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RIVISTA MARITTIMA

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Academic year: 2022

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La storia, gli autori, le idee

150 ANNI

RIVISTA MARITTIMA

Ezio Ferrante

Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione

1868-2018

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UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE FABIO AGOSTINI, Capo dell’Ufficio

STEFANO ROMANO, Coordinatore Progetto editoriale RIVISTA MARITTIMA

DANIELE SAPIENZA, Direttore Responsabile

RAFFAELLA ANGELINO, Coordinatrice Progetto grafico - Ricerche d’Archivio GIORGIO CAROSELLA, Ricerche d’Archivio

GAETANO LANZO, Segreteria Archivio UFFICIO IMMAGINE E PROMOZIONE

ALESSANDRO MARIA DIONIGI, Capo dell’Ufficio SEZIONE EDITORIA E GRAFICA PROMOZIONALE VALERIO MAGLIOLA, Capo della Sezione

MARCO SANTAMARIA, Art director - Progetto grafico FOTOARCHIVIO RIVISTA MARITTIMA

UFFICIO STORICO MARINA MILITARE

Copyright © 2018

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PRESENTAZIONE - DIRETTORE RIVISTA MARITTIMA PREFAZIONE - CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA

PARTE I

ALLE ORIGINI DELLA RIVISTA MARITTIMA 1868-1885

CAPITOLO I - MARINA E GIORNALISMO CAPITOLO II - I PRIMI ANNI DELLA RIVISTA MARITTIMA CAPITOLO III - LO SPECCHIO DELLA MARINA

PARTE II

LA GRANDE POLITICA NAVALE 1886-1918

CAPITOLO I - IL DIBATTITO NAVALE CAPITOLO II - LA DIFESA DELLO STATO CAPITOLO III - LA VITTORIA ADRIATICA

PARTE III

DA GUERRA A GUERRA 1919-1945 CAPITOLO I - UTOPIE DI DISARMO E PROGRAMMI NAVALI CAPITOLO II - IL “MARE NOSTRUM”

CAPITOLO III - L’ESPERIENZA DELLA GUERRA

PARTE IV

DAL SECONDO DOPOGUERRA ALLA FINE DELLA GUERRA FREDDA 1945-1991

CAPITOLO I - UN CONTRIBUTO STORIOGRAFICO CAPITOLO II - AL PASSO CON I TEMPI CAPITOLO III - IL CREPUSCOLO DELLA GUERRA FREDDA

PARTE V

IL NUOVO DISORDINE MONDIALE (DAL 1991 AI NOSTRI GIORNI) CAPITOLO I - LA GRANDE ILLUSIONE CAPITOLO II - FRA CRONACA E STORIA

APPENDICE I - I DIRETTORI DELLA RIVISTA MARITTIMA APPENDICE II - I REGOLAMENTI APPENDICE III - LA BIBLIOGRAFIA

Pag. 5 Pag. 7

INDICE

Pag. 11 Pag. 19 Pag. 35

Pag. 57 Pag. 70 Pag. 82

Pag. 97 Pag. 113 Pag. 123

Pag. 137 Pag. 146 Pag. 166

Pag. 177 Pag. 194

Pag. 210 Pag. 212 Pag. 218

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PRESENTAZIONE

Benvenuti a bordo, cari lettori. Vi aspetta un viaggio per mare lungo 150 anni. Questo volume, celebrativo di un secolo e mezzo dalla fondazione della Rivista Marittima, è come una lunga traversata nel tempo, un viaggio particolare che, grazie alla capacità di ricerca, analisi e introspezione dell’autore, l’Ammiraglio Ferrante, vi per- metterà di scoprire eventi, personaggi e protagonisti affascinanti della nostra storia navale e marittima, della nostra Marina Militare.

La data di partenza è il 1° aprile 1868. Era un’epoca un po’ naive e romantica; il modo di parlare, di scrivere e anche di intendere la vita erano diversi. Era anche un momento particolare di transizione, nel quale la cultura romantica lasciava spazio a un positivismo che nel progresso scientifico e nell’affermazione del pensiero eco- nomico del liberismo vedeva nuovi orizzonti di sviluppo per la società, per l’uomo in generale. Tutto questo si avvertiva profondo e sentito nella Marina dell’epoca, da sempre anticipatrice di cambiamenti. Sfogliando le pagine iniziali del libro vi accorgerete di come il progresso e la tecnica navale si intreccino ai resoconti dei pri- mi lunghi viaggi delle nostre unità navali intorno al mondo. Erano viaggi che già guardavano “oltre l’orizzonte”, che immaginavano quanto potesse accadere, che sognavano un mondo libero dove il commercio e il progresso tecnologico fossero elementi essenziali di una società feconda, prospera e intellettualmente viva. Scriveva il Ca- pitano di Fregata Carlo de Amezaga, primo Direttore della Rivista: «col mostrare in terre straniere la bandiera nazionale, aumenta la considerazione, dall’aumento di questa nasce l’amicizia, l’amicizia produce i trattati com- merciali ed i trattati commerciali suscitano le forze vive del paese». Erano veramente anni straordinari, ricchi di fiducia nell’uomo, nel progresso scientifico, economico, tecnologico. Erano anche anni dove si svolgeva un grande dibattito marittimo e navale e, proprio grazie alla Rivista, si affermava nel Paese un pensiero marittimo nazionale cercando di superare il pregiudizio continentale, che vedeva le sorti del neonato Regno d’Italia uni- camente legate a scontri sul campo di battaglia terrestre, come argutamente nota l’autore.

Lo scoppio della Grande Guerra non vide la Rivista impegnata in disquisizioni sull’impiego delle Forze bensì continuò, come nel tempo di pace, a coltivare tecnica e pensiero, riservandosi una libertà intellettuale invidia- bile. Al termine dell’immane conflitto annotava Romeo Bernotti, uno dei maggiori studiosi italiani di strategia navale e strenuo proponente della necessità di un’aviazione navale, come: “ per la Marina era giunto il momento di riflettere sulla guerra che avevamo combattuto e sui nuovi problemi della difesa nazionale”. E Romeo Bernot- ti collaborerà con la Rivista per ben 69 anni!

Il viaggio continua e dopo la Conferenza di Washington del 1922 sulla limitazione degli armamenti navali e il naufragio del grande progetto collettivo del disarmo globale, si assisté sulle pagine della Rivista alla ripresa di un intenso dibattito sui nuovi indirizzi delle costruzioni navali militari, che prelude al riarmo degli anni Trenta.

Interessante a questo punto notare come anche nel periodo tra le due guerre mondiali, i temi ideologici e pro- pagandistici tipici dell’epoca non avevano sulla Rivista quella presa che ci si potrebbe immaginare. Al contrario, i temi di strategia navale venivano trattati con concretezza e seria applicazione e la discussione verteva su quelle

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che potevano essere le dinamiche di una eventuale guerra.

Il periodo della Seconda guerra mondiale fu, come da immaginarsi, un periodo molto difficile anche per la Rivista. Essa però, vale la pena ricordarlo, continuò la pubblicazione, seppure a numeri più limitati, sino al luglio-agosto 1943, a ridosso cioè delle drammatiche vicende armistiziali, per riprenderla e integrarla subito dopo la liberazione di Roma. Nel volume, i lettori troveranno al riguardo interessantissimi spunti di riflessione fra i quali merita particolare attenzione quello a firma De Grossi del luglio-dicembre 1944, intitolato «OB- BEDIENZA», a seguito dell’armistizio, nel quale l’autore sottolinea come gli Uomini della Marina, da sempre e in qualunque circostanza hanno sempre manifestato e sempre manifesteranno: “senso del dovere, fedeltà, disciplina”.

Il secondo dopoguerra vide la Rivista nuovamente impegnata in una serie di riflessioni critiche sugli avveni- menti occorsi ed erano spesso gli stessi interpreti dei fatti d’arme sul mare a scrivere sulle sue pagine.

Era cominciata, però, l’era del nucleare e sulle pagine della Rivista l’immanenza di scenari da Guerra Fredda assorbirono gran parte degli scritti. Fu anche, però, il momento di una nuova rinascita per l’Italia e per la Ma- rina. Gradualmente essa diventò uno strumento sempre più moderno e inserito efficacemente nell’ambito del contesto delle Alleanze.

Infine, a conclusione del viaggio, si arriva ai giorni nostri. Eccoci: siamo ancora qui. Dalla plancia della Rivista studiamo e riflettiamo insieme sulle questioni di geopolitica marittima, esploriamo le tematiche sulla ricerca scientifica e militare, proponiamo un interesse per i temi legati all’ambiente marino, a uno sfruttamento soste- nibile ed equilibrato del “mondo blu”. Il nostro indirizzo è sempre e solo al servizio del Paese, convinti che il mare e la marittimità siano una grande e feconda opportunità di progresso e di sviluppo: tanto importante da dedicargli tutte le nostre energie, la nostra vita, per proteggerla, sostenere e fortificare.

