6 4 Tra Barile e Sbarbaro: Serra poeta dell’indecisione.
6.4.1 Pulvis es o la polvere serriana.
Dopo un’assenza durata alcuni mesi, il dialogo attorno alla poesia riprende vigore nell’aprile del 1972, quando nella lettera del 14 aprile l’anziano poeta annuncia al fidato corrispondente: «Eccoti dopo qualche (parecchi) mesi di silenzio una mia… bambina, brutta e cattiva nata in due giorni e due notti di doglie. Meno male che in fondo sfolgora un Angelo. Per questo luminoso intervento accettala ma dopo averla ben castigata». Dalle parole serriane non solo emerge la fatica sottesa alla composizione poetica, ma si trova anche anticipato il carattere ‘angoscioso’ di questi versi – «brutti e cattivi» –, mitigati sul finale dall’apparizione di un ministro divino. A questa epistola si può far risalire il primo invio di Pulvis es che, tra i diversi testimoni dattiloscritti, potrebbe corrispondere a quello che riporta una stesura ancora provvisoria, nella quale spiccano in calce la firma manuale di Serra e la datazione «Aprile 1972», poi successivamente generalizzata in «Primavera 1972187». La lirica nella sua prima fase compositiva si presenta così:
PULVIS ES Buio, silenzio… e terra, terra, terra.
Io son venuto al mondo perché veda che tutto è fango e terra, fango e polvere; io sono al mondo per sentirmi terra. Il bimbo cui si rivelava a un’iride la ricreata bellezza dell’Eden, e l’Eden gli parlava illuminandosi del suo riso infantile –;
il primo pianto al sospirato amore (labbra di sangue e labbra d’oleandro, vene tremanti e foglioline a un turbine); la tua fronte serena,
e innamorato il raggio del tuo sguardo,
e tutta la tua vita come un prato che sul mattino esulta e brilla al sole; stupore e amore e lacrime e sorrisi e belle forme, tutto… fango e polvere. (Forse daranno il garbo nella creta le labbra ad un ricurvo orlo di vaso.) Gli amici, gli avversari
i nemici che morsero
coi denti e con il ferro… tutti uguali: sparsa poltiglia, polvere.
E sulla sera quest’ultima luce che pur mi fa tremare di dolcezza, rimpianto e nostalgia, che cos’è mai se non cenere e fango?
Fossi certo che alfine si farà, anche il rimorso, polvere nel nero brulicame della tomba; il rimorso… quel verme che invisibile non si nutre che di sanie o di fanghiglia, ma rode, rode per l’eternità.
Oh venga voli sfolgori qui un Angelo.
Aprile 1972.
In trentaquattro versi – endecasillabi sciolti alternati con alcuni settenari, con precisione sette –, dopo una breve introduzione sul tema generale della lirica (primi quattro versi), il poeta ripercorre le diverse fasi della vita umana, dall’età dell’oro rintracciata nel periodo dell’infanzia, passando attraverso la giovinezza, fino alla conclusione della vita, per giungere a una riflessione sulla sua vacuità, destinata a concludersi inesorabilmente nel medesimo destino di «polvere», parola chiave che compare in totale quattro volte (cinque se si include il termine latino del titolo) e sempre in terminazione di verso.
Un altro vocabolo che spicca insieme a «polvere» è «rimorso», che ricorre due volte sul finale e possiede un’importante carica semantica, tale da costituire un altro punto nevralgico della lirica. Sul significato del «rimorso», infatti, saranno concentrate alcune osservazioni di Gherardo Del Colle, come si deduce per riflesso dalle parole di Serra della missiva del 21 aprile 1972188:
Pulvis es: poesia “rifinitissima”, tu dici, ed è quella che mi ha fatto lavorare di meno. Una notte ho sentito risonare dentro di me quella parola ripetuta tre volte: terra terra terra, come tre colpi di martello. Di lì, in un clima angosciato di sogno, è nata la poesia. La traccia e perfino qualche verso scritti durante quel dormiveglia, sicché la mattina non mi restò che proseguire (sia pure febbrilmente) l’iniziato lavoro. Febbrilmente perché sapevo che scritta la poesia l’incubo sarebbe finito. Oh catartica virtù della poesia! Ma c’è un momento in questa lirica che tu (col tuo solito garbo affettuoso) non approvi; anzi tu parli di un’unica “parola” che non ci vorresti leggere: rimorso. Qualunque tua osservazione, qualunque rilievo, qualunque accenno, anche velato, di disapprovazione, mi sono cari quanto e più d’un elogio, e perciò ti prego di non risparmiarmeli mai. È certo che tu vedi quello che io non riesco neanche a indovinare e proprio per questo vorrei pregarti di mettere un po’ di luce nella mia ombra. Non sono immune da peccati, ma de’ miei peccati sento rimorso. Perché non vorresti che dal peccato io sentissi rimorso? Non è il rimorso indice e, almeno, principio di pentimento? E non sarebbe peggio se, assente il rimordimento della coscienza, solo campeggiasse nella vita d’un uomo il peccato? Peccato inespiato peccato inespiabile: abisso d’inferno, non è così? E se così è – ma posso errare – mi domando perché non potresti assolvere o almeno compatire quei miei poveri versi (tristissimi e sinceri) nei quali di rimorso si parla. Prego: di tal “tumor m’appiana”.
