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Il Porto Sepolto 1923 : gli aspetti paratestuali.

2 Lettura di un’amicizia: Giuseppe Ungaretti ed Ettore Serra.

2.3 Ettore Serra e Il Porto Sepolto stampato alla Spezia.

2.3.2 Il Porto Sepolto 1923 : gli aspetti paratestuali.

Nel dattiloscritto del 1922 si trova l’indicazione di una “Stamperia del bel libro italiano”, prova che a quella altezza cronologica il progetto di Serra circa la fondazione di una casa editrice non era stato ancora stabilito nel dettaglio. Questa denominazione provvisoria richiama la passione bibliofila del giovane editore, mentre quella definitiva di “Stamperia Apuana”, suggerisce Francesca Corvi65, potrebbe essere un omaggio alle origini toscane (con precisioni lucchesi) della famiglia di Ungaretti, oppure agli artisti “apuani” Lorenzo Viani e Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, amici di entrambi. Quest’ultima ipotesi non appare improbabile, se si pensa all’ammirazione provata da Serra verso la figura di Ceccardo, a cui dedica sia i tre sonetti stampati ad Istanbul nel 1928 con il titolo Dissimilius Infida Societas, sia L’aratro e la spada del 1935, libello a favore della propaganda fascista.

Il progetto della casa editrice spezzina sarà destinato a sfumare dopo la pubblicazione di due sole opere: Il Porto Sepolto e il quaderno La poesia di Giuseppe Ungaretti66, antologia dei primi interventi favorevoli sulla poesia ungarettiana, a cura dello stesso Ettore Serra. L’ambito di interesse della casa editrice è documentato dalla carta intestata di Serra – utilizzata anche da Ungaretti nella corrispondenza con Papini67 – su cui si legge: “ETTORE SERRA – CASA EDITRICE / ARTE – POESIA – RELIGIONE / SPEZIA” .

65 F. Corvi (2005), cit., p. 48. 66 E. Serra (1923), cit.

Le stesse finalità avrebbero dovuto caratterizzare la rivista omonima, progetto ancora più fallimentare, mai realizzato nel concreto e attestato solo dalle parole di Ungaretti che nel novembre 1922 ne parla ai suoi corrispondenti più intimi, Papini, Soffici e Pea, definendola rivista“di grande libertà e di gran fede” e “d’arte e letteratura”. Il progetto di una rivista “d’arte e letteratura” non comporta una novità per La Spezia, che circa un decennio prima aveva dato i natali alla rivista di Ettore Cozzani, a cui seguirà anche la fondazione dell’omonima casa editrice. «L’Eroica» nasce nel luglio del 1911 alla Spezia, dove rimane fino al 1917, anno in cui la sua sede tipografica viene spostata a Milano; come spiega in una lettera il suo eclettico fondatore, lo scopo della rivista è quello di “annunciare, propagare, esaltare la poesia, comunque e dovunque nobilmente essa si manifesti: in ciascuna arte e nella vita” occupandosi “con uguale ardore di letteratura, pittura, scultura, architettura, musica” 68. La commistione delle arti proclamata da Cozzani, trova il suo compimento più evidente nella veste grafica, realizzata attraverso la tecnica della xilografia, destinata a rivelarsi l’asse portante della rivista; il merito maggiore de «L’Eroica», è infatti quello di aver fatto rifiorire in Italia questa tecnica grafica, grazie alla bravura dei suoi artisti, tra cui, oltre ad Adolfo De Carolis, si ricordano Lorenzo Viani, Emilio Mantelli e Francesco Gamba.

In quegli anni Serra, a esclusione dell’intervallo bellico, risiede alla Spezia, a pochi passi dalla sede tipografica de «L’Eroica», e anche se il suo nome non compare tra quello dei collaboratori, pare improbabile che il clima culturale creatosi nella città non lo abbia influenzato. La passione per il bel libro sembra peraltro innata nel giovane scrittore, che già nel 1911 affida l’illustrazione del frontespizio di Sogno Simbolico allo xilografo livornese Benvenuto Benvenuti; poi, nei volumi L’arrisicatore (1928) e di Antologia breve (1929), vanterà anche la collaborazione degli stessi xilografi de «L’Eroica», De Carolis e Gamba. Quest’ultimo è anche l’artefice delle decorazioni degli unici due volumi pubblicati dalla Stamperia Apuana,

