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- LA GRANDE POLITICA NAVALE

Nel documento RIVISTA MARITTIMA (pagine 57-62)

Sopra: Giovanni Bettòlo, ufficiale della Regia Ma-rina decorato al valore in occasione della battaglia di Lissa, divenne Am-miraglio e Capo di Stato Maggiore (1907-1911) e, accanto, la cartolina di propaganda marinara con colonna rostrata che riporta un mottetto del Bettòlo (Coll.Revel).

Accanto: il sommergibile italiano FOCA (fascico-lo marzo 1909) che l’ing.

Laurenti progettò succes-sivamente al sommergi-bile GLAUCO, realizzato presso la ditta Fiat-San Giorgio nel cantiere di Muggiano.

navi (in cui sostiene la superiorità di un apparecchio di ventilazione elicoidale su un analogo modello cen-trifugo). Con la figura di Laurenti, all’epoca trentenne ufficiale del Genio Navale e alle cui «realizzazioni e progetti» Alessandro Turrini ha dedicato il bel libro del 2002, entriamo nel vivo dei problemi della navigazio-ne subacquea. Sebbenavigazio-ne sia notorio che il primo battello subacqueo italiano fu il DELFINO progettato dal Pulli-no, direttore dell’Arsenale della Spezia e impostato nel 1892, forse lo è meno che è stato Laurenti a dedicarsi alla soluzione fondamentale della sicurezza del battello in navigazione subacquea e, dopo sette anni dal varo del Delfino (1896), riuscì ad impostare il suo GLAUCO.

Il Laurenti infatti «fu colui che dettò per primo una vera e propria teoria della navigazione subacquea e con le sue costruzioni ne diede la prova più palmare»,  come si esprime il concittadino Leandro Guglielmotti in un suo profilo biografico. Nell’arco di ben ventisei anni di piena attività, il Laurenti avrebbe accompagnato i suoi studi, le sue scoperte, le sue esperienze come direttore dei cantieri navali Fiat-San Giorgio de La Spezia anche con numerosi interventi sulle pagine della Rivista, che conta ben undici suoi articoli.

A più mani, tra la fine del secolo XIX e gli inizi del XX, continua un intenso dibattito tecnico imperniato sulla dialettica della corazza e del cannone, in relazione alle

condizioni reciproche della difesa (in cui si ritiene che la corazza possa costituire un elemento di forza solo se efficiente, mentre in caso contrario finisce per costituire un peso morto, anzi addirittura una causa di inferio-rità) e dell’offesa (in cui, al tradizionale primato delle artiglierie - dove però il grosso calibro si contende la supremazia con le armi a tiro celere - spesso si oppone il valore tattico del rostro e, in seguito, del siluro).

«Esiste tuttavia una verità che non ammette obiezioni - osserverà Giovanni Bettòlo, futuro primo capo di Stato Maggiore della Marina - il periodo offensivo del cannone precede quello del siluro e del rostro, quindi al principio dell’azione la forza relativa dei due avversari sarà deter-minata dall’efficienza delle rispettive artiglierie. Il siluro e il rostro non entreranno in campo finché le distanze tra i combattenti non siano sufficientemente ridotte, fin-ché non avvenga la mischia. Da ciò la conseguenza che il miglior modo di utilizzare il siluro e il rostro sta nel mantenere queste armi a distanze superiori al loro raggio d’azione. In tale stato di cose il vantaggio è dalla parte di chi ha cannoni più potenti, corazze più efficaci».

E in questo senso si giustificano tutti gli interrogativi che minano le basi dell’effimero successo delle torpedi-niere che, se da un lato sembrano rappresentare un ber-saglio «rapido e poco visibile» che si può avvalere «del fattore sorpresa, nonché della molteplicità e simulta-neità degli attacchi», dall’altro, nostrano una possibilità di offesa che, di fatto, sembra «venire ristretta da deter-minate condizioni di tempo e di luogo». Nel fascicolo di giugno 1894, l’allora comandante del R. brigantino Palinuro, il tenente di vascello Paolo Thaon di Revel, che sotto forma di una Lettera al Direttore, interviene su un profilo tecnico, cioè «Sull’olio usato per calmare le onde».

