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La poesia dell’Oltretempo.

6.3 «Dalla navicella di Caronte»: lettere di Ettore Serra a fra Gherardo Del Colle.

6.6 Il dittico dell’ “amore coniugale”: da Viatico a Oltretempo.

6.6.4 La poesia dell’Oltretempo.

Il risultato affinato dal ‘manoscritto-29agosto’ deve avere finalmente soddisfatto l’autore, se ritiene di allestire attorno a questa redazione di Viatico, priva di altre varianti, il libello artigianale dedicato alla commemorazione della moglie; in questa plaquette, come già nel ‘manoscritto-29agosto’, è preposta al testo un’epigrafe- citazione tratta dall’ultimo verso del sonetto CCL di Petrarca (Solea lontana in sonno consolarme), che recita: «Non sperar di vedermi in terra mai», inserita poi anche all’edizione definitiva di Piccolo canzoniere184. Questo verso ha l’importante funzione di anticipare al lettore l’ambientazione di Viatico, lirica non proiettata sugli aspetti terreni e mondani, ma sull’approdo all’ultrasensibile.

«L’ascesi in tre tempi» descritta da Serra in Viatico rappresenta l’acme della produzione di questi anni, nella quale «l’angelica Donna» diviene «tramite» del percorso d’ascensione del poeta. Nel libello redatto per l’anniversario del transito di Ida Lizza, è inserita una pagina “programmatica”, nella quale Serra spiega il significato di questo componimento in relazione alla particolare occasione dalla quale scaturisce:

Ida Lizza Serra, “candida sempre e sempre innamorata sposa, madre vigilantissima”, di cui la memoria si avviva col tempo, dai suoi familiari è ricordata oggi, in terra straniera, con devozione e rimpianto più affettuosi e profondi, se possibile.

Anche la Poesia, umilmente, ha tentato di onorarLa, nonostante ìmpari fosse la sua voce all’immenso bene perduto. Ma si vorrà tener conto, a sua scusa, che l’argomento imponeva di dire o quanto meno di far intuire cose ineffabili, cioè cose difficili o impossibili a esprimersi (come difficile sarebbe

183 Dante, Paradiso, a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori, Milano 1997, p. 634. 184 F. Petrarca, Il canzoniere, a cura di Gianfranco Contini, Einaudi, Torino (1964), p. 314.

musicare il silenzio o dipingere l’invisibile); e che certi altissimi temi meglio può affrontarli il musicista che non lo scrittore il quale, anche se nell’anima ascolta ad ora ad ora le più vaghe musiche, dispone soltanto di rozzi strumenti, quali sono le sorde, “finite” parole.

Peraltro, al di là d’ogni miraggio d’arte, la poesia, con questo suo tentativo, ha voluto almeno adombrare una sognata, mistica ascesi in tre tempi: passaggio dall’umano (1a strofa), attraverso una intravista plaga ultraterrena, dove però si manifestano ancor, in penombra, i “movimenti umani” (2a strofa), al divino, presentito sulla soglia dell’“Azzurro Oltretempo” (ultima strofa); e tutto questo in memoria e per il tramite di un’angelica Donna.

Queste parole trovano un riscontro anche all’interno della missiva del 29 agosto ’71 (riportata integralmente in appendice, p. 219), nella quale il poeta, quasi in una sorta di captatio benevolentiae, intende evidenziare a padre Gherardo la difficoltà della sua impresa poetica. Effettivamente Viatico si differenzia rispetto ad altre liriche dalla tematica affine – nelle quali protagonista è la moglie –, proprio per il tentativo metafisico di ritrarre la visione ultraterrena dell’amata, e perciò «l’ineffabile»; mentre la produzione precedente, che a partire dagli anni ’50 è incentrata sul consumarsi della malattia di Ida, ritrae gli aspetti concreti e quotidiani della routine del poeta, con accenti a volte onirici ma pur sempre concreti, il passare del tempo determina un’idealizzazione della moglie che, «angelica Donna», la rende «tramite» dell’ascensione serriana.

In questa paginetta programmatica, come anche nella lettera del 29 agosto ’71, Serra si sofferma a illustrare quale forte ostacolo linguistico ed espressivo abbia incontrato nella sua impresa: le parole «sorde e finite» si rivelano inconciliabili con il suo intento. A tal riguardo esprime la superiorità espressiva della musica, in grado di dar spessore anche ai sentimenti più vaghi: questa riflessione rivela l’affinità serriana con la lezione del simbolismo francese, tanto caro al poeta, come dimostrano soprattutto le opere giovanili. Sulla concezione musicale della poesia, si trova riscontro anche nella lettera del 21 marzo 1973 nella quale, in occasione di un articolo di padre

Gherardo, I re magi del simbolismo, Serra commenta e ripercorre il significato della parola-musica (lettera riportata in appendice, p. 235).

