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Il pensiero positivista e la casa moderna

e la traduzione architettonica della residenza, sia unifamiliare che collettiva, avrà perciò come compito quello di costituire lo spazio pubblico, di fare città. La città positivista segue quattro categorie differenziate: Abitazione, Tempo Libero, Lavoro, Circolazione**. Ognuna di queste

è isolata nel tempo e nello spazio in modo da assicurare la massima efficienza della struttura organica città. Lo zoning a livello urbano si traduce in un micro- zoning a livello architettonico negli spazi della casa, in cui le funzioni e i momenti della giornata sono scientificamente suddivisi e organizzati per comporre un meccanismo razionale: la “macchina per abitare”. Certamente i principi del funzionalismo sono legati al proprio contesto storico e hanno rappresentato all’epoca un pensiero rivoluzionario capace di risolvere problemi quali crescita

** Le categorie vennero definite in seno al quarto CIAM (Atene, 1933) quando venne stipulata la Carta d’Atene, manifesto avente come tema La città funzionale.

demografica e conseguente crisi abitativa, migliorare le condizioni di vita e di salubrità nonché è stato capace di tradurre in architettura di qualità tutto l’apparato tecnico e tecnologico più innovativo, realizzando opere che costituiscono oggi i fondamenti della nostra conoscenza in campo architettonico. Alcuni paradigmi risultano tuttavia superati o dovrebbero essere ripensati per rispondere ai cambiamenti e alle questioni contemporanee.

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Come superamento del positivismo, ma in opposizione alla visione esistenzialista heideggeriana, i decostruttivisti propongono la figura di un soggetto post-umanista frutto dei cambiamenti della società che sul finire del Novecento apre i propri orizzonti ad una dimensione globale. Il soggetto poststrutturalista è dipinto come un individuo annichilito e impotente rispetto alle circostanze, mentre allo stesso tempo i paradigmi della domesticità vengono sovvertiti. Ne sono esempio, il corto cinematografico di Buster Keaton One week (1920), l’opera non realizzata Alteration to a

suburban house (1978) di Dan

Graham, e ancora la House VI che Peter Eisenman costruisce a Washington, Connecticut (1972- 75). Nel primo il protagonista, Keaton stesso, non riesce a reagire di fronte ad un manuale di montaggio errato e costruisce una casa prefabbricata del tutto impossibile che crolla infatti poco dopo, coinvolgendo nella sua rovina anche la coppia sposata

che vi aveva investito il sogno di una vita insieme. In Alteration

of a suburban house, opera non

realizzata, l’intento era quello di rivoluzionare la canonica villetta suburbana inserendovi una facciata completamente trasparente, in modo da mettere in crisi i confini pubblico-privato. Tale lettura è molto attuale se pensiamo alle rinegoziazioni che comporta ad esempio il fatto di affittare una delle proprie camere a dei perfetti sconosciuti tramite

Airbnb. House VI di Eisenman è

invece un edificio sperimentale che vuole sovvertire le regole basilari della composizione, nonché le funzioni stesse dei suoi elementi: le scale non portano da nessuna parte, la sala da pranzo, solitamente a pianta libera, è invece interrotta impunemente da una colonna, così come il letto matrimoniale è diviso da una apertura nel muro. Si tratta di provocazioni, decostruzioni dei valori normati e, di conseguenza, normali, che vengono in tal modo rimessi in discussione. In sociologia Gilles

La decostruzione post-strutturalista dell’abitare

contemporaneo

Deleuze paragona il soggetto contemporaneo ad un nomade nel deserto:<< […] Sono ai bordi

di questa folla, alla periferia, ma vi appartengo, vi sono attaccato con un’estremità del mio corpo, una mano o un piede. So che questa periferia è il solo luogo possibile, morirei se mi lasciassi trasportare al centro della mischia, ma di sicuro morirei anche se abbandonassi questa folla. […] Ora roteano, ora vanno verso Nord, poi bruscamente verso Est, nessuno degli individui che compongono la folla resta fermo al suo posto rispetto agli altri. Sono dunque anch’io in perpetuo movimento; tutto questo esige una grande tensione, ma mi dà un sentimento di felicità violento,

quasi vertiginoso>>*.