Quindi in quello di luglio-agosto 1897 compie la sua prima esperienza sulla Rivista l’allora sottotenente di va-scello Romeo Bernotti con uno studio sulla difesa delle

la Rivista si stabilizza nella seguente maniera: Lettere al Direttore, Informazioni e Notizie (suddivisa all’interno in Marina Militare, Marina Mercantile, Miscellanea), Bibliografia, Nuove Pubblicazioni, a cui si aggiungerà subito dopo la rubrica Rivista di Riviste (antesignana della nostra Che cosa scrivono gli altri - 1901). Nel giu-gno 1901 compare un articolo di Enrico Millo, «l’otti-mo Millo, eroico soldato e gran galantuo«l’otti-mo», come lo definisce Ferdinando Martini nel suo Diano che, qual-che anno dopo acquisterà una grande notorietà con il forzamento dei Dardanelli e reggerà poi il Ministero della Marina sino alla Grande Guerra (e il suo primo articolo riguarda proprio le manovre dell’artiglieria a bordo).  In questa rapidissima rassegna, quello che più importa rilevare è come, al dibattito molteplice e com-plesso condotto sulle pagine della Rivista, cerchino di partecipare, ciascuno secondo i propri interessi e le pro-prie esperienze professionali, i rappresentanti dei vari Corpi della Marina.

Come il commissario di 1a cl. Dante Parenti che in nove puntate (dal giugno 1891 all’aprile 1892) illustra l’orga-nizzazione degli istituti di istruzione navale all’estero, mentre il tenente commissario Angelo Mori nel set-tembre 1907 (con R.D. 100/1904, ricordiamo, era stata fissata la nuova denominazione dei gradi degli ufficiali dei Corpi militari della R. Marina) delinea a sua volta le conclusioni del quarto convegno geografico interna-zionale. Quindi il capitano medico Miranda ci parla del servizio sanitario in tempo di guerra, mentre il tenente colonnello Federico Rho spiega la funzione della Croce Rossa e le sue competenze secondo le convenzioni inter-nazionali. Nel fascicolo di agosto-settembre 1901 inizia la sua collaborazione con la Rivista «l’applicato di porto»

Giulio Ingianni con un intervento sull’equilibrio sociale nella legislazione marittima, mentre «l’ufficiale di porto»

Francesco Pasciuto si sofferma sulla normativa inerente agli infortuni e alle malattie della gente di mare,

entram-Un’immagine di Thaon di Revel da Tenente di Va-scello (USMM). Accanto, il brigantino PALINURO, un due-alberi a vele qua-dre inteso da Revel come insostituibile scuola ma-rinaresca ai fini dell’ad-destramento del personale (archivio Revel).

Continua in maniera sempre più nutrita l’apprezzata collaborazione anche di studiosi civili con tutta una se-rie di interventi sulle problematiche giuridiche e sugli aspetti economici della navigazione marittima.

In merito ricorderemo i contributi di Salvatore Orlando sul tema tecnico delle costruzioni navali e nientemeno che un intervento di Guglielmo Marconi nell’aprile del 1905, in cui il grande inventore dà notizia ai lettori della Rivista dei «recenti progressi della telegrafia senza fili».

Senza dimenticare anche il fattivo intervento degli uffi-ciali dell’Esercito, tra cui, nel periodo in esame, vorrei menzionare almeno il generale Luchino Dal Verme e il colonnello Cesare Airaghi, destinato poi a cadere sul campo di battaglia di Adua, MOVM «per aver condot-to replicate volte all’assalcondot-to il suo reggimencondot-to, dando splendido esempio di slancio e coraggio».

Una delle novità del periodo è costituita dal rinnovato interesse per la storia (ben 150 articoli), con le firme di Augusto Vittorio Vecchj e Francesco Corazzini, del prof. Pietro Vigo e del comandante Prasca sulla storia della Marina sabauda e, soprattutto, di Camillo Man-froni, insegnante all’Accademia Navale dal 1886 al 1896 (e poi nelle università di Genova, Padova e Roma) che, La copertina del

nume-ro speciale della Rivista Marittima, datato marzo 1974, dedicato al cente-nario della nascita di Gu-glielmo Marconi.