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Lettera firmata da E. Cozzani e Franco Oliva, in «Il Comune. Giornale democratico», 13 luglio 1911, ora in Patrizia Gallotti, Libri, lettori ed editori nella Spezia di Ettore Cozzani, in Il senzo

dell’eroico. Cozzani, Pascoli, d’Annunzio, catalogo della mostra a cura di Marzia Ratti, La Spezia,

prova tangibile dell’influenza esercitata dalla moda del libro illustrato, di cui La Spezia costituisce un centro propulsore. Inoltre come suggerisce Barenghi69, sarebbe interessante scoprire se vi fu un legame pratico tra la realizzazione di questi due libri e l’Officina di Arti Grafiche, sede tipografica de «L’Eroica» – nel 1923 inutilizzata – con cui lo xilografo doveva avere familiarità.

Alla sgorbia e al bulino di Gamba si deve anche la realizzazione dell’ex-libris di Serra70, posto per la prima volta sul frontespizio del Porto spezzino e forse nato come stemma della casa editrice: un’àncora intrecciata con dei gigli su cui si trova impresso un flauto di Pan, inserita in un cartiglio rettangolare, sotto al quale risaltano le iniziali «E. S.». L’àncora – gli abissi del mare – e il flauto di Pan – il canto poetico – stretti insieme a formare un’unica immagine, simboleggiano l’intreccio costante di questi due elementi nella vita di Serra.

Sul frontespizio del volume, il cartiglio della casa editrice appare inscritto in una cornice decorata con un denso intreccio fitomorfo, in cui si distinguono quattro colombe, delle fiamme e un gladio posto al centro dell’estremità inferiore; dentro alla cornice si trova lo specchio di scrittura in cui campeggia il titolo del volume in un alfabeto maiuscolo “alla De Carolis” – come poi tutti i caratteri interni del volume – e l’indicazione della casa editrice. Tra le pagine della raccolta, poste prima del frontespizio e delle sezioni più ampie, si trovano quattro illustrazioni che, ad esclusione della prima, sono di forma rettangolare, a piena pagina, inscritte all’interno di cornici densamente intrecciate, simili a quelle della copertina. Tra queste ne ricordiamo due, che seppur sembrino antitetiche tra loro, testimoniano la volontà di corrispondenza delle decorazioni con il testo: a introdurre la sezione Allegria di naufragi si trova una donna nuda eretta, immersa nell’acqua fino al ginocchio, ritratta nell’atto di fare sgocciolare la lunga chioma, mentre in apertura della sezione omonima si trova un soldato pensieroso, con un tascapane a tracolla, dietro a cui si riconosce un fiume inserito su di un paesaggio vuoto.

69 Cfr. M. Barenghi (1999), cit., p. 148.

70 Questo stemma si ritrova spesso in apertura dei volumi poetici di Serra, e anche come decorazione

Per quanto al lettore moderno l’impianto grafico del volume possa sembrare inadatto all’essenzialità della parola del Porto Sepolto, fu ideato dallo stesso poeta, che durante il suo soggiorno alla Spezia si intrattenne con lo xilografo, come testimonia la lettera del 13 novembre 1922, dove si raccomanda a Serra «di ringraziare Gamba per l’amore che gli sta consacrando».

La critica si è spesso espressa in modo negativo riguardo all’estetica di questi libri, cercando di far ricadere la responsabilità sull’editore: «Tra tutti i volumi a stampa di Ungaretti», scrive Leone Piccioni, «ci scusi il “gentile” Serra, il più brutto, illustrato da xilografie di Francesco Gamba più proprie del corrente (o già superato) Gabriele, che non della profeticità accolta in quei versi71». Serra, all’interno de Il tascapane, interviene cercando di fornire la sua versione dei fatti:

Per la nuova edizione del Porto sepolto intendevo ispirarmi al Dante di Bodoni, quello del 1796 in folio piccolo […] Ma in quel momento la N.R.F. aveva pubblicato (nel formato, quasi quadrotto, in-4° piccolo) la raccolta di Paul Valery Charmes ou Poèmes, con ornamenti del XVII secolo, e l’edizione piaceva molto a Ungaretti che mi distolse, ma mi arresi malvolentieri, dal mio prediletto Bodoni. Insomma fu proprio Ungaretti a desiderare che il volume uscisse decorato da xilografie, che furono eseguite da Francesco Gamba col quale il poeta si intrattenne a lungo alla Spezia72.