Per concludere la presentazione, mi sia consentito di ringraziare coloro i quali hanno permesso di realizzare questo volume. In primis l’autore, l’Ammiraglio Enzo Ferrante. Sono anni che conduce studi sui nostri 591 volumi (circa 1.800 numeri, più di 16.000 articoli). Il suo nome resterà per sempre legato alla storia della Ri- vista Marittima. Inoltre, desidero rivolgere un grato ringraziamento al precedente Direttore della Rivista, il Capitano di Vascello Stefano Romano, che ha curato, davvero con certosina devozione, tutto il coordinamento del progetto editoriale. Desidero anche ringraziare tutta la Redazione della Rivista Marittima e il personale grafico dell’Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione dello SMM. Infine i miei ringraziamenti vanno al Contrammiraglio Agostini, che ha sempre creduto in noi e che ha fortemente voluto, sostenuto e guidato l’intero progetto.

Il Direttore della Rivista Marittima Capitano di Vascello Daniele Sapienza

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PREFAZIONE

Aprile 1868: centocinquanta anni fa vedeva la luce il primo numero della Rivista Marittima. Il tempo è passato, gli scenari geopolitici sono evoluti e mutati, la tecnologia e la globalizzazione hanno sostanzialmente modifica- to il concetto di tempo, di distanza e di spazio geografico. Le profonde connessioni e l’interdipendenza sistemi- ca nel campo dell’economia, della finanza, nel settore dei trasporti e dei servizi, oltre che in quello informatico e cibernetico, hanno creato una ramificata e articolata rete di scambio, di comunicazione e in particolare di distribuzione. La dimensione marittima diviene sempre più elemento strategicamente abilitante e funzional- mente vitale, ma non solo.

Si assiste, infatti, ad un rapido sviluppo di un’economia correlata alle risorse del mare, sopra e sotto la superficie grazie alle crescenti capacità di sfruttamento di grandi quantità di combustibili fossili e noduli polimetallici presenti nel sottosuolo marino che possono realisticamente trasformare il panorama geopolitico di intere aree del pianeta.

Tutto questo non rappresenta una sorpresa poiché l’importanza delle potenzialità marittime fa parte di un pen- siero immanente che ha intriso e permeato la nostra storia millenaria dai tempi dei romani, passando dall’unità d’Italia, fino ai nostri giorni.

Proprio all’indomani dell’unità d’Italia, il primo Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia — nonché Ministro degli Affari Esteri e Ministro della Marina (ad interim) — Camillo Benso, conte di Cavour, ri- vendicava l’importanza di dare sviluppo alle risorse navali del Paese. Pochi anni più tardi, nel febbraio del 1868, dopo la sconfitta di Lissa, in un momento delicato per la storia del neo costituito Stato italiano, dove la battaglia persa era percepita dalla nazione come una grande e umiliante disfatta, il ministro della Marina Augusto Anto- nio Riboty, in vista di traguardi lontani e illuminato da una visione strategica di lungo respiro, tanto più ampia e più audace in quanto maturata in un momento poco favorevole, poneva con determinazione e coraggio le basi dello sviluppo di una politica marittima degna di un Paese a vocazione marinara come l’Italia. Al Parlamento disse: “Non vi è nessuno che ponga in dubbio che il nostro Paese, per la sua posizione geografica, per l’immen- so sviluppo delle sue coste, per le numerose e ricche sue isole, per il suo esteso commercio, e finalmente per le sue tradizioni, non sia un paese eminentemente marittimo”, e per concludere con parole quasi profetiche se rilette alla luce dei moderni scenari: “…proteggere gli interessi marittimi della nazione e costituirle una giusta influenza nella bilancia della politica europea”.

La Rivista Marittima fu fondata dal Ministro della Difesa pro-tempore, proprio per costituire una palestra di pensiero navale e marittimo, uno strumento di formazione con il quale avvicinare ed educare gli Ufficiali di Marina e la classe dirigente alle tematiche marittime.

Era l’inizio, come illustrato in questo prezioso volume, di un percorso ricco di immagini e dal contenuto stori- co affascinante, per far crescere e rafforzare un pensiero che progressivamente è stato condiviso, partecipato e sviluppato nelle menti, non solo di insigni studiosi e eminenti esperti, ma anche di tutti coloro interessati alla materia e, perché no, magari solo attratti dalla sua bellezza.

Un patrimonio culturale e di pensiero frutto di un vivace dibattito mai venuto meno. La Rivista Marittima è diventata nel tempo un osservatorio privilegiato sul mare, come il ponte di comando di una nave a bordo della quale possono imbarcare tutti coloro i quali vedono nella nostra dimensione una vera opportunità di sviluppo, crescita e progresso.

E da questo ponte, guardando oltre l’orizzonte è naturale svolgere alcune considerazioni.

L’area geopolitica di interesse marittimo nazionale, che corrisponde agli interessi primari del Paese, non può

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non partire dal Mediterraneo. Esso rappresenta, da sempre, la culla della nostra storia, nonché crogiuolo di crescita e di progresso del mondo moderno, economicamente sviluppato e connesso come oggi lo conosciamo.

La chiave di lettura moderna del Mediterraneo evolve, peraltro, nel concetto di mare geograficamente chiuso e definito ma geopoliticamente aperto e nel quale si registrano gli effetti le cui cause rilevano da ben oltre i suoi confini.

La percezione e l’estensione dello spazio marittimo di interesse nazionale si sono infatti allargate nei bacini d’influenza circostanti. La necessità di fonti sicure di approvvigionamento energetico, il susseguirsi di crisi nel Medio Oriente e nei Paesi del Golfo, hanno spostato il focus nazionale verso aree a noi limitrofe ma più lontane, per poi includere l’Oceano Indiano e il Golfo di Guinea, con la rinascita della pirateria che ha rappre- sentato e rappresenta, insieme al terrorismo, ai traffici illegali e all’uso illecito del mare, la frontiera delle nuove minacce. Si è parlato, a partire dagli anni ‘90, anche su questa Rivista, di “Mediterraneo allargato” intendendo con questo termine una dimensione geografica e di interessi, geopolitici e geoeconomici più ampi. Oggi, ana- lizzando gli accadimenti occorsi e le nuove dinamiche sviluppatesi a seguito della disintegrazione del mondo bipolare, assistiamo sempre più ad un “forte” sistema multipolare frammentato, pervaso dal riacuirsi, anche cruento, di frizioni di faglia tra comunità diverse. In tale contesto osserviamo poi come la Cina si avvicini, sempre più, attraverso una competizione economica e strategica marittima, basata soprattutto sulla cosiddetta

“nuova via della seta”. La Russia ritorna nel Mediterraneo in una logica di presenza e di ruolo nella geopolitica mediorientale. Lo spazio di interesse nazionale assume quindi connotati più globali, i confini si allontanano e sfumano, non già per nostro volere, ma bensì perché subiamo l’influenza e le conseguenze di eventi lonta- ni. Il dominio marittimo diventa nel contempo uno strumento abilitante sempre più ampio e funzionale allo sviluppo degli interessi nazionali, economici e politici. Ecco che il Sud-Est asiatico, fino all’Australia, evolve in un’area importante di scambio economico, di interazione e di confronto. L’Artico assume un’importanza nuova e rilevante, sia da un punto di vista economico e di sicurezza (basti pensare ad ipotesi di nuove rotte polari del nord) sia da un punto di vista climatico. Oggi più che mai il benessere, la sicurezza e la prosperità nazionale di- pendono dalla nostra capacità di sfruttare appieno le potenzialità di una globalizzazione che la dimensione ma- rittima rende sempre più vicina, fruibile e economicamente vantaggiosa, a patto che la stessa sia salvaguardata e protetta, nonché sfruttata a beneficio di tutta la collettività secondo criteri anche ecosostenibili, governando e controllando le emergenti tendenze alla territorializzazione dell’alto mare e alla marittimizzazione delle crisi, dei confinanti se non dei conflitti.

L’analisi, lo studio comparato, l’individuazione e la sollecitazione delle linee evolutive sopra richiamate trova nella Rivista Marittima la naturale sede di presentazione, discussione e confronto. Ciò è segno dell’attaccamen- to, dell’affetto manifesto e mai venuto meno per la Rivista, quale espressione della Marina Militare, istituzione che si colloca fra le migliori del Paese, molto stimata e apprezzata in patria e all’estero: dobbiamo essere fieri di disporre di una “grande Marina”.

