o tattica regolamentare» (cioè «sulla base del regolamento che prescrive i modi per passare colle navi da un ordine all’altro») e tattica come «arte dei combattimenti nava-li», cioè come «scelta giudiziosa delle mosse necessarie per soverchiare il nemico e distruggerlo». A Lissa, fa-ceva rilevare il Fincati con un filo di amaro sarcasmo, purtroppo prevalse la prima, la tattica regolamentare e così ...«fummo sbaragliati con tutte le regole»!

In questo contesto, nel 1879, sarà lo stesso ministero della Marina a bandire un «concorso» per la trattazione dei seguenti temi:

«1) descrizione ed esame critico degli ordini di marcia e di combattimento delle armate antiche e moderne; 2) loro confronto ed influenza esercitata dai modi di loco-mozione della nave e dai loro mezzi di offesa; 3) presagi e speranze. Conclusioni».

E gli studi premiati, cioè quelli del CC Carlo Grillo e del TV Isacco Algranati, saranno pubblicati puntualmente sulle pagine della Rivista, unitamente ai saggi che

ave-In alto: Luigi Fincati, ammiraglio e studioso di discipline militari e ma-rittime. Fu uno dei primi collaboratori della Rivista Marittima nonché diret-tore dal 1877 al 1878.

Col grado di Capitano di Fregata, Fincati partecipò alla battaglia di Lissa al comando della cannonie-ra VARESE, nell’immagi-ne, ormeggiata a Napoli (Foto USMM).

Sfogliando le pagine della Rivista ci si accorge come, nel giro di pochi anni, gli orizzonti culturali si siano sostan-zialmente allargati: dalla netta prevalenza di temi e pro-blemi di carattere tecnico-professionale ai settori più svariati del «sapere marittimo». «Cogli studi matema-tici si formano buoni navigatori, eccellenti cartografi, squisiti inventori di cannoni e di affusti, abili disegna-tori di macchine motrici ed ausiliarie, sino ad un certo punto anche costruttori navali - sottolineerà acutamen-te il solito Vecchj - ma non si formano né comandanti, né ammiragli». In altre parole, il bagaglio culturale di chi aspira a giusto titolo ai vertici della gerarchia navale deve essere più vario e diversificato.

E infatti, avviandoci verso il limite temporale di quella che è stata giustamente chiamata «la prima generazione degli scrittori della Rivista Marittima» (che abbraccia il periodo compreso tra il 1868 ed il 1885), vediamo come l’interesse dei collaboratori si presenti in maniera sem-pre più variegata «sotto il segno unificatore del mare».

Innanzitutto vengono più attentamente seguiti i lavori parlamentari inerenti alle discussioni sulla Marina e i bilanci navali.

Più frequentemente si rappresentano i bisogni della

della marina nazionale (che ancora, nel 1870, contava ben 18.784 navi a vela ed appena 118 navi a vapore). Ci si apre verso le complesse problematiche portuali (con alcuni studi sui porti di Genova e di Ancona).

Ricorrono spesso temi di medicina navale, di igiene e abitabilità a bordo delle navi (gli Annali di medicina na-vale e tropicale vedranno la luce solo nel 1895), mentre sempre più assidua comincia a farsi la schiera dei colla-boratori provenienti dai ranghi dell’Esercito. Dapprima con interventi di carattere strettamente tecnico, desti-nati però gradualmente ad assumere un significato più ampio, investendo i problemi più generali della difesa del Paese.

Un particolare risalto accordato sulle pagine della Rivi-sta alla cosiddetta «questione delle navi». Un problema invero assai complesso in cui confluiscono, a un tempo, istanze tecniche, politiche e finanziarie (le «tre facce»

del Potere Marittimo di ogni tempo).

Quello che importa soprattutto rilevare in questa sede è come la Rivista, in questo problema così complesso e così importante, aggravato peraltro da una netta pre-sa di posizione del Ministro in carica, con il consueto senso di equilibrio e di misura, riesce a rappresentare Nella foto centrale: la

corazzata a barbette ITALIA, varata a Ca-stellammare di Stabia il 29 settembre 1880, dislo-camento 15.654 t., arma-mento principale 4 canno-ni da 431 mm e 8 da 152.

Unità della stessa classe LEPANTO (nella foto a destra), varata ai Cantie-ri Orlando di Livorno il 17 marzo 1883. Entram-be le corazzate furono progettate da Benedetto Brin con alcuni concet-ti di avanguardia (Foto:

USMM).

di esprimere la propria tesi al riguardo. Con la vittoria delle “grandi navi” e con Benedetto Brin chiamato di nuovo a reggere il dicastero della Marina, si chiude l’e-sperienza della «prima generazione della Rivista Marit-tima» con un bilancio estremamente positivo.

Nella libera palestra offerta dalla Rivista, studiosi ci-vili e intellettuali in uniforme hanno infatti avuto la possibilità di rappresentare e confrontare i propri punti di vista, esporre i propri studi nei diversi campi del «sapere marittimo», facendo così da volano a una ripresa generale d’interesse per quei problemi che a lungo, dopo Lissa, erano stati guardati con diffidenza e sufficienza.

E c’è chi è ancora più esplicito in tal senso. Secondo la testimonianza del Vecchj infatti, protagonista e sempre attento osservatore delle vicende della pubblicistica del tempo, la Rivista Marittima, sempre indicata nei suoi scritti con l’appellativo di «OTTIMA», rappresenta «il periodico navale più veramente scientifico che conti il nostro tempo», tanto che «l’indice generale analitico dal 1868 al 1885 è una pergamena di nobiltà del

pensie-ro navale nazionale».  Il fascicolo della Rivista Marittima datato luglio-agosto 1880 riporta in copertina un

LO SPECCHIO DELLA MARINA

Nel documento RIVISTA MARITTIMA (pagine 35-42)