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L’ESPERIENZA DELLA GUERRA

Nel documento RIVISTA MARITTIMA (pagine 123-128)

- militarmente e politicamente tutta l’Europa mediter-ranea è stata sottratta all’intraprendenza britannica, restringendo sempre più l’area dei suoi rifornimenti, tanto che mai come adesso l’Inghilterra sta vivendo i suoi giorni più densi di ansia mortale.

Ancora più esplicito si dimostra il Manzini nel recla-mare, ancora nell’ottobre-novembre 1942, «il necessario impero oltremare dell’Italia intervenuta nel conflitto», delineato nella seguente scaletta: risoluzione finale del problema adriatico e balcanico a favore dell’Italia, pos-sesso delle due sponde del Canale di Sicilia e, quindi, l’indiscusso dominio italiano del Mediterraneo attra-verso «il possesso di tutte le isole nel bacino centrale di questo mare». Inoltre il Manzini rivendica, con ot-timismo, l’indispensabile espansione coloniale, sia nel senso di «colonie di popolamento» che di «colonie atte a fornire materie prime all’industria, assicurando così alla Nazione la necessaria autonomia» e in merito po-nendo un’esplicita opzione su Gibuti, Somalia britanni-ca, Uganda, Kenya, Nigeria e, naturalmente, la sospira-ta Tunisia. In altre parole, nella visione del Nostro, «il futuro Impero italiano verrà finalmente a realizzare la visione dei nostri grandi esploratori che, in pieno secolo XIX, si inoltrarono nella vastità del continente nero allo-ra quasi ignoto con la fede di contribuire ad aprire nuovi orizzonti e nuove possibilità all’umanità».

È forse superfluo osservare come, negli anni della guerra, si accentuino sulle pagine della Rivista i temi di maniera e convenzionali che echeggiano i motivi roboanti della propaganda di guerra con la sua topica e il suo formu-lario rituale (come l’instaurazione di un Nuovo Sistema di Vita per «le giovani Nazioni esuberanti», il tema del Nuovo Ordine europeo, la «Marcia all’Oceano» fuori della «prigione» mediterranea e addirittura, come ana-logia storica, l’interpretazione della guerra stessa come

«Quarta Guerra Punica» con gli inglesi sotto le men-tite spoglie di cartaginesi redivivi). E invero numerosi sono i contributi imperniati su paralleli storici, come il “duello navale” ingaggiato da Napoleone contro «la perfida Albione» (fasc.1-2/1943), ovviamente nel pe-riodo favorevole ai francesi, cioè negli anni 1797-1805.

non dobbiamo dimenticare in quale periodo essi fiori-scano e tenere sempre presente come per rispondere a quelle sollecitazioni (che altro non sono che ambizioni politiche trasfigurate sul piano storico e letterario) tanti nostri concittadini e colleghi abbiano combattuto, sof-ferto e perso la propria vita.

Più tecnici ci appaiono gli interventi di Giuseppe Fio-ravanzo che definisce l’essenza della guerra in corso

«squisitamente aeronavale» con gli eserciti che «hanno il compito di conquistare terre che concedano alle navi e ai velivoli l’uso di basi di operazioni». Due invece gli appaiono i compiti principali della Marina: «mantenere le comunicazioni con la Libia e con l’area greco-egea» e

«impedire che il nemico si valga liberamente del Medi-terraneo per i suoi scopi».

Qualche mese dopo, tracciando il bilancio del primo anno di guerra, il Nostro sottolinea come l’Asse abbia sferrato il suo attacco al sistema imperiale britannico in due punti vitali: «l’Inghilterra che ne rappresenta il cervello» e il sistema mediterraneo (da Gibilterra a Bab-el Mandeb) «che ne rappresenta il cuore», costituendo così, per la prima volta, un unico fronte strategico an-ti-inglese, da Capo Nord ai Pirenei. Col suo intervento in guerra, l’Italia aveva immediatamente alleggerito la pressione navale britannica nel Mar del Nord e nell’At-lantico e, a sua volta, per non essere paralizzata nel Me-diterraneo con la perdita dell’Africa, la Marina aveva dovuto affrontato «la grave situazione (di rifornire il

volta «chiusa vittoriosamente la campagna balcanica, la Marina aveva ancora dovuto affrontare i nuovi oneri de-rivanti dall’organizzazione del litorale greco e dalla difesa del traffico avviato verso l’Egeo», contribuendo inoltre, col naviglio subacqueo, alla lotta contro il traffico ma-rittimo nemico nell’Atlantico.