Sono lieto pertanto di celebrare l’anniversario della Rivista Marittima, che per oltre 150 anni naviga al fianco della Forza Armata, suscitando passione ed entusiasmo tra i lettori che nel mare e nella marittimità vedono un futuro vivificante di prosperità per l’Italia.

Il Capo di Stato Maggiore della Marina Ammiraglio di Squadra Valter Girardelli

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PRIMA PARTE

Alle origini della Rivista Marittima

1868 - 1885

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Nella Regia Marina sabauda essere tacciato dell’epiteto di «giornalista» non si poteva certo considerare un compli- mento. Nella R. Scuola di Marina di Genova, istituita nel 1815 dall’ammiraglio Des Geneys sulle alture di Monte Galletto, nell’ex convento delle Carmelitane scalze dedicato a S. Teresa, frequentata dal fior fiore dell’aristocrazia savoiarda, nizzarda e genovese (anche se aperta alle famiglie dell’alta borghesia), «i giornali erano severamente proibiti» e solo ai «grandi» (cioè agli allievi degli ultimi tre anni del corso) era concesso tutt’al più di leggere, du- rante la ricreazione, la Gazzetta Ufficiale o le Illustrated London News.

Due rare immagini della R.

Scuola di Marina di Geno- va, attiva dal 1815 al 1881 quando, insieme alla sua

MARINA E GIORNALISMO

PARTE I - ALLE ORIGINI DELLA RIVISTA MARITTIMA

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Se dunque l’anatema investiva direttamente e senza ec- cezioni la stampa quotidiana, ritenuta «lettura indegna di un militare», qualche eccezione veniva fatta invece per la stampa periodica, come ricorderà nel volume au- tobiografico Memorie di un Luogotenente di Vascello un allievo degli anni Cinquanta dell’Ottocento, Augusto Vittorio Vecchj.

Quale poteva essere allora lo strumento espressivo, il veicolo delle idee di un ufficiale di Marina del tempo che, a norma delle Istruzioni per il servizio dei bastimen- ti da guerra del 1826, doveva pur sempre «consacrare tutti i suoi momenti al disimpegno delle funzioni del proprio stato e all’acquisto delle molteplici e profonde cognizioni che gli sono indispensabili: che dessi ben sanno non bastare ad un Comandante di bastimento da guerra, quando voglia alquanto distinguersi, l’essere perito nelle scienze nautiche, in quelle dell’artiglieria, dell’architettura navale, e dell’idraulica, ma che deve anche essere geografo e persino naturalista; ch’egli deve essere al fatto degli interessi commerciali e delle leggi e regolamenti consolari e di navigazione del Regno, come di tutti i Paesi?».

Limitando i propri interessi strettamente al campo tec- nico-scientifico, rifuggendo da ogni polemica spiccio- la e volendo soprattutto rimanere padroni del proprio pensiero, all’ufficiale di Marina che volesse esprimere il proprio punto di vista, al di là delle «memorie, rapporti e giornali di bordo» che ritroviamo nella pratica pro- fessionale, non si prospettava altra via che veicolare le proprie idee  mediante opuscoli monografici, per lo più

In buona sostanza, si sentiva la mancanza di una pale- stra espressiva più agile, che superasse le difficoltà ac- cennate e, soprattutto, che offrisse la possibilità di un dibattito a più voci, garantendo del pari una serietà e un’obiettività tale da superare «quel pregiudizio peda- gogico» improntato alla diffidenza nei confronti della stampa, instillato da un certo tipo di educazione mili- tare che, come mostreranno i fatti, sarà molto lento a scomparire.

In verità, nello stesso ambito ministeriale della Marina (dicastero istituito da Cavour il 21 gennaio 1860), c’era stata l’esperienza di un Giornale di Marina, per inizia- tiva di un funzionario civile del Ministero stesso, il na- La copertina del volume

autobiografico di Augusto Vittorio Vecchj,  Memo- rie di un Luogotenente di vascello (edizione 1897), in cui ritroviamo prezio- se notizie sulla genesi e i primi passi della Rivista Marittima.

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ca del Ministero della Marina di Firenze, all’epoca Ca- pitale del Regno (con sede a Palazzo Frescobaldi, già convento dei frati Barbetti) erano conservate «diverse pubblicazioni scientifiche» che potevano essere date in lettura agli ufficiali insieme ad altri giornali che, una volta visionati dal Gabinetto del Ministro, venivano poi restituiti alla Biblioteca «per essere spediti all’Armata e alla Divisione d’America».

Uno «spaccato» interessante della situazione interna della Marina nei rapporti con la pubblicistica, un set- tore dove peraltro, da qualche anno, stavano emergen- do tutta una serie di iniziative, come la fondazione nel 1856 della Rivista Militare Italiana dei fratelli Luigi e Carlo Mezzacapo, già ufficiali dell’Esercito borbonico o il quotidiano Il Corriere mercantile, portavoce della

«Genova imprenditoriale e moderatamente progres- sista», o ancora il periodico Nuova Antologia, apparso sempre a Firenze Capitale nel gennaio del 1866 sotto la direzione di Francesco Protonotari. Tutto sommato, non era poi male per un Paese che, alla fine degli anni Sessanta dell’Ottocento, nel campo del giornalismo d’informazione, pur con un «giornale» (quotidiano e periodico) ogni 24.075 abitanti, poteva collocarsi al ter- zo posto «nella graduatoria della stampa europea, subi- to dopo la Francia e la Gran Bretagna!». 

In un tale contesto, caratterizzato dalla progressiva af- fermazione della pubblicistica come veicolo di infor- mazione, opinioni e discussioni, in cui si cominciano a erodere i pregiudizi tradizionali verso «i teorici ed i di Marina» abbondano essenzialmente le traduzioni e

non della miglior specie («robaccia di seconda mano, se non di terza», sempre secondo il Vecchj), intervallate di tanto in tanto da qualche articolo originale, a opera soprattutto di quel gruppo di ufficiali veneti provenienti dai ranghi della Marina austro-ungarica (come Finca- ti, Bucchia e Maldini), che durante il periodo del loro esilio avevano maturato esperienze giornalistiche. In altre parole, sembrava che gli interessi professionali de- gli ufficiali si limitassero alla lettura del solo «Giornale Ufficiale di Marina».

L’abbonamento annuale costava sette lire, 970 all’anno

1861, Contrammiraglio in uniforme di mezza gala, Sotto Ingegnere di 1^ clas- se e Sotto Commissario Effettivo in uniforme or- dinaria. Dal Calendario della Marina Militare del 1978 dedicato alle unifor- mi della Marina prima dell’Unità con illustra- zioni di Bruna Pecciarini Gay.

MARINA E GIORNALISMO

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L’ISTITUZIONE DELLA RIVISTA

La storia della Rivista al suo apparire si rias- sume in pochi ma pregnanti dati: è stampata a Firenze, presso la tipografia Cotta (con sede al Palazzo degli Uffizi «in via della Ninna, accan- to al n.1»); come fregio di copertina riporta il bottone della divisa da ufficiale del tempo; di- pendenza gerarchica dalla Direzione generale del Personale e Servizio militare.

Solo da fonti di riferimento esterne sappiamo

che il primo direttore per due anni è stato il

Luogotenente di Vascello Carlo De Amezaga

(1835-1899), un ufficiale dal curriculum invi-

diabile che, per esservi stato destinato, ben co-

nosceva i limiti culturali della R. Scuola Navale

di Genova. 

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LA CIRCOLARE DEL MINISTRO RIBOTY

È stato osservato come nel primo fascicolo della neonata Rivi-

sta Marittima non ci sia né la presentazione di un programma

né una nota di introduzione. Se questa osservazione da un lato

è vera, dall’altro è pur vero che le linee guida programmatiche

della Rivista si possono rintracciare in una circolare ministe-

riale, apparsa sul Giornale Ufficiale della Marina del 15 mar-

zo 1868, firmata da Augusto Riboty, Ministro della Marina nel

1868 all’epoca della nascita della Rivista Marittima, che indi-

ca «come principali e forse unici collaboratori» gli ufficiali dei

Corpi della R. Marina, proponendo come scaletta di argomenti,

in rapida successione: «le relazioni tecniche, i rapporti relativi

ad operazioni ed esercizi di qualsiasi genere, resoconti sui prin-

cipali lavori e costruzioni in progetto e in corso di esecuzione

negli arsenali marittimi dello Stato, le relazioni dei lavori, cro-

ciere e operazioni, che hanno luogo presso le estere Marine, gli

avvisi ai naviganti, la situazione del R. naviglio armato e una

sintesi dei movimenti delle R. navi verificatisi nel corso di ogni

mese». La circolare ministeriale termina poi con un duplice au-

spicio: da un lato, «una lunga, utile e vigorosa vita» alla Rivi-

sta, dall’altro, la speranza che «gli ufficiali studiosi in particolar

modo accoglieranno con soddisfazione il mezzo loro offerto,

onde far partecipe l’intera Marina dei vantaggi che i loro studi e

applicazioni saranno per produrre». 