Accanto, un’immagine riprodotta nel fascicolo aprile 1905, tratta dall’Il-lustrazione italiana. L’epi-sodio a cui fa riferimento il giornale dell’epoca ri-guarda gli esperimenti del telegrafo senza fili eseguiti i primi di luglio 1897 a Roma, presso il Ministero della Marina, all’epoca in via della Scrofa. L’allora ministro della Marina, Benedetto Brin, avendo compreso l’importanza dell’invenzione di Marco-ni, diede grande impor-tanza e ampia pubblicità alle dimostrazioni, tenute

sarà veramente una colonna della Rivista nel periodo che va dal 1894 al 1927.

Certo è che negli studi di storia navale domina quasi incontrastata la histoire bataille che privilegia la rico-struzione del singolo avvenimento e tende a rivisitare il passato in funzione del presente. Ad esempio, il ruolo svolto dalla flotta italiana nella crisi cretese di fine se-colo richiama inevitabilmente tutta una serie di studi sul ruolo svolto dalle marine delle repubbliche marinare nel Levante. Ovvero sviluppa un rapporto «paradigma-tico» con la cronaca navale contemporanea alla ricerca di facili conferme o di improbabili lesson learnt (che, all’epoca, sembrano affluire in gran copia con le vicende del conflitto cino-giapponese del 1894-’95, ispano-ame-ricano del 1898 e, infine, quello russo-giapponese del 1904-1905).

Tra le analisi ancor oggi interessanti dei conflitti dell’e-poca,  gli studi del comandante Avallone sulla battaglia dello Ya-Lu, di Domenico Bonamico sulle vicende della guerra ispano-americana (alla quale la Rivista, tra l’al-tro, dedicò, ben quattro supplementi) e del conflitto russo-giapponese.

Tema su cui interverrà anche il tenente di vascello Levi

IL DIBATTITO NAVALE

Il TV Romeo Bernotti (1877-1974), vincitore del concorso bandito dalla Rivista Marittima nel fascicolo di gennaio 1907 (Foto USMM).

La corazzata a torri VIT-TORIO EMANUELE dal-la Rivista Marittima del maggio 1908.

si retorica patriottarda, la Rivista, con il consueto senso della misura, si limita sic et simpliciter a raccogliere «le relazioni che accompagnano i regi decreti e quei docu-menti di ragion pubblica che appaiono più interessanti»

(e un tale profilo, sul modo cioè in cui si fa storia con-temporanea sulle pagine della Rivista Marittima, deve essere tenuto presente anche per la rappresentazione delle vicende delle due guerre mondiali).

Avviandoci verso il primo Cinquantennio di vita, assi-stiamo a un vero e proprio ribaltamento dei rapporti tra la Rivista e la pubblicistica straniera. Abbiamo visto come la Rivista, nei suoi primissimi anni di vita, dipendesse spesso da fonti straniere, i cui articoli più importanti venivano integralmente riprodotti o riassunti  nelle ru-briche di informazione (pensiamo soprattutto agli scritti tratti dalla Revue Maritime et Coloniale, dalla Revue des deux Mondes, dal Journal of the RUSI, dal Naval Sciences, Quarterly Review, Nautical Magazine, Engineering, tanto per citare le fonti stranierei che compaiono più spesso).

Col passare degli anni ci accorgiamo invece come sono gli autori italiani a trovare un credito e uno spazio sem-pre maggiore nelle riviste specializzate straniere, spesso con gli stessi articoli della Rivista Marittima tradotti e pubblicati all’estero. Lo stesso Bernotti ricorda i consen-si suscitati sulle riviste tecniche delle principali Marine da alcuni suoi articoli, quali «La velocità nella tattica navale», «La forza della divisione» e «Il posto dell’ammi-raglio» e, in particolare, come gli ultimi due fossero stati addirittura tradotti dal Journal of the RUSI ed avessero avuto una vasta eco anche negli Stati Uniti. Un grosso passo avanti dunque per la Rivista Marittima che,

me-LA PUBBLICITA’

Nel documento RIVISTA MARITTIMA (pagine 57-62)