Accanto ai temi di commento politico e strategico della guerra in corso dobbiamo sottolineare la continuità del dibattito tecnico-professionale, tra cui merita di essere segnalato un articolo del CC Oreste Tazzari, ingegnere e docente di elettrotecnica all’Accademia navale, sulla

«Radiotelemetria», del novembre del 1940, in l’autore prospetta la grandissima importanza del problema e la gravità della situazione della R. Marina al riguardo.

Purtroppo de facto i suoi fondati cahiers de doléance presentati direttamente all’ammiraglio Iachino, del cui stato maggiore della Squadra era stato chiamato a far parte, gli valsero, sic et simpliciter, solo l’epiteto di «av-venirista» e la storia finì lì, come ci racconta in dettaglio Piero Baroni ne La Guerra dei Radar (2007).

Molto interessante ancora un articolo di Vito Dante Flore nel suo primo contributo apparso sulla Rivista (7/8-1941), collaboratore prestigioso che ritroveremo, nel giro dei prossimi anni, come Direttore generale del neo-costituito Ministero della Marina Mercantile e sempre attento scrittore di problemi marittimi. La guer-ra, secondo il Flore, ha fatto cambiare completamente

cio diretto o in transito. Di qui si sottolinea l’esigenza da parte dell’Asse di circoscrivere il conflitto il più possibile

«per mantenere un’aliquota di scambi internazionali», atteso peraltro che lo sforzo bellico dell’Italia appare più che mai subordinato alla soluzione del «problema degli approvvigionamenti e dei trasporti del carbone e del petrolio» e in merito auspica, con ottimismo, una ri-presa della navigazione di cabotaggio lungo le coste del Nord Europa, della penisola iberica e della Francia ver-so l’Italia. Più pessimista il Fioravanzo che, in un enne-simo articolo apparso nel maggio-giugno 1943, quando ormai con la perdita della Tunisia e l’imminente sbarco in Sicilia la guerra ormai giocava drammaticamente a nostro sfavore, mette in guardia contro il concetto stes-so di libertà dei mari. Nel senstes-so che, in tempo di guerra,

«la libertà dei mari altro non è che un’espressione eufemi-stica che sta ad indicare la schiavitù dei mari imposta dai più forti ai più deboli».

Nella struttura della Rivista del periodo notiamo una netta prevalenza delle “rubriche” e dei “servizi editoria-li” sugli articoli originali. A titolo esemplificativo ricor-diamo come, nel settembre 1941, su un fascicolo di 280 pagine, solo 47 sono occupate da articoli originali e il resto da rubriche, tra le quali acquista un peso sempre maggiore il «Notiziario degli avvenimenti internazio-nali». Per tutto il 1942 vediamo come i fascicoli mensili si alternino con quelli bimestrali (esattamente quattro mensili e quattro bimestrali). L’uso del solo fascicolo bimestrale si formalizza nel 1943, che ci offre così quat-tro numeri sino a quello di luglio-agosto, a ridosso cioè delle drammatiche vicende armistiziali, che segnano momentaneamente la sospensione della pubblicazione della Rivista, la prima volta della sua storia, anche se la lacuna verrà subito colmata l’anno successivo.

In quei drammatici frangenti ancora una volta si mo-strava vera la considerazione fatta dal Machiavelli quat-tro secoli prima, in un periodo che sotto molti aspetti ricordava l’Italia di quei primi anni Quaranta:

«Di tutti gli Stati infelici è infelicissimo quello d’uno prin-cipe o d’una repubblica, che è ridotto in termine che non può ricevere la pace o sostenere la guerra: a che si

riduco-L’ESPERIENZA DELLA GUERRA

R. Claudus, «Azione del-la torpediniera LUPO nelle acque di Creta il 21 maggio 1941», olio su tela 180x100, datato 1947, Ac-cademia Navale di Livor-no, sala storica.

gittarsi [sic] in preda di chi gli aiuti o rimanere preda del nemico. Ed a tutti questi termini si viene pe’[sic] cattivi consigli e cattivi partiti, dal non aver misurato bene le forze sue».