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Rose dei venti tratte da carte nautiche in perga- mena (Georgio Callapoda - Cretense - 1550/1560),

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Quei terribili anni Sessanta dell’Ottocento erano stati anni non certo facili, dato che le sconfitte di Custoza e Lissa avevano profondamente ferito l’orgoglio della Nazione, appena uscita dal Risorgimento nazionale, innescando un caustico e vivacissimo dibattito sulle responsabilità delle sconfitte, per terra e per mare. Un dibattito in cui la stampa per la prima volta si trova a giocare un ruolo di primo piano, anche con la parteci- pazione diretta e personale di molti ufficiali protago- nisti dei fatti d’arme. Al di là degli eventi e dei giudizi contingenti, la denuncia di fondo emersa sulle colon- ne dei giornali e sulle pagine dei numerosi pamphlet del tempo si riferiva soprattutto alla «mancanza di idee e di proposte», all’assenza cioè di un progetto, di un’idea-guida, di un dibattito interno alla Marina sul modo migliore di servirsi di quel potente (e costosis- simo) strumento di guerra costituito dalla modernissi- ma flotta italiana del 1866.

I PRIMI ANNI DELLA RIVISTA MARITTIMA

PARTE I - ALLE ORIGINI DELLA RIVISTA MARITTIMA

«La guerra da nessuno studiavasi - scriverà sempre il Vecchj - i gloriosi atti della guerra americana erano pressoché ignoti e si credeva in buona fede che, dopo le imprese di Ancona, di Gaeta e di Messina, nulla fosse stato sul mare compiuto. Gli ufficiali studiosi tenevasi in conto di visionari e pericolosi [sic] e nei giovani era- no schernite le nobili ambizioni. In siffatte condizioni morali e materiali, la guerra, preparata nel sentimen- to e non nel pensiero, scoppiò inaspettata». L’esigenza quindi di disporre di un organo di stampa in cui espri- mere liberamente le proprie idee e le proprie proposte, in un periodo caratterizzato da profondi cambiamenti tecnologici nelle costruzioni navali militari e nell’arma- mento, con tutte le conseguenze in campo strategico e tattico, venne colta, in maniera lungimirante, proprio da uno degli uomini di Lissa, il nizzardo CA Augusto Riboty (1816-1888), MOVM «per la sua valorosa con- dotta al comando della R. nave RE di PORTOGALLO». 

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Cartolina celebrativa dell’impresa umanitaria compiuta da Carlo De Amezaga, primo direttore della Rivista Marittima, comandante dell’Authion nel 1873, durante le vi- cende dell’insurrezione di Cartagena, nella parte sud-orientale della Spa- gna. Per il suo «energico comportamento» in tali drammatici frangenti venne promosso Capitano di fregata.

I PRIMI ANNI DELLA RIVISTA MARITTIMA

Deputato e per ben tre volte ministro della Marina (dal 1868 al 1873), «intese che, in quel momento, occorreva suscitare in Italia, e non solo in Marina, l’interessamento alle questioni navali e che bisognava illustrare e spiega- re le ragioni che informavano la creazione di una flotta da guerra efficiente ed agguerrita; vide che le finalità che si proponeva di raggiungere potevano essere persegui- te anche attraverso un periodico specializzato e così ne promosse la pubblicazione». In tale maniera l’ammira- glio-ministro voleva offrire alla Nazione e alla Marina

«una palestra di studi navali, tecnici e scientifici, per chiunque sia in grado e desideri di contribuire cogli studi stessi all’interesse scientifico e allo sviluppo della Marina militare e mercantile».

Il primo fascicolo della Rivista presenta, in 108 pagi- ne, dieci articoli, venticinque avvisi ai naviganti e un

coli ben sei hanno un carattere puramente informativo (trattando rispettivamente del porto di Kiel, degli Ospi- talieri del mare, delle «montagne di ghiaccio» nell’At- lantico, dei problemi della navigazione nel Bosforo,

«dell’oceano glaciale e delle spedizioni al polo artico», discussione di un problema di nautica).

Tra i contributi scientifici rileviamo una «Relazione»

del luogotenente di vascello Magnaghi  sulla missione per l’acquisto di strumenti astronomici e geodetici con una ricognizione comparativa sui servizi scientifici delle Marine inglese e francese; alcune «Considerazioni» del luogotenente di vascello Carlo Rossi sulla tattica dei ba- stimenti a vapore; un «sunto» della teoria dell’urto dei proietti di artiglieria del generale Giovanni Cavalli e, in- fine, il «rapporto» sulla navigazione nei canali della Pa- tagonia della pirocorvetta MAGENTA, che, al comando

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E in quel primo fascicolo della Rivista, come d’altra par- te in quelli apparsi nel suo primo anno di vita, possiamo individuare come tono dominante la netta prevalenza del profilo tecnico-scientifico che, per il momento, con una precisa articolazione tematica, sembra attestarsi decisamente sulla divulgazione di studi ed esperienze maturate nello stretto ambito del servizio. 

Così nei primi fascicoli, alla discussione di arte militare marittima (soprattutto inerente a problemi di tattica e di difesa costiera), ai minuti resoconti di viaggio, ric- chi di spunti etnografici e di valutazioni geopolitiche, alla descrizione analitica dei lavori idrografici, seguo- no spesso studi sulla fabbricazione di artiglierie e dei proietti, osservazioni sulla composizione e utilizzazio- ne delle polveri, risultanze delle esperienze di tiro, di- battiti sui nuovi tipi di navi, disamina di nuovi siste- mi di astronomia nautica e studi per la messa a punto di nuovi strumenti per la condotta della navigazione, con un interesse crescente per i problemi di organica e di storia (sebbene agli inizi soprattutto storia della navigazione e dell’astronomia), con un occhio sempre attento all’attualità internazionale dei problemi marit- timi nel loro complesso. Già nel fascicolo del giugno 1868 viene introdotta la prima maxi-rubrica, intitola- ta Cronaca, che raggruppa, nel suo nutrito palinsesto informativo, le notizie ritenute più rilevanti nel campo

tecnico. Se in un primo tempo alla Rivista vediamo av- vicinarsi soltanto collaboratori in uniforme, ben presto anche i “borghesi” iniziano a collaborare, cominciando dagli insegnanti delle Scuole di Marina, sia di Genova che di Napoli (Morchio e Bonolis), che intervengono con «lavori originali» e «proficue discussioni», mentre progressivamente appaiono anche le firme di rappre- sentanti del mondo scientifico, accademico e politico.

E se è vero che «le forze morali di una Marina formano altissimo coefficiente alle puramente materiali e ne au- mentano assai il valore effettivo», la Rivista, con la sua costante e quotidiana opera di ricerca, studio e divul- gazione di temi marittimi, contribuisce gradatamente a rimuovere la psicosi di Lissa e le cause che l’avevano determinata. 

«Così il risveglio della nostra coscienza navale assopitasi, la rigenerazione del naviglio, la creazione di una marina nazionale propriamente detta [cioè costruita negli arse- nali nazionali anziché in quelli stranieri come era stato perlopiù con la flotta di Lissa], traggono origine da una manifestazione letteraria calda, moderna per forma e per sostanza - ci fa rilevare ancora il Vecchj che, in un certo qual senso, possiamo considerare come il cronista della rinascita dello spirito navale nazionale - Un fiore certo non fa primavera, secondo il dettame popolare, ma cer- tamente l’annuncia!».

Un gruppo di ufficiali a bordo della pirocorvetta MAGENTA, al ritorno del viaggio di circumnaviga- zione del globo (Napoli, 30 marzo 1868).

Sul primo numero della Rivista Marittima trova spazio un ampio reso- conto di una tratta della prima circumnavigazione del globo di una nave della Regia Marina, la corvet- ta Magenta, iniziata nel 1865 e terminata proprio nel 1868 (Foto USMM).