L’aumento della mobilità, dovuto a nuove tipologie di lavoro e alla diminuzione del costo dei trasporti, ha comportato ad una diminuzione dell’importanza della

* Gilles Deleuze, Felix Guattari, Mil Pla-

teaux, Capitalisme et Schizophrenie, Les Editions

de Minuit, Parigi, 1980.

famiglia e ad una rivisitazione del domestico, non più associato in maniera tradizionale ad un luogo, ad una casa specifica. Seguendo la mobilità del capitale e il suo temporaneo innesto sul territorio, l’individuo segue i flussi economici in un regime di accumulazione flessibile, aiutando a contrastare il rischio di sovraccumulazione. È un soggetto contradditorio, alternativo al capitalismo inteso come accumulazione materiale, ma frutto di un nuovo tipo di capitalismo globalizzato. Egli è al contempo parassita e contribuente della società, ovvero rispetto agli abitanti sedentari delle città che lui al contrario vive solo temporaneamente. Questo tema è stato indagato nell’ambito architettonico da Toyo Ito nei progetti Pao 1 (1985) e Pao 2 (1989) in cui l’architetto immagina di ricoprire i grattacieli di Tokyo con tende, strutture temporanee che possono essere abitati da soggetti comuni, non eroici. Il modello è quello di una giovane donna nomade che ha all’interno di casa sua solo oggetti

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uno scardinamento della privacy propria della casa moderna:

<< Non solo, la connessione ci consente di osservare e vivere le vite degli altri che moltiplicano all’infinito ambienti abitati, oggetti, emozioni, viste e paesaggi rendendo la nostra casa un frammento di una iperabitazione globale abitata da milioni di persone. Quelli che prima erano i paesaggi domestici in cui si entrava solo invitati, la soglia chiara tra interno ed esterno, oggi sembrano essere definitivamente saltati per lasciare spazio a un universo di case che si ricompone giorno per giorno,

come in Minecraft>>***.

La connessione digitale ha anche permesso la dissoluzione della canonica separazione casa-

*** Luca Molinari, Le case che siamo, Roma: nottetempo, 2016, p. 71.

lavoro. Lavorando in cloud**** è

possibile essere ovunque con l’unica condizione necessaria di avere una connessione Wi- fi. La mancanza di distinzione di tali confini fisici conduce all’indeterminatezza dei tempi e degli spazi e ad una conseguente alienazione che spinge comunque l’individuo a ricercare un luogo altro per separare lavoro e tempo libero. Così è nata la tendenza delle città nord-americane ed europee a ricercare spazi di lavoro ibridi come bar, locali pubblici, luoghi arredati con uno stile informale e accogliente. Questo è uno dei fenomeni che portano ad una domesticizzazione della città, trasformando il piano strada in un contenitore di luoghi né pubblici né privati, ma collettivi e più o meno ibridati con la tipologia abitativa. Inoltre, in molte abitazioni di ultima generazione

**** Il termine cloud (nuvola) sta per cloud

computing e si riferisce ad un paradigma di

erogazione di risorse informatiche, come l'archi- viazione, l'elaborazione o la trasmissione di dati, caratterizzato dalla disponibilità on demand at- traverso Internet a partire da un insieme di risorse preesistenti e configurabili.

che contribuiscono alla sua esistenza diaria: un tavolo per il trucco, una console per le comunicazioni, un tavolo ed una sedia. Lo spazio è privo di privacy perché totalmente trasparente e aperto.

<<La casa della ragazza

nomade è esplosa all’interno

della città>>*.

La donna è parassita della società in cui si colloca, poiché è infrastruttura per lo svago e il lavoro, ne consuma i prodotti evitando la sovraccumulazione e perciò è funzionale ad essa. Tuttavia, non vi risiede, non compra casa, non crea una famiglia, paga e usufruisce dei servizi per un tempo limitato. Il nomade globale vive la città generica, una città qualsiasi che è allo stesso tempo tutte le città**.