Nelle parole serriane non riecheggia soltanto la lezione offerta dal simbolismo francese, ma anche quella dantesca: dal punto di vista tematico, infatti, l’ascesi serriana al mondo incorporeo per tramite dell’amata, ricalca quella della Commedia, avvenuta per tramite di Beatrice. La fonte dantesca viene evocata anche dallo stesso autore all’interno della lettera del 29 agosto quando, a proposito della struttura metrica, indica per ben due volte il suo modello nel Paradiso dantesco. La «luce» e la «musica», che dominano la terza strofa di Viatico, sono infatti tratti caratterizzanti della terza cantica dantesca, come anche l’apparizione di Ida che, assimilata a un fiore dalla «nivea corolla», ricorda l’apparizione di Beatrice nel XXX canto del Purgatorio che emerge «così dentro una nuvola di fiori» (v. 28) – gigli come esplicita la citazione virgiliana dei versi precedenti –, ai quali allude molto probabilmente la «nivea corolla» serriana.

I richiami danteschi, già individuati durante l’analisi evolutiva, appaiono rafforzati nella redazione definitiva che si legge in Piccolo canzoniere, dal titolo definitivo Oltretempo:

Oltretempo

Non sperar di vedermi in terra mai.

Petrarca

Quante volte in sogno

son giunto alla spiaggia in fiore del nostro paese!

Ma sceso appena dal treno con l’ansia di te,

sempre qualcuno mi ha detto, calmo, sottovoce,

che non t’avrei più trovata nella rosea casa sul mare;

ch’ogni ricerca era vana; che potevo tornarmene indietro.

Un fiume, stanotte, i morti, all’uscita di quella stazione…: volano, pallide ombre a una foce,

e foglia, con esse anch’io son travolto. Improvviso il petto m’urta

sasso di fionda: laggiù,

a un fuggitivo brivido di lampi vedo – e forse è l’ultima volta – il tuo viso che affiora, sì fievole, da un pozzo di buio,

fiato d’aurora per fumido vetro.

Appena in quel vago di sogno eri apparsa che sciolto ogni nodo terreno, divenni solo immenso sguardo

su plaghe luminosissime. Raggianti sfere suonavano luce da cielo a cielo, e tu eri alla riva d’interminata distesa, non funebre diva che renda

la morte immortale, ma dell’eterno splendore nivale alta corolla di luce.

La Rochelle, 1971

La prima strofa rimane invariata – a eccezione del verso 7, come si è già notato in precedenza – mentre nelle due seguenti è possibile riconoscere un sostanziale rifacimento. Nella seconda strofa il labor limae dell’autore si concentra nella parte iniziale: ai versi 14 e 15 viene inserita la similitudine con le foglie, che sembra richiamare quella impiegata da Dante nel III canto dell’Inferno per descrivere le

anime dei dannati185. Da notare, inoltre, come il verso 18 – «a un palpebrare vivido di lampi» nella plaquette del ’71 – muti in «a un fuggitivo brivido di lampi», nel quale alla variatio lessicale non corrisponde un’alterazione nella struttura degli accenti. La stanza conclusiva appare completamente ripensata dall’autore, che sperimenta nuove immagini in direzione di una funzionalità maggiore dell’espressione a favore della materia trattata: vengono introdotti diversi particolari che rendono ancora più idoneo il raffronto con il poema dantesco. Il termine «musica» scompare dal verso conclusivo, e al suo posto appaiono le «raggianti sfere [che] suonavano luce / da cielo a cielo» (vv. 27-28), evidente ripresa del Paradiso dantesco, come anche i versi precedenti nei quali viene espressa la predominanza e la centralità dello sguardo – «sciolto ogni nodo terreno, divenne / solo immenso sguardo / su plaghe luminosissime» (vv. 24-26).

A questa altezza cronologica avviene anche il ripensamento del titolo: il termine «Oltretempo», prima inserito in uno dei versi centrali della narrazione, sparisce dal testo per retrocedere a emblema dell’intera lirica. A partire dai titoli, il dittico delinea un breve percorso: come appunta Barile nell’articolo dedicato alla lirica del ’67, «da quando la sua sposa è mancata, il ricordo di lei è divenuto alimento indispensabile al suo spirito, immagine viva, anzi viva presenza e viatico al suo residuo dolorante cammino», e si potrebbe aggiungere viatico all’Oltretempo descritto nel secondo movimento del dittico.

Un’ultima osservazione sul termine ‘oltretempo’. Quello che a prima vista può far pensare a un neologismo serriano, in realtà si ritrova in un componimento di Montale, Voce giunta con le folaghe, tratto dalla raccolta La bufera e altro del 1956 e dedicato al tema del ricordo. «L’ombra fidata e il muto che risorge, / quella che scorporò l’interno fuoco / e colui che lunghi anni d’oltretempo / (anni per me pesante) disincarnano» (vv. 23-26, p. 258): in questi versi il poeta immagina un dialogo tra

185 «Come d’autunno si levan le foglie / l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo / vede a la terra tutte

le sue spoglie, / similmente il mal seme d’Adamo / gittansi di quel lito ad una ad una» (vv. 112-116), in Inferno, a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi 1991, cit., pp. 95-96.

Clizia e il padre; sebbene il termine venga impiegato da Serra con un significato differente, il suo utilizzo va forse ricondotto alla lettura di questa lirica montaliana.