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CARLO DE AMEZAGA, IL PRIMO DIRETTORE

Genovese, dopo le esperienze di navigazione nella marina mercantile, reduce dal- le campagne risorgimentali e dalla battaglia di Lissa, legherà il suo nome, oltre ai prestigiosi incarichi ricoperti (tra cui capo di Gabinetto del ministro della Marina, ammiraglio Saint-Bon e deputato al Parlamento nazionale), alle vicende della pene- trazione coloniale italiana nel Corno d‘Africa e al comando della corvetta Caraccio- lo nel viaggio di circumnavigazione del globo (1881-84, con 35.374 miglia percorse, di cui 16.292 a vela), oltre a rivelarsi un fecondo scrittore, con la pubblicazione di una dozzina di monografie e un’assidua partecipazione alla pubblicistica navale del tempo sui problemi della marina militare e mercantile, per i quali venne insignito della “medaglia d’oro di seconda classe” dal ministero della Marina.

Nel fascicolo di settembre del primo anno della Rivista firmerà l’articolo titolato

«La Marina e le tradizioni». Nel suo diretto contributo sulle pagine della Rivista, De Amezaga richiama quali siano in compiti della R. Marina non solo in tempo di guerra, ma soprattutto in tempo di pace, nel senso che «col mostrare in terre straniere la bandiera nazionale, aumenta la considerazione, dall’aumento di questa nasce l’amicizia, l’amicizia produce i trattati commerciali ed i trattati commerciali suscitano le forze vive del paese». In particolare batte sul tasto dell’importanza delle

«tradizioni» che sono «il frutto dell’esperienza, la scienza che non s’impara né sui

banchi, né sui libri, la forza regolatrice che stabilisce l’armonia tra le idee conserva-

trici e quelle che vorrebbero precorrere la loro epoca». Ed è sempre e solo la Tradi-

zione che rappresenta l’Anima di ogni Marina.

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(...)

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IL PERIPLO DEL MAGENTA

Il viaggio di circumnavigazione del mondo in 870 gior- ni della pirocorvetta  MAGENTA  (autunno 1865-pri- mavera 1868), durante il quale il comandante Vittorio Arminjon, munito di credenziali di Ministro plenipo- tenziario negoziò e firmò i primi trattati di Navigazione e Commercio con il Giappone e la Cina, è il primo dei 21 peripli del globo effettuati dalla R. Marina nel poco più di mezzo secolo che intercorre tra l’Unificazione na- zionale e la Grande Guerra (oltre a settanta campagne oceaniche). Prima testimonianza (riportata nel primo numero della Rivista e nei successivi) dunque, di quel rapporto sempre strettissimo, allora come ora, tra Esteri e Marina, che vede nella nave militare, prima portavoce all’estero degli interessi nazionali, un efficacissimo stru- mento di politica estera. La Rivista Marittima pubblicò il resoconto del viaggio sul primo numero.

La pirocorvetta MAGEN- TA ormeggiata nel porto di Napoli dopo il periplo (Foto USMM).

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(...)

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LA RELAZIONI SCIENTIFICHE

Le campagne all’estero e i giri del mondo delle unità della R. Marina contribuirono al pro- gresso degli studi idrografici, meteorologici e scientifici e alla conoscenza di parti del glo- bo, a quei tempi ancora in parte inesplorate.

Le successive relazioni scientifiche venivano

pubblicate a puntate sulla Rivista Marittima

al termine delle campagne spesso a firma degli

stessi comandanti. A sinistra è riportata una

carta raffigurante l’itinerario del Magenta e la

relativa distribuzione dei vertebrati pelagici a

corredo di una relazione apparsa sul fascicolo

di marzo del 1871. Alla campagna partecipò

anche Enrico Hillyer Giglioli, professore di

Zoologia e Anatomia comparata dei vertebra-

ti nel R. Isttuto di Studi superiori di Firenze,

nonché membro della Commissione scientifi-

ca imbarcata sulla pirocorvetta MAGENTA al

comando del CF Arminjon, che pubblicherà

la Relazione descrittiva e scientifica del viag-

gio in memoria del professore di Zoologia

Filippo De’ Filippi, suo maestro, titolare degli

studi svolti sulla pirocorvetta, scomparso pre-

maturamente.

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LA RELAZIONE DI MAGNAGHI

Giovanni Battista Magnaghi (1839-1902), insigne cultore delle scienze matematiche e nautiche e inventore di strumenti nautici, pubblica sui primi numeri della Rivista una relazione scientifica suddivisa in quattro differenti fascicoli. L’allora Luogotenente di vascello Magnaghi, reduce dalle guerre risorgimentali e da Lissa, è autore del re- soconto minuzioso della missione scienti- fica nel Principato di Monaco, in Francia e Inghilterra, che gli era stata affidata dal ministro Riboty, per l’aggiornamento della strumentazione nautica e geodetica, in vi- sta dell’istituzione nel 1872 dell’Ufficio cen- trale idrografico della R. Marina (poi, dal 1899, Istituto idrografico), di cui sarebbe stato posto a capo, dirigendolo sino al 1888 e portandolo in breve a livelli di eccellenza.

Due navi della Marina Militare hanno por-

tato e portano il suo nome.

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(...)

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IL CANALE DI SUEZ E IL MEDITERRANEO

L’inaugurazione del Canale di Suez il 17 novembre 1869, mettendo in diretta comunicazione il Mediterraneo con sistema marittimo indo-pacifico, ha rappresentato una vera e propria “rivoluzione dei traffici mercantili”

e, quindi, numerosi sono gli articoli che trattano il tema sulle pagine della Rivista in quegli anni. Allora, magari

nell’ottica più limitata della “Valigia delle Indie”, oggi, specie dopo il raddoppio di alcuni tratti del Canale nel

2015, nella prospettiva più generale della “Nuova Via della Seta” - ramo marittimo.

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(...)

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LA PRIMA RUBRICA DI «CRONACA»

Nel fascicolo del giugno 1868 viene introdotta la prima ma- xi-rubrica intitolata Cronaca, che consiste in una miscella- nea di spigolature e aggiornamenti di carattere marittimo e navale. In un periodo di grandi trasformazioni, la nuova ru- brica privilegia gli aspetti tecnico-scientifici, unitamente alla situazione del R. Naviglio armato, che sistematicamente verrà riportato.

(...)

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(34)
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Chi si è accinto sinora alla ricostruzione critica della storia della Rivista ha finito fatalmente per imboccare quelle due vie, per così dire, obbligate che portano, ri- spettivamente, alla rapida rassegna dei principali filoni tematici e dei collaboratori più noti, ovvero si è limi- tato a una semplice rilettura antologica della sua vi- cenda editoriale, pur con notevole sforzo di organicità.

Entrambi i punti di vista non hanno però reso ragione sufficiente di quanto rappresenta il fine che ci si deve proporre in tali circostanze: cercare cioè di ricostruire innanzitutto quale sia stata la linea di pensiero e la cifra editoriale portata costantemente avanti, sullo sfondo delle molteplici vicissitudini della storia e della politica nazionale, che si sono succedute nel lungo arco di tem- po che, da quel lontano 1868, arriva sino ai nostri gior- ni. E la chiave ermeneutica di una tale impostazione è costituita dal tentare di capire, in via preliminare, come la Rivista, sin dai suoi primi anni di esistenza, si sia ac- cattivata un consenso sempre più vasto nella trattazione privilegiata dei problemi del mondo marittimo, sia tra i ranghi della stessa flotta, sia tra gli esponenti più auto- revoli del mondo degli studi marittimi. Nel gennaio del 1870 appare sulla Rivista il primo articolo di Augusto Vittorio Vecchj (1842-1932), allora luogotenente di va- scello, imbarcato sul vascello RE GALANTUOMO, dal

1884). Articolo che per lo scrittore rappresenta la sua prima «dolcissima soddisfazione» come primo inter- vento di una proficua e lunghissima collaborazione con la Rivista, destinata a durare per ben cinquantadue anni.

L’articolo del Vecchj di per sé illustra un aspetto molto importante della storia della Rivista, perché ci mostra, come dal libero dibattito delle idee e dal confronto del- le opinioni, reso possibile dalle sue colonne, si ritrovi spesso in nuce la genesi propositiva di molte innovazio- ni istituzionali marittime destinate a concretizzarsi in seguito in durature realizzazioni. E alla riserva navale, proposta dal Vecchj, potremmo infatti aggiungere, a ti- tolo semplificativo, l’istituzione dell’Ufficio Storico della Marina, dell’Istituto di Guerra marittima, della Scuola Comando e dell’Unione militare.

All’epoca si riteneva infatti che «il giornalista dovesse soprattutto indagare il criterio che intorno ad una qual- siasi questione è tuttavia allo stato di nebulosa nella coscienza della maggioranza pensante, la quale spesso non sa dare forma lucida all’idea. Cogliere questo crite- rio, chiarirlo, svilupparlo colla massima efficacia e bre- vemente, ecco il compito suo. Allora la finalità si conse- gue sempre. Il giornalista deve partecipare della natura dei cani da tartufi: l’idea naturalmente è il tartufo». 

Nel febbraio del 1870 compare il primo scritto di Do-

LO SPECCHIO DELLA MARINA

L’illustrazione è comparsa sulla Rivista Marittima nel febbraio 1875 a corre- do di un testo sulle “esplo- razioni delle profondità marine”.

PARTE I - ALLE ORIGINI DELLA RIVISTA MARITTIMA

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va. Titolo «Sulla resistenza dell’aria al movimento dei proiettili» e anche in questo caso ci troviamo di fronte all’inizio una feconda collaborazione, destinata a durare sino al 1908, su temi, soprattutto, di strategia navale, di cui il Bonamico, uno dei pensatori navali più originali dell’Ottocento, con la sua sterminata bibliografia sarà propriamente l’iniziatore in Italia.

Nell’ottobre dello stesso anno, Carlo Randaccio, storico e direttore generale della Marina mercantile, allora di- pendente dal ministero della Marina, esordisce sulle co- lonne della Rivista con una nota sui «Dizionari di mari- na italiani», affrontando il tema allora spinoso di come poter disporre di una «lingua marinaresca nazionale» in quanto, come sostiene il nostro scrittore, «la disciplina dei governi e la notabile varietà dei dialetti della stessa lingua in Italia portò necessariamente diversità grande di vocaboli nel linguaggio marino, il quale fu soltanto parlato e non mai determinato con un vocabolario». E ritroveremo anche in seguito il Randaccio, nella sua ve- ste professionale di dirigente generale come firmatario delle Relazioni sullo stato della marina mercantile, pun- tualmente pubblicate dalla Rivista, da sempre attenta agli sviluppi del naviglio commerciale.

Nel novembre 1870, appena due mesi dopo la fine del dominio temporale del Papa-Re, compare l’articolo

«L’onda marina» a firma del «Commendatore» Ales- sandro Cialdi (1807-1882), l’ultimo comandante della Marina pontificia, all’epoca una delle figure più note del mondo scientifico marittimo del tempo, membro di prestigiose Accademie e Società scientifiche. E sul- le pagine della Rivista Marittima il Cialdi continuerà

meteorologia. Con rapporti peraltro cordialissimi con la direzione della Rivista stessa, tant’è che, nel fascicolo del luglio 1872, il Nostro accompagna un proprio ar- ticolo con una lettera indirizzata al Direttore, che «si compiacque di invitarlo a tessere un qualche articolo», concludendo con le seguenti parole: «gradisca le espres- sioni del mio rispetto e mi abbia per suo devotissimo servitore».

Ed è una bella immagine vedere come l’ultimo coman- dante della Marina pontificia si inserisca, a pieno tito- lo, tramite la collaborazione alla Rivista, nel più vasto dibattito nazionale a carattere marinaresco nell’Italia uscita dal Risorgimento. E qualche anno dopo sarebbe stato proprio il Cialdi a introdurre un altro esimio col- laboratore, il suo concittadino di Civitavecchia padre Alberto Guglielmotti recensendone in termini estre- mamente lusinghieri la sua «Storia della marina pon- tificia nel Medioevo» in cui, tra l’altro, scrive che: «Il legislatore, il filologo, l’architetto militare, il nocchiero, il costruttore navale, la classe che dell’ameno si pasce, tutti vi trovano abbondante messe di istruzione e di diletto.

Opera classica in ogni ramo».

E lo stesso Guglielmotti (1812-1893) che la stampa del tempo definiva «il primo maestro di arte militare ma- rittima», non tarderà a collaborare direttamente con uno studio dedicato alle «Due navi romane scolpite sul bassorilievo portuense del principe Torlonia», apparso in due puntate nel gennaio e febbraio 1874 e riccamente illustrato.

Sempre agli inizi degli anni Settanta, in tema di ru- briche stabili, accanto alla citata Cronaca, compare La copertina del libro del

Cialdi “Sul moto ondoso del mare”. A destra: Padre Guglielmotti, illustre sto- rico navale, definito dal Vecchj “Padre dell’Armata italiana” (Foto USMM).

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anche ai periodici italiani e stranieri in una sorta di ras- segna stampa del comparto marittimo italiano e stra- niero. Tra gli altri collaboratori del periodo ricordiamo il giurista Jacopo Virgilio, docente all’Università di Ge- nova e un agguerrito gruppetto di geografi, etnologi e antropologi con una serie di interventi e articoli che fi- niscono per rappresentare, con la dovizia delle notizie profuse, una specie di vademecum del viaggiatore del tempo. E questa apertura verso il mondo delle esplora- zioni e dei viaggi non ci deve affatto stupire se consi- deriamo che la Marina con le sue crociere transoceani- che era, nel periodo considerato, lo strumento principe delle conoscenze geografiche e scientifiche, una vera e propria «finestra sul mondo» della Nazione e il marina- io stesso veniva considerato (e non solo in Italia!) come

«le pionnier de la science et le délégué de nos Académies». 

Così, a mano a mano, possiamo rilevare come vengano coinvolti sulle pagine della Rivista i personaggi di spicco del mondo dei viaggi e delle esplorazioni. Come Luigi Ma- ria d’Albertis con un suo reportage sull’Australia e che la- scerà al cugino, il più celebre Enrico Alberto d’Albertis la propria collezione privata conservata al Castello d’Albertis di Genova, oggi sede del Museo delle Culture del Mondo.

Il STV Giacomo Bove, che riferirà ampiamente sull’im- presa della baleniera Vega alla defatigante ricerca e, in- fine, alla conquista del mitico passaggio interoceanico a nord-est tra Atlantico e Pacifico. Cristoforo Negri, presi- dente e fondatore della Società geografica italiana e Man- fredi Camperio, fondatore del battagliero periodico L’E- sploratore. Giornale di viaggi di geografia commerciale.

Agli storici si aggiunge la collaborazione dell’antichista Francesco Corazzini, in perenne polemica col Vecchj, a cominciare dai suoi interventi sul porto etrusco di Luni o sulla battaglia navale di Ecnòmo. E proprio a proposi- to della polemica Vecchj-Corazzini, si può mutuare una precisa linea di condotta editoriale della Rivista: «permet- tere cioè a ogni autore di esprimere liberamente il proprio punto di vista su di una determinata questione, rifuggendo però sempre da polemiche ad personam e, soprattutto, sen- za mai sposare la causa di nessun autore rispetto a quel-

LO SPECCHIO DELLA MARINA

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La Rivista infatti non si è mai prefissa di perseguire degli scoop per incrementare il mercato delle vendite, attizzando la polemica tra studiosi alla ricerca di una maggiore notorietà, ma si è sempre prefissa lo scopo di servire in primis la causa del sapere marittimo, nelle sue variegate articolazioni, a informazione e memoria del lettore, che da sempre ne ha apprezzato l’oggettivi- tà. E questa impostazione, nata agli albori della Rivista, possiamo dire che sia continuata sino ai nostri giorni:

sostenere la causa e la bontà di un’idea, non i singoli personaggi che le formulano, questo potrebbe essere uno dei principi di fondo della Rivista, in una tacita codificazione non scritta. E il consenso espresso dagli studiosi civili si accompagna con l’attiva ed entusiastica collaborazione delle più belle intelligenze dell’Armata (come allora si indicava ancora la flotta militare).

In particolare Benedetto Brin (1833-1898), (13) il ge- niale progettista navale e fondatore dell’industria nazio- nale della difesa nonché personaggio politico di primo piano (tanto da essere stato candidato per diventare addirittura presidente del Consiglio!), in un’epoca in cui assistiamo a una costante osmosi tra società civile e militare, nel maggio del 1871, come direttore delle Co- struzioni navali, pubblica lo studio: «Sull’effetto utile dei propulsori navali», destinato a diventare un best-seller della letteratura tecnica internazionale.

Il tutto senza trascurare gli studi di arte militare marit- tima, il cui antesignano era all’epoca il CF Carlo Rossi, autore del celebre pamphlet «Racconto di un Guardiano di Spiaggia», in cui aveva tracciato, a forti tinte, lo sce- nario che avrebbe potuto verificarsi in un’Italia, priva di una forza navale adeguata, nel caso di una guerra con la Francia.

E proprio Rossi, nel suo contributo sulle pagine della Rivista del luglio 1872, aveva, con la consueta chiarezza, espresso quali fossero i termini su cui si poneva il pro- blema strategico della difesa dell’Italia del tempo: «Ecco dunque i due partiti. Da un lato una poderosa forza na- vale che rende inutile il fortificare la costa; che permette al commercio di esercitarsi con poca differenza dallo sta-

Benedetto Brin, Ispettore gene- rale del Corpo del Genio Navale e Ministro della Marina e degli Esteri del neonato Regno d’Italia.