188 In realtà le osservazioni riguardanti Pulvis es riportano la data 25 aprile 1972; la lettera, infatti,
appare interrotta e ripresa quattro giorni dopo («per l’arrivo violento della mia cara cefalea», appunta lo stesso Serra).
Pulvis es nasce in un clima onirico, tra sogno e realtà, come l’autore in modo molto suggestivo descrive all’amico, mettendo in rilievo sia lo stato “febbrile” in cui sono composti i primi versi, sia il potere “catartico” insito nello stesso atto poetico, che consente di liberare il poeta dagli «incubi» notturni. Gherardo Del Colle considera questa poesia «rifinitissima», ma non condivide la presenza del «rimorso», testimonianza di uno stato non sereno e della non completa sollevazione nella fede. Queste considerazioni sulla presenza del «rimorso» – e quindi sulla parte conclusiva del componimento – portano l’autore a riflettere e a lavorare ancora sul suo ultimo lavoro, che verrà nuovamente inviato a padre Gherardo il 14 maggio 1972, come si deduce dalle parole serriane apposte su uno dei cinque testimoni dattiloscritti (chiamato da ora in poi ‘dattiloscritto-14maggio’):
Carissimo, dopo la tua cara, saggia, sapiente, affettuosissima lettera del 29 Aprile (un’opera di carità) non ho fatto che meditare su questa mia triste creatura. La parte finale l’ho fatta e rifatta non so quante volte, e il testo che ora ti mando è già molto diverso (migliore, credo) da quello che ti lessi al telefono. […]
Gherardo Del Colle deve aver risposto alle provocazioni serriane del 21 aprile comunicando nuovamente le sue impressioni all’autore che, soppesando con grande attenzione i consigli e le considerazioni dell’amico, continua a meditare sulla lirica, inviandola munita di alcune varianti. Il testo di partenza del ‘dattiloscritto- 14maggio72’ corrisponde a quello della prima redazione, sul quale il poeta interviene con la penna blu (la medesima della dedica, come si può notare nella riproduzione del documento nell’appendice fotografica, pp. 254-255), modificando i luoghi testuali ritenuti meno convincenti; tralasciando per ora l’ultima strofa, bisogna notare come la lima serriana agisca in due soli passi: Serra depenna la parte centrale del terzo verso («e terra, fango») trasformandolo da endecasillabo a settenario – «che tutto è fango e polvere» – e liberando così il testo da un’inutile ridondanza lessicale; muta anche l’immagine dei versi 24-25 – «E sulla sera quest’ultima luce / che pur mi fa tremare di dolcezza» – attraverso la soppressione a penna dell’espressione «che pur mi fa» e
del suffisso dell’infinito «tremare», che conferiscono una nuova sfumatura al verso, che vede il termine «luce» divenire soggetto del predicato «trema», al posto della voce narrante: «E sulla sera quest’ultima luce / che trema di dolcezza».
Sulla parte conclusiva, «fatta e rifatta non so quante volte», l’autore non interviene con una lieve modifica, bensì con un intervento radicale: un riquadro delimita i versi conclusivi dal 28 al 33 – a eccezione dell’ultimo verso che verrà “salvato” – cancellati attraverso l’impiego di diverse linee trasversali; accanto al riquadro si nota un asterisco che rimanda al verso del foglio, sul quale compare la stesura manuale, sempre a penna blu, della parte conclusiva della lirica (vv. 28-39):
Pace, pace… Un sospiro, chiuso per sempre il Tempo, nella polvere anche il rimorso alfine sperderà.
Il rimorso… misterïoso giudice inesorato, occulto giustiziere di feroci supplizi, irraggiungibile e in me con me recluso.