L’annata 1943 sarà poi completata a posteriori con un fascicolo di chiusura quadrimestrale (settembre-dicem-bre 1943) redatto però solo nel novem(settembre-dicem-bre 1944, come avverte una nota redazionale «in conseguenza delle recenti contingenze nazionali». Vi compaiono due in-terventi, di un ufficiale di Porto, Pino Fortini e di un ufficiale del Genio Navale, Filiberto Dondona e, quindi, il Notiziario degli avvenimenti internazionali. Nel corso del 1944 avremo due numeri semestrali (gennaio-giu-gno e luglio- dicembre), redatti dopo la liberazione di Roma e poi, nel 1945, sette fascicoli (cinque bimestrali e due mensili, i fascicoli di gennaio e dicembre), con i quali possiamo dire abbia inizio la fase più recente della storia della Rivista.

I temi trattati nel biennio 1944-45? In realtà temi molto indicativi che contribuiscono a sciogliere molti nodi co-noscitivi facilmente comprensibili per l’uomo di mare del tempo: uno studio di Guido Oggioni su «Ecometri ed ecogoniometri», un lungo saggio in tre puntate di Oreste Tazzari sempre su «Radiotelemetria» (fasc. 1/5-1945), in cui l’autore ricompone le fila de precedente articolo di cui abbiamo parlato, ovviamente in un con-testo radicalmente cambiato.

Quindi un editoriale che si chiede «se il bombarda-mento aereo possa considerarsi decisivo»; una Nota del direttore, il capitano di vascello Ernesto Ciurlo, sulle

“operazioni anfibie”, un intervento di Pino Fortini sul porto di Trieste e il suo avvenire, visto che allora si tro-vava nell’occhio del ciclone geopolitico; uno studio del prof. Leonardo Fea sulle nuove corvette antisommer-gibile e del De Grossi sugli scritti militari del generale

le Nazioni Unite e, infine, tutta una serie di note sulla crisi del traffico mondiale, sui recuperi navali e sulla rimessa in efficienza del naviglio italiano (o meglio di quello che rimaneva di esso). Temi dunque volti allo scioglimento di interrogativi di natura tecnica o d’in-teresse politico, sempre sul filo dell’attualità. Sono que-sti gli indirizzi di fondo verso cui si volgono gli autori della Rivista Marittima in quel non certo felice bien-nio 1944-45 «quando l’Italia era tagliata in due», come ebbe a dire Benedetto Croce.

Anche se bisogna far rilevare come, nei territori con-trollati dalla Repubblica Sociale, si avvertiva “la voglia”

di riprendere la pubblicazione della Rivista con le ini-ziative del sottosegretario alla Marina Repubblicana, comandante Ferruccio Ferrini, che, al riguardo, de-signando in pectore come futuro direttore della rico-stituenda Rivista, il CA Ubaldo degli Uberti, suo capo dell’Ufficio di collegamento stampa, aveva al riguardo interessato sia il ministro della Cultura Popolare, Mez-zasoma (che però vi si oppose con la blanda giustifica-zione della necessità di “ridurre il consumo di carta”, da un lato e “per motivi di opportunità” non specificati, dall’altro). Sia lo stesso Mussolini, lusingandolo col fat-to che nel 1938, in occasione del 70° anniversario, la Rivista aveva potuto fregiarsi di “un suo messaggio au-tografo augurale”. Ma Mussolini non rispose e dell’ini-ziativa, dopo le dimissioni del comandante Ferrini nel febbraio 1944, non se fece più nulla. Semmai la stampa marittima della RSI appare controllata dalla Decima Mas del principe Borghese con riviste come La Cam-busa e, soprattutto, L’Orizzonte, che lo stesso Mussoli-ni aveva defiMussoli-nito “la più bella rivista della Repubblica”

… prima di ordinarne il definitivo sequestro! Il tutto mentre, a poco a poco, la Rivista Marittima (e accanto a lei e sopra di lei, l’Italia stessa) cominciava a reinserir-L’ammiraglio Alberto Da

Zara e la copertina del suo libro «Pelle d’Ammira-glio», nell’edizione storica.

L’ESPERIENZA DELLA GUERRA

R. Claudus, «Sotto la carena della QUEEN ELIZABETH, 20 dicembre 1941», olio su tela 180x100, datato 1948, Accademia Navale di Livorno, Sala storica.

Nel documento RIVISTA MARITTIMA (pagine 123-128)