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Dall’altro una debole flotta che mostrerà la bandiera, che farà qualche colpo in guerra altrettanto audace quanto poco utile, per ricorrere poi a rinchiudersi in un porto irto di cannoni e difese subacquee. Nel pri- mo caso - conclude il Nostro - impossibile qualunque blocco, qualunque bombardamento, qualunque sbarco del nemico; nel secondo invece, tutto possibile quello che egli voglia tentare».

Un dilemma che secondo l’autore non presentava che un’unica soluzione imperniata «nell’avere una flotta vera, proporzionata ai bisogni d’Italia» che lo scrittore, nell’articolo citato, affronta nei suoi profili tecnici e nei risvolti finanziari. Il tutto anche se, gli orientamenti del pensiero navale dell’epoca presentano ancora un netto primato della tattica sulla strategia. E se la tattica viene ancora considerata come la «scienza delle evoluzioni» e la stessa battaglia navale appare come «un grande fatto tattico, in cui le evoluzioni rappresentano la parte più importante», si stenta ancora a formulare un corretto apprezzamento del concetto stesso di strategia navale.

Ed è sintomatico sottolineare come proprio i reduci di Lissa si ritrovino tra i più tenaci assertori del primato della tattica, come il CA Luigi Fincati, che a Lissa ave- va comandato la cannoniera corazzata VARESE, rias- sumendone polemicamente le esperienze nel caustico pamphlet Ancona e Lissa: Cuique Suum.

ti apparsi sulla Rivista. Come negli «Aforismi militari.

Massime e principi generali» (apparsi in ben dodici pun- tate, a partire dal settembre 1877) e nelle «Considerazio- ni sulla tattica navale» (in quindici puntate, dal giugno 1881). Molto interessante si mostra, in particolare, la distinzione che il Fincati pone tra «tattica e …tattica», cioè tra una tattica come «arte delle evoluzioni navali o tattica regolamentare» (cioè «sulla base del regolamento che prescrive i modi per passare colle navi da un ordine all’altro») e tattica come «arte dei combattimenti nava- li», cioè come «scelta giudiziosa delle mosse necessarie per soverchiare il nemico e distruggerlo». A Lissa, fa- ceva rilevare il Fincati con un filo di amaro sarcasmo, purtroppo prevalse la prima, la tattica regolamentare e così ...«fummo sbaragliati con tutte le regole»!

In questo contesto, nel 1879, sarà lo stesso ministero della Marina a bandire un «concorso» per la trattazione dei seguenti temi:

«1) descrizione ed esame critico degli ordini di marcia e di combattimento delle armate antiche e moderne; 2) loro confronto ed influenza esercitata dai modi di loco- mozione della nave e dai loro mezzi di offesa; 3) presagi e speranze. Conclusioni».

E gli studi premiati, cioè quelli del CC Carlo Grillo e del TV Isacco Algranati, saranno pubblicati puntualmente sulle pagine della Rivista, unitamente ai saggi che ave-

In alto: Luigi Fincati, ammiraglio e studioso di discipline militari e ma- rittime. Fu uno dei primi collaboratori della Rivista Marittima nonché diret- tore dal 1877 al 1878.

Col grado di Capitano di Fregata, Fincati partecipò alla battaglia di Lissa al comando della cannonie- ra VARESE, nell’immagi- ne, ormeggiata a Napoli (Foto USMM).

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Sfogliando le pagine della Rivista ci si accorge come, nel giro di pochi anni, gli orizzonti culturali si siano sostan- zialmente allargati: dalla netta prevalenza di temi e pro- blemi di carattere tecnico-professionale ai settori più svariati del «sapere marittimo». «Cogli studi matema- tici si formano buoni navigatori, eccellenti cartografi, squisiti inventori di cannoni e di affusti, abili disegna- tori di macchine motrici ed ausiliarie, sino ad un certo punto anche costruttori navali - sottolineerà acutamen- te il solito Vecchj - ma non si formano né comandanti, né ammiragli». In altre parole, il bagaglio culturale di chi aspira a giusto titolo ai vertici della gerarchia navale deve essere più vario e diversificato.

E infatti, avviandoci verso il limite temporale di quella che è stata giustamente chiamata «la prima generazione degli scrittori della Rivista Marittima» (che abbraccia il periodo compreso tra il 1868 ed il 1885), vediamo come l’interesse dei collaboratori si presenti in maniera sem- pre più variegata «sotto il segno unificatore del mare».

Innanzitutto vengono più attentamente seguiti i lavori parlamentari inerenti alle discussioni sulla Marina e i bilanci navali.

Più frequentemente si rappresentano i bisogni della

della marina nazionale (che ancora, nel 1870, contava ben 18.784 navi a vela ed appena 118 navi a vapore). Ci si apre verso le complesse problematiche portuali (con alcuni studi sui porti di Genova e di Ancona).

Ricorrono spesso temi di medicina navale, di igiene e abitabilità a bordo delle navi (gli Annali di medicina na- vale e tropicale vedranno la luce solo nel 1895), mentre sempre più assidua comincia a farsi la schiera dei colla- boratori provenienti dai ranghi dell’Esercito. Dapprima con interventi di carattere strettamente tecnico, desti- nati però gradualmente ad assumere un significato più ampio, investendo i problemi più generali della difesa del Paese.

Un particolare risalto accordato sulle pagine della Rivi- sta alla cosiddetta «questione delle navi». Un problema invero assai complesso in cui confluiscono, a un tempo, istanze tecniche, politiche e finanziarie (le «tre facce»

del Potere Marittimo di ogni tempo).

Quello che importa soprattutto rilevare in questa sede è come la Rivista, in questo problema così complesso e così importante, aggravato peraltro da una netta pre- sa di posizione del Ministro in carica, con il consueto senso di equilibrio e di misura, riesce a rappresentare Nella foto centrale: la

corazzata a barbette ITALIA, varata a Ca- stellammare di Stabia il 29 settembre 1880, dislo- camento 15.654 t., arma- mento principale 4 canno- ni da 431 mm e 8 da 152.

Unità della stessa classe LEPANTO (nella foto a destra), varata ai Cantie- ri Orlando di Livorno il 17 marzo 1883. Entram- be le corazzate furono progettate da Benedetto Brin con alcuni concet- ti di avanguardia (Foto:

USMM).

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di esprimere la propria tesi al riguardo. Con la vittoria delle “grandi navi” e con Benedetto Brin chiamato di nuovo a reggere il dicastero della Marina, si chiude l’e- sperienza della «prima generazione della Rivista Marit- tima» con un bilancio estremamente positivo.

Nella libera palestra offerta dalla Rivista, studiosi ci- vili e intellettuali in uniforme hanno infatti avuto la possibilità di rappresentare e confrontare i propri punti di vista, esporre i propri studi nei diversi campi del «sapere marittimo», facendo così da volano a una ripresa generale d’interesse per quei problemi che a lungo, dopo Lissa, erano stati guardati con diffidenza e sufficienza.

E c’è chi è ancora più esplicito in tal senso. Secondo la testimonianza del Vecchj infatti, protagonista e sempre attento osservatore delle vicende della pubblicistica del tempo, la Rivista Marittima, sempre indicata nei suoi scritti con l’appellativo di «OTTIMA», rappresenta «il periodico navale più veramente scientifico che conti il nostro tempo», tanto che «l’indice generale analitico dal 1868 al 1885 è una pergamena di nobiltà del pensie-

ro navale nazionale».  Il fascicolo della Rivista Marittima datato luglio-agosto 1880 riporta in copertina un

LO SPECCHIO DELLA MARINA

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AUGUSTO VECCHJ E «LA LISTA DI RITIRO»

Con un occhio a quanto già era in atto nella Marina britannica e statunitense, il Vecchj nell’ar-

ticolo (pubblicato nel gennaio del 1870) sostiene, tratteggiando stupendamente la psicologia

del personale che si accinge al pensionamento, l’importanza e l’utilità di istituire anche in

Italia, accanto alla Lista attiva del personale militare, anche una «Lista di ritiro», con un pro-

prio meccanismo d’avanzamento e l’indicazione dei compiti plausibili da svolgere. Solo così

non si perderà lo spirito di colleganza tra «i vecchi ma sempre attivi servitori del Re e della

Patria» e le più giovani generazioni del personale in servizio, che ha visto proprio in loro «il

gentiluomo, l’amico, il protettore, il marinaro, il soldato». «Così si potrà togliere alla parola

terribile Ritiro quel significato odioso che gli si accorda; che, invece di colpire come un’ingiu-

ria, suoni dolce come una ricompensa e che, in luogo di essere la tomba di una carriera, sia

la culla di un’altra!».

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(...)

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«IL PADRE DELL’ARMATA ITALIANA»

L’opera monumentale del padre domenicano Alberto Gugliel- motti, storico, teologo e studioso di scienze fisiche e naturali, è costituita dalla Storia della Marina pontificia in dieci volumi e da dieci saggi minori, unitamente al Vocabolario marino e militare e all’Atlante delle Cento Tavole, che ne rappresentano la chiave filologica e artistica. In particolare, con gli ufficiali della R. Marina, il Guglielmotti avrebbe avuto sempre un rap- porto privilegiato, dal quale era venuto «il maggior conforto ai suoi studi». La sua opera rivestirà anche un’importanza di carattere morale, cioè quella di aver ridato ai marinai della Nuova Italia la coscienza delle loro tradizioni e del loro lin- guaggio. Tant’è che, qualche mese dopo la sua scomparsa, nel 1894, vollero dedicargli una lapide commemorativa alla Ca- sanatense di Roma, di cui per anni era stato bibliotecario, su cui spicca un fregio bronzeo in figura di trofeo di mare: la prua, fasciata di alloro, di un’antica nave da guerra, armata di cannoni, intorno a cui stanno un tridente, dei remi, un’anco- ra, un timone. L’articolo “Delle due navi romane” fu pubblica- to sulla Rivista in due puntate nel gennaio e febbraio del 1874.

La lapide dedicata dagli Ufficiali di Marina nella Biblioteca Casanatense di Roma a Pa- dre Guglielmotti. Foto pubblicata sulla Rivista

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(...)

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La carta dell’Oceano australe, apparsa sulla Rivista Marittima del marzo 1880, con traccia del- la spedizione antartica italiana proposta dall’allora STV Giaco- mo Bove (nel ritratto a destra, foto USMM).

Il Supplemento «Crociere e rela- zioni di viaggio dei viaggiatori italiani dell’Ottocento (1861-

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GLI ESPLORATORI COME BOVE

Nel mondo del XIX secolo, ancora in parte da scoprire, gli

esploratori sono sempre molto vicini alla Marina, «finestra sul

mondo della Nazione», tanto più che molti di essi provenivano

dai suoi ranghi. Come appunto Giacomo Bove, le cui avven-

ture in giro per il mondo, dall’Africa all’Indonesia, ispirarono

addirittura Emilio Salgari, ovvero gli esploratori polari Duca

degli Abruzzi e Umberto Cagni, la cui spedizione, spingendosi

sino a 86° 33’ 4’’ Lat. N, delineò nel 1900 gli estremi confini del

mondo. Ed è significativo che il Grande Ammiraglio Thaon di

Revel, ministro della Marina in visita a Genova nel 1924, volle

recarsi al Castello d’Albertis (oggi sede del Museo delle Culture

nel mondo), per rendere omaggio alla veneranda figura del Ca-

pitano Enrico Alberto d’Albertis, che aveva effettuato tre volte

il giro del mondo e una volta il periplo dell’Africa, utilizzando

i più svariati mezzi di trasporto (dalla nave al cavallo, dal tre-

no al cammello, dalle barche a vela agli idrovolanti).

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L’ACCADEMIA NAVALE DI LIVORNO

Il 6 novembre 1881 venne ufficialmente inaugurata l’Accademia navale nell’area dismessa dei lazzaretti di San Jacopo e di San Leopoldo a Livorno, alla presenza del principe To- maso di Savoia, duca di Genova, all’epoca capitano di vascello, in rappresentanza della Corona. Fortemente voluta da Benedetto Brin, ministro della Marina in carica che, dopo le intuizioni di Cavour e la riforma di Riboty, puntò sulla fusione delle Scuole Navali di Genova e Napoli in un unico istituto di formazione a Livorno, punto ideale di incontro ge- ografico e culturale, al fine di eliminare qualsiasi residuo di storica rivalità Nord-Sud. Brin contribuiva così a fondare una tradizione navale unitaria, quella appunto della Nuova Ita- lia uscita dal Risorgimento nazionale, con tutti i suoi comuni valori fusi in un unico isti- tuto di formazione, «che doveva diventare il centro morale della Marina, avvenire e forza dell’Armata navale». Il modello dell’Accademia della «lunga linea blu», come ha scritto Aldo Santini, era l’analogo istituto tedesco di Kiel, il referente universitario la Scuola Nor- male Superiore di Pisa. I 37 allievi della prima classe erano ragazzi tra i dodici e i sedici anni (chiamati all’epoca pivetti dal genovese pivettu, ragazzo appunto), sveglia alle 5, ora del silenzio alle 21.20, quando i fanali a candela e a petrolio venivano spenti (l’elettricità arriverà a Livorno solo nel 1888).

La Regia Accademia Na- vale di Livorno alla fonda- zione (disegno del sig. Del- la Valle, dall’Illustrazione Italiana n. 49 del 4 dicem- bre 1881). Nella pagina a fianco l’articolo apparso sulla Rivista Marittima del luglio-agosto 1880 nel quale si sottolineava la ne- cessità e si preannunciava l’istituzione di una Nuova Accademia navale «inte- ramente italiana», in so- stituzione delle preesistenti scuole di Napoli e Genova.

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LA «QUESTIONE DELLE NAVI»

Sulle pagine della Rivista Marittima e nella pubblicistica del tempo si riverbera dai banchi parlamentari la cosiddetta «questione delle navi», innescata agli inizi degli anni Ottanta dell’Ottocento dal tentativo del ministro della Marina in carica (1879-83), vice-ammi- raglio Ferdinando Acton, di ridimensionare il programma di costruzione delle grandi navi di linea corazzate, tipo DUILIO e ITALIA, portato avanti dai precedenti ministri Riboty, Saint Bon, Brin, sostituendolo con unità di più limitato dislocamento, armamento e, quindi, prestazioni strategiche. Un problema, ad un tempo, politico, strategico, tecnico e finanziario che, in termini attuali, si può così riassumere: la Nuova Italia dovrà disporre, per tutelare i suoi interessi marittimi, di una Blue Water Navy di costruzione nazionale, assumendone i maggiori oneri finanziari e i tempi più lunghi di costruzione, ovvero di una Green Water Navy per una difesa costiera ravvicinata, ricorrendo ancora una volta alla cantieristica straniera? Nell’acceso scontro politico tra i sostenitori delle «piccole»

e delle «grandi navi», il deputato Benedetto Brin, ispettore generale del Genio Navale, ministro della Marina dal 1884 al 1892 e dal 1896 al 1898, riuscì a imporre la sua visione tecnico-strategica, nell’assunto che in Marina «non vi saranno né corazzate di Destra né di Sinistra, perché il problema vero è porsi alla testa del progresso e non lasciarsi trascinare da esso» e la flotta italiana riuscì ad attestarsi al terzo posto nella gerarchia internazionale delle Potenze, subito dopo cioè l’Inghilterra e la Francia.

Illustrazione della R. nave corazzata DUILIO, pro- gettata da Benedetto Brin, apparsa nel fascicolo mag- gio-giugno 1876 della Ri- vista Marittima, a corredo di un articolo realizzato in occasione del varo nel can- tiere di Castellammare di Stabia (8 maggio 1876) .

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Gli articoli firmati dal Ca- pitano di vascello Paolo Cottrau («Abbiamo urgente bisogno di navi», dell’ottobre 1880) e uno scritto dell’ono- revole Maldini, deputato in Parlamento, e pubblicato in due parti nel dicembre 1880 e gennaio 1881 sempre dedica- to alla «questione delle navi».

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L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA

All’armamento sono dedicati articoli ori- ginali di autori italiani e traduzioni di ar- ticoli e studi stranieri. Ogni nuova arma (cannoni, mitragliere, torpedini, siluri) è descritta in tutte le sue caratteristiche tecniche con ampio supporto di accurati disegni. Qui riprodotto un saggio appar- so sulla Rivista Marittima nel fascicolo di luglio-agosto 1885 (pagine 79-114) nel quale si riporta riccamente illustrata una conferenza tenuta al RUSI di Lon- dra concernente «l’uso della torpedine in guerra e particolarmente del siluro se- movente».

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L’ARTE MARINARESCA

Non mancano in quegli anni articoli e studi di navigazione e su temi marina- reschi. Tra questi ultimi nel giugno del 1878 il contrammiraglio Arminjon pre- senta sulla Rivista i nuovi tipi di ancore introdotte all’epoca nella Marina da guer- ra e mercantile che insidiavano l’indi- scusso primato della tradizionale ancora dell’ammiragliato britannico.

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PARTE SECONDA

La grande politica navale

1886 - 1918

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Le rose dei venti disegnate da autori diversi pubblica-

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