E non pur mi dilania,
non pur si nutre e vive di me vivo, ma in cupe notti d’ansia a me lo strazio grida e minaccia per l’Eternità.
Oh venga voli sfolgori qui un Angelo.
Con il passaggio alla nuova stesura Serra implementa il numero dei versi (da sei a undici), lascia invariata la ricorrenza dei due termini-chiave «rimorso» e «polvere», ma utilizza un impianto descrittivo più dettagliato e minuzioso, che scardina il clima cupo e decadente della prima redazione, grazie a scelte lessicali differenti che alleggeriscono l’atmosfera di chiusura.
Tuttavia, il finale di Pulvis es non convince ancora il poeta, che interviene nuovamente sul testo inviandolo prontamente a Gherardo:
Domenica, 14 maggio 1972
Mio caro e paziente Fra Gherardo perdonami,
questa dannata poesia (Pulvis), che diverrà polvere domattina, intanto non mi dà pace. (E dentro qualcuno mi dice: “Imparerai a startene contento al quia: per ora tu sei ben punito”.)
Ho fatto appena impostare la mia attenuata polvere, e rileggendo il finale (manoscritto nella copia ora a tue mani, spero) mi accorgo subito che ci son troppi aggettivi, troppi particolari e una insopportabile truculenza. Ho tentato di migliorare, rarefacendo l’aria pesante:
Così è sparito un “occulto” e sono spariti i “feroci supplizi” ed altro. Nel contempo mi pare che i tre aggettivi che si susseguono (attributi del tremendo giudice-giustiziere): inesorato, assiduo, invisibile, bene lo caratterizzino, anche col suono e con l’iterazione. Avrai notato e noterai, spero, confrontando con l’antica stesura che sono stati eliminati i residui tardivi del Baudelaire- Stecchetti: sanie, verme, nero brulicame della tomba… del che devo renderti grazie. E ora (quando potrai) dimmi se la poesia è da conservare (per qualche tempo) o da spedire subito a Minos.
Ti abbraccia il tuo Serra gratissimo189
Questa breve lettera, datata 14 maggio proprio come la dedica presente sul dattiloscritto, riporta alla luce la profonda dedizione impiegata dall’autore nella stesura dei suoi testi, tale da divenire pensiero ricorrente durante il trascorrere della giornata. Dopo aver inviato a padre Gherardo la versione della lirica con le correzioni e l’aggiunta manoscritta, Serra continua a meditare sulla nuova stesura dimostrandosi, già a distanza di poche ore, nuovamente insoddisfatto dell’ultima strofa perché, sebbene l’approdo al ‘dattiloscritto-14maggio’ implichi l’eliminazione dei «residui tardivi del Baudelaire-Stecchetti» – eliminazione dietro alla quale va rintracciata l’influenza di padre Gherardo, come si può dedurre dalle esplicite parole dello stesso poeta: «del che devo renderti grazie» –, la nuova stesura non risulta del tutto priva da quella che egli stesso definisce «insopportabile truculenza». La variatio più significativa del ‘dattiloscritto-14maggio’ è la personificazione del «rimorso» nell’immagine del «giudice» e «giustiziere», immagine accompagnata da «troppi aggettivi, troppi particolari», sulla quale si concentrano i dubbi dell’autore. Serra ripensa questi versi liberandoli innanzi tutto dal termine «occulto» e dall’espressione «feroci supplizi», che si ricollegavano a quei «residui» decadenti che aveva cercato di combattere con la nuova stesura, e cerca in secondo luogo di alleggerire l’aggettivazione, così da snellire allo stesso tempo anche la narrazione; l’attributo «inesorato» retrocede di un verso per andare a caratterizzare direttamene il «giudice», sostituendo il precedente «misterïoso», destinato a essere eliminato.
Pulvis es rappresenta un vero e proprio cruccio per l’anziano poeta, che nell’arco di due mesi muterà più volte in modo radicale i versi conclusivi, lasciando invece invariati i primi ventisette – le uniche lievi modifiche sono quelle osservate nel passaggio tra la prima e la seconda redazione. Al 30 maggio 1972 risale un ulteriore mutamento: «Ho quasi vergogna a mandarti ancora la mia triste e trita polvere. Non so dirti quante volte (notte e giorno) quel maledetto finale mi ha tormentato. Ma quello che veramente volevo dire fin dall’origine di questi versi sono riuscito finalmente (e credo compiutamente) a esprimerlo stanotte». Il poeta all’altezza di questa terza redazione appare finalmente soddisfatto del risultato ottenuto:
“Non lamentarti, pensa: quel sospiro stesso che ferma il Tempo, nella polvere anche l’Altro in te chiuso sperderà.” Quasi uno scherno… Intanto l’altro, l’inafferrabile nemico,
non pure mi dilania in questo carcere, ma in cupe notti d’ansia a me lo strazio grida e minaccia per l’eternità… Oh venga voli sfolgori qui un Angelo.