Come si può progettare la casa di

* Inaki Abalos, Il buon abitare. Pensare

le case della modernità, ediz. Italiana a cura di B.

Melotto, Marinotti, 2009.

** Rem Koolhaas, The Generic City, in Rem Koolhaas and Bruce Mau, S,M,L,XL, Rotter- dam: 010 Publishers, 1995, pp.1238-1264.

un visitatore occasionale? Quali canoni deve rispettare? Un via potrebbe essere quella di affidarsi alla tecnologia informatica capace di elaborare diagrammi e gestire processi dinamici in continuo stato di attualizzazione, dando vita ad un modello spaziale fluido, in continuo adattamento. Però ciò comporterebbe un certo determinismo, poiché l’uso del diagramma implica una concezione astratta dei comportamenti e degli individui. In più secondo questo modello l’architetto avrebbe un ruolo meccanicamente esecutivo, privo di una dimensione critica che gli è invece propria.

Altro elemento da considerare è la dimensione digitale. La progressiva ingerenza della virtualità nelle nostre vite coinvolge anche l’ambito domestico. Non solo a livello di domotica e tecnologie digitali di organizzazione della vita domestica, ma in quanto habitus vivendi. La costante connessione con un mondo altro da quello della realtà sensibile comporta

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mancano alcuni spazi prima considerati indispensabili come il salotto e la cucina . Ciò testimonia che il modello tipologico della casa sta cambiando, sia a livello di percezione poiché è meno radicata l’idea di privacy e di e di rifugio dal mondo esterno, sia a livello architettonico per gli spazi che essa deve includere al suo interno.

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Nell’era del nomadismo globalizzato cosa significa appartenere ad un luogo? Quali spazi sono ancora essenziali? Quali invariabilmente privati? È difficile esaurire una questione così complessa all’interno di questa trattazione pertanto mi limiterò a dare una mia interpretazione basandomi sulla ricerca fatta finora e sulla mia esperienza personale. A mio parere la tipologia va ripensata e per farlo l’indagine da svolgere è innanzitutto empirica: osservando le tendenze emergenti è possibile delineare quali siano i punti fermi e cosa invece stia cambiando. Come abbiamo già detto l’aumento della mobilità è un fattore innegabile e pertanto la temporaneità dell’abitare è un tema fondamentale. Il mercato dovrebbe quindi essere più flessibile in modo da assorbire richieste differenti di temporaneità, allo stesso modo l’architettura stessa deve poterlo fare. Dovrebbe perciò esserci la possibilità di cambiare alloggio o

durata di permanenza in maniera più elastica e variabile. Altro fattore chiave è a mio parere la possibilità, a partire da uno spazio essenziale che comprenda anche solo la camera da letto, poter usufruire di servizi accessori che una volta erano svolti entro le mura domestiche: accogliere degli ospiti a cena, cucinare per più persone, lavare il bucato, sono tutte azioni che possono essere svolte in spazi collettivi di volta in volta affittati o anche semplicemente condivisi, così che l’uso sia massimizzato. La sfera privata, seppur minima, rimane un requisito sostanziale dell’abitare, sul medio-lungo periodo, tanto che anche nelle residenze collettive si tende recentemente ad escludere le camere doppie. La casa può essere inoltre ibridata con altre tipologie e modelli, creando risultati molteplici e innovativi. Nel mio caso progettuale il programma prevede l’ibridazione della residenza e della ricettività, cercando di rispondere da un lato a questioni

Conclusioni

attuali di massimizzazione del valore dello spazio domestico, anche in termini monetari, dall’altro di riformare l’ospitalità canonica i cui standard sono obsoleti, accogliendo, sempre in maniera critica, i fenomeni di ricettività alternativa ormai consolidati, in particolare il più diffuso ovvero Airbnb.

Abitare contemporaneo quale senso di APPARTENENZA? TEMPORANEITA' quali spazi ESSENZIALI? FLESSIBILITA' e PERSONALIZZAZIONE quali spazi

PRIVATI? IBRIDAZIONEdi tipologie e

VII.II.I Abitare contemporaneo