In questo passo è presa distanza dalla scelta dell’alfabeto “alla De Carolis”, condotta da Ungaretti a discapito degli austeri caratteri bodoniani, già utilizzati nella stampa delle trentadue poesie udinesi. L’avversione di Serra non è rivolta al libro illustrato – si è appena ricordata la sua collaborazione con Gamba e De Carolis73 – ma alle scelte

71 L. Piccioni, Vita di un poeta, Milano, Rizzoli 1970, p. 95; questo passo viene riportato anche da

Serra (1983), cit., p. 42. Inoltre all’interno dell’introduzione alla raccolta di poesie Vita di un uomo (1969), cit., p. XXXII, Piccioni si esprime riguardo all’edizione del 1923 nuovamente in termini analoghi.

72 E. Serra (1983), cit., pp. 40-41.

73 Sembra opportuno rilevare che le xilografie presenti nei volumi di Serra sono esili e non

troppo sontuose, corrispondenti a precise richieste del poeta, come la presenza di volatili: «ricordo una sua fissazione: le colombe e le tortore, e il buon Gamba gliene fece annidare parecchie – troppe – tra i fogli della bellissima carta74».

Nonostante sia il primo a mostrare perplessità riguardo al volume, Serra cercherà anche di difenderlo dalle critiche, ricordando l’accoglienza positiva ricevuta da Emilio Cecchi, che lo considera un «capolavoro tipografico», e da Lorenzo Montano che lo definisce «volume stampato con fasto nuovo in Italia», e poi ancora allude «a molti altri consensi». In questo caso la testimonianza di Serra è dettata dal legame affettivo e va forse ridimensionata, poiché «si può dire che quel libro», testimonia Ungaretti, «rimase fuori commercio, ignorato dal pubblico, fino alla fine della seconda guerra mondiale75».

Ungaretti propende per un volume solenne perché è alla ricerca di affermazione, e sempre nell’ottica dell’auto-promozione va inscritta la presentazione di Benito Mussolini. La critica ha attribuito anche questa scelta all’editore, forse a causa della sua propensione nei confronti del regime, ancora rintracciabile a distanza di anni. «Coloro che leggeranno queste pagine si troveranno di fronte ad una testimonianza profonda della poesia fatta di sensibilità, di tormento, di ricerca, di passione e di mistero», così recitano le ultime righe della famosa introduzione di mano di Benito Mussolini, nonché le uniche ad esprimere un giudizio, peraltro generico, sulla poesia di Ungaretti; in questo breve esordio, Mussolini dichiara di non avere il compito di recensire il volume e si concentra sulla trascorsa attività di Ungaretti come corrispondente del «Popolo d’Italia», dimostrandosi evasivo riguardo alla tematica letteraria. Serra, contro l’evidenza, si pronuncia sulla prefazione mussoliniana in modo positivo e definisce questa pagina «viva per la sua speditezza e sincerità76». Ettore narratore non è un cronista distaccato e oggettivo; coinvolto in prima persona negli eventi narrati, non risparmia al lettore le proprie impressioni, come nella

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Anche questa richiesta va fatta risalire alla ricerca di corrispondenza tra testo e decorazioni; Barenghi (1999), cit., p. 147, ricorda alcuni componimenti in cui appaiono volatili.

75 G. Ungaretti (1969), cit., p. 522. 76 E. Serra (1983), cit., p. 40.

descrizione della mattinata trascorsa a palazzo Chigi, in compagnia di Ungaretti e Soffici, ad attendere Mussolini:

«Il Duce riceve i tre poeti, ogni altra udienza è rimandata a data da destinare». Una volta tanto la poesia aveva la precedenza. […] Vediamo laggiù in fondo, davanti a un grande tavolo di noce, fra le finestre d’angolo, Mussolini, serio, ma accogliente. Io non avevo mai visto Mussolini così da vicino, né, tanto meno, gli avevo parlato, né scritto mai. Non nascondo che lo trovai magnifico e che la sua fronte enorme e i suoi occhi cupi, lampeggianti, mi impressionarono.

Fu cordiale (confidenziale con Soffici); si compiacque con Ungaretti del quale dimostrò di conoscere e apprezzare la poesia; incoraggiò l’editore (chiamiamolo pure così) al quale testualmente disse, mentre annotava in una agenda: «fra quindici giorni avrete la prefazione al vostro libro», e dopo quindici giorni, puntualmente, la ricevetti.

Come testimoniato dalla pubblicazione di diversi libelli in linea con la propaganda di regime e dall’incarico avuto nel 1937 da Vittorio Cini di presidente dell’Ufficio Manifestazioni Artistiche e Culturali, Serra fu un collaboratore attivo del fascismo; tuttavia, come afferma nel passo riportato, prima dell’incontro avvenuto a palazzo Chigi non aveva mai «né parlato, né scritto» al duce. Senza dubbi avrà appoggiato e incoraggiato il poeta a richiedere la famosa prefazione, ma non ne fu l’ideatore:

Soffici […] predispose l’incontro con Mussolini e ottenne da lui la promessa della famosa «presentazione» del Porto sepolto; Soffici che aveva avuto, e aveva, intimi rapporti con Mussolini al quale si rivolgeva col tu, non io, come Leone Piccioni nella sua recente Vita di un poeta, Giuseppe Ungaretti, scrive a pag. 96: « …Mussolini… ricercato [?] da Ettore Serra per questa prefazione di comodo». Fossi stato io il promotore di quell’incontro, non mi dispiacerebbe punto confermarlo77.

Non sempre Serra è un narratore veridico e disinteressato, ma in questo caso non ha motivi per falsificare gli eventi, tanto più che – come egli stesso dichiara – non gli sarebbe affatto dispiaciuto essere stato l’artefice dell’incontro.

Era Ungaretti ad avere già avuto rapporti personali con Mussolini, con il quale intrattenne anche rapporti epistolari, di cui ci rimangono quattro lettere78. Le prime tre risalgono agli ultimi mesi del 1919 e sono da ascrivere alla collaborazione per il «Popolo d’Italia», mentre la quarta, senza data, corrisponde probabilmente al periodo di gestazione del Porto spezzino, e rappresenta la risposta ad una precedente richiesta:

Caro Ungaretti,

sta bene; ma riuscirò mai ad avere il tempo necessario per leggere il vostro libro e parlarne quindi, con devota cognizione di causa? Lo spero, ma voi, forse, non potrete attendere.

Vi saluto con la vecchia cordialità.

Mussolini

Queste parole dimostrano che Serra afferma il vero: fu Ungaretti in prima persona a richiedere la collaborazione di Mussolini per l’introduzione, il quale con questo biglietto sembra gentilmente declinare la richiesta. Ed è al momento del rifiuto che subentra l’intervento di Soffici, intimo collaboratore del duce e ideatore dell’incontro a palazzo Chigi.

2.4 Una lettura del carteggio Serra – Ungaretti

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Dopo la pubblicazione del Porto spezzino, il rapporto “professionale” tra i due amici giunge a termine, le loro strade si dividono, ma l’amicizia, seppur tra alcune pause, continua fino alla scomparsa di Ungaretti, come attesta il breve ma intenso

78 Pubblicate per la prima volta in G. Ungaretti (1974), cit., pp. 909-911.

epistolario. Le sessantatrè lettere ritrovate negli archivi dei due poeti – trentotto firmate Ungaretti e venticinque firmate Serra80 – testimoniano le diverse sfaccettature del loro legame.

Le lettere anteriori al 1923 sono legate ai progetti editoriali dei “due Porti”, a cui fa eco la lettera del 20 marzo 1933, nella quale Ungaretti si affida nuovamente al buon gusto di Serra per le scelte inerenti alla stampa del suo libro, Il Sentimento del tempo: «Bisognerebbe darsi per modello quell’edizione Bodoni della Commedia e la tua edizione del Porto. Bisognerà che tutto: frontespizio, titoli generali, indice e testo – riesca d’un’armonia assoluta. Nella giustificazione indicherò che l’edizione è stata curata da te». A distanza di dieci anni dall’edizione spezzina, Ungaretti suggerisce l’impiego degli austeri caratteri bodoniani, gli stessi rifiutati nell’edizione del 1923, forse a indicare che già a quella altezza cronologica era avvenuto un ripensamento. Oltre a testimoniare il rapporto editoriale, queste lettere consentono di approfondire il rapporto umano tra i due corrispondenti, caratterizzato da una profonda confidenza, priva di reticenza, che consente a Ungaretti di rivelare la drammatica situazione economica in cui vive, che lo fa diventare «una furia per riuscire a trovare i pochi soldi necessari per il latte del suo bimbo». Ed è la stessa confidenza che spinge Serra a cercare il conforto del «caro Beppino» nel momento della perdita della madre, a cui l’amico risponde «la tua lettera ha trovato il mio cuore fedele, che condivide i tuoi dolori e le tue gioie» (28 gennaio 1929).

La parte più ampia dell’epistolario è occupata da riflessioni sull’attività letteraria dei due corrispondenti: aggiornamenti, invii di poesie o volumi, scambi di pareri e consigli. E se nella prima fase è soprattutto Ungaretti ad affidarsi a Serra (basti ricordare la lettera programmatica del 13 novembre 1922), attorno agli anni ’30 avviene uno scambio di ruoli, che vede il “soldato semplice” divenire consigliere del “tenentino”.

Se il 28 gennaio 1929 Ungaretti lamenta: «So di tue pubblicazioni. Sei cattivo a non mandarmele. Mandami anche i manoscritti», l’anno dopo l’inversione di ruoli è

80 Le lettere di Ungaretti sono comprese tra il novembre 1916 e l’ottobre 1960, mentre quelle di Serra

tra il dicembre 1946 e il dicembre 1966, gruppetto meno corposo forse a causa della vita “nomade” del ricevente che ne ha determinato lo smarrimento.

avvenuta, quando conclude la lettera del 20 marzo 1930 dando consigli all’amico: «E ora parliamo della tua poesia. Mi piace salvo alcuni punti e alcune parole che vorrei cambiati, se possibile, a voce ti dirò dove dovresti forse rilavorare. Poi, la farei pubblicare», (a causa della mancanza della missiva serriana non è possibile stabilire di quale poesia si tratti).

Sorge spontaneo domandarsi per quale motivo il poeta spezzino non venne mai “sponsorizzato” dal «caro Beppino», ormai affermato scrittore. È lo stesso Serra a tentare una spiegazione all’interno del Tascapane, dove ipotizza le perplessità del lettore, celato dietro a «certi amici, superficiali o troppo benevoli» che si domandano per quale motivo Ungaretti non abbia «fatto [per lui] presso le «centrali» dell’industria letteraria, quel che aveva fatto, ascoltatissimo com’era, per scrittori tanto inferiori81». «Pudore, e vero, profondo rispetto reciproco» poiché entrambi si sentivano «più alti di tanta gente che in quelle “centrali” bazzica, traffica e vive». Ungaretti era anche intimamente geloso, anzi «gelosissimo» come lo definisce Saba, delle sue conquiste, e forse avrebbe creduto di “umiliare” Serra e la loro amicizia, se si fosse abbassato a cercare per lui raccomandazioni.

In effetti nella storia della loro amicizia, a parte le parole d’esordio dei volumi serriani, Stambul ed altri paesi e La casa in mare, non sono attestati altri atti di promozione nei confronti del vecchio compagno di trincea. Tuttavia Serra, che soffrì tutta la vita per non aver ottenuto riconoscimenti letterari, deve aver sperato nell’attenzione di Ungaretti, anche se non la richiese mai esplicitamente.

Nelle lettere del 1° e del 5 ottobre 1952, rispettivamente firmate Serra e Ungaretti, si trova attestato un episodio corollario alle parole espresse nel Tascapane. Sembra che Ungaretti abbia chiesto a Tallone alcune poesie di Serra, da pubblicare sulla rivista letteraria «L’Approdo»; allora il poeta spezzino prende la penna in mano e scrive al “caro Beppino” per verificare la veridicità della richiesta:

La cosa mi ha molto stupito, perché da quando ci conosciamo, né io ti ho offerto, né tu mi hai chiesto, qualche cosa di mio. E penso, per questo, che il buon Tallone abbia

frainteso. Ad ogni modo, ti spedisco alcuni miei versi che spero non possano dispiacerti troppo e che pensavo di riservare – a mano a mano – ad una rivista romana o napoletana.

La risposta di Ungaretti è ambigua, tanto che se non fosse pervenuta la missiva serriana, apparirebbe quasi un diniego ad una precedente richiesta: “non sono magna pars, ma solo uno dei membri del Comitato direttivo, e conto per uno. […] Faccio il possibile perché le tue poesie passino in questo trimestre”. Forse un’incomprensione da parte di Tallone, difficile stabilirlo, comunque rimane attestato, tra le pagine dell’ «Approdo», che le poesie di Serra non vennero mai pubblicate.