Rispetto alle stesure precedenti, la maggiore novità del ‘dattiloscritto-30maggio72’ è l’inserimento ai versi 28-30 del discorso diretto: Serra immagina che una voce fuori campo si rivolga all’autore protagonista, per ammonirlo sulla comune sorte, alla quale è sottoposto anche «l’Altro», termine vago dietro al quale bisogna forse riconoscere il «rimorso», che campeggiava nei finali delle redazioni precedenti.
Per facilitare la comprensione al suo interlocutore, come già per Viatico, Serra provvede alla stesura di uno «schema logico» della lirica, che con ottime probabilità deve essere stato allegato a questa fase redazionale190; in questa paginetta Serra suddivide il testo in tre punti focali, in corrispondenza della scansione sintattica del testo.
Questa stesura soddisfa finalmente il poeta che nel quarto testimone della lirica lavora su una copia del ‘dattiloscritto-30maggio’, senza effettuare un rifacimento totale dei versi conclusivi, ma soltanto mirati e lievi ritocchi; nelle righe conclusive della lettera del 12 giugno, il poeta annuncia all’amico riguardo a Pulvis es:
Ho il coraggio di rispedirtelo (purgato e ripurgato) ancora una volta. Quanto al mio “parlato”, a volte poco lirico, ormai i miei critici lo considerano un “peccôu veniale” e taluni perfino… un pregio perché rende certe pieghe leggere che altrimenti si ripresenterebbero… inamidate e rigide. Ad ogni modo confido di
190 Lo schema logico è riferito a 36 versi e l’unica redazione (con quella poi pubblicata su «Ausonia»)
a presentare questo numero di versi è quella del 30 maggio, motivo che induce a ipotizzare l’interdipendenza tra questi due documenti.
avere ottenuto, grazie a te, anche su questo punto un piccolo miglioramento. La Rivista Ausonia pubblicherà prossimamente Pulvis es con altre due o tre liriche. E questo sarà (credo) mon dernier cri.
Il quarto e ultimo testimone in ordine cronologico, allegato a questa lettera, sembra essere una fotocopia (un po’ sfocata) della fase redazionale precedente, sulla quale l’autore interviene manualmente per segnalare all’amico gli ultimi sottili accorgimenti, prima di consegnare il testo definitivo ai redattori della rivista «Ausonia», sulla quale Pulvis es apparirà nel numero di giugno-luglio 1972.
Nel ‘dattiloscritto-12giugno’ si possono riconoscere alcune differenze, sempre concentrate negli ultimi nove versi e da analizzare secondo due direttive differenti. Al verso 28 si trova il mutamento più invasivo, che rappresenta l’unica vera e propria variante testuale e consiste nella cancellazione a penna – la medesima penna blu utilizzata nella lettera del 12 giugno a cui venne allegato il dattiloscritto – di una porzione di verso, reintegrata manualmente nell’interlinea tra il versi 27 e 28: il verso muta in «Non più crucci, consόlati: il sospiro». Gli altri appunti investono particolari di natura tipografica, curati dall’autore in previsione della prossima pubblicazione su rivista: i primi tre versi – corrispondenti alla battuta della voce fuori campo – sono sottolineati a penna e muniti sul lato sinistro di un appunto a matita: «da stampare in corsivo», accorgimento destinato a segnalare il discorso diretto al posto delle classiche virgolette, depennate dall’autore attraverso una ‘X’; infine, al verso 32 la seconda ricorrenza del termine «altro», posta in minuscolo nel ‘dattiloscritto- 30maggio72’, viene trasformata in maiuscolo attraverso l’intervento a penna dell’autore, in linea così con la sua prima ricorrenza al verso 30.
Prima di passare alla stesura definitiva del componimento, pubblicata tra le pagine del postumo Piccolo canzoniere, appare interessante notare come in questa fase redazionale, momentaneamente definitiva, sparisce quel termine «rimorso», fulcro delle redazioni precedenti e già oggetto di discussione tra i due interlocutori. Gherardo Del Colle riesce a insinuare alcuni dubbi nell’anziano poeta, che non ignora il dissenso del suo interlocutore, ma vi riflette a fondo, approfondendo questa tematica attraverso alcune letture specifiche: